IL CAMMINO DI  SANTIAGO

Tour 2005

 

 “L’Europa è nata pellegrinando e la sua lingua è il cristianesimo”. ( Goethe)

 

 

                   

                      

 

Quest’anno le nostre vacanze hanno  qualcosa di speciale. Infatti nei primi dieci giorni seguiremo le antiche strade che migliaia e migliaia di pellegrini hanno percorso dal lontano medioevo ad oggi nel così detto Camino di SantiagoCi muoveremo col camper, ma il nostro sarà un vero pellegrinaggio, perché riteniamo che il percorso interiore di revisione di vita e un tempo di intensa vita spirituale personale e di coppia non siano meno faticosi di un lungo camminare.

N.B. Cliccando su una immagine qualsiasi potrai accedere alla galleria fotografica completa

 


L’AVVICINAMENTO AL CAMMINO

 

Che le strade si aprano al tuo passaggio;

che il sole tiepido ti scaldi il viso;

che la pioggia cada dolcemente sui tuoi campi;

che il vento soffi sempre alle tue spalle.

E fino al momento in cui torneremo ad incontrarci,

Dio ci tenga nel palmo della sua mano.

(Antica benedizione irlandese)

 

 

Venerdì 9 luglio - ore 9,45. Dopo aver partecipato alla messa in parrocchia, avendo nel cuore i nostri cari e gli amici, lasciamo Milano.

    IN VIAGGIO

Oggi tappa di trasferimento tutta autostradale fino ad Arles, attraverso la Liguria e la Costa azzurra.
Il traffico è intenso, ma scorrevole, il paesaggio, straconosciuto, è gradevole. Il vento che ci  colpisce con raffiche violente all’uscita di ogni galleria ci fa apprezzare la conversione verso il camper.
Nel pomeriggio siamo nella colorata Provenza. Sostiamo per la notte al camping La Chapelette di St. Martin de Crau, un comune che precede Arles.
Conosciamo già il posto essendoci stati tutte le volte che transitiamo da questa zona. Gli anni passano per tutti… troviamo questo campeggio cambiato sotto alcuni aspetti in meglio, per altri in peggio. A gestirlo non c’è più il signor Bernard  Matteoli e sua moglie con i quali avevamo familiarizzato. La nuova famiglia, che lo gestisce è altrettanto accogliente. Ha rimodernato i  servizi e ha disposto nelle piazzole diversi bungalow. L’aspetto negativo è che il luogo non è più tranquillo come una volta. Infatti l’indomabile frinire  delle cicale è sovrastato dall’irruente transito del TGV e, più disturbante, dai rumori del continuo traffico di una nuova arteria autostradale. Non è più quindi un camping per vacanze, rimane però un ottimo sito di sosta, anche perché, avendo la piscina, consente dopo il viaggio di rilassarsi adeguatamente.

    AVVERTENZA

Sabato 9 luglio - Abbiamo sempre considerato le tappe di trasferimento come giorni effettivi di vacanza, durante le quali godere dei paesaggi, che veloci scorrono sotto i nostri occhi, ma questa mattina non è stato così.

Entrati in autostrada ad Arles e diretti a Narbonne, percorsi pochi chilometri, ci siamo trovati incolonnati ai tanti turisti del nord Europa diretti in Spagna e ai francesi in movimento per il fine settimana verso la zona balneare di Sète. Il ritmo è lento e stressante perché cadenzato da lunghe soste e brevi, ma veloci  riprese. Consigliamo di non percorrere di sabato questo tratto di autostrada.

   

    NARBONNE – LOURDES

Presa la direzione Toulose ci fermiamo nella prima area di sosta per riposare e pranzare, data l’ora.

I francesi, notoriamente amanti dei pique-nique hanno dotato la loro rete stradale di aree di sosta ampie e confortevoli. Questa offre pure una bella vista panoramica su Narbonne e la laguna costiera.

Ora la strada è libera e scorrevole, transitiamo tra i vigneti, che si estendono a perdita d’occhio. Superato Carcassonne, finta città medioevale, il paesaggio agrario si tinge di giallo; quello del grano ormai maturo e quello dei girasoli che, secondo la prospettiva, virano il loro bel giallo in verde. Oltrepassata Toulose la vita agricola è ancora diversa e con essa il paesaggio. Qui sorprende l’intensità del verde brillante del mais che, alto già due metri, è ancora abbondantemente irrigato a pioggia per incrementare ancora di più la sua crescita, e del verde scuro dei boschi che ricoprono le prime pendici pirenaiche.

Verso sera giungiamo a Lourdes, dove sostiamo nella spaziosa e custodita area per pullman e camper. Si trova lungo la riva della Gave, non molto distante dal santuario.

    LOURDES

Domenica 10 luglio - La nostra giornata di preghiera è iniziata ieri sera con la partecipazione alla processione mariana. Si arriva al santuario da soli o in gruppo e si rimane subito sorpresi dalla quantità di etnie e di nazionalità, che si riuniscono richiamandosi con dei cartelli e poi subito si mescolano fatti i primi  passi nel lungo corteo. Così noi ci incolonniamo dietro il cartello “Day pilgrims” e  ci troviamo a camminare insieme ad un gruppo inglese del Movimento per la vita.

Durante la processione percepiamo di appartenere al popolo di Dio in cammino per Mariam ad Jesum.

Uomini divisi nella babele del mondo, all’unisono, ciascuno nel suo idioma,  rispondono all’Ave Maria, per poi proclamare insieme nella lingua della Chiesa la lode alla Trinità e la preghiera che Gesù ci ha insegnato.

Emozionante e significativo, perché segno dell’umana fratellanza, è il congedo. In successione nelle varie lingue viene detto di scambiarsi un gesto di pace. Quest’augurio messianico, partito dai francesi, contagia via via tutti.

Dopo una breve sosta di preghiera personale alla grotta,  rientriamo alla nostra dimora.

Oggi, domenica, è il giorno per il Signore, così ci ricorda il frate che alle ore 11.00 nella basilica dell’Immacolata Concezione  celebra la messa in italiano.

Dice il Signore: “Come la pioggia cade sulla terra e non ritorna al cielo senza prima averla irrigata, così sarà di ogni parola che esce dalla mia bocca.” (Isaia 55, 10-11). Commentando questo passo  il celebrante pone una domanda: “Ci lasciamo permeare dalla Parola, che rende fertile e fruttuosa la nostra vita?”

    Nel pomeriggio torniamo al santuario. E’ il nostro tempo di preghiera. Dopo la devozione personale, insieme davanti alla grotta recitiamo il Rosario. Abbiamo nel cuore le persone care, gli amici e i conoscenti e coloro che ci hanno chiesto una preghiera. Per loro e per noi con Maria benediciamo il Signore e imploriamo il suo aiuto.

    Ci rechiamo poi alla tenda dell’adorazione eucaristica. La tenda ci ricorda  quella che la nostra UPF (Unità Pastorale Forlanini) allestisce in occasione della festività del Corpus Domini. Qui portiamo la nostra parrocchia, i suoi sacerdoti, le suore, i malati, tutti. Quindi partecipiamo alla processione dei malati, che si conclude con la benedizione nella basilica sotterranea di S. Pio X.

    E la grazia del Signore è immediata. Al rientro viene esaudita subito un’attesa che si protraeva in modo preoccupante.

 

 

 

SANTA MARIA COMPAGNA DI VIAGGIO

Santa Maria, madre tenera e forte, nostra compagna di viaggio sulle

Strade della vita, ogni volta che contempliamo le cose grandi che

l’Onnipotente ha fatto per te, proviamo una così viva malinconia per le

nostre lentezze, che sentiamo il bisogno di allungare il passo per

camminarti vicino.

Asseconda, pertanto, il nostro desiderio di prenderti per mano

e accelera le nostre cadenze di camminatori un po’ stanchi.

Divenuti anche noi pellegrini nella fede, non solo cercheremo il  volto

del Signore, ma, contemplandoti come icona della sollecitudine umana

verso coloro che si trovano nel bisogno, raggiungeremo in fretta la

“città” recandole gli stessi frutti di gioia che tu portasti un giorno a

Elisabetta lontana.

(don Tonino Bello, vescovo)

 

 

DALLA FRANCIA ALLA SPAGNA

 

Lunedì 11 luglio - Proprio ieri leggevamo sul quotidiano Le Monde, che quest’anno in Francia i prezzi dei prodotti ortofrutticoli hanno avuto un sensibile calo. Ne prendiamo atto facendo la spesa in un grande supermercato, prima di lasciare Lourdes. Ci chiediamo perché in Italia questo non succede mai. Infatti, se va bene, i prezzi rimangono inalterati.

Da Lourdes ci dirigiamo verso la Spagna seguendo inizialmente l’indicazione Pau. Percorsi pochi chilometri ci fermiamo a St Pé di Bigorre ad acquistare il giornale. E’ un borgo di poche case, la cui semplicità è resa bella dalla cura dei particolari.

Più avanti a Lestelle-Betharram vediamo ergersi alla nostra sinistra un complesso religioso di bell’aspetto architettonico. Incuriositi sostiamo per fotografarlo, poi ci dirigiamo verso la chiesa per iniziare meglio la giornata. E’ il santuario di Notre Dame di Betharram costruito nel XII secolo. Il suo interno è un’autentica sorpresa. Il soffitto dell’ingresso è formato da tavole di legno dipinte, raffiguranti le effigi dei profeti e dei re d’Israele. Le grandi statue di Cristo, il pulpito e la pala dell’altare sono pure di legno in un tripudio di oro e colori. Ci raccogliamo in preghiera e riprendiamo il viaggio.

Superato Pau, seguendo le indicazioni per Saragozza, raggiungiamo il valico di Somport, che fa da confine tra la Francia e la Spagna. Lo transitiamo passando il tunnel, che è ben illuminato e video sorvegliato lungo tutto il suo percorso. Abbiamo la fortuna di percorrerlo da soli nella nostra direzione e incrociando pochi veicoli nel senso opposto. Nell’area pic-nic situata all’uscita della galleria  pranziamo velocemente e riprendiamo il tragitto.

    SAN JUAN DE LA PEÑA

La ripida discesa ci conduce a Jaca, che superiamo di slancio, per poi svoltare a sinistra dopo 10 km ed iniziare a salire verso San Juan de la Peña. Percorriamo 11 km di una strada stretta e piuttosto sconnessa. Quando si inerpica maggiormente si addentra in una zona di bosco misto di essenze cedue e resinose. Poi lungo i dossi montuosi diventa panoramica. 

Lo sguardo può spaziare catturato dalla vivacità dei colori della piana sottostante ancora gialla dopo la mietitura, mentre i versanti  pirenaici sono verdi. Le parti sommitali delle montagne , grigio-marroni, si stagliano fiere e aguzze contro l’azzurro del cielo. Alcuni rapaci intrecciano  voli circolari. Con spire, ora alte e ampie, ora basse e ristrette, disegnano una muta e continua danza.

Lasciato il camper raggiungiamo il vecchio monastero. Esso risale al X e XI secolo. E’ stato costruito in parte scavato nella roccia arenaria, che si mostra alla vista con possenti pareti a precipizio.

Lo troviamo chiuso per la pausa pranzo: 14.30-15.30. Sotto il sole cocente delle 12.30 (in Spagna tengono l’ora europea, ma essendo spostati ad ovest di un fuso e essendoci in questo periodo l’ora legale, è come se avessero 2 ore legali), con coraggio proseguiamo a piedi intendendo prima visitare il nuovo monastero, costruito nel XVII secolo. Questa sudata ci fa entrare maggiormente nello spirito del pellegrino che, con il suo andare, mette in gioco anche le energie fisiche per comprendere meglio il senso dell’essenzialità e del sacrificio.

Troviamo anche questo monastero chiuso, perché in completa ristrutturazione.

Irritati torniamo sui nostri passi pensando di aver perso solo tempo. Invece la visita del vecchio monastero ci soddisfa e ci ripaga abbondantemente dell’apparente inutile fatica sopportata. Esso è edificato su due piani scavati nella roccia. Al piano inferiore, il più antico, c’è la sala detta del Concilio, che era il dormitorio dei monaci e la chiesa romanica a due navate. Al piano superiore ci sono delle sale con le tombe dei re di Spagna, una chiesa e un chiostro. La chiesa ha sull’altare centrale la riproduzione del Santo Graal, che si dice essere stata portata qui per difenderla dalla distruzione dei mori. Bello è il chiostro, circondato da colonnine i cui capitelli, tutti diversi e quasi tutti ben conservati, sono scolpiti e raccontano la storia della salvezza dalla creazione di Adamo ed Eva alla passione di Cristo attraverso le vicende più significative della sua vita.

Sul chiostro si aprono due cappelle: quella di san Vittoriano di stile gotico fiorito aragonese e quella di san Voto, che prende luce da un’alta cupola sormontata da un lucernario.

    RONCISVALLE

Ritornati sulla nazionale proseguiamo in direzione di Pamplona. Raggiuntala, facciamo una digressione verso Roncisvalle, perché desideriamo ricevere dai monaci, durante la messa delle ore 20.00, la benedizione del pellegrino.

A Roncisvalle, dove morì il paladino Orlando, nel XII secolo sorse la Collegiata, che accoglie i pellegrini che da qui iniziano il Camino verso Santiago de Compostela. Posteggiamo il camper ai piedi della Collegiata.

La chiesa ha tre navate. I monaci agostiniani celebrano il vespro e la messa leggendo le letture in spagnolo e in francese. Ultimata la celebrazione i monaci invitano i pellegrini ad avvicinarsi all’altare per ricevere la speciale benedizione, che viene ripetuta in diverse lingue:

“Cristo sia la vostra via e il vostro sostegno.”

Poi la chiesa si oscura; rimane illuminato solo l’altare dove spicca l’immagine della Vergine Dolorosa. Nella penombra cantiamo la Salve Regina. Riaccese le luci i monaci lasciano la chiesa e ognuno va in pace.

Tornati al camper ceniamo alle 10.00 de la tarde, come si conviene in Spagna. Infine, eseguiti i nostri compiti delle vacanze, diamo un’occhiata al manto di stelle che benevolo ammicca da lassù e ci corichiamo.

 

 

IL CAMMINO

 

Signore, insegnami la route, l’attenzione alle piccole cose,

al passo di chi cammina con me, per non fare più lungo il mio,

alla parola ascoltata perché il dono non cada nel vuoto,

agli occhi di chi mi sta vicino per indovinare la gioia e dividerla,

per indovinare la tristezza e avvicinarmi in punta di piedi,

per cercare insieme la nuova gioia.

Signore, insegnami la route,

la strada su cui camminare insieme,

nella gioia di avere ricevuto tutto da te nel tuo amore.

Signore, insegnami la route.

Tu che sei la strada e la gioia. Amen.

 

    RONCISVALLE – PAMPLONA

Martedì 12 luglio - Sveglia ore 7.00, parca colazione, visita al monastero per offrire al Signore la giornata… E’ chiuso! Dobbiamo al più presto sintonizzarci sugli orari della Spagna! Partenza e preghiera sul camper.
Pochi chilometri ed ecco l’occasione di una prima sosta. Sul ciglio della strada che ci porta a Pamplona, accanto ad una stele votiva, un gruppo di pellegrini sta cantando la Salve Regina. Quand’ecco fermarsi in quel luogo anche tre ciclisti, tra cui una donna tutta ammaccata per una caduta. Ci riconosciamo per la lingua. Ci chiedono un bicchiere. La donna deve assumere un farmaco antidolorifico. Sono di Fossano, Cuneo, hanno iniziato da due giorni il loro Camino. Oggi per loro siamo stati un segno della Provvidenza. Ci lasciamo con l’augurio di un buon cammino.

 

    PUENTE LA REINA

Raggiunta Pamplona la superiamo facilmente grazie alla tangenziale, praticamente deserta a quest’ora del mattino: 9.30!

Scavalchiamo le ultime propaggini della sierra che la circonda ad occidente, sulla cui sommità sono posti numerosi aerogeneratori. Percorsi pochi chilometri della nazionale 111 ci fermiamo a Puente la Reina.

E’ una cittadina medioevale degna di essere visitata. Essa nasce nell’XI secolo con il fiorire del Camino. Qui si incontrano i  molti diversi cammini provenienti da tutta Europa. Per facilitare il passaggio del Rio Arga, per volere della regina Doña Mayor, è stato costruito un ponte a sei arcate. Posteggiamo il camper lungo il controviale della nazionale, che qui funge da circonvallazione. Con pochi passi raggiungiamo il centro. Percorriamo la calle Mayor sulla quale si affacciano bei palazzi. Alcuni portoni sono socchiusi. Sentiamo dentro di noi l’incoraggiamento del mitico treiese Luciano. Varchiamo le soglie per immortalare i fregi e gli ornamenti che abbelliscono gli atri.

Quand’ecco che un’ombra fugace si proietta sul selciato. E’ quella di una cicogna che torna al suo nido sito in cima alla torre della cattedrale.

Sono passate da poco le 10.00, è l’ora giusta per la pausa caffè. Entriamo in un bar, dove la loquace barista dopo il buenas dias di ordinanza continua ad interagire coi due clienti già presenti nel locale. Commentano le immagini che la televisione sta mandando in onda sulla festa di San Firmino, che in questi giorni si sta svolgendo a Pamplona. Sono scene assurde e impressionanti. Nugoli di gente urlante stuzzica e aizza i tori che, come impazziti, cercano un varco tra la folla, rischiando a loro volta di infortunarsi scivolando sul selciato.

Tra il saluto e l’ordinazione trascorre del tempo, è come se la barista si fosse dimenticata di noi, ma non è così: sono i ritmi della Spagna. Ella serve con calma del gin al vecchietto appollaiato su uno sgabello, quindi presenta i tramezzini e dà consigli al giovanotto che da solo occupa quasi tutto il bancone; poi, raccolta la nostra ordinazione, prima di fare il caffè, mesce un bicchiere di vino rosso a un signore di mezza età che si è accomodato ad un tavolino, con l’atteggiamento del cliente abituale.

Se le corse folli di uomini e tori ci hanno colpito, ancora di più è stato questo sguardo sul consumo alcolico. Forse è  questo il motivo per cui in due giorni abbiamo visto due tir inspiegabilmente ribaltati ai margini delle strade?

Consumato finalmente il caffè, entriamo nella cattedrale, dedicata a San Giacomo. Si sta celebrando la messa ed è il momento della comunione, che facciamo spiritualmente. Proseguiamo poi per la chiesa del Crocifisso. Essa è stata costruita dai templari all’inizio del medioevo ed è ancora una meta dei pellegrini. E’ di stile romanico. Ha due navate i cui absidi accolgono un altare e un antico Crocifisso.

Ritornando verso il camper sostiamo in un negozietto e ci regaliamo la piastrella blu col simbolo del camino da appendere in casa tra i nostri ricordi e la conchiglia che i pellegrini portano al collo come simbolo di purificazione.  La collocheremo ben in vista sul mezzo. Poi un gattino in cerca di coccole richiama la nostra attenzione e ci congeda.

    ESTELLA – MONASTEIRO DI IRACHE

Estella è segnalata dalle guide turistiche. Lasciamo la nazionale e la raggiungiamo, ma l’unico posteggio possibile per il nostro veicolo, quello della stazione, è completo. Con rammarico riprendiamo il viaggio e, quasi a ricompensa di questa delusione, ci dirigiamo verso una struttura religiosa che si erge poco più avanti sulla nostra sinistra. E’ il monastero di Irache. E’ imponente, ma chiuso. Lo osserviamo dall’esterno. L’architettura austera è addolcita dallo spazio ombroso che la circonda. Ora è affollatato di pellegrini stanchi. C’è anche un accattivante profumo di vino che proviene dalla bodegas che lo produce lì accanto. Chi è di passaggio può prendere gratuitamente un assaggio o anche più, col monito di non abusare. Ci lasciamo stuzzicare da questa gustosa tentazione. Il vino che esce dal rubinetto della fontanella è fresco, frizzante, asprigno e fruttato. Un ottimo aperitivo, data l’ora!

     NAJERA

Raggiungiamo velocemente Logroño, pranziamo in un’area di sosta e proseguiamo fino a Najera, città medioevale, allora residenza abituale dei re di Navarra. Qui nella cattedrale vorremmo vedere l’immagine della Vergine del Camino, ma Najera è un borgo in completa ristrutturazione e non vi è nulla di visitabile, se non dall’esterno.

Ciò conferma l’impressione e la riflessione che avevamo elaborato questa mattina. La Spagna è una nazione in movimento, in crescita. Cantieri, sistemazioni, ristrutturazioni sono proprio il segno di tanta dinamicità. Auguriamo a questa nazione e al suo popolo di non perdere col progresso i valori umani e cristiani, che da secoli li hanno caratterizzati.

     SANTO DOMINGO DE LA CALZADA

E’ questa una tappa davvero curiosa. Infatti nella cattedrale sono presenti un gallo e una gallina dal piumaggio bianco. Vi giungiamo poco prima della sua apertura pomeridiana. Nell’angusto spazio ombroso della piazza troviamo in attesa un giovane prete raccolto in preghiera. Egli ha scaricato lo zaino. Mostra la sua fatica mattutina mediante l’abito talare segnato e sgualcito. I nostri sguardi si incontrano, ma lui ritira il suo. Poco dopo, entrati in chiesa, parla a noi e agli altri visitatori, mettendosi subito in ginocchio davanti al suo e nostro Dio.

La chiesa è monumentale. Ha un antico impianto romanico, a cui si sono sovrapposte nei secoli altre strutture.

Conserva al suo interno un baldacchino con le spoglie del santo di cui il paese porta il nome. Per capire la presenza dei polli vivi e vegeti, occorre conoscere la storia del paese e la sua leggenda.

Santo Domingo era un pastore che, diventato sacerdote, si dedicò all’assistenza dei pellegrini, lavorando anche alla sistemazione della calzada, l’antica via romana. Fin qui è storia.

Si narra che una famiglia tedesca alloggiò in questo borgo e che la figlia dell’oste si innamorò del giovane teutonico, senza esserne ricambiata. Ella si vendicò dell’offesa subita nascondendo nel bagaglio del giovane un vaso d’argento. Poi lo accusò di furto. Il giovane, trovato in possesso del bene prezioso, fu condannato a morte per impiccagione, nonostante proclamasse la sua innocenza.

Si dice che santo Domingo lo sostenne durante l’esecuzione della condanna e lo salvò. Quando i suoi genitori informarono il giudice del miracolo per ottenere la liberazione del figlio, questi stava cenando. Incredulo esclamò che la storia era tanto vera, quanto erano ancora piumati e vivi i polli cotti che stava mangiando. Detto, fatto. La leggenda narra che il gallo e la gallina si ricoprirono all’istante di un bel piumaggio bianco e ripresero il vigore della vita.

Da allora per ricordare a tutti l’intercessione di santo Domingo vengono tenuti in chiesa due polli bianchi.

L’alta torre campanaria  è di stile barocco ed è separata dalla chiesa. E’ in ristrutturazione, ma lascia intravedere la ricchezza della sua parte sommitale.

Tornati al camper, prima di ripartire, ammiriamo due coppie di cicogne appollaiate nei loro nidi posti sulla sommità delle mura di cinta della città.

 

    LA MESETA

Il viaggio prosegue nel segno della conchiglia. Passiamo dalla regione della Navarra a quella della Castilla-Leòn. Ci  dirigiamo a Burgos.

Il paesaggio è ormai quello della meseta. Dossi ampi e tondeggianti si alternano a conche speculari. Domina sovrano il giallo acceso delle messi mietute, qua e là interrotto dal verde dei filari degli alberi che risaltano sulla rossa terra e separano gli spazi agrari.

 

     SAN JUAN  DE ORTEGA

San Juan, nato nel 1080 vicino a Burgos, dopo essere stato pellegrino a Gerusalemme, decise di dedicare la sua vita ai pellegrini diretti a Compostela. Collaborando con santo Domingo costruì numerosi ponti sui rii della zona. La costruzione della chiesa monastica iniziò pochi anni prima della sua morte e fu ultimata solo nel XV secolo, su sollecitazione della regina Isabella la cattolica, che qui arrivò per chiedere al santo il dono della maternità.

La chiesa è armoniosa e ben curata. In essa spiccano il baldacchino gotico fiorito, che conservava le spoglie del santo, oggi poste nella cripta. Sulla sinistra c’è un altare con una pala lignea rappresentante la gerarchia celeste e il destino ultimo degli uomini.

All’esterno, piuttosto cadenti ci sono il monastero, che ospita i pellegrini e una cappella dedicata a san Nicola di Bari.

La giornata si conclude a Burgos. Sappiamo che in città c’è il campeggio municipale, ma non conosciamo la via dove si trova.  Ci dirigiamo verso il centro nella speranza di incontrare qualche cartello che lo indichi. Non troviamo nessun segnale. Domandiamo ad un vigile. Egli gentilmente non solo ci spiega con precisione dove si trova e come arrivarci, ma visto che abbiamo tra le mani la piantina della città, con la penna segna su di essa il tragitto che dobbiamo percorrere dal punto in cui siamo. Raggiungerlo diventa un gioco da ragazzi. Il campeggio è posto a qualche chilometro dal centro. Esso è immerso nel bosco che costeggia il Rio Arlanzon. E’ ampio, bene organizzato e soprattutto pulito, qualità non sempre presente nei campeggi delle città.

 

    BURGOS

Mercoledì 13 luglio - Lasciamo il campeggio intorno alle 8.30 e ci dirigiamo in città, sapendo già dove posteggiare, avendo visto ieri il piazzale idoneo. La piazza offre posti a pagamento alla modica cifra di 0.60 € l’ora. Ci assicuriamo la sosta fino a mezzogiorno.

Quindi lungo l’ampio marciapiede del parco che affianca il fiume camminiamo in direzione del centro, che dista 10 minuti da dove siamo.

Secondo i bioritmi spagnoli è mattino presto. La città si sta svegliando: si prepara e si fa bella. Solerti giardinieri curano le aiuole, le irrigano avendo cura di lavare con i getti d’acqua anche le sottili ed eleganti panchine metalliche.

Passiamo il fiume al secondo ponte e ci troviamo di fronte l’Arco di Santa Maria. E’ la porta della città, che introduce al borgo antico. E’ alta e possente e dà l’impressione di immettere in una fortezza. Dietro l’arco appare candida e magnifica la cattedrale.

Vi si entra attraverso due porte. Quella centrale è riservata al culto e permette di accedere alle prime due cappelle. Quella laterale, posta sul lato di destra, è riservata alla visita di tutta la struttura monumentale. Visto che la messa è celebrata alle ore 11.00, iniziamo con la visita turistica.

Non è facile descrivere ciò che si prova entrando in questa chiesa. Si è subito catturati dal chiarore della sua pietra di costruzione, finemente lavorata come un cesello. Lo sguardo sale. Tra colonne, pilastri compositi, statue, bifore e polifore, si vede la luce, si trova la Luce. Si ha la sensazione che il Signore ti cerchi e ti elegga ponendoti sul capo la preziosa e delicata trina della sua regalità.

Giriamo le cappelle che circondano la navata centrale. Ognuna è particolare, dedicata a un santo, è stata voluta dai vescovi e dai nobili, che lì riposano.

La navata centrale è chiusa verso l’ingresso principale dal coro ligneo, tutto intagliato. Esso è aperto verso il tiburio, dove giacciono le spoglie del Cid, l’eroe spagnolo che a più riprese fermò e allontanò i mori dalla Spagna. Il tiburio a sua volta si allunga verso l’altare maggiore sulla cui pala troneggia l’effige d’argento della Vergine.

Proseguiamo la visita. Il chiostro superiore è tutto chiuso da vetrate colorate, che lasciano intravedere l’armoniosa architettura esterna della cattedrale. Poi è la volta del museo di arte sacra dove sono esposti pregevoli arredi, paramenti e oggetti sacri.

Usciti dal tempio, rientriamo in esso dal portone principale, non senza aver notato che la facciata richiama quelle delle cattedrali francesi. Assistiamo alla messa. E’ concelebrata. Due giovani sacerdoti olandesi , i cui sandali fanno chiaramente intendere le ragioni della loro presenza in questa zona iberica, affiancano un anziano sacerdote spagnolo.

 

“Mentre si è in pellegrinaggio, si ha anche l’occasione di entrare nella tenda

dell’incontro cosmico con Dio. Spesso i santuari sono collocati in panorami

straordinari, esprimono forme artistiche di grande fascino, addensano in sé antiche

memorie storiche, sono espressioni di culture alte e popolari. E’ necessario allora, far sì

che il pellegrinaggio non escluda anche questa dimensione dello spirito. Soprattutto si

comprenda che nella maggior disponibilità ad apprezzare la natura si rivela una

preziosa dimensione spirituale dell’uomo moderno. Questa dimensione divenga tema di

momenti di riflessione e di preghiera, così che il pellegrino dia lode al Signore per i

cieli, che narrano la sua gloria (Sal. 19,2) e si senta chiamato ad essere ministro del

mondo nella pietà e nella giustizia (Sap. 9,3)”

(Il pellegrinaggio nel grande giubileo del 2000)

    

CASTROJERIZ

La strada che da Burgos porta a Leòn penetra sempre più nella meseta. Questa riduce via via i suoi dislivelli distendendosi in un immenso altipiano solo lievemente mosso. Il sole a picco, il caldo torrido della giornata e il giallo intenso delle messi, che si estendono fin dove lo sguardo arriva, danno la sensazione di attraversare il deserto.

Lo stesso senso di solitudine e di isolamento è ciò che proviamo giungendo al monastero di Nuestra Señora del Manzano, che sta alle porte di Castrojeriz, confondendosi col fiammeggiante colore del paesaggio. Forte è il contrasto con il sentimento di accoglienza che avevamo percepito nella cattedrale di Burgos, eppure non c’è desolazione. Il silenzio che avvolge in queste ore solatie il paese rimanda al silenzio della croce, che più di ogni parola ha attirato a sé gli uomini.

Castrojeriz è un borgo sorto ai piedi di un antico castello, ora completamente in rovina. Si trova come tanti altri paesi della zona lungo vie secondarie, già antichi tratturi, che attraversavano la meseta. Sorto in funzione del camino intorno al monastero romanico, si è sviluppato alla base del dosso cavalleresco secondo linee semicircolari e parallele tra loro.

L’imponenza delle sue chiese, oggi tutte chiuse, ne rivela l’importanza che ha avuto nei secoli passati. La sua decadenza attuale e la vitalità che ancora sprigiona in qualche suo angolo sono l’immagine dell’uomo di oggi e forse di sempre in perenne lotta con se stesso tra la voglia di arrendersi di fronte alle inquietanti domande esistenziali e la determinazione per realizzarsi secondo la propria chiamata.

     SAHAGUN

Dopo il solito pranzo veloce e leggero, ma non per questo poco appetitoso, raggiungiamo Sahagun. E’ questa un’altra città del camino. Ha vestigia romaniche ridotte in ruderi, ma anche chiese e monasteri conservati nel tempo e ancora vissuti dai monaci e dai pellegrini.

Sotto lo sguardo vigile di una cicogna, che fa la guardia al suo nido costruito in cima alla torre campanaria di un vecchio  monastero, ora centro culturale, la giriamo con calma, gustandone il risveglio dopo la siesta.

Poi ci immettiamo in autostrada e rapidamente giungiamo a Leòn, dove troviamo posto nel campeggio situato alla sua periferia in un piccolo spazio boscoso rimasto tra le distese dei campi cerealicoli.

Sistemati e rinfrescati, mentre stiamo preparando la cena, siamo richiamati da un suono bucolico, che si materializza sotto i nostri occhi. Lungo il tratturo che costeggia il camping ecco fluire un gregge belante, guidato da due sicuri cani e dal pastore. Noi, poveri cittadini, abituati a vedere gli animali sezionati in braciole e costine, cosciotti e bistecche, siamo impressionati dal numero e dalla varietà dei capi. Ci sono i teneri agnelli che faticano a tenere il passo delle madri e gli arieti dalle corna ora solo rivolte all’indietro, ora attorcigliate in autorevoli spire. Chiudono il corteo due vigili cani, che a poca distanza dal gruppo non permettono a nessun animale di sostare o di disperdersi.

    LEÒN

Giovedì 14 luglio - Leòn, la città fondata dall’imperatore Galba, è ai nostri piedi. E’  più grande di come ce la immaginavamo. In essa spicca evidente il nucleo storico addensato intorno alla cattedrale.

In marcia. La periferia dalla quale proveniamo non è molto distante dal centro. Giunti in città non troviamo la solita ampia piazza o il lungo fiume dove parcheggiare. Sistemiamo il camper rasente il marciapiede di via Gregorio Hernandez, una via poco trafficata di un quartiere residenziale.

Ci incamminiamo cercando di fare come Pollicino; cioè di memorizzare il percorso a piedi che ci separa dal centro, fissandoci alcuni punti di riferimento. Ci tranquillizza il fatto che in caso di difficoltà potremo recuperare il mezzo prendendo un taxi.

A guidarci verso il centro sono le guglie della cattedrale, che ammiccano agli incroci. Ed ecco davanti a noi il duomo si mostra con la sua maestosità. Di stile gotico - spagnolo ha un bel portale, dove al centro troneggia la Vergine circondata dai santi e dagli angeli. L’interno, sobrio e slanciato, prende luce dalle immense vetrate, che danno al tempio l’aspetto di un giardino in fiore.

Come nella cattedrale di Burgos, il coro è antistante l’altare maggiore. Da esso proviene un sommesso canto salmodiale, che crea un’atmosfera mistica e suggerisce ai visitatori di considerare ciò che si sta ammirando innanzitutto come casa di Dio. Anche noi recepiamo il messaggio e quando giungiamo nella vasta Capilla de Santiago dove è conservato il santissimo Sacramento sostiamo in preghiera e insieme recitiamo il Rosario.

Delle altre cappelle ci colpisce per la sua eccezionalità quella della speranza, che ha la statua della Madonna in cinta.

Continuiamo la visita della città fino a conoscere di persona Gaudì, uno degli architetti più originali e innovatori del ‘900, vissuto in solitudine e povertà a servizio della sua professione e il cui fine ultimo  era quello “di costruire la città di Dio nella città degli uomini”. Lo troviamo bronzeo seduto su una panchina intento a disegnare lo schizzo del  castello fiabesco che ha progettato e realizzato e che è lì davanti a lui.

Da qui fatti pochi passi siamo nella chiesa di san Marcelo, patrono della città. Non ha grandi particolarità, ma la ricordiamo perché nulla avviene per caso. Infatti, poco dopo, ecco squillare il cellulare di Paola. E’ Marcella, la sua collega di educazione artistica, che le comunica la nascita di Francesco, il suo primo bimbo, avvenuta due giorni fa. Tanta la sorpresa e la gioia.

Con la visita della chiesa di santa Maria del Camino, tempio romanico e della piazza del mercato, che le sta dietro con ancora il selciato di ciottoli e le case sorrette da colonne di legno, attraverso le tortuose viuzze dove lavorano ancora gli artigiani del cuoio e del vimini, ritorniamo sui nostri passi fino al camper.

    ASTORGA

Seguendo la nazionale 120 giungiamo nella tarda mattinata ad Astorga. Lasciato il camper nell’ampio piazzale adiacente alle mura ci affrettiamo a raggiungere la cattedrale, per poterla visitare prima della chiusura. La nostra speranza viene però subito delusa in quanto questo tempio ha orari di apertura ridotti a quattro ore giornaliere: dalle 9.00 alle 12.00 e dalle 17.00 alle 18.00. Siamo rammaricati e ci chiediamo perché almeno le chiese cattedrali non possano avere un unico orario di apertura in tutta la nazione e perché non possano rimanere aperte ininterrottamente lungo l’arco della giornata, come avviene per il nostro duomo e la nostra parrocchia.

Ci accontentiamo di osservarla dall’esterno. E’ di stile gotico, con aggiunte di altre strutture in tempi successivi. Gli archi rampanti la alleggeriscono  e la slanciano verso l’alto. Accanto ad essa spicca un “castello della Loira”. E’ anch’esso un ardito progetto di Gaudì, costruito come sede arcivescovile e oggi museo del Camino.

Sono le 14.00 quando, come gli spagnoli, pensiamo al pranzo. Dove fermarsi se non dove sono già seduti degli abitanti del luogo? Eccoci quindi accomodati in un’ombrosa vietta pedonale accanto a degli arzilli vecchietti. Dos platos combinados, dos cerveza, dos cafè: poco meno di 15.00 € in tutto !

 

 

Oggi non si conosce più la gioia e si cerca soltanto lo stordimento,

l’ebbrezza, il piacere, sterili surrogati e spesso anche velenose

contraffazioni di quanto il cuore dell’uomo desidera.

Solo nella certezza che viene dall’esperienza sorretta dalla fede, si può

attingere quella gioia che non è piena e definitiva soddisfazione, non è

felicità conchiusa, ma ne offre già un anticipo: come la strada, che non

finisce mai e, mentre conduce a una prima tappa, ne svela altre e poi

altre ancora, senza mai finire.

(Meditazione Scuot)

 

   DA ASTORGA A Ò CEBREIRO

Riprendiamo il cammino, seguendo fedelmente il camino. Ora il camper viaggia lento provando la sua agilità sulle strette vie dall’asfalto sconnesso, che legano in un’unica traccia chiese e monasteri.
Lasciamo alle spalle l’arroventata
meseta e iniziamo a salire verso i Monti di Leòn. A guidare il provetto pilota non solo il preciso atlante stradale e l’attento navigatore umano, ma anche il susseguirsi delle steli con la conchiglia, delle croci di ferro e dei cruseiro, grandi croci di pietra, attorno ai quali i veri pellegrini  lasciano delle pietre. Per strada incrociamo diversi pellegrini, ne incontriamo invece pochi nelle chiese e nei monasteri.

Alcuni di essi sfiancati dal caldo e dal peso degli zaini li vediamo sdraiati, in modo scomposto nelle zone ombreggiate dei paesi e anche dentro gli atri delle chiese; altri  consumano fiumi di birra seduti ai tavolini dei bar.

Ci chiediamo cosa sia  veramente per tutte queste persone il camino. Un percorso culturale, come è scritto  sui cartelli indicatori dell’UE? Una prova atletica? Una sfida con se stessi? Una ricerca personale? Un tempo di preghiera e di conversione? Altro ancora?

Il paesaggio cambia. Le colture lasciano spazio alla vegetazione spontanea che via via aumenta e varia con l’altitudine, fino a diventare di tipo alpino. Ci sembra di essere tornati indietro sui Pirenei.

I villaggi che si incontrano non offrono bellezze artistiche o architettoniche degne di rilievo, ma sono comunque pieni di fascino. Le piccole case costruite con la pietra locale sono allineate lungo la via principale, tracciato del camino.  Sono circondate da bassi muretti a secco, che racchiudono orti poco curati dove, però, crescono rigogliosi floridi alberi da frutto. Riconosciamo noci, peri, ciliegi.

Le piccole chiese hanno la facciata che si prolunga nel campanile a vela, da cui pendono una o due campane e sulla cui sommità è sovente presente e abitato un nido di cicogne.  Stupiti ammiriamo ogni volta la bellezza del creato e da essa risaliamo alla Bellezza, che tutto dona a tutti.

La Cruz de Hierro, eretta a 1500 m di altitudine, dove si valica i Monti di Leòn, è la croce di ferro più famosa. Le pietre che sono accumulate ai suoi piedi sono tantissime. Sembra di essere sul Golgota. Leggiamo che le pietre rappresentano il peso della vita che, lasciato ai piedi di Cristo, acquista nuovo significato diventando strumento di salvezza. Non depositiamo fisicamente la nostra pietra, perché forse non siamo veri pellegrini, lasciamo invece la nostra fatica interiore e le nostre preoccupazioni innalzandogli una muta preghiera.

    Ò CEBREIRO

Ò Cebreiro è un piccolo borgo preromanico  sorto a 1300 m su un valico della Cordigliera Cantabrica, superata la quale si scende verso Santiago de Compostela.
Siamo ormai in Galizia. Uno dei segni distintivi di questa zona di montagna sono le palonzas, case dalla pianta circolare col tetto di paglia e il camino centrale.
Posteggiamo il camper ai bordi della strada e ci dirigiamo subito verso la chiesa per conoscere l’orario della messa: è alle 20.00. Abbiamo giusto il tempo di osservare il panorama dei due versanti e di lanciare uno sguardo al negozietto dove in seguito compriamo la T short. Entriamo in chiesa. E’ dedicata a Santa Maria la Real. Rapidamente si riempie al suono della campana. La messa è concelebrata da quattro sacerdoti spagnoli. Il celebrante all’omelia illustra la vita di san Camillo de Lellis, fondatore dell’ordine dei Camilliani e lega la vocazione del santo al brano di vangelo. Quindi esorta i presenti a non lasciare che la fatica del pellegrinaggio sia fine a se stessa; auspica che diventi la spinta iniziale per perdere la propria vita per Cristo nella carità fraterna.

La messa termina con la preghiera del pellegrino recitata in diverse lingue, ma non in ungherese, come avrebbe desiderato una ragazza, per la mancanza della traduzione.

Dopo aver acquistato da un contadino del luogo delle prugne mature e delle squisite ciliegie,  ceniamo sul camper con l’ora della Spagna, mentre il sole tramonta dietro le quinte boscose della Cordigliera.

    ALLE SOGLIE DEL PARADISO

Venerdì 15 luglio - Trascorsa la notte nel silenzio più assoluto, iniziamo la giornata alle soglie del paradiso. Infatti sopra di noi c’è il cielo azzurro del primo mattino, che ci invita ad alzare lo sguardo e la lode; sotto, a ricoprire il fondo valle, un grigiastro strato di nubi, che ci ricorda la nostra umana precarietà.

Prima di partire ci rechiamo in chiesa. Con le porte spalancate è aperta verso il mistero. Ci accoglie con un’immagine stupenda. Tre raggi luminosi penetrano dalle piccole finestre poste dietro l’altare maggiore. Essi attirano l’attenzione verso il grande Crocifisso, che qui è particolarmente venerato. Infatti nel XV secolo in un rigido e nevoso mattino un contadino, dopo un faticoso cammino, arrivò tardi alla messa feriale e se ne rammaricò in cuor suo. Il sacerdote vedendolo entrare infreddolito e stremato sorrise e si chiese se tale fatica fosse stata proprio necessaria. Al momento della consacrazione il pane divenne concretamente carne e il vino vero sangue. Ancora oggi sopra il tabernacolo vengono conservate ed esposte in un reliquiario la teca e il calice di quel miracolo.

Dopo un momento di adorazione personale, recitiamo il Rosario.

    SAMOS

La strada verso Santiago taglia il versante a mezza costa e con qualche tornante scende rapidamente di quota. Superiamo alcuni pellegrini in cammino. Percorsi pochi chilometri ci fermiamo a Samos, dove c’è un monastero benedettino ancora oggi abitato dai monaci. Il frate che ci accoglie ci aggrega ad un gruppo che ha appena iniziato la visita guidata del monastero. Esso è formato da quattro turisti che parlano una lingua slava e da una decina di spagnoli. La guida si esprime lentamente ed utilizza un linguaggio semplice, che riusciamo a comprendere bene.

Introduce la visita raccontando brevemente la storia del monastero. Sorto nel 665, fu distrutto e abbandonato durante l’invasione araba. In seguito fu riaperto e ristrutturato. Nell’anno 960 fu affidato ai benedettini, che ancora oggi lo abitano. Subì poi verso la metà del 1500 e nel 1951 due gravi incendi, ma fu sempre ricostruito.


La visita inizia dal chiostro antico di stile gotico e prosegue nel chiostro interno di stile neoclassico, il più grande chiostro esistente in Europa. Da esso alzando lo sguardo si può osservare l’architettura romanica della chiesa, con la cupola ottagonale, che all’interno è però semisferica e il cupolino di pietra massiccia.
Salendo una scala raggiungiamo il deambulatorio, che corrisponde al porticato del chiostro neoclassico sottostante. Le  pareti, lungo le quali si aprono diverse stanze, sono affrescate. Questi dipinti sono stati eseguiti nei primi anni ’60. Essi rappresentano i momenti importanti della vita di san Benedetto e della storia della congregazione, compresa la nascita del ramo femminile iniziato con santa Scolastica.

Quindi attraverso la sacrestia entriamo nella basilica. E’ dedicata a san Julian, patrono del borgo. Uscendo ammiriamo la facciata. Il portone di ingresso lo si raggiunge mediante una doppia scala.

Visitiamo poi la cappella di san Salvador del X secolo, che ha accanto un cipresso millenario, ormai un po’ acciaccato.

    DA SANTOS A SANTIAGO DE COMPOSTELA

Percorrendo la nazionale che conduce a Santiago ci addentriamo nel cuore della verde Galizia. La regione, posta all’estremo nord occidentale della penisola Iberica, gode del clima oceanico. Il vento marino la penetra accumulando l’umidità  poi, con il passare delle ore, frantuma le nubi e spinge i cirri verso l’interno.

Giungiamo a Santiago de Compostela a metà pomeriggio. Il camping è situato alla sua periferia sul Monte do Gozo, dalla cui sommità si vede il nucleo urbano contraddistinto dal famoso profilo della sua cattedrale. Siccome ci sentiamo comunque pellegrini, sull’esempio delle statue bronzee, che si ergono sulla cima del monte, scrutiamo la nostra meta di domani con gli occhi che  sono necessari al nostro racconto.

Alla reception troviamo un ragazzo, che soprannominiamo “el merendero”, come l’addormentato messicano di un carosello della nostra infanzia. Occhio spento, mosse da bradipo, impiega più di 10’ per svolgere la pratica di registrazione necessaria per alloggiare.

Il camping è una grande struttura che è stata  allestita  in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù. Oggi è praticamente disabitato. E’ pulito, ma un po’ lasciato andare. Questa sera ospita oltre a noi tre tende e due roulottes di olandesi.

Trascorriamo il tempo rimanente dedicandoci al riordino delle cose personali e al riposo.

 

 

SANTIAGO DE COMPOSTELA

 

Sabato 16 luglio - Oggi come ventotto anni fa è sabato. Come allora abbiamo celebrato il nostro matrimonio in un santuario, così oggi rinnoviamo in un altro santuario la nostra promessa di amore fedele e totale.
Auguri, auguri a noi!
Il giorno si presenta fresco e sereno. Col camper raggiungiamo la città. Posteggiamo all’auditorium, dal quale raggiungiamo a piedi il centro. Osservando i tanti pellegrini e la varietà delle loro fogge e dei loro atteggiamenti e avendo letto dei resoconti di pellegrinaggi effettuati anni fa, ci diciamo che c’è stata una Santiago ante Giornata mondiale della Gioventù e c’è una Santiago post visita del Papa Giovanni Paolo II.

Questa nostra sensazione è forse la stessa che  prova  il vicario episcopale di Siviglia, che presiede la concelebrazione eucaristica. Infatti osservando gli  atteggiamenti dei fedeli presenti alla messa, apre l’omelia dicendo che la virtù del vero pellegrino è la conversione. Conversione della propria vita personale, della sua vita nella famiglia, della sua vita nel lavoro e conclude dicendo che questa impresa, che sembra impossibile, è attuabile grazie all’Amore resosi per tutti e per sempre pane spezzato.

Ci avviciniamo alla Plaza Obradoiro accolti dalle note armoniose di una musica celtica. Provengono dalla zampogna suonata da una ragazza e sono amplificate dalla volta del portico laterale della cattedrale. In piazza sono presenti tante persone. Ci sono pellegrini che appena giunti si dirigono subito verso il tempio, ce ne sono altri che scaricano gli zaini e si lasciano cadere a terra. Alcuni scendono dai bus turistici e altri come noi vi giungono a piedi senza avere camminato il camino, o in bicicletta.

Un tenue miagolio ci distoglie per un attimo dall’ammirare l’imponenza della facciata del santuario. Quattro ragazze sedute in mezzo alla piazza hanno in mano quattro batuffoli di pelo lunghi una spanna. Paola ne prende uno a caso e Giuseppe gli dona il brivido della notorietà internazionale.

La cattedrale domina la piazza con la sua mole monumentale, ma non la soffoca, perché la scalinata a doppia rampa, come quella del monastero di Samos, le due torri, le colonne e i pinnacoli, la alleggeriscono e la slanciano.

Vi entriamo insieme a frotte di turisti – pellegrini e ci troviamo di fronte al Portico della Gloria, costituito da tre portali romanici dove troneggia, come divisorio del portale centrale, la statua di san Giacomo appoggiato al bastone del pellegrino.

Come tutti ci incolonniamo e giunti davanti al santo ci inchiniamo tre volte secondo la tradizione.

E’ un momento neutro. Ripetiamo i gesti di tutti senza dare loro grande significato, incalzati come siamo da chi ci segue e indagati dagli sguardi  di chi in coda aspetta  il suo turno.

Poi visitiamo il tempio. Rispetto alle cattedrali di Burgos e di Leòn questo santuario è meno sfarzoso. Tuttavia sorprende sempre la ricchezza degli altari. Anche in questa cattedrale l’altare maggiore è una struttura lignea tutta dorata che riempie completamente l’abside. Al centro, a diversa altezza, ci sono due statue di san Giacomo. La prima è rivestita di paramenti preziosi, la seconda lo raffigura a cavallo in osservanza alla leggenda.

Giacomo, fratello maggiore dell’evangelista Giovanni, è uno dei dodici apostoli di cui si conosce meglio la vita. Egli, dopo la partenza di Pietro per Roma, guidò la Chiesa di Gerusalemme. Poi portò il Vangelo in Spagna; quindi tornato a Gerusalemme subì il martirio per decapitazione. Due suoi discepoli riportarono il suo corpo in Spagna e lo seppellirono.

Si narra che al tempo delle guerre contro i mori un eremita vide brillare in un campo delle stelle. Scavando trovò la tomba di Jago, Giacomo. Il luogo fu chiamato san Giacomo campus stellae, da cui Santiago de Compostela. La leggenda narra anche che durante una battaglia i cristiani stavano per essere sopraffatti dai mori, quando san Giacomo su un cavallo bianco diede vigore ai cristiani combattendo al loro fianco. Da qui l’appellativo di matamori dato all’apostolo.

Prendiamo posto nella navata centrale per assistere alla messa del pellegrino. L’ora di attesa che ci separa dalla funzione inizia con un’intensa commozione. Insieme recitiamo il Rosario. Oggi lo dedichiamo a noi e alla nostra famiglia.

La messa è concelebrata da dodici sacerdoti ed è animata da un gruppo di Siviglia. Inizia alle ore 12.00 …secondo lo stile di san Nicolao, la nostra parrocchia. Prima del congedo viene celebrato il rito del bota fumeiro. Viene fissato ad una carrucola un gigantesco turibolo incensatore, che poi viene fatto oscillare sopra il transetto da cinque addetti con delle forti tirate di fune. Il profumo aromatico dell’incenso si spande rapidamente.

Al termine della funzione concludiamo la visita del santuario passando accanto alla statua di san Giacomo posta sull’altare maggiore e sostando in preghiera nella cripta, dove in una cassa d’argento sono contenute le spoglie dell’apostolo.

Come tradizione concludiamo la nostra festa concedendoci il pranzo al ristorante. Giriamo per le viuzze e ci fermiamo alla Meson Caseiro & carpe diem. Scegliamo piatti galiziani.

Per Giuseppe pulpo alla gallega e calamari fritti; per Paola carciofi con prosciutto e formaggio galiziano. Concludiamo con la torta di Santiago. Il tutto lo accompagniamo con un fresco vino bianco locale. Poi l’immancabile caffè, che qui in Spagna è bevibile.

Prima di rientrare in campeggio in un grande centro commerciale della città ricostituiamo le nostre scorte di viveri. Il costo della vita in Spagna è inferiore rispetto all’Italia di circa il 10%.

    CABO DE CORRUBEDO

Domenica 17 luglio - Anche oggi ci alziamo al suono della sveglia. Il giorno si presenta bigio. Le nuvole basse che avvolgono il campeggio girano intorno ai bungalows di legno scuro e creano un’atmosfera alpina. L’aria è fresca come nelle mattine precedenti, ma l’umidità acuisce il senso di freddo. Ci vestiamo a strati. Lasciato il camping scendiamo in città dove partecipiamo nella cattedrale alla messa domenicale delle ore 10.00.

Il Vangelo riporta la parabola della zizzania. Troviamo interessante e nuova la riflessione del sacerdote. Dice che la parabola insegna la pazienza. Avere pazienza significa avere fiducia nel progetto di Dio, che porterà comunque il bene a trionfare sul male.

Riprendiamo il camper per recarci a Cabo Finisterre, il lembo più occidentale dell’Europa. Decidiamo di raggiungerlo seguendo la costa, perciò da Santiago arriviamo a Padron, poi percorriamo i promontori e i rias, cioè i profondi golfi erosi e modellati dalle maree atlantiche.
Il paesaggio non è però dei più esaltanti, perchè la giornata grigia smorza i colori e appiattisce il panorama. A ciò si aggiunge la disordinata cementificazione in atto con la costruzione di seconde case, architettonicamente insignificanti e scarsamente curate nei particolari al punto che risultano intonacate solo le facciate, mentre le altre pareti sono lasciate con il povero materiale da costruzione a vista o, peggio ancora, sono rivestite con il cancerogeno eternit.

All’ora di pranzo sostiamo a Cabo de Corrubedo, dove delle dune sabbiose alte circa 20 m e lunghe poco più di un chilometro, separano la spiaggia dall’entroterra. Un tracciato obbligato le percorre per proteggere l’habitat delle poche pianticelle che riescono a trarre nutrimento da questo suolo arido e salmastro. Ci inteneriscono dei candidi gigli in piena fioritura, che rendono ospitale questo deserto.

Le superiamo e  percorriamo la loro lunghezza camminando sulla battigia, dove raccogliamo la conchiglia tipica del pellegrino, una per ogni amico che riceverà il nostro calendario. Sono piccole, ma originali della zona e pur sempre un segno del nostro ricordo!

 

    CABO FINISTERRE

Ed eccoci all’estremo confine della terra raggiunto dall’apostolo, qui venerato.La porta delle perturbazioni atlantiche ci dà il benvenuto offrendoci un’aria umidissima che nel giro di mezz’ora diventa una pioggerellina sottile dentro cui la luce passa riflettendo l’arcobaleno.

Lasciamo il camper su un’area sterrata poco sopra la strada. Dall’alto dominiamo a sinistra un ampio golfo e a destra l’oceano aperto. Qui trascorreremo la notte.

Prima di preparare la cena ci rechiamo al faro sul cui lato, che si protende verso l’oceano, sporgono due grosse sirene, segnali sonori usati quando c’è nebbia. Sotto il faro, su una delle ultime rocce a precipizio sull’oceano c’è una grossa croce di pietra. Ai suoi piedi  sono accumulati le già citate pietre e molti altri cimeli dei pellegrini, come i bastoni e persino un calzettone e uno scarpone.

Anche qui la poesia ci attende: un ragazzo in costume rivolto verso l’oceano sta suonando la zampogna. Poi, dopo che il nostro sguardo si è tuffato nell’infinito per coglierne il mistero, torniamo indietro e, camminando in silenzio mano nella mano, scopriamo che l’infinito è dentro di noi, piccole creature. “Grandi cose ha fatto il Signore per noi!”

Dopo cena il luogo ci riserva un’inaspettata sorpresa: il tramonto del sole nell’Atlantico. Ci rechiamo nuovamente al faro per cogliere ogni attimo di questo fenomeno sempre uguale, ma sempre spettacolare. Cala la sera. Mentre nel cielo la luna gioca a capolino con le nubi rimaste e il faro guida chi sta navigando, dai prati ormai neri si alza il canto delle vite nascoste.

IL RITORNO

 MUXIA

Lunedì 18 luglio - Nella notte uno scroscio di pioggia libera l’aria dell’umidità residua. Ci alziamo che sono già le 9.00 e il sole splende. Pochi passi e siamo ancora al faro per un’ultima fotografia e uno sguardo verso ciò che un tempo era l’ignoto. Ripreso il camper ci mettiamo in viaggio. Oggi inizia il lento, ma inesorabile ritorno. Ripercorso a ritroso il tratto di strada che porta al fondo del rias, ci dirigiamo verso nord seguendo la costa lungo la strada, che sull’atlante è segnata in verde, che significa panoramica.

Essa si snoda alta sulla costa intagliata dai profondi rias. Ne segue a tratti il profilo per poi addentrarsi. Dove l’ambiente è più umido si nasconde negli scuri e silenziosi boschi di pini abbracciati tra loro dall’intricato sottobosco di eriche e felci e dove l’ambiente è più secco si distende tra i fruscianti e selvaggi eucalipti, la cui corteccia  sfilacciata riempie gli spazi tra i sottili, diritti e altissimi tronchi che portano su l’esiguo fogliame affamato di luce.

I paesi sono rari. Quelli all’interno sembrano abbandonati, colpisce però di essi una struttura edilizia tipica della regione: gli horreos. Hanno una forma di parallelepipedo lungo e stretto, che poggia su quattro colonne alte circa due metri. I più antichi sono di pietra, i più recenti di mattoni. Tutti hanno le pareti più lunghe fatte a grata. Sono dei silos per la conservazione del mais. Le loro coperture sono curate con fregi celtici.

I paesi costieri sono più vivi . La loro architettura non è però quella tipica dei borghi marinari. Le casupole di una volta non ci sono più e sono state sostituite da palazzotti edificati in fretta con scarso impegno creativo.

Sostiamo a Muxia. Lasciamo il camper in un ampio parcheggio e ci dirigiamo verso il santuario di Nuestra Señora de la barca. E’ una chiesa del XII secolo dall’aspetto imponente eretta sugli scogli e aperta verso l’Atlantico per dare ai pescatori la sicurezza della benedizione.

A Maria affidiamo la seconda parte del nostro viaggio, che da oggi diventa vacanza ricreativa.

Lì accanto in uno spazio sassoso che guarda sulla scogliera in un piccolo chiosco di legno due signore lavorano al tombolo e vendono i centrini, le saccocce, i sacchettini e i ventagli che producono. Torniamo al camper e raggiungiamo questo luogo. Qui pranziamo. Davanti a noi gli scogli dorati, il faro e l’oceano blu solcato dai motopescherecci che rientrano al porto. Poi Giuseppe scende tra gli scogli per fissare qualche inquadratura ancora più suggestiva, ma raccoglie anche qualcosa di gustoso. Attaccate alle rocce, ora scoperte dalla bassa marea, ci sono un’infinità di lumache di mare. Prende la giusta quantità per cucinare questa sera un appetitoso sugo. Quindi prima di partire regala a Paola un ventaglio col bordo di pizzo al tombolo.

 

CABO VILÀN

Ripresa la strada panoramica ci dirigiamo verso Cabo Vilàn. Esso sta di fronte a Muxia, dall’altra parte del rias. Scendendo lungo la costa fino a Ponte do Porto, sorto dove il fiume Rio Porto si getta nell’oceano, cogliamo la grande profondità e l’altezza di questa insenatura. Facciamo un’altra breve sosta a Camarinas. E’ un porto peschereccio che ha appena festeggiato qualche ricorrenza. Le sue barche sono addobbate con bandiere multicolori e rami frondosi.

Stiamo per riprendere il mezzo quando sulla banchina del porto giungono due autobus di linea. Ciò che ci stupisce è che si chiamano Arriva  e sono identici, come nome e come foggia, a quelli che lo scorso anno abbiamo incontrato nel nord dell’Olanda.

A Cabo Vilàn lasciamo il camper nei pressi del parco eolico lungo la strada che porta al faro che raggiungiamo a piedi seguendo il tracciato disegnato sul promontorio tra le eriche in fiore.

Il faro domina il mare. E’stato costruito nel 1854 ed in seguito è stato rimodernato. Vanta il primato di essere stato il primo faro ad utilizzare la luce elettrica. Era l’anno 1896.

Di forma ottagonale è alto 25 m. Si accede alla sua sommità salendo una scala di 250 gradini. Ovviamente non è visitabile, perché è operativo. Il caseggiato, che ospita la casa del guardiano e gli uffici, ha le finestre del piano terra aperte. Incuriositi diamo una sbirciata.

 

CAMELLE

Ancora in marcia per un piccolo e ultimo spostamento verso nord. Da Camelle la strada sarà sempre in direzione est, fino a Milano.

Raggiungiamo il paese atlantico tagliando il promontorio di Cabo Vilàn. In basso l’oceano spumeggia aggredendo la costa che, dove è di roccia friabile si lascia scavare. Qua e là sulla superficie dell’acqua chiazze oleose e nerastre rivelano la sua malattia riportandoci alla mente il grave disastro ecologico avvenuto in questa zona qualche anno fa, quello della petroliera Prestige  che si incagliò sugli scogli e si spezzò scaricando nell’oceano il suo prezioso quanto inquinante carico.

Posteggiamo il camper lungo il molo, che poi percorriamo. Ci sorprende una serie di curiose sculture, alcune sono fatte con materiale di recupero, altre con le rocce degli scogli. Queste opere, come la casa diroccata, appartengono al Museo Alemano. Pochi anni fa si è spento in quella casupola un artista tedesco, che aveva scelto come sua dimora questo tratto della scogliera galiziana e l’aveva ornata con i frutti della sua creatività. Alla sua morte i suoi ospiti ne hanno onorato la memoria elevando il luogo al rango di museo.

 

MALPICA

E’ ormai pomeriggio inoltrato. Cerchiamo campeggio per la notte a Malpica, come segnato sull’atlante. Il camping Sisargas lo troviamo alle porte del paese lungo la strada che conduce a Carballo. E’ immerso in una pineta. E’ piccolo, a conduzione familiare, dotato di bei servizi. Ci viene assegnata una comoda piazzola.

 

L’URLO

Martedì 19 luglio - Camping di dormiglioni! I primi movimenti si sentono che sono passate le 9.00. Sono la nostra sveglia. Oggi lasciamo la Galizia e la sua Costa du morte per le Asturie. Non continuiamo a percorrere la costa. Superata A Coruña procediamo verso l’interno in direzione Lugo, per poi ritornare sulla costa a Ribadeo. Il tragitto non è noioso anche se il paesaggio non varia significativamente. La regione delle Asturie è in gran parte ricoperta da un manto forestale misto, con una certa prevalenza di essenze resinose. Le aree disboscate sono coltivate  o adibite a pascolo. Sta crescendo il mais; vi si allevano vacche da latte, le produttive pezzate olandesi.

I paesi mantengono la struttura urbanistica disordinata e le case anche qui sono poco curate. Si ha la sensazione che manchi ad ogni livello il senso del decoro urbano. Via via che ci si avvicina alla costa si nota il fenomeno dell’abbandono  delle campagne. Molti borghi hanno case cadenti e abbandonate. L’ultimo tratto di strada è tortuoso e segue le anse del Rio Eo, che sfocia in un profondo rias, che scavalchiamo percorrendo il ponte della statale costiera. Ci fermiamo ad osservare dall’alto l’Atlantico. Oggi sentiamo il suo urlo. Con forza si scaglia contro le rocce che sembrano intaccabili e invece gemono e sfrigolano ad ogni flagello. Questo promontorio ci ricorda la Bretagna, terra che ci piace particolarmente per la sua arcigna dolcezza.

Proseguiamo lungo la costa alla ricerca di un campeggio. Sull’atlante accanto al nome di molti paesi c’è il simbolo. Seguiamo la prima indicazione; percorsi 3 km, troviamo il camping Playa Penarronda. E’ situato in un’insenatura della Costa delle Cattedrali, così chiamata per gli imponenti scogli scuri, traforati e modellati a colonne e pinnacoli, a guisa dei duomi delle città iberiche. E’ piuttosto pieno, ma ben organizzato. Ci viene assegnata un’ampia piazzola. Andiamo subito in spiaggia. Soffia un vento impetuoso che agita l’oceano. Onde alte e spumeggianti avanzano, proibiscono la balneazione, ma sono fondamentali per i surfisti che, coperti da aderenti mute e muniti di tavole, le sfidano cercando precari equilibri. Camminiamo scalzi sul bagno – asciuga lasciandoci lambire dall’ultimo allungo dei flutti.

 

LE ASTURIE

Mercoledì 20 luglio - Viaggiare è entusiasmante e non ci si rende conto della stanchezza che si accumula. Oggi ci svegliamo alle 9.30. Il sole splende nel cielo completamente sereno e reso terso dal vento che soffia teso dall’oceano. E’ la giornata giusta per fermarci e poltrire e invece, attratti con forza dal nuovo, ci mettiamo in viaggio. E’ una giornata di trasferimento attraverso le Asturie verso Bilbao.

Percorriamo la nazionale costiera che confluisce nell’autostrada. Entrambe corrono alte rispetto alla costa e sono panoramiche. Osservando il paesaggio alla nostra destra sembra di essere in una zona pedemontana alpina. Boschi e pinete sui crinali, pascoli e mucche nelle radure. Aree coltivate nelle zone meno pendenti. Alla nostra sinistra invece i promontori e le valli aperte sull’Atlantico ricordano il paesaggio della Liguria, seppure ci sia maggiore vegetazione.

Anche lungo questa nazionale troviamo nei paesi una segnaletica che, a nostro parere, è efficace, ma  applicabile solo se il traffico è scarso. Posto un certo limite di velocità che secondo le località varia da 40 a 60 km/h, per farlo rispettare è posto all’inizio del paese un semaforo lampeggiante arancione munito di un sensore che  fa diventare rosso il semaforo successivo nel caso in cui si superi il limite stabilito.

Transitiamo poi per l’area industriale di Santander. Ciminiere e fumi ammorbano il paesaggio e l’aria. Osservando dall’esterno le strutture industriali ci sembra di intuire che la competitività spagnola si giochi anche con la scarsa attenzione per l’ambiente. Sostiamo per la notte a Islades nel camping Playa de arenillas. Si trova dietro l’ultima propaggine della scogliera, che chiude il rias. E’ molto grande e piuttosto popolato. Vi troviamo anche molti stranieri. Per essere certi di una precoce tranquillità serale ci mettiamo vicino a degli inglesi e degli olandesi. Dopo cena andiamo in spiaggia. Il porticciolo è ancora a secco, ma sta salendo la marea. Nell’oceano in attesa dell’onda propizia tantissimi surfisti e anche due canoe.

 

GUGGENHEIM

Giovedì 21 luglio - Ci alziamo secondo il programma stabilito per la giornata, che prevede come prima tappa Bilbao, Bilbo per i baschi, dove intendiamo visitare il celeberrimo Guggenheim.

Raggiungiamo velocemente la città che si presenta per quello che è: un agglomerato industriale in grande espansione, con la periferia commerciale occupata dagli enormi magazzini dei soliti marchi internazionali e dai quartieri popolari edificati a casermoni addensati gli uni agli altri, assediati dai rumori e dallo smog.

Ci sembra di vedere le nostre Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo degli anni ’60.

L’ingresso in città non è semplice. Essa, sorta nell’ansa del rio Nervion, si è espansa sui ripidi versanti del rias. La città è formata da piani sovrapposti. La circolazione è obbligata  lungo specifiche direzioni, le indicazioni sono scarse e tutte scritte in basco, il traffico è caotico. Impieghiamo un’ora per raggiungere l’agognato Guggenheim. Qui un colpo di fortuna. Dato che l’area è un grande cantiere e in più oggi stanno smontando le protezioni e gli spalti allestiti per una gara automobilistica, ci sono pochissimi posti destinati al parcheggio, però  uno ci sta aspettando.

Il Guggenheim rifulge in tutto il suo splendore al sole del mattino. Creato con un’estrosa idea dell’architetto Frank O. Gehry, sembra una nave in procinto di salpare. E’ stato possibile realizzare la sua struttura in titanio, pietra e vetro grazie all’elaborazione elettronica dell’ingegnoso progetto. Il Guggenheim è il museo di arte moderna della città. Esso ospita collezioni permanenti e mostre.

Entriamo e ordinatamente ci mettiamo in coda per poterlo visitare. 12 € a testa non sono pochi! …è però compresa anche l’audio guida  in italiano. L’aspettativa è elevata. Ci attendiamo qualcosa di simile al Boubourg di Parigi. Alla fine ci sentiamo un po’ defraudati. E’ vero che non siamo grandi conoscitori dell’arte moderna, ma riteniamo che questo museo sia piuttosto misero di contenuti.

La collezione permanente riguarda l’informalismo e l’espressionismo  astratto.  Non ci dice molto. Di essa ci  piace un’opera dell’italiano Burri. E’ un quadro fatto di teli di iuta, ricavati da sacchi usati. C’è una macchia di colore giallo oro nell’angolo in alto a destra, che dà luce alla composizione, altrimenti tetra. Secondo Sgarbi quest’opera è originale e innovativa, perchè ribalta completamente la concezione dell’arte espressa fino a quel tempo. Burri non ha rappresentato la realtà che lo circondava, ma ha trasformato la quotidianità della sua stessa vita  in arte.

L’autore ha realizzato il quadro durante la sua prigionia, negli anni ’40. Liberato dagli americani nel ’46, egli non ha più ripreso la sua attività di medico e ha continuato a dedicarsi all’arte. Di lui  apprezziamo la risposta che ha dato a coloro che cercavano di investire le sue opere di una connotazione politica. Egli ha dichiarato che la sua arte è puro astrattismo, frutto delle sue intuizioni, delle sue sensazioni e delle sue suggestioni.

Con questo spirito, libero da interpretazioni preconcette, continuiamo la visita della collezione, lasciandoci trasportare dalle emozioni che di volta in volta l’osservazione delle opere  suscita in noi.

Le mostre presenti in questi giorni sono sugli Atzechi e  sulla lavorazione dell’acciaio da parte di Richard Serra.

Le statue e i preziosi monili di raffinata fattura rivelano ed esaltano l’elevato grado di civiltà raggiunto da quell’antico popolo. Visitare questa mostra in Spagna, a nostro parere,  stride con la realtà storica. Infatti gli Atzechi, come tutte le civiltà incontrate dai colonizzatori, sono stati considerati arretrati e incivili. Sono stati depredati delle loro ricchezze e contaminati culturalmente e biologicamente fino all’estinzione. La mostra sull’acciaio non ci racconta nulla di più di ciò che già conosciamo.

 

MUTRIKU

Conclusa la visita e usciti senza problemi da Bilbao, le indicazioni per le autostrade sono chiare, ci dirigiamo verso la costa. Ne seguiamo il profilo lungo una stradina tortuosa e molto panoramica, purtroppo però senza possibilità di sosta. E’ questo un difetto di tutta la rete stradale del nord della Spagna, comprese le autostrade, dove manca la corsia di emergenza e sono scarsissime le aree di rifornimento.

Ci fermiamo a Mutriku. Il paese si trova nella piana di una cala. Anche questo borgo, come quelli già incontrati, se si esclude la chiesa, è tutto moderno. Il camping Aritzeta è posto in alto sul promontorio che domina la cala e il paese. Ha una bella posizione panoramica ed è una azienda agricola che si è trasformata in struttura ricettiva turistica. Alla signora che ci accoglie ci rivolgiamo col poco spagnolo che conosciamo, sufficiente però per farci comprendere. Vista la nostra nazionalità, ricambia inserendo nella frase di risposta una parola di italiano.

 

LA REGIONE BASCA

Venerdì 22 luglio - Di nuovo svegli, di nuovo tempo oceanico. Aria fresca e cielo imbronciato, che nel giro di poche ore si rasserena. Percorriamo ancora la panoramica strada costiera in direzione San Sebastian. Il paesaggio è incantevole. L’alta costa sporge con promontori a picco provocando l’oceano in una continua sfida di resistenza e attacco. I seni e la cale subiscono i flussi di marea docilmente, lasciando depositare e drenare la sabbia e le alghe e i molluschi violentemente strappati all’acqua.

Peccato che lungo la strada non ci siano piazzole di sosta, potremmo documentare ciò di cui godiamo!

Raggiunto San Sebastian entriamo in autostrada e seguendo questa arteria raggiungiamo la Francia. Ci sembra giusto rendere noto che in Spagna non tutte le autostrade sono a pagamento, quelle che lo sono, sono care. Col camper un tratto di 10 km ci è costato 4.50 €.

Ecco la Francia.

Dopo tanta enfasi sull’Europa ci troviamo nuovamente in quella delle singole nazioni. Infatti la Francia avendo sospeso gli accordi di Schengen, ha chiuso le frontiere, ponendo un freno alla libera circolazione dei cittadini. Fa un certo effetto rimetterci in coda e dover  preparare  la carta d’identità per il controllo. Poi con un cenno di mano, dopo aver guardato la targa del camper, passiamo senza ulteriori problemi.

Ci domandiamo: se la reintroduzione delle frontiere serve a controllare i movimenti, perché non si controllano tutti quelli che transitano? Se, come di solito avviene, vengono fermati solo i veicoli e le persone sospette, allora non basterebbero dei posti di blocco mirati?

Entrati in Francia desideriamo conoscere qualcosa della sua regione basca per vedere se anche qui, come in Spagna, è forte il sentimento indipendentista.

Usciti dall’autostrada puntiamo quindi verso l’interno. Il paesaggio è simile a quello spagnolo sotto il profilo naturalistico, ma molto differente nell’aspetto antropico. Infatti le stondate montagne sono anche qui ampiamente coperte di boschi o diligentemente coltivate, ma i paesi sono ordinati con curate casette bianche e belle fattorie. Questa zona ci ricorda la Baviera. Troviamo però anche qui quel sentimento che marcatamente si respirava in Spagna. Oltre alla toponomastica rigorosamente bilingue, qua e là sulle finestre delle case è esposta la bandiera basca e su qualche muro ci sono scritte che non capiamo, ma sembrano proprio degli slogan.

 

SAN JEAN PIED DE PORT

San Jean Pied de Port è un piccolo paese dove confluiscono tre cammini francesi, che poi proseguono verso il passo di Roncisvalle.

Posteggiamo il camper nell’apposita area e, dopo aver pranzato, ci rechiamo a visitare il paese. Esso ha ancora il borgo antico ben conservato. Le sue stradine sono un unico emporio. Si vendono i prodotti dell’artigianato locale: biancheria di lino ricamata, indumenti di lana, oggetti di pietra e prodotti alimentari, come i formaggi pirenaici. La merce è bella. Ci lasciamo tentare da qualche acquisto  per noi e per i nostri amici di lunga data.

L’emozione più grande la suscita però la visita della chiesa intitolata a saint Jacob, san Giacomo. Seduti in preghiera sotto la volta a crociera con davanti le belle vetrate raffiguranti i santi Pietro e Paolo e gli altri apostoli, avvolti dal sommesso canto dei salmi, riviviamo i nostri momenti di deserto, i nostri aneliti personali, i  momenti di condivisione e di comunione. Oggi in questa piccola chiesa dove alcuni, zaino in spalla, iniziano il cammino, comprendiamo il dono di grazia che abbiamo ricevuto.

 

DAL LITORALE OCEANICO AI PIRENEI

Nel pomeriggio raggiungiamo di nuovo la costa. E’ nostro desiderio fermarci qualche giorno al mare e tale rimane, perché nei diversi campeggi interpellati e nelle aree camper non ci sono posti disponibili.

La fortuna di avere il camper è però questa: si può all’istante decidere di cambiare completamente  la meta e l’itinerario.

Ritorniamo indietro verso i Pirenei. Ci fermiamo per la notte al camping La truite, situato lungo la strada che porta a San JeanPied de Port.

E’ un tipico campeggio francese: essenziale, ma con tutti i servizi in condizioni ottimali. Prezzo 10.00 €!

 I PIRENEI

Sabato 23 luglio - Meglio il mare o la montagna? Noi non abbiamo esitazioni: la montagna, la montagna!

… Forse è per questo che ieri il mare ci ha rifiutato!

Oggi breve spostamento, ci dirigiamo ad Agos Vilados, un paese formato dalle due frazioni che gli danno il nome. Si trova a circa 500 m di altitudine sopra Lourdes. Qui decidiamo di sostare per il week end. Seguendo le nazionali lasciamo l’inquietante regione basca per quella pirenaica. Questa zona pur essendo collocata piuttosto a sud offre un clima fresco in quanto è interessata dai venti oceanici e dalle relative perturbazioni che essi sospingono. Nell’arco della giornata si alternano momenti di cielo sereno e di caldo estivo ad altri di rannuvolamenti che portano refrigerio, poi dal calare del sole c’è un progressivo raffreddamento che permette sonni riposanti e sortisce risvegli frizzanti e sprizzanti di vitalità.2

I Pirenei sono una serie di quinte parallele le une alle altre, sempre più elevate e aspre. I paesi piccoli con case in pietra si integrano perfettamente nel paesaggio. Visti da lontano sembrano una delle tante rupi che interrompono i versanti boscosi. Visti da vicino, lindi e curati nell’arredo urbano e nei giardini privati, accolgono i visitatori donando armonia e pace.

Ogni paese poi è rallegrato dai molteplici e diversi cinguettii della numerosa avifauna  e custodito da una coppia di rapaci che vigilano tutto il giorno sulle colture proteggendole dagli avidi roditori.

 

 AGOS VIDALOS

Ci fermiamo ad Agos Vidalos, al camping Soleil du Ribeste. Ad accoglierci in modo veramente cordiale un giovane uomo che quindici anni fa avevamo conosciuto ragazzo qui, nello stesso camping, allora gestito dai suoi genitori, che oggi collaborano con lui lavorando nel ristorante.

Quando gli  ricordiamo che ci eravamo già conosciuti si  illumina ed è grato per la riconferma della nostra preferenza per il suo campeggio e con orgoglio ci mostra tutte le migliorie apportate da allora.

Sono presenti molti stranieri. Prevalgono gli olandesi, il popolo più viaggiatore d’Europa. Ci viene assegnata una bella piazzola dotata anche di un lastricato di beole che fa da terrazzino.

Dopo il pranzo, il riordino della biancheria da parte di Paola e il meritato riposo di Giuseppe, dopo giorni e ore di guida, ci rechiamo in paese per vedere l’orario della messa. Ad Agos la messa è celebrata una volta al mese e in luglio è stato domenica scorsa.

 

ARGELES GAZOST

Domenica 24 luglio - Giornata di completo riposo per noi e per i nostri cari cavalli…  a vapore, che ci scorazzano per l’Europa. Prendiamo le biciclette e con una tranquilla pedalata di circa 5 km raggiungiamo il paese che segue Agos. La messa ad Argeles Gazost è alle ore 10.30.

E’ questo il maggiore centro della valle. Si presenta con una certa eleganza appena adagiato sulla prima pendice del versante sinistro di questa valle. Al suono della campana la chiesa si riempie in ogni suo posto. Inizia la messa. Ci piace che il libro della Parola sia portato all’altare e posto con rispetto sul leggio. Il celebrante è accompagnato da un altro sacerdote. Ci chiediamo se uno dei due non poteva celebrare l’eucaristia in una delle frazioni dove oggi non è previsto il rito.

Il sacerdote introduce la messa dicendo che siamo riuniti, locali e turisti, in un’unica comunità che si fa Chiesa. Per rendere visibile l’accoglienza inizia a nominare le diverse regioni della Francia e ad ogni nome c’è qualcuno dei presenti che alza la mano e riceve il personale benvenuto. Poi chiede se ci sono degli stranieri. Alzano la mano alcuni che dichiarano: Espagna. Alziamo la mano anche noi e dei belgi. A tutti è dato un particolare saluto.

Un altro momento significativo è  rivolto ai più piccoli dopo la comunione. Sono chiamati all’altare per una speciale benedizione. Il sacerdote li segna in fronte col segno della croce e dice loro: “Jesus je t’ame.”

Terminata la messa con una pedalata più rapida, perché leggermente in discesa, rientriamo alla base.

Oggi il pranzo è molto appetitoso: grigliata mista di carne e formaggio, frutta di stagione, dolce dei Pirenei. Poi ombra, aria fresca e un buon libro sono i giusti ingredienti per trascorrere il pomeriggio in completo relax.

Verso sera puliamo  bene il camper, a seguire una cena frugale e una partita a carte.

 

PARCO DEGLI ANIMALI DEI PIRENEI

Lunedì 25 luglio -  Il giorno si presenta imbronciato. L’assenza di vento non promette un rapido miglioramento. Dopo una breve incursione a Lourdes per rifornire la dispensa, ritorniamo nella valle e ci fermiamo ad Argeles Gazost per visitare il Parco degli animali dei Pirenei. Esso occupa una parte di un versante boscoso della valle e ospita i mammiferi  più caratteristici e autoctoni dei Pirenei. La visita si svolge attraverso un percorso guidato. Per comprendere meglio le famiglie di appartenenza delle diverse specie e i legami preda – predatore, la visita inizia con una galleria museo, dove sono ospitati numerosi esemplari di mammiferi e uccelli, propri delle foreste boreali e delle zone subartiche, in precisi diorami astutamente resi più grandi. Ci colpisce la grandezza del bue muschiato, dei lupi canadesi e dell’alce. Ci piace particolarmente il diorama del grizly.

La visita prosegue nel parco. Qui in ampi recinti o liberi nel loro ambiente naturale costituito dalla foresta boreale, bosco misto di conifere e latifoglie, da prati scoscesi, da torrenti dalle acque mobili che alimentano pozze cristalline, sono mantenute le diverse specie che in numero più o meno elevato abitano lungo tutta la dorsale pirenaica.

Ed ecco in sequenza le curiose e avide marmotte che, pur di scroccare l’ennesima carota o qualche foglia d’insalata, si lasciano fotografare in tutte le loro pose caratteristiche; poi il mansueto capriolo, veterano del parco, si lascia avvicinare e accarezzare senza timore. L’incontro successivo è con le frenetiche lontre che dall’alto di una cascatella si tuffano allegre in una pozza sottostante e, dopo una profonda immersione, soffiano bollicine e riemergono per riprendere fiato per poi ritornare a nuotare e infine approdare su un ceppo sporgente dove si riposano un istante prima di ricominciare il loro gioioso e giocoso rincorrersi. Passiamo un cancello. Incontriamo sul sentiero due tranquilli mufloni. Le loro corna ondulate sembrano una capigliatura d’altri tempi. L’ispida barbetta dà loro un aspetto autorevole. In alto delle madri di capriolo accudiscono i loro piccoli allattandoli e li proteggono tenendoli lontano dal sentiero.

Un altro varco ci porta di fronte al lupo. Non sappiamo se questa bestia sia davvero famelica, comunque la vediamo da dietro una doppia rete. Ci sono tre esemplari, sono piuttosto schivi. Il loro atteggiamento sembra negare la cattiva fama di cui godono. Poco più avanti ci sono le volpi rosse. Hanno lo sguardo vigile, l’udito all’erta e una magnifica coda lunga quanto il corpo. Poi ci attende una sorpresa: custoditi dentro una casupola di legno, allestita come una tana, visibili da dietro un vetro ci sono due teneri cuccioli acciambellati nel sonno dei piccoli. Del  loro musino affilato spunta solo la nera punta del naso.

Concludiamo la visita passando dalla fossa dell’orso bruno. C’è una coppia. Ci sembrano un po’ sofferenti. La femmina ci appare rassegnata a trascorrere abulicamente le sue giornate, il maschio si muove nervoso avanti e indietro come chi si sente prigioniero dentro uno spazio sufficientemente ampio secondo l’uomo, ma non per lui. Da un albero le cui radici affondano nel profondo della fossa dell’orso giunge un sottile richiamo. Alziamo lo sguardo. Tra il folto del fogliame  scorgiamo il prudente e fuggevole scoiattolo che ci sta osservando sicuro di non correre rischi.

 

 

GAVARNIE

Proseguiamo il viaggio fino in fondo alla valle e arriviamo nel primo pomeriggio a Gavarnie, un piccolo paese a 1600 m di altitudine ai piedi di un imponente circo glaciale. Sostiamo nell’area camper situata in alto rispetto al paese.

 Il cielo scuro, le nuvole basse sono eloquenti segni premonitori. Poco dopo scoppia il temporale: quattro saette tonanti, uno scroscio di pioggia violenta liberano il cielo donandoci qualche ora di sole. Ne approfittiamo. Attraverso un sentiero raggiungiamo il paese dove visitiamo la chiesa del XII secolo intitolata a Notre Dame du bon Port. La chiesa è semplice e raccolta. Un altare laterale è ligneo, ha la statua della Madonna qui venerata. Vicino all’altare maggiore c’è la statua di san Giacomo. Scopriamo che da qui parte uno dei camini; esso dopo 911 km si conclude a Santiago de Compostela. Ripercorriamo a ritroso il sentiero e torniamo al camper. Qui riceviamo la visita di quattro golosi e socievoli cavalli. Essi dopo aver trasportato per tutto il giorno su e giù per i sentieri della valle inesperti cavallerizzi, andando verso la stalla, fanno una sosta sicuri di ricevere carezze e zuccherini. Noi e gli altri camperisti non li deludiamo.

E’ un attimo. Il cielo improvvisamente si oscura di nuovo. Le montagne scompaiono dalla vista. Forte e impetuoso scoppia un altro temporale, che fa rintanare ogni equipaggio dentro il suo mezzo. E’il luogo e il clima giusto per un buon piatto di polenta. Gustiamo la cena con la speranza nel cuore che domani sia una giornata serena e solatia.

 

CIRCLE DE GAVARNIE

Martedì 26 luglio - Suona la sveglia: sono le 7.30. La nostra speranza di ieri sera è diventata una certezza. Il cielo è sereno. La luna con la gobba a levante risalta, mentre i primi raggi del sole filtrano da dietro un costone roccioso passando sopra il paese ancora addormentato.

Veloci ci prepariamo e ci mettiamo in cammino verso il Circolo del Gavarnie. E’ il grande anfiteatro montuoso che chiude la valle. Per la sua bellezza paesaggistica e per la sua storia antropica e culturale è stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.

Scendiamo in paese lungo il sentiero accolti dai fischi delle marmotte, che dall’alto dei versanti erbosi vigilano per difendere la loro famiglia.

Giunti in paese ci fermiamo alla chiesa per offrire al Signore la nostra giornata e per ringraziarlo per i doni che in abbondanza ci elargisce. Riprendiamo il cammino. Usciti dal paese lungo una strada sterrata ampia e piatta, ci addentriamo nella valle. Dove inizia il Parco Nazionale dei Pirenei la strada diventa più tortuosa e incomincia a salire. Dapprima rimane nascosta in un freschissimo bosco di tremule betulle, poi prosegue ombreggiata e profumata in una pineta e infine esce allo scoperto. Per un po’ è ancora protetta lateralmente da una parete di arbusti legnosi, tra i quali distinguiamo quelli di lampone, che celano sotto il loro denso fogliame verde – grigio i dolci frutti, che soddisfano subito il nostro palato. Quando scavalca una serie di quinte moreniche è ormai una mulattiera. Le morene evidenziano il continuo arretramento dei ghiacciai, che si protrae ormai dall’ultima glaciazione in modo sempre più rapido. Ed eccoci sull’ultima alta morena di fronte all’imponente circo.

Una parete rocciosa alta qualche centinaio di metri, i cui picchi allineati sono alti mediamente 3000 m, incombe verticalmente  e, allungandosi a semicerchio, sembra accogliere in un abbraccio materno i gitanti che, naso all’in su, mentre riprendono fiato, si beano di tanta bellezza e dell’aria fresca che dà ristoro.

Giungiamo qui quando il sole non è ancora sbucato da dietro le cime, ma già si vede la cornice dorata che i  suoi primi raggi disegnano sulla cresta. Le pareti grigie, che in alto luccicano del bianco dei piccoli nevai rimasti, sembrano il manto di un re con le spalle impreziosite di ermellino. La mulattiera termina e si disperde in numerosi sentieri che a destra o a sinistra del piccolo, ma già irruente Gave de Pau, salgono l’ultima morena fino a raggiungere la base delle pareti, dove vanno a schiantarsi, dopo salti considerevoli, migliaia e migliaia di gocce d’acqua che  in alto sgorgano dai nevai.

Saliamo lungo la sinistra idrografica del torrente per poter percepire meglio l’ampiezza del circo. Poi attratti dalla cascata più ricca d’acqua e dal salto più alto vogliamo  passare il torrente. Cerchiamo il possibile guado. Sali e sali, vediamo affiorare tra i rivoli impetuosi dei massi abbastanza allineati e non troppo distanti gli uni dagli altri. Saltando da un sasso all’altro siamo sulla riva opposta. Giuseppe con ardita agilità, Paola con un certo timore, o meglio con paura.

Andiamo di nuovo su, lungo il ghiaione. Gli escrementi che qua e là sono presenti sui massi più grandi raccontano che quando gli uomini restituiscono il luogo a se stesso, camosci e stambecchi scendono dalle cenge e dagli alti pascoli per dissetarsi. Finalmente il sole fa il suo ingresso trionfale e  inizia a scaldare le rocce che riverberano l’umidità che le bagna diventando argentee. Le cascate risaltano la loro trasparenza, gli spruzzi nebulizzati  acquistano spessore, come cristalli filtrano la luce e liberano l’arcobaleno. Allo svegliarsi del giorno si desta anche la natura. Giungono dai boschi sottostanti i cinguettii degli uccelli e dall’alto dei prati i fischi delle marmotte.

Foto, foto e ancora foto, anche a noi con l’autoscatto per immortalare questo momento di gioia. Poi, con rammarico, volgiamo le spalle a questo spettacolo e torniamo indietro.

Al rifugio, situato dove iniziano i sentieri, un giovane e bel guardaparco ha montato sopra un cavalletto un potente cannocchiale e l’ha puntato verso un declivio prativo incastonato tra delle roccette. Vediamo gli stambecchi pascolare tranquilli e indisturbati.

Intanto la montagna si popola di turisti. Mentre scendiamo incrociamo anche le carovane di asini e di cavalli, che portano su molti bambini, offrendo loro una significativa esperienza, e goffi e grassi adulti, troppo pigri e sfaticati.

Al camper ci ritempriamo con una salutare doccia. Nel pomeriggio siamo di nuovo a Lourdes dove passiamo la notte, dopo aver fatto un’altra visita alla grotta benedetta.

 

ADDIO PIRENEI

Mercoledì 27 luglio - Sveglia ore 7.00. Oggi iniziamo le lunghe tappe che ci riporteranno a Milano per una via diversa da quella dell’andata. Lasciamo i boscosi e freschi Pirenei, ma non in quest’ultima notte. Con un rapido trasferimento autostradale raggiungiamo Tolosa, che passiamo rapidamente grazie ad una efficiente  e comprensibile tangenziale. Di questa città grande all’incirca come Milano, percorrendo la sua tangenziale esterna non si vede nulla se non i moderni quartieri residenziali della sua periferia e il centro aerospaziale, dove è ben visibile il missile Ariane.

Continuiamo per questa scorrevole arteria fino ad Albi. Qui termina l’autostrada e noi ci spostiamo ancora più ad est lungo una nazionale.

 

DES GRANDS CAUSSES

Siamo nella zona più meridionale della Francia centrale. Il territorio è molto ondulato e sfruttato in ogni suo agro con colture cerealicole ed oleaginose, separate tra loro da alberi solitari o ordinati in filari frangivento. La strada segue il profilo orografico per cui alle ripide salite, dove si allarga per riservare una corsia propria ai veicoli lenti, consentendo lo smaltimento delle code, seguono altrettanto ripide discese, dove i cartelli ammonitori indicano rappel, il limite di  velocità e consigliano di utilizzare il freno a motore.

E’ il periodo di raccolta della segale. Sulla strada si incontrano trattori che trainano carri appesantiti da un numero di balle, che ci sembra eccessivo.  Volgendo lo sguardo verso il territorio  capiamo che, se si operasse diversamente, giungerebbe l’inverno e parte del raccolto sarebbe ancora in attesa sui campi.

La strada sale, raggiunge un’altitudine di 800 m e attraversa il Parco Naturale Des Grands Causses. Fitte e nere pinete solo a tratti interrotte da radure erbose e coltivi ricoprono le conche e i dossi.

 

MILLAU

Nei pressi di Millau la nazionale transita sotto il Viaduc du Millau. E’ questo un viadotto dell’autostrada che collega Sète a Clermont Ferrand. E’ stato inaugurato in pompa magna dal Presidente Chirac, lo scorso autunno. La sua apertura ha avuto anche una vasta eco internazionale. Questo richiamo è ancora elevato; ci sono persino due americani ad ammirare la grandiosità del ponte… e sì che loro sono abituati alle mega realizzazioni!

Ci fermiamo e rispettosamente ammiriamo la grande e aggraziata opera ingegneristica, che supera la profonda vallata del fiume Tarn. Il viadotto è architettonicamente bello: sette campate rette da tiranti sospesi poggiano su altissimi piloni.

Sappiamo che a Millau dobbiamo rimanere alla sua destra, immetterci in autostrada e percorrere pochi chilometri in direzione Clermont Ferrand. Qui giunti troviamo le indicazioni e, senza confrontarci con l’atlante, le seguiamo. In questo modo gli scaltri francesi fanno tornare indietro i veicoli di circa 20 km al fine di immetterli nell’autostrada prima del famoso viadotto per poter spillare ai malcapitati autisti 10 €.

Però non tutti i mali vengono per nuocere. Infatti quei superflui venti chilometri si snodano su un altopiano che ci riporta alla mente i film di “strasc e pulver”; per chi non è milanese i film western, della nostra infanzia. Lande desolate flagellate da un vento implacabile hanno ormai messo a nudo la loro roccia madre che, dove è più resistente, si erge in torrioni.

 

LES CEVENNES

Usciti dall’autostrada percorriamo verso Mende la stretta valle fluviale di un affluente del Tarn. E’ una zona fresca di media altitudine, boscosa e tranquilla.

Non abbiamo una meta precisa. Intendiamo trovare in questa zona un campeggio per la notte. Lo troviamo a Chanac, un piccolo paese poco distante dalla nazionale con la sua bella torre antica e la chiesa del XII secolo. Il camping è municipale. Ci viene assegnata una piazzola vicino al campo di bocce. Dopo esserci sistemati visitiamo il paese dove, il fiuto goloso di Giuseppe, individua subito una piccola, ma fornitissima boulangerie – patisserie.

Dopo cena il continuo schioccare delle bocce di ferro ci invita a prestare attenzione al gioco. Capiamo come si svolge la partita in Francia. Si gioca uno contro uno. Ciascun giocatore ha tre petanque di metallo. Il giocatore che gioca il pallino tira subito anche le tre bocce a punto. L’avversario utilizza le sue tre bocce per bocciare quelle già tirate dal suo concorrente e togliergli i punti.

Il sole tramonta alle 21.30 dando al cielo la colorazione che fa sperare ancora nel bel tempo.

 

PARCO NAZIONALE DEI MONTI LEZERE

Giovedì 28 luglio - Sono le 8.00 quando il suono della sveglia interrompe il nostro sonno ancora profondo. E’ ora! Un altro giorno di trasferimento ci attende. Per cominciare bene la giornata Giuseppe fa quattro passi in paese e procura la fragrante baguette e due squisite croissant appena sfornate per una energica e deliziosa colazione.

Col viaggio odierno vogliamo raggiungere Chorges un paesino ai piedi delle Alpi, sulla strada che porta al Monginevro.

Lasciamo Chanac, paese che non scorderemo per la sua tranquillità e gli ottimi servizi. Riprendiamo la nazionale di ieri e poco prima di giungere a Mende seguiamo le indicazioni per Alès, Nîmes.

La strada inizia a salire in un continuo alternarsi di curve e contro curve. Attraversa folte pinete di montagne non molto elevate dai crinali aguzzi e dentellati. Siamo nel Parco nazionale dei monti Lozere. Raggiunta l’altitudine di 1000 m inizia la discesa. La strada è nel complesso abbastanza ampia, ma ha una scarsa protezione verso valle. Questa, vista dal camper, sembra non esserci affatto. Occorre prudenza, molta prudenza. Lo dicono anche i cartelli stradali alcuni in modo dolce e persuasivo, altri in modo realisticamente dissuasivo comunicando quanti gravi incidenti si sono verificati negli ultimi cinque anni e il numero dei morti.

La zona è scarsamente popolata. Ci sono villaggi abbarbicati alla montagna rivolti al primo sole. Ci sono villaggi dormienti sui piccoli pianori dentro la forra. Ci sono villaggi abbandonati e in rovina.

Giungiamo ad Alès nella tarda mattinata. Ci fermiamo a un grande supermercato per l’ultima spesa della vacanza e per nutrire anche il nostro mezzo meccanico che ha lavorato tanto e, per nostra fortuna e grande gioia,  consumato poco.

Consigliamo a chi viaggia in Francia di fornirsi del carburante presso i grandi centri commerciali. Qui si risparmia il 10% rispetto alle pompe tradizionali.

 

IL DILEMMA

Ad Alès ci poniamo il problema se continuare il viaggio verso la regione alpina seguendo le statali e godere di paesaggi certamente interessanti o se raggiungere la meta mediante la rete autostradale.

Rapido consulto della carta stradale e veloce calcolo dei chilometri e dei tempi necessari per le due alternative. La scelta cade sulla seconda opzione che, seppure ci farà percorrere circa 40 km in più, è senz’altro più veloce.

Ci fermiamo come previsto a Chorges al camping Rio Claret, che già conosciamo essendoci fermati qui nel 2001. Ci viene assegnata l’unica piazzola riservata ai camper. Siamo vicini ad una famiglia di olandesi, che però non sembra tale. Dei tre bambini, Tom, quello di mezzo, è una piccola peste. Il suo papà è costretto ad alzare la voce per domarlo, cosa insolita per i taciturni e calmi olandesi.

 

 

LA VIGILIA

Venerdì 29 luglio - Assimilata la consuetudine nord europea, dedichiamo la giornata odierna, che precede il rientro, alla pulizia del camper e al riposo.
Il nostro amico Tom, dopo dodici ore di sonno, alle 8.30 entra in produzione e ci sveglia. Noi però poltriamo ancora un po’. Il giorno si presenta nuvoloso e fresco. Sistemiamo il camper prima di pranzo. Nel pomeriggio si alza il vento che trasporta gocce sparse di pioggia. L’avvincente lettura, che di solito occupa la nostra sera, dopo aver “eseguito i compiti”, ci tiene compagnia nelle prime ore del pomeriggio. Poi usciamo dal campeggio e andiamo sü de chi giò de là per le stradine di campagna. Un’ora di tranquilla passeggiata ora lievemente spruzzata, ora solatia. Uno sguardo alle alte montagne dall’aspetto dolomitico, agli sgargianti fiori ricchi di nettare, alle api e ai calabroni troppo occupati a nutrirsi per accorgersi di noi, alle farfalle dall’originale livrea multicolore, al celeste lago che fa capolino da dietro un dosso e siamo di ritorno, pronti a immergerci di nuovo nel nostro libro.

 

ADDIO MONTI

Sabato 30 luglio - Sul far del mattino un tonfo improvviso sul tetto del camper ci fa sobbalzare. Non abbiamo neppure il tempo di interrogarci sull’accaduto che lo squittio di alcuni scoiattoli lo giustifica. I golosoni colgono e rosicchiano il collo delle pere dell’albero sotto cui siamo e poi scartano la parte panciuta ancora troppo aspra e dura.

Ci alziamo poco dopo. Mentre lasciamo il campeggio immaginiamo le mutevoli espressioni del terribile, ma simpatico Tom. Quando si alzerà e non ci troverà più, forse avrà un moto di rammarico per non poterci più salutare in qualche modo tutte le volte che incrocia il nostro sguardo; ma la piega della sua bocca celerà già la gioia, che subito dopo esploderà, per avere a disposizione uno spazio più ampio per i suoi giochi.

Seguendo la nazionale che porta a Grenoble risaliamo la valle. Le montagne baciate obliquamente dal sole risaltano i cucuzzoli e gli speroni e si specchiano nel lago artificiale più grande d’Europa, quest’anno un po’ sofferente per l’esigua neve invernale e le scarse piogge primaverili.

Giunti a Briançon svoltiamo a destra e ci inerpichiamo verso il passo del Monginevro lungo i pochi e ripidi tornanti.  Il traffico nel senso opposto è notevole. Indica che sono iniziate le ferie degli italiani.

La discesa lungo la val di Susa è molto lenta, perché numerosi  sono i tratti a senso unico alternato, a causa dei lavori dovuti alla preparazione delle imminenti olimpiadi invernali. Ci conduce comunque all’assolata pianura Padana.

E’ ormai ora di toglierci la felpa. E’ ormai definitivamente archiviata questa nostra speciale vacanza.

 

 

 

APPENDICE

 

 Abbiamo descritto l’itinerario percorso, i camping e i punti di sosta utilizzati.

Resta da dire che il viaggio si è snodato lungo 5018 km, con una spesa totale di circa 1800 €, suddivisi in:

·        carburante (650 €)

·        autostrade (175 €)

·        camping e parcheggi (295 €)

·        vitto (420 €)

 

Per prepararci al Cammino ci sono stati molto utili i siti

www.pellegrinando.it

www.ilporticodellagloria.it