
Scrivere del Danubio non è facile,
perché il fiume fluisce continuo e indistinto,
ignaro di proposizioni e del linguaggio, che articola e scinde l’unità del
vissuto.
(Claudio Magris)
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Mercoledì 8 luglio
Ore 19.50 inizia il nostro viaggio. Il traffico è molto intenso, ma scorrevole
fino a Como.
Poi, entrati in Svizzera, gradatamente si dissolve e nell’ora del crepuscolo
gustiamo il paesaggio che ci circonda.
Mentre gli ultimi raggi di sole indorano ancora le creste dei monti, sopra i
loro verdi versanti si stende, nera, la coltre della notte.
Viaggiamo rilassati, attenti al giocoso e rischioso (per le severe multe)
alternarsi dei limiti di velocità, mentre ci vengono incontro le prime
avanguardie teutoniche, vogliose di caldo e di sole.
Giovedì 9 luglio
Notte riposante nonostante il traffico, trascorsa nell’area di sosta Gottardo
Sud.
Ci prepariamo rapidamente e, fatto il pieno di gasolio, ci imbuchiamo nel
budello della galleria del Gottardo, 17 chilometri da vivere con lo sguardo a
360°.
Dopo anni di monotonia oggi la Svizzera ci appare diversa, bella e divertente,
perché il percorso ci conduce dentro la classica cartolina elvetica: prati
verdissimi, linde e placide mucche al pascolo, candidi paesi con i campanili
aguzzi, ripide e boscose montagne, che incastonano laghi lucidi come il raso.
Nella tarda mattinata entriamo in Germania, diretti a Furtwangen. Lasciamo ai
tedeschi la disputa sulle sorgenti del Danubio, die Donau, in tedesco i
fiumi sono femminili. E’ ovvio che questo fiume, non avendo alle spalle un
ghiacciaio, non può che nascere dalla confluenza di mille rivoli, alimentati da
sorgenti e soprattutto dalle acque meteoriche, caratteristiche del microclima di
questa zona, che si rivela per quello che è con uno scroscio intenso.
Giunti a Furtwangen visitiamo il Museo Tedesco dell’Orologio, che
raccoglie la più grande collezione della Germania e testimonia l’antica
vocazione artigianale della Foresta Nera.
Si possono osservare orologi di ogni foggia e tempo: dalla candela oraria, agli
orologi astronomici, oltre numerosi orologi a pendolo, a cucu, da polso, da
taschino e curiosi orologi come quelli posti sopra un crocifisso e sopra una
pisside. Ciò che ci stupisce non è solo la precisione dei meccanismi, ma
l’ingegno di chi li ha pensati.
La seconda tappa della giornata è Donaueschingen. Qui ci fermiamo al camping
Riedsee, dove Paola rispolvera il suo tedesco, aprendo uno dei famosi
cassettini della memoria.
Sistemato il camper inforchiamo le biciclette e con una sgambata di 6
chilometri, tutti su ciclabile, raggiungiamo il centro della cittadina, dove si
trova la Donauquelle, un pozzo circolare di stile rinascimentale, che si
dice essere la sorgente del Danubio, perché qui confluiscono la Breg e la
Brisach, i due fiumi che hanno raccolto le acque della Foresta Nera.
Venerdì 10 luglio
Dieci anni di onorato servizio sono tanti per aver supportato e sopportato un
peso non certo da libellula, è così che la sella della bicicletta di Paola ha
deciso di lasciare il suo lavoro, abbandonandosi in mano a Giuseppe, quando ieri
sera l’ha presa per sollevare la bicicletta e riporla nel garage del camper.
Forse il caso non è fortuito, egli individua gli eventi per creare occasioni.
Quella odierna riguarda la ricerca di un ciclista per l’acquisto di una nuova
sella.
Lasciamo Donaueschingen e con un breve viaggio siamo a Sigmaringen, una graziosa
cittadina sulle rive del Danubio, che offre agli amanti del plein air un
campeggio e un’area camper. Optiamo per il Sigmaringen Camping. Ci
accoglie Maga Magò, una simpatica e scarmigliata signora tutta frizzi e
lazzi, che si complimenta per il tedesco di Paola (un complimento non si nega a
nessuno!) e si interessa al nostro problema ma, non sapendo dove si trova il
ciclista, chiama in causa un’altra signora che parlando inglese permette a
Giuseppe di fare un po’ di conversazione.
Recuperato l’accessorio indispensabile, dopo un frugale pasto partiamo per un
giro in bicicletta lungo il Danubio. Nonostante siano passati pochi chilometri
dalla sua sorgente, il fiume ha già un aspetto regale, dolce e sinuoso scorre
verdeggiante nella valle calcarea a tratti aspra, che si è intagliato nel corso
dei secoli. La ciclabile in parte asfaltata e in parte a fondo bianco è varia,
costeggia il fiume, poi se ne distacca salendo ripidamente sui costoni rocciosi,
per poi donare ripide e corroboranti discese. Gioca col fiume ancora giovane
attraversandolo con ponti di legno e passa per piccoli paesi, ben attrezzati per
il ciclismo itinerante. Pedaliamo in silenzio, assorbiti dai suoni della natura
e pronti a scambiare un saluto con i ciclisti che incrociamo e con gli allegri
canoisti, che vivono il fiume in modo più intimo.
Nel tardo pomeriggio visitiamo la cittadina di Sigmaringen. Essa è dominata dal
castello degli Hoenzollern, che si erge su una rupe a strapiombo sul fiume. Il
suo primo insediamento risale all’anno 1000, il castello è stato poi ampliato e
rimodernato nel secolo XVI dai citati Hoenzollern.
Il complesso comprende il castello, un museo e la chiesa cattedrale, dedicata a
san Clemente, patrono della città.
Cena italo tedesca: spaghetti al pesto, col pesto preparato fresco, prendendo il
basilico dalla pianta che ci siamo portati da casa, Wurstel und
Weinsaurerkraut mit Senf.
Sabato 11 luglio
Giornata di relax è quella che si offre oggi a noi. Il tempo imbronciato di
questi giorni volge al bello e ci promette qualche ora calda. Poltriamo nel
letto, poi prima della partenza per il breve tragitto che ci porterà a Ulm,
andiamo a curiosare nel mercatino delle pulci.
E’ già affollato, tante persone e tipi strani. La merce esposta sui banchetti è
varia, si trovano oggetti datati, come un’arcaica carrozzina di legno, delle
lampade a petrolio, delle banconote dell’impero austroungarico e roba usata da
poco: scarpe, abbigliamento, pentole e ci domandiamo chi mai la comprerà.
Facendo la prima spesa importante nel vicino supermercato, costatiamo come i
generi alimentari in Germania abbiano un prezzo decisamente più basso che in
Italia. Un esempio per tutti: un litro di latte lo paghiamo 0,42 € contro l’1,15
€ del supermercato di Milano.
La strada che ci separa da Ulm percorre una zona della Foresta Nera solo in
parte rimasta tale.
Il territorio dolcemente ondulato è coltivato con diverse essenze cerealicole,
che con i loro colori ne esaltano la forma. Quando la strada si inerpica per
superare un crinale, allora ci si trova immersi nella foresta ed è proprio qui
in un’area di sosta che ci fermiamo a pranzare.
Nel primo pomeriggio siamo a Ulm. Posteggiamo il camper nell’area attrezzata,
totalmente gratuita, che si trova vicino allo stadio. Con una passeggiata di 20
minuti, allietata da uno scoiattolo rosso, che lesto ci taglia la strada e si
nasconde su un albero, siamo in centro.
Qui visitiamo il Münster, è la cattedrale, il più importante monumento
della città, celebre perché ha il più alto campanile del mondo. La chiesa, in
stile gotico, ha delle coloratissime vetrate, quella sopra la porta di ingresso
è moderna e ricorda l’olocausto degli Ebrei.
Molto belli, perché di legno intagliato sono il baldacchino del pulpito e il
coro. All’interno del baldacchino è stata cesellata una minuscola scala a
chiocciola, che raggiunge un pulpito in miniatura, si dice per lo Spirito Santo.
Esso sta ad indicare che il sermone del Pastore è ispirato dall’alto.
La piazza è piuttosto animata; la troviamo molto diversa dal lontano 1979, anno
della nostra prima visita della città. In particolare a destra della cattedrale
vediamo un palazzo moderno, lo Stadthaus. Esso, pur staccandosi
nettamente dal contesto architettonico della piazza, grazie al suo colore
bianco, alle vetrate e alla forma articolata, non incombe come un ingombro
sull’antica piazza, anzi fa da ponte tra il Fischervietel, l’antico e
popolare borgo dei pescatori e l’aristocratica piazza. Oggi il Fischerviertel
è una zona turistica ricca di locali e negozietti e riserva ancora angoli
pittoreschi e suggestivi. Fra le sue case scorre la Blau, un piccolo fiume
dall’acqua trasparente, che prima di immettersi nel Danubio alimenta una florida
vegetazione e ospita uccelli acquatici. Il Danubio qui a Ulm ha ormai l’aspetto
del fiume maturo. La sua acqua, ora contaminata, scorre tetra attraverso la
città, segnando il confine tra essa e Neu-Ulm, la città moderna.
Rientrando verso l’area camper ci fermiamo alla chiesa di san Giorgio, dove alle
ore 19.00 partecipiamo alla messa prefestiva, poco frequentata dai fedeli, ma
ben vissuta dagli astanti.
Domenica 12 luglio
La tappa odierna ci richiede uno spostamento di poco più di 200 chilometri.
Lasciamo la Foresta Nera per spostarci in Baviera, dove a Regensburg il Danubio
diventa un grande fiume. Pensiamo di accelerare il percorso scegliendo il
tracciato prevalentemente autostradale, ma non facciamo i conti con la
Umleitung, la deviazione, che da quando siamo in Germania ci perseguita,
interrompendo la nostra marcia e imponendoci giri avviluppati nelle campagne,
che attivano e riattivano in continuazione il navigatore, Tom, che con tenacia
ci indica la via di ritorno sul tracciato previsto, fino a quando, esausto, si
zittisce e finalmente rielabora il percorso alternativo.
Giungiamo a Regensburg nell’ora di pranzo e prendiamo posto al camping Azur.
L’imprevisto è sempre in agguato. Al momento di registrare il proprio documento,
Paola si accorge di non averlo, lo chiede a Giuseppe, perché glielo aveva dato
da tenere l’ultima volta che erano andati in bicicletta, ma neppure Giuseppe ce
l’ha. Ci registriamo col nome di Giuseppe, poi passiamo un tempo breve, ma
lunghissimo, alla ricerca del documento scomparso, presi dal timore di dover
interrompere il viaggio e attaccati alla speranza di poter gioire per lo
scansato pericolo. Per fortuna nostra e vostra, cari lettori, tutto si risolve
positivamente. Paola inspiegabilmente non aveva rimesso il documento al suo
solito posto, ma in un’altra tasca del suo zainetto.
Nel pomeriggio con una pedalata di 3,5 chilometri lungo la ciclabile del Danubio
siamo in centro città. E’ giorno di festa, Regensburg è molta animata, anche
perché nelle sue piazze si vive la festa del jazz. La Castra Regina romana, che
conserva una traccia di muro e la Porta Pretoria, è piacevole da girare. La
nostra visita inizia dal vecchio Rathaus, poi prosegue nel duomo dedicato a san
Pietro. E’ una severa costruzione gotica con belle vetrate, ma la maestosità
della nostra cattedrale meneghina e la finezza architettonica del duomo di
Burgos rimangono, secondo noi, imbattibili. Al suo interno a destra e a sinistra
dell’altare maggiore ci sono due preziose statue del XIII secolo che
rappresentano l’arcangelo Gabriele e la Vergine Maria, che radiosa accoglie il
Verbo.
Ci rechiamo poi al Donau-Schifffahrts-Museum, è un vecchio rimorchiatore
a vapore con ruota a pale. Ormeggiato sul Danubio espone al suo interno i
modellini delle imbarcazioni che nei secoli hanno navigato questa via d’acqua.
Lo visitiamo: è sempre emozionante scendere nel ventre di una nave e sentire il
vivace fluire dell’acqua che la fa fremere! Osserviamo i macchinari, la
strumentazione di bordo e gli ambienti di vita dell’equipaggio.
L’ultima tappa della nostra visita vuole essere la Keplero-Gedächtnishaus,
la casa dove visse e morì l’astronomo Keplero. Mentre cerchiamo sulla guida
l’indirizzo, si avvicina una coppia di signori anziani che cordialmente ci
chiedono se abbiamo bisogno di aiuto. Quale migliore occasione per un po’ di
conversazione! Non solo ci indicano con precisione il luogo, ma si informano
anche circa la nostra provenienza e, saputo che siamo italiani, ci chiedono
meravigliati se siamo giunti fin qui in bicicletta. Dopo esserci scambiati altre
informazioni, ci salutiamo e i simpatici vecchietti sfoggiano con orgoglio le
poche parole che conoscono nella nostra lingua.
E’ destino, i grandi scienziati che Paola vuole omaggiare le si negano. Ulm
città natale di Einstein, non lo considera suo figlio e non ha nulla che lo
ricordi. Regensburg apre la casa di Keplero solo per poche ore nel fine
settimana e noi arriviamo che ha appena chiuso: sono solo le 16.00!
Con calma torniamo in campeggio e concludiamo la domenica dedicandoci ai nostri
“compiti delle vacanze”.
Lunedì 13 luglio
Nella notte è piovuto e anche questa mattina il cielo è coperto da un grigiastro
strato di nubi, ma ciò non ci distoglie dal nostro programma. Prepariamo le
biciclette e per scaramanzia riponiamo nella borsa il poncho impermeabile,
sicuri che ciò farà uscire il sole.
La nostra meta è il monastero di Weltenburg. Risaliamo il Danubio contro
corrente. La ciclabile lo segue fedelmente, limitata dalle sue acque verdi che
rispecchiano la lussureggiante vegetazione delle sue sponde e dai campi dorati
dove brillano con tonalità diverse il giallo del grano, della segale e della
soia.
Pedaliamo veloci con un leggero vento contro. Diverse persone si muovono nei due
sensi ed è un continuo scambio di saluti: Guten Morgen, Grüss Got!
Per noi, radicati cittadini, l’immergerci nella natura è fonte di continuo
stupore: ecco uno scorcio poetico, ecco un verdone che fermo sulla pista attende
fino all’ultimo istante prima di spiccare il volo, poi uno stagno costiero, che
gracida forte, coperto di ninfee fiorite, il silenzioso airone cinerino, che
immobile in una lanca aspetta con pazienza il passaggio del suo pasto e le
pecore al pascolo. Quest’anno ci mancavano le pecore!
Transitiamo attraverso piccoli borghi. In uno c’è una chiesa circondata da un
raccolto camposanto, che si apre sulla ciclabile. Sul muro esterno una tacca
indica il livello che l’acqua ha raggiunto nell’ultimo alluvione, quello del
1999. E’ impressionante!
Ci fermiamo, per offrire al Signore la giornata e glorificarlo per l’amore che
ci dona.
La chiesa è chiusa, ma il solerte sacrestano, che sta riordinando le aiuole
tombali, interrompe il suo lavoro e con estrema gentilezza ce la apre. E’ una
piccola chiesa in stile barocco, silenziosa e raccolta, racconta della vita di
fede dei suoi parrocchiani con i libri ben distribuiti sulle panche e l’ordine
degli arredi sacri.
Ci mettiamo di nuovo in sella, ma subito facciamo un’altra sosta, la foto è
d’obbligo. Un piccolo traghetto sta trasportando un trattore all’altra riva.
Intanto scendono lungo il fiume delle navi da crociera con i turisti sul ponte a
godersi il sole, che ha vinto la sua battaglia. Ci salutano con le braccia
alzate, rispondiamo facendo altrettanto e via con i pedali!
I primi 32 chilometri ci portano a Kelheim, ora ne mancano dieci per giungere al
monastero. Per superare la gola nella quale scorre stretto il Danubio, la pista
si stacca dal fiume e si inerpica nel bosco che ricopre il costone roccioso. La
ciclabile diventa un sentiero, che solo con la mountain bike e un super
allenamento si può affrontare. Spingiamo faticosamente le nostre bici e quando
incrociamo la strada carrozzabile rimontiamo in sella. Comunque, come diceva
l’invincibile Binda, il corridore che negli anni ’30 è stato pagato per non
partecipare al Giro d’Italia, “ghe vör i garun”, ci vogliono le gambe! Noi le
abbiamo e con i giusti rapporti, sudati e col fiato corto, arriviamo al culmine
del costone, poi godendoci la ripida discesa percorriamo gli ultimi 3
chilometri.
Il monastero benedettino di Weltenburg accoglie dentro le sue mura un antico
birrificio, che già produceva nell’anno 1000 delle deliziose birre Dunkel e Bock,
che sono servite nel giardino e la chiesa di stile barocco, che ha sull’altare
maggiore san Giorgio, che uccide il drago.
Pranziamo seduti all’ombra di un secolare ippocastano: Schnitzel con
patate fritte e insalata mista e un boccale di Bock.
Iniziamo il ritorno navigando su un battello fino a Kelheim. Esso scivola lento
sull’acqua; ci voltiamo indietro per dare un ultimo sguardo al monastero e
cogliamo l’illusione del Danubio blu.
Ora il Danubio è costretto nella gola, si muove allegro, lambisce con grinta la
base degli speroni rocciosi, che mostrano tracce di tanto lavoro: caverne, rocce
arrotondate, incavi. Sulla sinistra abbarbicata su una rupe c’è una piccola
statua: è quella di san Giovanni Nepomuceno, il santo che protegge dalle
alluvioni. Poi il letto del Danubio si distende nuovamente ed ecco comparire un
grande Pantheon giallo di forma cilindrica. E’ stato eretto a ricordo della
gloria tedesca di inizio XIX secolo.
Dopo 20 minuti di grande suggestione riprendiamo a pedalare e senza ulteriori
soste torniamo a Regensburg. Abbiamo così completato la nostra gita percorrendo
80 chilometri col sole in fronte per tutto il giorno.
Sono le 21.00, dopo tanta fatica ci meritiamo un gelatino, che mangiamo di
gusto.
Martedì 14 luglio
Il cielo sereno, appena velato, annuncia una giornata calda e afosa. La bolla
africana, che ha ghermito l’Italia, con le sue ultime propaggini ha valicato le
Alpi e, seppure attenuata, si fa sentire fin qui.
Lasciamo Regensburg diretti a Passau, sono poco più di 100 chilometri, che
iniziamo a percorrere seguendo la viabilità ordinaria. La zona non è
particolarmente interessante da un punto di vista paesaggistico. Regensburg
sembra non terminare, perché dopo i suoi ultimi quartieri residenziali si
allunga verso sud con un’estesa zona industriale. Poi ci si immerge nella
campagna vasta e pianeggiante, coltivata prevalentemente con patate e segale. La
monotonia del viaggio è interrotta anche oggi da una deviazione. Ma quanto
stanno lavorando i tedeschi sulle loro strade?!?
Questa volta la Umleitung è, però, provvidenziale, perché costringendoci
a transitare all’interno dei paesi, ci consente una sosta per rifornire la
nostra cambusa.
L’ultimo tratto lo percorriamo in autostrada, perché uscendo da essa di solito
si trovano in modo chiaro le indicazioni per i campeggi. Sostiamo al camping
Drei Flűsse. Esso si trova a circa 10 chilometri da Passau; ha a monte le
prime pendici del Bayrischer Wald e a valle il Danubio.
Ci accoglie gentilmente una signora, che ci fa entrare nonostante sia orario di
chiusura. Parla il tedesco in modo incomprensibile, ma con uno sforzo da parte
sua e di Paola, ci si intende.
Mercoledì 15 luglio
Giuseppe è aperto alle novità, all’innovazione, alla conoscenza, alle persone.
Giuseppe non ama le chiusure, forse è per questo che a volte gli capita di
dimenticare il lucchetto delle biciclette o la sua chiave.
Oggi, per nostra fortuna, solo dopo un chilometro dall’inizio della gita, si
accorge di non aver con sé la chiave del lucchetto. Torniamo indietro,
altrimenti come potremmo visitare Passau, senza posteggiare le biciclette?
Con una ripida discesa raggiungiamo der Donauweg, la via del Danubio,
così si chiama la ciclabile che lo segue. Siamo sulla sua riva sinistra.
Inizialmente il fondo è bianco e la via è immersa in un fresco bosco, poi si
allontana un po’ dal fiume, che scorre veloce tra gorghi e increspature.
Transitiamo per alcuni paesi e poi costeggiamo la strada statale. Alla periferia
di Passau uno sbarramento fa defluire parte dell’acqua del Danubio in una
centrale elettrica, che sorge rossa e massiccia sopra la diga. Ai ciclisti è
permesso il transito sulla diga. Le turbine girano forti; da fuori il loro
rumore sembra il ronzio dei calabroni.
Ci troviamo a seguire il Danubio sulla sua riva destra. Entrati in Passau, le
chiare indicazioni della ciclabile scompaiono, ci aiutiamo con la piantina della
città, che avevamo comperato a caro prezzo in campeggio; 2,80 € davvero spesi
bene!
Visto che l’umidità che rendeva spumoso il cielo si sta dissolvendo e che il
sole inizia a far sentire la sua possente energia, decidiamo di visitare Passau
nel pomeriggio e di proseguire la gita.
Passau è detta la città dei tre fiumi. Infatti è sorta dove l’Inn e l’Ilz
confluiscono nel Danubio. Passiamo il ponte sull’Inn, transitiamo per il
quartiere chiamato Innstadt, seguiamo la riva destra di questo fiume fino
alla sua confluenza con il Danubio. La portata dell’Inn è considerevole. Alla
confluenza le acque dei due fiumi proseguono per un po’ separate nell’unico
letto, poi si miscelano perdendo ciascuna la propria identità. Usciti dalla
città ci troviamo in Austria. Ce ne accorgiamo, perché dove un tempo c’era la
frontiera, oggi c’è un grande distributore di carburante. Espone prezzi
decisamente inferiori a quelli tedeschi. Ci chiediamo come sia possibile che a
distanza di poche centinaia di metri i carburanti possano avere prezzi così
diversi.
Ora la ciclabile segue fedelmente il Danubio che, inondato dal sole, si veste di
lustrini e offre scorci piacevoli. All’ora di pranzo siamo all’altezza di
Oberzell. Avendo già percorso 32 chilometri, decidiamo di traghettare per
tornare indietro seguendo la riva sinistra del fiume. Il traghetto sta
arrivando, scarica un’automobile, carica noi e riparte. Questo viaggio lo fa in
perdita, ma noi siamo i signori di questo natante.
Sbarchiamo e un cartello ci avverte che siamo in Deutschland, in Germania,
questo tratto del Danubio fa da confine. Lungo la via del paese ci fermiamo in
un Gasthaus, che ha già dei clienti indaffarati a soddisfare la bocca.
Pranzo leggero a base di insalata. Poi di nuovo in sella pedaliamo lesti sulla
ciclabile, che su questo lato è decisamente più pianeggiante. Avanziamo in un
turbinio di piumini degli alberi. La stagione biologica è indietro rispetto a
Milano. Improvvisamente ci fermiamo incuriositi; lungo la pista c’è una grande
sirena di legno e una persona anziana è arrampicata su di essa, mentre una
ragazza armeggia accanto a un’automobile posteggiata lì vicino. E’ un
restauratore, che sta chiudendo le crepe e le spaccature del legno, aiutato
dalla sua assistente.
Arrivati a Passau per poter entrare nella città vecchia passiamo il ponte sull’Ilz,
il piccolo fiume che scende da nord e si getta nel Danubio senza particolari
pretese.
Leghiamo le biciclette davanti alla chiesa dei gesuiti, una semplice chiesa in
stile gotico. Iniziamo il giro della città portandoci sulla punta, dove c’è la
confluenza dell’Inn col Danubio.
Il caldo è notevole e la nostra sete pure. Ci fermiamo a un baracchino,
compriamo e beviamo l’acqua minerale più cara del mondo: 5.00 € per un litro!
Questa bevuta è proprio necessaria per ricaricarci!
Poi visitiamo il duomo e l’antico Rathaus. La cattedrale è dedicata a
santo Stefano. E’ in stile barocco, è piena di stucchi, che lasciano incantati i
tedeschi, un po’ meno noi, che amiamo architetture più semplici e sobrie.
Bellissimo è invece l’organo, ha circa 18000 canne, è l’organo più grande del
mondo. Del Rathaus vediamo la sala consigliare tutta affrescata.
Rimaniamo impressionati nell’osservare sul suo muro esterno, prospiciente il
Danubio, le diverse altezze raggiunte dalle piene. Imbattibile è quella del
1584, ma anche le ultime tre, quelle del 1954, del 1991 e del 1999 sono state
devastanti.
Come l’entrata anche l’uscita da Passau non è semplice, soprattutto perché la
ciclabile lungo la riva sinistra del Danubio è uno stretto marciapiede vicino al
quale sfrecciano nel senso opposto automobili e camion. Raggiunta la centrale
idroelettrica, percorriamo a ritroso il pezzo seguito questa mattina.
La nostra gita si archivia con 60 chilometri pedalati. Vi chiederete come è
possibile che la cifra sia sempre tonda. Se volete la precisione oggi i
chilometri sono stati 60,10, mentre l’altro giorno erano 79,90.
Giovedì 16 luglio
Oggi iniziamo la giornata ringraziando il Signore nel ricordo del giorno in cui
ci siamo promessi amore eterno. Lo facciamo nella grotta-cappella che il signor
Joseph ha costruito nel suo campeggio, proprio nel mese di luglio del 1977, anno
delle nostre nozze. Partiamo e subito squilla il telefonino, arrivano gli auguri
dei nostri figli e delle nostre mamme.
Il viaggio prevede tre tappe, la prima è a Linz. Fino a Obernzell ripercorriamo
la strada percorsa ieri in bicicletta. Ecco Passau, il Danubio, l’Inn, il
castello che dall’alto domina il fiume, il ponte di legno coperto, l’allevamento
di daini, il traghetto, i battelli e le chiatte che risalgono o scendono il
Danubio, movendo appena l’acqua, che risponde mormorando sommessamente.
Quando il Danubio si infila in una gola, la strada si distacca, attraversa una
zona umida e boscosa che profuma di funghi e giunge a Linz. Sono le 12.30, ci
fermiamo nel grande parcheggio lungo il Danubio, vicino al ponte dei Nibelunghi,
pranziamo e poi andiamo a visitare la città.
Linz si estende su entrambe le rive del Danubio, ma si è maggiormente sviluppata
sulla sua sponda destra. Passiamo il ponte sul quale si affaccia un edificio
modernissimo tutto costruito con vetro e acciaio. Ha la forma di un prisma
obliquo. Esso ospita l’Ars Electronica Center, un museo interattivo
dedicato alla tecnologia. Ci addentriamo nella città, che in questi ultimi anni
si è molto aperta all’arte moderna, che trova spazio nelle vie e nelle piazze
accanto agli edifici barocchi. A noi questo accostamento così contrastante
appare stridente.
Nella piazza principale contornata da case barocche color pastello, spicca una
colonna marmorea eretta all’inizio del XVIII secolo in ringraziamento per la
liberazione dalle guerre e dalle pestilenze. Poi ci rechiamo nell’antico duomo,
di stile barocco e nel nuovo duomo, costruito in stile neogotico. Esso è
dedicato a Maria Immacolata.
Ripreso il camper ci spostiamo a Sankt Florian, che si trova a poco più di 10
chilometri a sud est di Linz. In questa cittadina sorge uno dei più grandi
monasteri austriaci. Non si conosce con esattezza la data di costruzione di
questo centro di culto, le carte antiche riportano che già nell’800 sorgeva un
monastero sul luogo dove c’era la tomba di san Floriano e una chiesetta a lui
dedicata.
Floriano era un soldato romano che, convertitosi al cristianesimo, è stato
annegato nel fiume Enns, era l’anno 304.
Il monastero nei secoli ha subito distruzioni, ricostruzioni, ampliamenti. Oggi
ha l’aspetto di una reggia e ospita anche la stanza che era dell’imperatore, che
qui si fermava se passava in questa zona. La chiesa in stile barocco è ornata da
una grande quantità di stucchi bianchi. L’ambiente silenzioso invita alla
preghiera.
L’ultima tappa della giornata ci porta ad Au an der Donau. E’ un paese sul
Danubio che segue di pochi chilometri Mauthausen. Qui ci fermiamo nel campeggio
omonimo, che è situato sotto l’argine. E’ un tranquillo prato, diviso in
piazzole, con ottimi servizi.
Concludiamo la giornata festeggiando il nostro anniversario con una gustosa
cenetta in un ristorante austriaco.
Venerdì 17 luglio
Solo ora che è sera, dopo una giornata interessante e piacevole, realizziamo che
è venerdì 17!
Noi non siamo affatto superstiziosi ed è per questo che ci organizziamo senza
badare a numeri e giorni, è così che conviene fare!
La notte trascorsa nel silenzio più totale è stata davvero riposante, siamo
pronti per un’altra giornata su due ruote.
Al mattino risaliamo il Danubio lungo la ciclabile fino a Mauthausen. La
cittadina è graziosa, linda ed elegante; purtroppo per lei tra il 1940 e il 1945
è stata una delle protagoniste dell’orrore nazista. Il Lager è indicato con il
segnale KZ Mauthausen. Per conoscere bene la strada che porta al sito ci
fermiamo all’ufficio informazioni; è chiuso, apre alle 13.00. Fuori c’è una
cartina della cittadina dove è segnata la strada da seguire. Sono fermi davanti
alla cartina anche altri ciclisti. Uno chiede a Paola se è olandese, forse è
tratto in inganno dalla maglia arancione, indossata anche da Giuseppe. Saputo
che è italiana afferma con orgoglio di essere tedesco e subito sciorina tre
parole italiane.
Per raggiungere il Lager si voltano le spalle al Danubio, si transita per la via
compresa tra la scuola e la piscina e si sale sulla collina per 3 chilometri. Il
primo chilometro di salita è dolce, poi quando la strada si addentra nel bosco
la pendenza aumenta fino a raggiungere il 14%. Va bene avere le gambe, ma noi
non siamo né Binda, né Merckx, né Pantani, quindi scendiamo dalle bici e
proseguiamo a piedi spingendole. L’ultimo chilometro, seppure ancora ripido, lo
troviamo pedalabile.
E’ la seconda volta che visitiamo questo Lager, varcare la sua soglia ci scuote
ancora molto. Qui più che i reperti, parlano le pietre, così faticosamente
cavate e portate dagli internati schiavizzati e il silenzio spontaneo, che
chiude la bocca ai tanti visitatori e parla al loro cuore. Anche noi lasciamo
parlare le immagini, perché non ci sono parole per descrivere una simile
carneficina e tanto dolore.
Al termine della visita godiamo della ripida discesa raggiungendo la velocità
massima di 45 km/h, poi a ritroso sulla ciclabile raggiungiamo il campeggio.
Pranziamo alla sua birreria con un cono gelato e una Coca Cola, poi di nuovo in
sella proseguiamo sottoponendoci a un pomeriggio di elioterapia. La pista è
trafficata. Persone che vanno, persone che vengono. C’è chi si ferma per fare
una fotografia, chi per spalmarsi la crema, chi per bere un po’ di acqua in un
piccolo spazio ombroso. Sulla riva opposta una squadra di pompieri si sta
esercitando. Sono fermi con alcuni mezzi di soccorso. Con una pompa pescano
l’acqua dal fiume e con gli idranti la spruzzano immaginando di dover spegnere
un incendio.
Lungo la ciclabile sono ben indicati i Gasthaus dove, volendo, ci si può
rifocillare e alloggiare. Quando l’argine non è più praticabile, chiari segnali
indicano la direzione e le distanze per raggiungere i vari paesi. Der
Donauweg non fa mai percorrere le strade principali e se non è
esclusivamente ciclabile, sceglie stradine di campagna, dove l’inconveniente più
grande è quello di incrociare una mietitrebbia che le occupano per tutta la loro
larghezza. A noi capita. Ci fermiamo e ci spostiamo ai margini di un campo di
mais. L’agricoltore passa e fa un cenno di ringraziamento e di saluto.
Il Danubio ha un ampio letto, è circondato da rive boscose che ospitano molte
specie di uccelli, ci sono anche delle postazioni per la loro osservazione.
Lungo l’itinerario si trovano anche dei punti di ristoro-informazione. Offrono
tavoli all’ombra, acqua, servizi igienici e l’immancabile birreria, che vende
anche gelati e torte. Arrivati a Laibing, un piccolo e poetico borgo agricolo,
facciamo merenda gustando una succosa mela, che raccogliamo lungo la strada ai
piedi di un albero. Qui invertiamo il senso di marcia. Ritornando ci fermiamo a
Mitterkirche per comperare il pane, poi tornati ad Au, nella piccola cappella
dedicata a sant’Anna ringraziamo il Signore per la serena giornata che ci ha
donato e prendiamo la preghiera che è messa a disposizione. La regaleremo alle
nostre mamme.
PREGHIERA DELLE NONNE A SANT’ANNA
Sant’Anna, aiutami a sopportare che i miei
nipoti vadano lungo una via che non capisco.
Non conosco come si svolge la loro vita..
Le loro scelte mi richiedono molta pazienza.
Mi addolora che la fede e la Chiesa non hanno
per loro significato.
Lasciami pregare e fa splendere la mia voce
davanti a Gesù.
Forse essi pregano, senza che io veda e
sappia.
Sant’Anna io amo i miei figli e i miei nipoti
come tu Maria il tuo caro Gesù.
Oh come vorrei sbagliarmi!
Ti prego sant’Anna, fa che le nostre
generazioni si comprendano e siano unite nel bene.
Sant’Anna sostieni i miei nipoti e accogli le
mie preoccupazioni per loro.
Nel nome di Gesù benedici la nostra famiglia.
Amen.
Sabato 18 luglio
Sembra che anche in Austria valga la regola estiva del lavoratore italiano. Dopo
una settimana di tempo stabile con giorni molto caldi e soleggiati, il weekend
inizia sotto una pioggia torrenziale, spinta dal forte vento e, data la
latitudine, dal clima autunnale.
Come previsto dal nostro programma oggi è giorno di viaggio: un breve
spostamento fino a Melk. Giungiamo al camping omonimo, all’ora di pranzo. Il
camping si trova su un’isola compresa tra una lanca e il ramo principale del
Danubio.
Nel presto pomeriggio il cielo si rischiara, la pioggia prima si attenua e poi
cessa. Il vento invece continua a spirare con impeto. Ben coperti ci
incamminiamo verso il paese, che sta appena al di là del ponte. La meta è la
Stift Melk, la celebre abbazia resa ancora più famosa da Umberto Eco nel
romanzo Il nome della Rosa. Essa sorge su uno sperone roccioso; con i
suoi due campanili gemelli, la grande cupola e con il suo colore radioso, domina
il paese e dà un’impronta unica al paesaggio. Originariamente era un castello.
Intorno all’anno 1100 l’imperatore d’Austria lo donò ai benedettini. Esso venne
trasformato in un’abbazia fortificata. Fu ricostruita all’inizio del 1700, dopo
un violento incendio che la distrusse quasi completamente. Il complesso è
veramente grande e imponente. L’appartamento imperiale è ora un museo che
raccoglie alcune testimonianze della vita di san Benedetto e arredi sacri. Molto
belli sono gli stucchi dei soffitti e i parquet di legno intarsiato, dei quali
si vede solo una parte, perché sono protetti da spessi tappeti di moquette. Ogni
sala è illuminata con un particolare colore, che la rende unica. Due sale sono
rimaste intatte: la Marmorsaal e la Biblioteca.
La Marmorsaal era l’antica sala dei banchetti e delle feste. Il suo soffitto
affrescato in modo prospettico la fa sembrare più alta di quello che è in
realtà. L’affresco rappresenta con figure mitologiche la vittoria del bene sul
male.
La biblioteca raccoglie centomila volumi di cui 1888 manoscritti. Oltre alle
antiche librerie in essa vi è un nastro di legno a forma di otto, sul quale sono
posati dei rotoli. Esso è stato collocato nel 2004 e simboleggia l’infinito,
cioè ciò che in realtà avviene nella biblioteca: il continuo suo ampliamento con
l’introduzione di nuovi volumi anno dopo anno.
Anche questa sala ha il soffitto affrescato. Vi è rappresentata la Fede
affiancata dalle quattro virtù cardinali: la prudenza, la giustizia, la fortezza
e la temperanza. Ai lati delle porte ci sono quattro statue dorate, che
rappresentano quattro scienze: la teologia, la filosofia, la medicina e la
giurisprudenza.
Scendendo per una scala a chiocciola adorna di stucchi si raggiunge la chiesa.
Essa mostra l’apoteosi del barocco. Lascia anche noi stupefatti, sebbene non
amiamo particolarmente questo stile architettonico. E’ dedicata ai santi Pietro
e Paolo. Sono rappresentati mediante due statue dorate poste sull’altare
maggiore. Qui tutto è d’oro: il grande pulpito, i capitelli delle colonne, i
fronzoli dell’organo, degli scranni del coro e degli altari laterali.
La gente gira, guarda, commenta, parla, si fa fotografare o si auto fotografa e
se ne va, come se qui non ci fosse la Persona alla quale rivolgere il migliore
saluto.
Terminata la visita ci rechiamo alla chiesa parrocchiale per informarci
sull’orario delle messe di domani e rientriamo in campeggio.
Domenica 19 luglio
Il vento intenso della notte porta a terra l’umidità ancora sospesa nell’aria,
poi inizia a liberare il cielo. Partecipiamo alla messa delle ore 10.00 e, con
stupore, costatiamo che la chiesa è mezza vuota e che i partecipanti sono
persone prevalentemente anziane. C’è qualche bimbo piccolo, i ragazzi sono solo
i cinque chierichetti, non ci sono i giovani. L’Austria non è più cattolica?
Rientrando in campeggio incontriamo un tipo curioso. Capelli e barba bianca,
emulo di Konrad Lorenz, lo scienziato etologo originario di questa zona, getta
dal ponte del pane alle anatre che festosamente lo stanno aspettando.
Poi partiamo per una micro tappa. Ci spostiamo di circa 40 chilometri fino a
Krems, dove ci fermiamo al camping Donaupark, che si trova proprio
affacciato al Danubio. Al di là del fiume, sulla cresta del monte, che chiude la
valle, si erge un’altra imponente abbazia, la Stift Göttweig.
In paese c’è una fiera, è la Marillenfest, la festa delle albicocche. La
musica e le marcette giungono fin qui e accompagnano con un allegro sottofondo
il nostro leggero pranzo.
Il pomeriggio lo occupiamo con una bella gita in bicicletta. Da Krems risaliamo
il Danubio lungo la sua riva sinistra fino a Spitz. La ciclabile inizialmente lo
costeggia. Esso scorre molto veloce con la sua acqua torbida, facendo un’ampia
ansa verso sud. Poi quando il fiume si ripiega verso nord, la ciclabile senza
perderlo di vista sale sulle colline e offre scorci panoramici impareggiabili.
Siamo nella regione della Wachau, una delle più belle zone dell’Austria.
Pedaliamo in una terra verde coltivata a vigneti e frutteti lungo le pendici
collinari, mentre le sommità delle alture sono ricoperte da fitti boschi.
Attraversiamo piccoli paesi dal tratto antico e, come ogni valle fluviale degna
di rispetto, non mancano sugli speroni rocciosi i castelli, segni di una storia
millenaria.
A Spitz traghettiamo sull’altra riva e seguendo la corrente fluviale ritorniamo
a Krems con un giro di circa 40 chilometri.
La ciclabile della riva destra è poco impegnativa, in quanto costeggia sempre il
fiume, però è meno paesaggistica, tuttavia offre altre occasioni. Passa
attraverso i frutteti. Sono maturi i mirtilli, le more, le albicocche, mentre
stanno ancora aspettando il loro tempo le mele e le pere.
I contadini hanno messo piccole bancarelle ai bordi della strada e vendono i
loro prodotti: frutta, marmellate, liquori casalinghi.
Ci fermiamo tre volte per comperare dei mirtilli, delle albicocche, un vasetto
di marmellata e una bottiglia di liquore di albicocca.
La frutta colta matura dagli alberi è una delicatezza, che solo durante qualche
vacanza ci è possibile gustare. Potremmo dire di no a tanta bontà, che viene
venduta anche a prezzi davvero convenienti?
Dopo cena giunge davanti alla porta del camper un germano reale maschio, tutto
scodinzolante attira la nostra attenzione. Abbiamo avanzato un po’ di pane,
glielo diamo a pezzettini, lo mangia tutto. Mentre lui si avvia verso altri
mezzi, sicuro di poter continuare la sua cena, noi andiamo a visitare il paese.
Ci fermiamo alla fiera e facendoci prendere dalla gola gustiamo un delizioso
dolce all’albicocca, poi ci addentriamo nell’abitato. Giriamo per le sue
stradicciole acciottolate, illuminate da lampioni gialli. Sono deserte e
silenziose, nascondono angoli suggestivi.
Lunedì 20 luglio
La giornata odierna inizia con un altro breve trasferimento: la meta è Vienna.
Percorriamo la Romantikstrasse, la strada che arriva alla capitale tagliando a
mezza costa il versante destro della riva danubiana. Attraversa piccoli paesi,
le cui case sono allineate lungo la strada stessa.
Il paesaggio cambia col passare dei chilometri. La zona verde frutticola è
seguita da una zona gialla per le coltivazioni dei girasoli e dei cereali.
Presso Vienna il territorio è boscoso, transitiamo attraverso un’estesa faggeta
e durante una breve sosta gustiamo dei dolcissimi lamponi che occhieggiano rossi
tra il fogliame del sottobosco.
L’ingresso in città non è complesso, perché non incontriamo traffico e, grazie
al navigatore, arriviamo senza indugi al camping Wien Süd, sotto una
pioggerellina sottile.
Dopo pranzo il cielo si apre, azzurro e sole fanno capolino. Con l’autobus che
passa davanti al campeggio e la metropolitana in mezz’ora siamo in centro.
Visitiamo la cattedrale dedicata a santo Stefano. Essa è molto bella
esternamente, mentre il suo interno gotico è male accostato agli altari
barocchi. Rinomato è il suo tetto di tegole colorate. Su un suo lato è
rappresentato lo stemma asburgico. Sulla piazza si affaccia un moderno edificio
di vetro e acciaio nel quale si specchia la torre del duomo. La visione
d’insieme è interessante. La piazza è popolata da un numero incredibile di
turisti, che devono stare attenti a non farsi
accalappiare dai tanti “Mozart”,
che la abitano, sempre pronti a spillare un po’ di euro per un momento kitch.
Giuseppe, che conosce bene la città, essendoci stato diverse volte per lavoro in
altre stagioni, fa da guida, ma non ritrova la pacata atmosfera conservata nei
suoi ricordi. Ci nasce l’idea di tornarci quest’inverno per visitare i suoi
musei e respirare la sua austera ed elegante regalità.
Proseguendo a piedi per l’isola pedonale oltrepassiamo la colonna eretta in
ricordo della peste e arriviamo al Rathaus. E’ un bell’edificio di stile
neogotico con un’altissima guglia. Purtroppo non è possibile ammirarlo nel suo
splendore, perché la sua facciata è celata da un megaschermo e il giardino
antistante è tutto occupato da chioschi e tavolini. Seguendo il Ring passiamo
davanti al Parlamento e arriviamo all’Hofburg, il palazzo imperiale. Qui
si tocca con mano la grandezza che ha avuto un tempo questo Paese. Anche
l’atmosfera di questo luogo è d’altri tempi. Lente ed eleganti sfilano le
carrozze.
Per andare al Teatro dell’Opera percorriamo la strada che lo collega alla
piazza del duomo. Lungo il suo corso per terra si trovano incisi su lastre di
marmo i nomi dei musicisti che hanno diretto l’orchestra di questo famosissimo
teatro. L’ultimo nome inciso è quello di Claudio Abbado, ne siamo orgogliosi.
Tornando verso la metropolitana ci fermiamo in una piccola chiesa per dire una
preghiera. E’ la chiesa dei Cavalieri di Malta, ha le pareti ornate con gli
stemmi di famiglie nobili e un piccolo, bell’organo. Poi ci dedichiamo allo
shopping, acquistiamo un regalo di Natale e presso l’hotel Sacher una piccola,
buona e famosissima Sachertorte, perché non si può venire a Vienna e non
gustare il suo esclusivo dolce.
Tornati in campeggio incontriamo i primi italiani della nostra vacanza.
Martedì 21 luglio
L’intensa giornata inizia con un tempo di relax, durante il quale Giuseppe
facendo colazione termina la lettura del giornale di ieri.
Mentre stiamo per raggiungere la fermata, il bus che dobbiamo prendere ci passa
davanti, corriamo. A Paola sembra di essere a Milano, dove sovente le capita di
salire al volo sui mezzi pubblici.
La nostra mattinata la dedichiamo al castello di Schönbrunn, che è stato
la residenza estiva degli Asburgo. Nato come casino di caccia è cresciuto
insieme alla potenza dell’impero asburgico. Nel XVII secolo fu trasformato in
palazzo. Raso al suolo dai turchi durante l’assedio del 1683, l’imperatore
Leopoldo II lo fece ricostruire. In seguito fu ristrutturato dall’imperatrice
Maria Teresa in stile barocco. Nel 1916 il pronipote di Maria Teresa, Francesco
Giuseppe morì in questa reggia. Acquistiamo il biglietto per il tour classico,
che comprende la visita del castello, del giardino e del Belvedere.
Le sale del castello sono molto belle, arredate con i mobili imperiali, hanno
stupendi pavimenti di parquet di legno intarsiato e preziose suppellettili. In
particolare ci piacciono la sala in noce, che ha le pareti rivestite con
pannelli di noce decorati in oro, il salotto dell’imperatrice, che ha le pareti
rivestite da una tappezzeria di seta chiara e sontuosi mobili, il salone cinese
blu, tappezzato con carta di riso cinese del settecento. Quest’ultimo salone ha
anche un’importanza storica, infatti è qui che l’11 novembre 1918 l’imperatore
Carlo I rinunciò al trono e dal giorno successivo l’Austria divenne una
repubblica. Molto bella è anche la Galleria degli Specchi, luogo dove si
svolgevano le feste, tuttavia essa non regge il paragone con quella di
Versailles. Purtroppo non riusciamo a documentare in modo ampio quanto vediamo,
perché incomprensibilmente è vietato fotografare.
La nostra visita prosegue nel giardino. Attraverso una fresca galleria di vite
del Canada raggiungiamo la terrazza, che permette di ammirare il bel giardino
all’italiana sul quale si affaccia il retro del palazzo imperiale. Poi giriamo
per l’agrumeto. Potessimo farvi sentire il profumo! Sono coltivate diverse
essenze: aranci, cedri, mandarini, limoni, bergamotti, pompelmi. Molte piante
sono già ornate con i loro frutti maturi, gialli e arancioni, che danno un tocco
di colore al verde intenso del fogliame. Altre piante sono ancora in fiore e
sono visitate da operose api.
Ci rechiamo al Belvedere. Saliamo su una collinetta ai cui piedi c’è l’imponente
fontana di Nettuno. Dall’alto lo sguardo spazia sulla città, tutta circondata da
boschi e campagna.
Ora la fame inizia a farsi sentire, sono già le 13.00. Ci accontentiamo di un
gelato e una bottiglietta d’acqua e con la metropolitana andiamo al Prater, il
parco dei divertimenti, rinomato per la grande ruota panoramica. E’ proprio
questa attrattiva che ci porta qui. Inaugurata nel 1897 in occasione del
cinquantenario dell’ascesa al trono dell’imperatore Francesco Giuseppe, questa
grande ruota di ferro imbullonato è diventata il simbolo di Vienna. Saliamo
sulla cabina numero 10 insieme a una famigliola tedesca. Lentamente la ruota si
mette in moto, si ferma di tanto in tanto per permettere la discesa e la salita
di altri turisti. Sotto di noi si alzano le grida dei ragazzi che corrono veloci
sulle montagne russe e su altri scivoli scoscesi. L’orizzonte si allarga sempre
più, aiutati dal profilo della città disegnato all’interno della cabina
riconosciamo le guglie delle varie chiese, i grattacieli principali e in
lontananza Schönbrunn col suo Belvedere.
Lentamente la cabina scende, il caldo torrido di questa giornata torna a farsi
sentire. Ci muoviamo ancora con la metropolitana, sulla quale è possibile
caricare le biciclette e raggiungiamo il Palazzo dell’ONU. Sul piazzale
antistante troviamo dei profughi iraniani; silenziosamente chiedono di non
dimenticare il loro popolo martoriato, che in questi giorni sta patendo una
cruenta repressione. Poi ci spostiamo sul Danubio, perché è lui il protagonista
della nostra vacanza. Qui a Vienna il suo corso è stato modificato. Il letto
originario, un tempo controllato da un faro, è semichiuso e fa parte di un parco
di divertimenti. La sua acqua tranquilla oggi riflette l’azzurro del cielo ed è
di un bel colore blu. Tra il vecchio e il nuovo Danubio si estende una lunga
isola percorsa anche da una pista ciclabile. Il nuovo Danubio scorre marrone tra
gorghi e piccole onde create dai battelli turistici che lo navigano.
Sulla via del ritorno ci fermiamo nuovamente in centro, dove giriamo per il
quartiere che si estende da dietro il duomo al Ring. Anche qui case eleganti,
grandi alberghi, tante librerie e piccoli negozi di artigianato. In uno di essi
comperiamo un gufetto di terracotta verniciata da aggiungere alla nostra
collezione.
Mercoledì 22 luglio
Altro breve spostamento da Vienna a Bratislava. L’uscita dalla città non è
complessa, perché abbiamo alloggiato già nella giusta direzione. Transitiamo per
quartieri sempre più periferici e popolari, poi oltrepassati un grande impianto
petrolchimico e l’aeroporto, viaggiamo soli su una lunga strada che punta
diritto verso la Slovacchia. Percorriamo una zona piuttosto desolata, che
costeggia il Danubio, ma non ce lo fa vedere. Incontriamo pochi paesi nei quali
spiccano i campanili a cipolla. Superata la frontiera, dove non ci sono più
controlli, vediamo in lontananza Bratislava, adagiata sulla riva sinistra del
Dunaj, così si chiama il Danubio in slovacco.
Essa è dominata da un grande castello quasi completamente ricoperto da
impalcature. Ci fermiamo al camping Zlaté Piesky, che si trova in
prossimità del capolinea del tram n. 4, che porta in centro città.
Alla reception, terminata la registrazione, ci consegnano un foglio rosso
scritto in inglese. E’ del dipartimento di polizia, riporta una serie di
raccomandazioni e consigli utili per prevenire furti e scassi e i numeri da
chiamare in caso di emergenza.
Anche oggi il cielo è completamente terso, splende un raggiante sole estivo, la
temperatura ha già raggiunto i 30° C.
Visitiamo la città. La nostra prima tappa è il Danubio. E’ impressionante la
massa d’acqua che trasporta. Sulle sue rive ci sono numerosi pontili per
l’attracco dei battelli. Questo fiume vive più di turismo che di commercio e ciò
è abbastanza comprensibile, se si considera che sfocia in un mare chiuso, il mar
Nero e che attraversa paesi non particolarmente industrializzati.
Il centro storico di Bratislava, capitale della
Slovacchia, è raccolto in un
fazzoletto di terra. Saliamo al castello. Gradino dopo gradino lo raggiungiamo
sulla cima della collina. Ha la forma rettangolare, i suoi quattro angoli sono
sormontati da quattro torri quadrate, che terminano con delle torrette a base
ottagonale, chiuse da un tetto conico. E’ in completa ristrutturazione. Da qui
si ha però un’ampia veduta della città nuova. Si vedono i moderni ponti che
attraversano il Danubio, che è largo più di 200 metri. Sulla sua riva destra
sono sorti moderni grattacieli che non hanno lasciato alcun spazio al verde.
Torniamo nella città vecchia, è tutta isola pedonale. Bratislava è una
tranquilla cittadina, non ha l’aspetto della capitale. Il suo centro non è stato
ancora occupato dai negozi delle grandi firme. Camminiamo lungo le sue vie
acciottolate, vediamo la cattedrale dedicata a san Martino. Essa è un monumento
storico, costruito in stile gotico sui resti di una precedente chiesa romanica.
Il simbolo della città è però la porta di san Michele. Essa è l’unica porta che
rimane delle quattro delle antiche mura medioevali della città. Sopra la porta
si eleva una torre, che alla metà del XVI secolo subì delle modifiche, che le
hanno dato l’attuale aspetto barocco. Sotto la porta è presente una
circonferenza in cui sono indicate le varie distanze con alcune città del mondo,
compresa Roma.
E’ sera, il sole è tramontato, ma fa ancora molto caldo. Mentre ci dedichiamo ai
nostri passatempi fino a quando la cupola si ammanta di stelle, nel prato passa
furtivamente un riccio, che prosegue il suo cammino infilandosi sotto il camper
degli olandesi nostri vicini.
Giovedì 23 luglio
Alle ore 9.30 lasciamo il luogo dove abbiamo dormito. Chiamarlo campeggio è
un’offesa per tutti i camping rispettabili. E’ molto rumoroso, fino a mezzanotte
è giunta la musica suonata ad alto volume dalla vicina spiaggia del lago
prossimo ad un suo lato e al mattino è iniziato presto il frastuono del traffico
della statale che porta in città. Ha servizi inadeguati sotto tutti gli aspetti,
per nostra fortuna il camper è autosufficiente al riguardo! Senza divisione in
piazzole si è riempito in modo disordinato con scarso rispetto per gli spazi
vitali degli equipaggi. D’altra parte non abbiamo avuto scelta, è l’unico
campeggio della città.
Il trasferimento odierno prevede l’uscita dalla Slovacchia e l’ingresso in
Ungheria.
Programmiamo Tom su un percorso alternativo all’autostrada. L’itinerario
seguito ci stacca dal Danubio. Passiamo per una zona agricola coltivata
abbondantemente con mais e girasoli. Pochi sono i paesi incontrati. Essi ci
appaiono piuttosto anonimi, piccole casette tutte uguali e grigi caseggiati
dagli ingressi minuscoli e dalle finestre quadrate.
La Slovacchia ci sembra un paese ancora povero, ma in rapida crescita. Infatti
si sta sviluppando la rete dei centri commerciali, diffusissimi sono i
cartelloni pubblicitari, il parco macchine è formato da veicoli vecchi, alcuni
provenienti dai paesi occidentali e non più in produzione, ma anche da
automobili attuali, molte delle quali di grossa cilindrata. Vivace è il traffico
commerciale, camion e furgoni corrono veloci su strade costruite con lastroni di
cemento. La strada che percorriamo, per parecchi chilometri è fiancheggiata da
filari di alberi di noce e di betulla.
Tra Stúrovo e Esztergom ritroviamo il Danubio, che qui fa da confine.
Percorriamo il ponte di ferro Maria Valeria, ricostruito nel 2002, dopo
che era stato distrutto durante la II guerra mondiale e siamo in Ungheria. Ci
fermiamo al Gran Camping di Esztergom, che è su un’isola compresa tra il
grande Duna, così si chiama il Danubio nella lingua magiara, e il piccolo
Duna. E’ prossimo alla cittadina.
Esztergom si trova in una bella posizione, è adagiata su una collina che domina
il Danubio, che qui raggiunge una larghezza di 300 metri. La sua collocazione
strategica ha determinato e condizionato la sua storia. Nel I secolo vide un
insediamento romano, di cui rimangono alcune tracce.
All’inizio del X secolo l’Ungheria era soggetta alle cruente incursioni dei
Magiari, tribù nomadi provenienti dall’est. Nel 973 Geza, principe dei magiari e
suo figlio Vaik si convertirono al cristianesimo. In seguito il principe
intraprese una difficilissima impresa di stabilizzazione della sua gente nel
territorio. Si trattava di trasformare il popolo da nomade a stanziale, quindi
di sostituire le tende con le case e il saccheggio con il lavoro agricolo. Alla
morte di Geza suo figlio, che con il battesimo aveva preso il nome di Stefano,
ne continuò l’opera. In suo aiuto intervenne il papa Silvestro II, che gli inviò
la corona regia insieme al titolo di “re apostolico”. Stefano organizzò la vita
politica e religiosa dell’Ungheria costituendola in contee ed elesse Esztergon
come sede vescovile e capitale del regno.
Dopo la sua morte avvenuta il 15 agosto 1038, fu eletto agli onori degli altari
nel giorno dell’Assunta del 1083.
Sulla collina di Esztergon sorse una chiesa, che fu poi distrutta dai turchi nel
XVI secolo. La basilica che oggi è presente sulla collina è la più grande chiesa
dell’Ungheria. E’ stata costruita nella prima metà del XIX secolo in stile
neoclassico. E’ ancora oggi la sede del Primate di questa nazione.
Raggiungiamo la basilica attraverso un ripido sentiero tagliato nel bosco.
Dall’alto si gode di un ottimo panorama sul Danubio e sulla Slovacchia, che sta
al di là del fiume.
La basilica è dedicata a Maria Assunta, capo, madre e maestra della Chiesa
ungherese. Il suo interno è molto ampio e piuttosto disadorno. Alzando lo
sguardo verso la cupola troviamo che un po’ ci appartiene. Infatti alla base dei
quattro pilastri che la sostengono sono raffigurati dei padri della chiesa: san
Geronimo, san Gregorio, sant’Agostino e il nostro sant’Ambrogio.
Nella cripta, che non riusciamo a visitare, perché è chiusa, sono conservate le
spoglie dell’arcivescovo József Mindszenty. Egli eroicamente si oppose al
regime comunista, pagando enormi conseguenze. Consacrato sacerdote nel 1915, fu
imprigionato nel 1919, durante il breve regime comunista e di nuovo nel 1944,
quando al potere c’era un partito di ispirazione fascista. Nel 1945 venne
consacrato arcivescovo di Esztergom e l’anno dopo fu nominato cardinale. Nel
1948 si oppose al nuovo regime comunista, rifiutandosi di secolarizzare le
scuole cattoliche. Per questo fu arrestato, torturato e condannato
all’ergastolo, con l’accusa di tradimento.
Liberato durante la rivolta del 1956, quando i comunisti tornarono al potere si
rifugiò nell’ambasciata americana e lì rimase per moltissimi anni. Nel 1974
riuscì a trasferirsi a Vienna e un anno dopo morì chiedendo di non essere
riportato in patria fino a quando in Ungheria ci fosse stata la presenza
militare sovietica. Le sue spoglie furono traslate a Esztergom nel 1991.
Scendiamo dalla collina, percorrendo una lunga scalinata e visitiamo
Viziváros, la città dell’acqua, un piccolo quartiere affacciato alla riva
del piccolo Danubio. Ha belle case color pastello. Purtroppo non è possibile
dare un quadro d’insieme, perché la piazza è completamente occupata da stand.
Troviamo anche un bancomat per prelevare i fiorini, la moneta ungherese. E’
strano, il paese dell’est che quando sono caduti i regimi comunisti era il più
occidentalizzato, non ha ancora l’euro! Fa un certo effetto digitare la cifra
ventimila, ma essa equivale a circa 70 €!
Mentre ceniamo con insalata di pasta e formaggio, si avvicina il signore
ungherese della roulotte che sta di fronte al nostro camper. Ci offre,
parlandoci in tedesco, quattro albicocche, che dice di aver raccolto nel suo
giardino. Ringraziamo per il dono ricevuto: sono ancora più buone di quelle
acquistate in Austria.
Dopo cena, appena usciti dal campeggio guardiamo il Danubio grigio-rosso che ha
salutato il sole e si prepara per la notte.
Venerdì 24 luglio
Campeggio tranquillo quello di Esztergom, dotato di piscina, è frequentato da
famiglie ungheresi, ma anche dai soliti silenziosi olandesi e poche altre
nazionalità: inglesi, belgi, svizzeri e noi, unici italiani.
Notte movimentata! Mezz’ora dopo la mezzanotte viene improvvisa una tempesta di
vento, che reca con sé poche gocce d’acqua, strappate dal cielo chissà dove.
Le fronde degli alberi gemono squassate da tanta violenza. I rami scricchiolano
mentre il vento si abbatte furioso contro le pareti del camper urlando il suo
impeto. All’una ci alziamo per chiudere il tendalino, nel timore che si rompa e
per riporre le nostre poltroncine. Non siamo i soli a uscire in pigiama. Chi
dorme nelle tende sta rinforzando i picchetti, altri ripongono le sedie, i
tavolini, la biancheria stesa. Alle due il vento cessa all’istante. Il campeggio
ripiomba nel silenzio più assoluto e noi nel sonno profondo, che ci accompagna
fino alle ore 9.00.
Oggi ci spostiamo di circa 30 chilometri e raggiungiamo Visegrád, il cui nome di
origine slava significa castello alto.
Ci fermiamo al camping Jurta. Esso ha il nome della tenda dei popoli
mongoli, che giunsero fin qui nel XIII secolo. E’ situato alto sulla collina a
due chilometri e mezzo dal paese. E’ un piccolo e tranquillo campeggio, condotto
da dei giovani, che offrono il futuro, ma non pensano concretamente ai bisogni
del presente. Infatti nel camping è possibile collegarsi liberamente a internet,
ma non ci sono le lavatrici! Paola torna alle origini dei suoi campeggi e fa un
bucatone a mano. Nel pomeriggio con una passeggiata di 40 minuti, seguendo una
mulattiera tagliata in un fresco bosco di querce e faggi, che offre accattivanti
scorci sul serpeggiante Danubio, andiamo a visitare la Cittadella.
Visegrád ha una storia secolare, fortezza dei romani nel IV secolo, ebbe il suo
massimo splendore nel XV secolo, quando divenne la seconda capitale
dell’Ungheria. Qui veniva il re nel periodo estivo. Dopo la distruzione subita
dai turchi, fu nuovamente abbattuta all’inizio del 1700 dagli Asburgo.
La
Cittadella è situata sulla cima della collina, che domina il Danubio, offre
una vista spettacolare sul corso d’acqua che, irradiato dal sole, scorre dorato
tra le sue rive boscose. La Cittadella è circondata da un fossato scavato
nella roccia. E’ stata in parte ricostruita, ospita sale con le testimonianze
storiche della vita del castello e la preziosa corona d’oro tempestata di pietre
preziose di re Stefano. La corona è formata da due parti, quella inferiore,
detta greca, ha figure di santi e iscrizioni greche, quella superiore o latina
raffigura gli evangelisti.
Le varie parti del castello sono collegate tra loro da scale, passerelle e ponti
levatoi. Si trovano ricostruiti oggetti medioevali, come la catapulta in legno e
la gogna. Paola vi si intrappola. Le sue studenti a volte vorrebbero vederla
così, ma come lei dice sempre: “non si sa chi viene dopo!”
Ancora uno sguardo al panorama ed ecco un’ombra oscura per un attimo il sole: è
un falco, che rotea sopra la boscaglia del dirupo. Ha attaccato alle zampe dei
nastri. Giuseppe capisce subito che è addestrato, cambia obiettivo, fotografa.
Iniziamo a cercare il falconiere. Dopo un po’ richiamati dal verso del falco lo
vediamo camminare lungo il fossato con il volatile al braccio. Lo seguiamo e
quando lo raggiungiamo ha già legato il falco al trespolo accanto a dei suoi
simili.
Rientrando in campeggio ci fermiamo alla Casa Culturale nella Foresta, è
chiusa, perché non è periodo scolastico. E’ un edificio costruito in legno e in
parte ricoperto di zolle erbose. E’ un luogo dove si promuove l’educazione
ambientale delle nuove generazioni.
La nostra cena termina con le prugne raccolte ai piedi degli alberi del giardino
della Casa nella Foresta.
Sabato 25 luglio
Notte calda, nonostante siamo a 350 metri di altitudine e sulla sommità di una
collina. Ci addormentiamo vegliati da tre stelle, che fanno capolino attraverso
l’oblò aperto e cullati dal canto dei grilli e ci svegliamo dopo qualche ora,
perché una pioggerellina sottile ci spruzza il letto. Poi di nuovo ci
addormentiamo coccolati dai tenui suoni della natura e ci svegliamo al trillo
della sveglia.
Ci spostiamo di circa 30 chilometri fino a Szentendre. Perché non in bicicletta?
La Slovacchia e l’Ungheria non hanno ancora scoperto quale ricchezza turistica
può essere anche per loro il Danubio. Non hanno la pista ciclabile e le strade
che seguono il fiume sono abbastanza strette, trafficate e con il fondo a tratti
molto sconnesso, proprio lungo i loro bordi, cioè dove pedalano i ciclisti. Per
questo preferiamo il camper.
Il problema più urgente di oggi è quello della spesa. L’Ungheria non essendo
ancora entrata nella zona euro, non ha ancora diffusi i centri commerciali. Non
è che noi rifiutiamo a priori i piccoli negozi, ma qui la scelta diventa poco
proponibile a causa della lingua, anche se abbiamo verificato che molte persone
dai cinquant’anni in su capiscono e parlano un po’ il tedesco e i giovani un po’
l’inglese.
A Szentendre c’è un supermercato, lì ci approvvigioniamo dei viveri necessari
per i prossimi giorni. Alloggiamo al camping Pap-Sziget. Si trova su una
piccola isola compresa tra una lanca del Danubio e il corso del fiume. Ci
accolgono calorosamente due signore, una parla inglese e affronta la
registrazione del nostro arrivo, l’altra col suo bel viso tondo, tipico dei
magiari, e con cordialità, parlando un discreto italiano, fa la promozione
turistica della sua cittadina. Ci consegna anche una buona documentazione su
Budapest scritta in italiano e ci dà informazioni su come raggiungere la
capitale coi mezzi pubblici, sugli orari, sui tipi di biglietto e i loro costi.
Dopo pranzo con una passeggiata di circa 40 minuti andiamo a visitare Szentendre,
un’altra piacevole cittadina allineata sulla riva destra del Danubio. Il suo
centro è caratterizzato dalla presenza di numerose chiese. La prima che
visitiamo è la chiesa di san Pietro e Paolo. E’ addobbata per un matrimonio e
un’intransigente signora oppone resistenza al nostro ingresso. Le chiediamo
l’orario delle messe e, ricevuta l’informazione, usciamo proprio nel momento in
cui sta arrivando la sposa. Si forma il corteo nuziale ed entrano in chiesa. Le
auguriamo un matrimonio saldo e pieno d’amore.
Poi camminando per le vie acciottolate ci fermiamo a curiosare nei negozi di
ricami e di ceramiche e a guardare gli acquarelli, che diversi pittori espongono
lungo la strada.
Szentendre è una cittadina che richiama molti artisti per i suggestivi scorci e
per i colori del suo bel fiume, che è solo a metà del suo corso.
Arriviamo nella piazza principale dove c’è una grande croce di ferro decorata
con icone, poco più avanti c’è una piccola chiesa: la chiesa di
Blagoveštenska. E’ di rito ortodosso; in questa città nel XVI secolo
arrivarono dei profughi serbi, che fuggivano dai turchi che stavano occupando le
loro terre. L’interno di questa chiesa è davvero bello e reso ancora più
gradevole dalla musica sacra che lo riempie. Sulle pareti laterali diversi
quadri narrano degli episodi della vita di Gesù.
Continuando il nostro girovagare percorriamo la via principale, che è un grande
emporio commerciale, tutto ristoranti e negozi di souvenir. In fondo ad essa si
alza imperioso un campanile rosso. Ci attrae. Lo raggiungiamo. Anche questa
chiesa è di rito ortodosso. E’ chiamata Cattedrale di Belgrado. Il suo
interno è incantevole. L’iconostasi rappresenta la Trinità e sotto di essa è
rappresentata la visitazione di Maria. Accanto ci sono immagini sacre di santi.
Di legno dipinto sono sia il pulpito, sia lo scranno sacerdotale. La visita di
questo centro di culto comprende anche un piccolo museo di arte e arredi sacri.
Osserviamo che nei secoli in questo paese un santo molto venerato è san Giorgio.
Nelle chiese e anche in questo piccolo museo numerosi sono i quadri che lo
rappresentano.
Fuori nel giardino un’altra sposa sta posando per il servizio fotografico.
Auguri anche a lei!
Rientrando in campeggio notiamo che una delle prime piazzole è occupata dal
piccolo camper di una coppia di tedeschi con i quali ci rincorriamo e ci
incrociamo da una settimana nei camping o nei giri in bicicletta. Anche loro ci
riconoscono, ci salutiamo cordialmente.
Domenica 26 luglio
Non ci capita spesso di riposare alla domenica, oggi sarà così.
Dopo una buona colazione con le biciclette ci rechiamo all’imbarcadero del paese
per traghettare sull’isola di Szentendre, che divide il Danubio in due rami da
poco dopo Visegrád fino quasi a Budapest. Il battellino che prendiamo trasporta
solo persone e biciclette, non ha orari, quando è carico parte. Arriviamo giusto
in tempo per imbarcarci e salpare. Pochi minuti e siamo sull’isola, che è una
lunga lingua sabbiosa percorsa da una strada secondo la sua lunghezza e da
qualche via trasversale, che porta ad altri imbarchi verso la riva destra o
sinistra del fiume. Pedaliamo in contro corrente rispetto al flusso del Danubio.
La strada è interna e non offre scorci sull’acqua.
Sono le 11.00, quando entriamo nel villaggio di Szigetimonostor. Sta suonando la
campana della piccola chiesa, per segnalare l’inizio della messa. Ci fermiamo.
Il nostro programma prevedeva la messa questa sera, ma offrire la nostra gita al
Signore ci sembra una buona cosa. La chiesa è piena in ogni suo posto. Insieme
ad altre persone, in piedi nell’androne, partecipiamo alla celebrazione. La
piccola comunità è viva, canta e prega in modo corale. Quando proiettano il
versetto del salmo responsoriale su un piccolo schermo posto in alto di fianco
all’altare, notiamo che l’ungherese, come l’italiano, è una lingua fonetica,
cioè si legge come si scrive, ma è talmente diverso da ogni altra lingua che
risulta completamente incomprensibile. Durante la predica capiamo solo la parola
Krisztus. Il sacerdote nomina spesso Gesù, chiamandolo Cristo. Questo ci
colpisce, perché nelle prediche dei nostri sacerdoti è raro che questo succeda.
Un momento commovente è la recita del Padre nostro. Tutti si prendono per mano,
le mani si intrecciano anche con tre o quattro persone a formare un’unica rete,
anche noi entriamo a pieno titolo, seppure per un giorno, nella piccola
comunità. Un gesto semplice e di autentica fratellanza. Al termine della messa,
mentre riprendiamo le biciclette ammiriamo questa comunità composta da tante
generazioni di uomini e donne, che si lasciano solo dopo essersi salutati con
trasporto e affetto.
Proseguiamo la nostra pedalata. Il territorio dell’isola è poco fertile, le
colture agricole stentano a crescere. C’è qualche campo rinsecchito di mais e di
girasoli. Per lo più si allevano cavalli. Florida è invece la vegetazione
spontanea, chissà perché alle erbe e alle piante infestanti basta davvero poco
per crescere rigogliose! Sembra di vedere rappresentata la parabola della
zizzania.
Passiamo dal villaggio di Taitoftalu e alle 13.15 raggiungiamo l’imbarcadero che
ha di fronte la cittadina di Vác. Al chiosco comperiamo un gelato e dell’acqua,
il nostro pranzo. Poi riprese le biciclette percorriamo a ritroso la strada. Il
vento che adesso soffia in nostro favore ci avvantaggia nella velocità. Per
tornare a Szentendre decidiamo di utilizzare l’imbarco di Pocsmegyer. Il
traghetto che prendiamo trasporta anche automobili, ma fa paura, perché è stato
costruito col “fai da te”. Infatti a un battellino è stata agganciata su un
fianco una zattera di legno. Saliamo e con noi cinque automobili e altre dieci
biciclette. Il motore ruggisce forte, con fatica il traghetto si stacca dalla
riva e prende il largo, poi si indirizza verso la sponda opposta. Speriamo in
bene, un tuffo in queste opache acque gialle non ci attira proprio!
Approdiamo indenni e dopo dieci minuti siamo in campeggio. Con calma ci
documentiamo con più precisione su Budapest, per programmare in modo efficace i
prossimi due giorni.
Poi, prima di iniziare il conto alla rovescia che nel giro di una settimana ci
riporterà a casa, ceniamo in un ristorante tipico, il Rab Ráby: gulasch bagnato
con un buon bicchiere di vino rosso.
Lunedì 27 luglio
Mezz’ora di autobus e dieci minuti di metropolitana sono il tempo che separa il
campeggio di Szentendre dal centro di Budapest. La giornata odierna è dedicata a
Buda, la città che sorge sulla sponda destra del Danubio, che con Pest, che è
sulla riva sinistra, forma la capitale dell’Ungheria.
Usciamo dalla linea 3 della metropolitana in prossimità del Ponte delle
Catene, che è il primo ponte fisso costruito sul tratto ungherese del
Danubio. Inaugurato nel 1849 sopporta un discreto traffico. E’ un ponte di
ferro, ornato con statue e lampioni. Avrebbe bisogno di una buona
ristrutturazione, infatti qua e là il ferro presenta dei buchi, perché
completamente corroso dalla ruggine. Percorrendolo da Pest a Buda offre una
bella visione del Palazzo Reale, che è eretto sulla cima della collina,
che precipita verso il fiume. Superato il ponte, saliamo sulla collina con la
costosissima cremagliera. Non potevamo scegliere giorno peggiore! Oggi è il
lunedì che segue il Gran Premio di Ungheria di Formula 1. Evidentemente ieri qui
si sono svolti dei ricevimenti e delle esposizioni. La zona è tutta un cantiere.
Centinaia di carpentieri stanno smontando gli stand. Camion e furgoni occupano i
cortili del Palazzo reale. C’è ben poco da fotografare! A testimonianza di tutto
questo traffico c’è però ancora in esposizione il bolide della Red Bull. E’
ammirato da tutti i turisti qui oggi convenuti, è curato e protetto da diversi
uomini della security come se fosse un grande della terra.
Il castello domina possente l’altura. Sorse in questa posizione nel XIII secolo,
dopo l’invasione dei tartari. Fu successivamente ampliato, subì distruzioni a
causa di incendi, guerre e terremoti. Gli incendi causati dalla II guerra
mondiale distrussero il suo arredamento costituito di mobili antichi.
Attualmente si presenta in stile rinascimentale, ciò deriva da un processo di
ristrutturazione avvenuto durante il regno di re Mattia soprannominato Corvino
dal fregio della sua armatura, rappresentante un corvo. Dotato di uno spirito
molto aperto, re Mattia fu un appassionato mecenate e introdusse in Ungheria la
cultura rinascimentale.
Entriamo nei cortili del castello attraverso la Porta
di Mattia Corvino, da questa posizione si ha un’ampia vista sul Danubio, che
con signorilità passa sotto i numerosi ponti e su Pest, che si affaccia al
fiume col suo maestoso Palazzo del Parlamento e altri eleganti edifici.
Rimanendo sulla sommità della collina transitiamo per la piazza della Santa
Trinità. E’ la zona medioevale di Buda. In mezzo si erge l’omonima colonna
barocca, costruita per commemorare la fine di un’epidemia di peste, per questo è
detta Colonna della peste. Proseguendo giungiamo alla chiesa
dell’Assunta. Essa è conosciuta come Chiesa di Mattia Corvino, perché in
questa chiesa nel 1474 vennero celebrate le nozze tra il re Mattia e Beatrice
d’Aragona, figlia di Ferdinando I re di Napoli. La chiesa di stile neogotico
risale al XIV secolo, ha subito restauri e ampliamenti in epoche successive. Le
sue pareti interne sono tutte affrescate. In una cappella laterale conserva le
spoglie del re Bela IV, il sovrano che l’ha fatta costruire. Anche esternamente
è molto bella. Ha il tetto ricoperto da tegole colorate. Di esso si vede solo
una parte, perché è in ristrutturazione, così come il campanile.
Proseguendo giungiamo al Bastione dei Pescatori. Il suo nome deriva dal
fatto che in questa zona nel medioevo c’era il mercato del pesce. E’ una
costruzione di pietra bianca eretta all’inizio del 1900 sul tratto delle antiche
mura la cui difesa era affidata alla corporazione dei pescatori. E’ un buon
punto panoramico. Le sue sette torri bianche rappresentano le sette tribù
magiare, fondatrici del popolo ungherese.
E’ destino, oggi qui in alto i vari monumenti non sono completamente liberi.
Pazienza, questo disagio ci permette di osservare e mostrare il volto vivo della
città.
Qui sui bastioni prima incontriamo un falconiere, che per racimolare qualche
soldo fodera con un bracciale di cuoio l’avambraccio di chi vuol provare
l’ebbrezza di tenere il rapace. La gente guarda e fotografa, soprattutto quando
un impavido inglese si lancia per provare questa emozione.
Poi incontriamo una troupe, che sta girando una scena in costume. Ci sono l’eroe
e la sua innamorata che passeggiano e flirtano sotto il portico, le comparse con
tanto di tuba e i protagonisti invisibili, ma fondamentali: operatori,
elettricisti, fonici, costumista, truccatrice, fotografi, semplici aiutanti e il
regista, che comanda l’azione.
Incuriositi ci fermiamo ad osservare.
Con una scalinata scendiamo dai Bastioni e arriviamo a Visiváros il
quartiere di Buda che è incastrato tra il Danubio e la collina. Seduti a un
tavolino di un piccolo bar affacciato su un giardinetto apprezziamo la sosta e
pranziamo con un toast, un dolcetto e una birra.
Iniziamo il pomeriggio camminando per questo quartiere, il cui nome significa
città dell’acqua, perché subiva le alluvioni del fiume. Una volta questa era una
zona povera, abitata da pescatori e artigiani. Oggi conserva ancora case
antiche, alcune ben ristrutturate e ha anche case moderne, studiate in modo da
non rompere la sua armonia architettonica.
Mentre camminiamo e commentiamo tra noi ciò che osserviamo, si avvicina un
giovanotto magrissimo con in mano una compatta digitale. Porta jeans e una
maglietta gialla. E’ un tipo strano, si presenta dicendoci di essere italiano,
di Monza, di essere stato ieri al Gran Premio di Formula 1. Ci chiede se da
qualche parte abbiamo visto un cartello con scritto solo Buda e subito fa vedere
a Giuseppe le fotografie che oggi ha scattato a Pest. Ci chiede cosa c’è di
bello da vedere a Buda. Gli consigliamo di salire sulla collina. E’ dubbioso, lo
incoraggiamo, perché la collina merita davvero una visita e perché non vogliamo
che diventi una cozza attaccata alle nostre scarpe. Si convince, ci salutiamo e
ognuno prosegue per la sua strada. Noi passiamo per la chiesa di sant’Anna, la
più importante chiesa barocca di Budapest e arriviamo sul lungo Danubio, proprio
di fronte al Parlamento.
Concludiamo il giro di Visiváros, arrivando di nuovo al Ponte delle Catene.
A Pest, secondo l’indicazione della guida, iniziamo a percorrere il viale
Andrássy. E’ ampio, ha l’aspetto elegante; è il viale della moda, vi si trovano
i negozi degli stilisti. Su di esso si affacciano bei palazzi, che hanno però
bisogno di efficaci ristrutturazioni.
I negozi non ci interessano, l’aspetto culturale di Pest fa parte del programma
di domani, perciò prendiamo la metropolitana e ci rechiamo a Kossuth Utca, dove
c’è un giornalaio che vende i quotidiani stranieri. Quella che passa per viale
Andrássy è la linea 1, la linea storica.
La metropolitana di Budapest è la seconda in ordine di anzianità in Europa. Ha
stazioni piastrellate in ceramica e le biglietterie in legno. Le scale mobili
che collegano le gallerie con le uscite sono molto ripide e si muovono
velocemente, tanto che nessuno guadagna tempo salendo o scendendo i loro
gradini. Per poter viaggiare liberamente abbiamo deciso di acquistare il
biglietto di un giorno. Questa mattina l’acquisto non è stato facile, perché
l’edicolante che li vende non conosceva altro che l’ungherese, quindi non capiva
la nostra richiesta detta in tedesco e in inglese. Per nostra fortuna è giunta
una signora che comprendendo il tedesco ha fatto da interprete. Il biglietto di
oggi lo conserviamo, così domani lo potremo mostrare per poter acquistare quelli
che ci servono.
Martedì 28 luglio
Gli inevitabili contrattempi delle vacanze itineranti, programmate, ma sempre
aperte alla casualità, quest’anno si sono concentrati nei due giorni che abbiamo
dedicato alla visita di Budapest.
Andiamo con ordine. Questa mattina, recuperata alla reception la carta di
identità di Giuseppe, necessaria per poter accedere alla visita guidata e
gratuita del Parlamento, ci rechiamo alla fermata dell’autobus. Sono le ore
9.45, l’autobus dovrebbe passare alle ore 10.00. E’ già alla fermata e sta
ripartendo. Riusciamo ad attraversare la strada, gli corriamo incontro e
facciamo cenno all’autista di fermarsi. Questi tira dritto. Pazienza, sulla
palina c’è scritto che ne passa uno anche alle 10.00. Attendiamo, ovviamente
l’autobus arriva con 10 minuti di ritardo. La visita guidata del Parlamento in
italiano è alle 11.30, siamo ancora in tempo. Giunti al capolinea dell’autobus,
sicuri scendiamo in metropolitana ed esibendo il biglietto giornaliero di ieri
ne chiediamo due al giornalaio. Ci dice in ungherese, ma riesce a gesti a farsi
capire, che non ne ha. Siamo esterrefatti: come è possibile che in una stazione
della metropolitana, che raccoglie la gente che scende dai diversi autobus che
qui fanno capolinea, manchino i biglietti? Non lo capiremo mai! Inoltre non ci
sono i dispensatori automatici, è un passo di modernizzazione che questo paese
deve ancora fare. Non è neppure il caso di viaggiare gratis, perché alle uscite
ci sono sempre i controllori che esigono di vedere il biglietto. Il giornalaio,
che rappresenta ciò che abbiamo osservato dell’ungherese medio, ovvero una
persona apatica, poco intraprendente, rassegnata alla sua povertà, con cenni ci
indica di andare dall’altra parte a comperare i biglietti.
Risaliamo e scendiamo sull’altro binario, intanto una metropolitana passa e il
tempo scorre. Dall’altra parte non c’è l’edicola. Percorriamo tutto il binario
fino all’uscita in fondo, non troviamo niente. Allora ritorniamo dal giornalaio,
siamo rassegnati a comperare il biglietto di una corsa, se ce l’ha. Un po’
inviperito il nostro uomo esce dal suo chiosco e indica a Giuseppe di seguirlo e
intima a Paola che si sta accodando di star ferma lì dov’è. Gli fa vedere che
all’inizio del binario opposto c’è uno sportello chiuso con una veneziana e gli
fa capire a gesti di bussare.
Risaliamo e riscendiamo. Bussiamo sul vetro, si apre uno sportellino e si
affaccia un viso slavato e inespressivo. E’ una signora, camicetta bianca e
gonna blu. Le mostriamo il biglietto di ieri, con flemma stacca dal blocchetto
due biglietti, lentamente li compila con la data di oggi e ce li consegna, poi
chiude lo sportello e riabbassa la veneziana.
Ci poniamo delle domande: questa mattina il giornalaio non poteva farsi dare un
blocchetto dall’addetta della metropolitana? Lo sportello dell’addetta perché è
chiuso e non porta l’insegna ticket? Quella signora cosa fa tutto il giorno
chiusa in quello sgabuzzino dotato di una piccola scrivania, un minuscolo
lavello e un fornello? Mistero!
Torniamo al nostro binario, ormai il tempo se ne è andato, la visita del
Parlamento la faremo di pomeriggio. Prima di iniziare le visite pensate per il
dopo pranzo, andiamo al Parlamento per vedere da che parte si entra. Non si
entra.
Infatti, mentre sulla guida c’è scritto di presentarsi con 15 minuti di anticipo
rispetto l’orario della visita, la realtà è un po’ diversa. Gli ingressi sono
a numero chiuso, i biglietti sono in distribuzione a partire dalle ore 8.00.
Adesso in attesa della richiesta di biglietto c’è una lunga coda. Siamo
combattuti se affrontarla o no. Infatti se poi trovassimo il biglietto,
perderemmo la visita di altre cose che riteniamo importanti, se non lo
trovassimo avremmo perso del tempo cuocendo sotto il sole.
Rinunciamo al Parlamento, che fotografiamo dall’esterno. La sua struttura si
ispira al parlamento britannico. Ha una grande cupola neorinascimentale che
collega le due ali dell’edificio di stile neogotico. Ospita le principali
istituzioni del paese ed è la residenza del Presidente della Repubblica.
Ci dispiace non poterlo visitare, sarebbe stata un’istruttiva esperienza. Ecco
un valido motivo per tornare a Budapest!
Ci dirigiamo verso la basilica di santo Stefano. Come dice il proverbio: “non
c’è il due senza il tre e il quattro vien da sé”. E’ qui che si concretizza il
quarto contrattempo della giornata. Gli innamorati, che ieri flirtavano nella
fiction girata sul Bastione dei Pescatori, oggi si stanno sposando nella
cattedrale! E’ mai possibile che in una chiesa consacrata, con la presenza del
santissimo Sacramento si giri un film? Evidentemente sì, almeno qui a Budapest.
E’ mezzogiorno, i rintocchi della grande campana, che si trova sul campanile di
destra stanno annunciando l’Angelus. Entriamo. La cattedrale ha la forma della
croce greca. Fatti pochi passi un nastro blocca la possibilità di proseguire. Ci
fermiamo e guardiamo ciò che è osservabile da questa posizione. L’interno è
tutto dorato, ha una grande cupola alta 96 metri, che spicca nel panorama della
città. Le sue famose statue e la reliquia più preziosa, la mano destra
mummificata di santo Stefano, patrono dell’Ungheria, che è dietro l’altare
maggiore, sono irraggiungibili, però possiamo pregare e la nostra orazione sale
a Dio.
Ora riprendiamo viale Andrássy, ci soffermiamo ad ammirare il Teatro
dell’Opera. Questo viale è stato costruito sull’esempio dei boulevards
francesi, ad esso si affacciano eleganti palazzi, che gli donano a un primo
sguardo signorilità ed eleganza, ma se ci si ferma per guardare meglio la loro
bellezza si è presi dallo sconcerto per tanta trascuratezza. I fregi e i
cornicioni cadono a pezzi, le facciate sono scrostate. Capiamo il motivo per cui
l’Ungheria non è ancora entrata nell’euro. La sua economia è molto fragile e i
conti dello stato non riescono ancora a rispettare i parametri stabiliti
dall’Europa. Gli interventi pubblici e privati per conservare il patrimonio
architettonico sono scarsi.
Dopo il veloce pranzo all’americana al Burgher King, troviamo poco più avanti
la Casa del Terrore. E’ il palazzo che ospitava il quartier generale
della polizia segreta del regime comunista. Già al suo esterno è visibile
l’orrore. Il suo perimetro è sottolineato dalle fotografie di alcuni martiri
della rivolta del 1956. Il palazzo è alto tre piani e ha anche un piano
sotterraneo. Al suo interno si ricorda la storia recente dell’Ungheria, le sue
due occupazioni: quella nazista e soprattutto quella sovietica. Entriamo.
All’ingresso si trova un carro armato sovietico, uno dei tanti che nelle vie e
nelle piazze sparò sulla gente. Dietro di esso c’è una parete alta tre piani
tutta tappezzata con le fotografie delle vittime del regime. Quegli occhi decisi
guardano tristi chi volge a loro lo sguardo. Vengono i brividi a pensare che
l’atrocità nazista non è stata l’ultima e che in questo momento in alcuni paesi
del mondo altri uomini e donne stanno subendo ingiuste carcerazioni, torture e
forse stanno morendo, perché dei tiranni sanguinari vogliono far tacere la loro
libertà di pensiero. Scendiamo nel sotterraneo. Qui si trovano le camere del
terrore. La cella della tortura insonorizzata con spesse pareti imbottite, per
non far sentire le urla all’esterno, gli strumenti delle torture: scudisci di
vario tipo e bastoni, stimolatori elettrici, sgabuzzini dove si poteva stare
solo in piedi, sgabuzzini col pavimento a vasca pieno d’acqua fredda, la cella
della morte con la forca. Sulle pareti delle celle di detenzione sono presenti
i ritratti di alcuni prigionieri. Nella prima cella il secondo ritratto da
destra è quello del cardinale Józef Mindszenty, del quale è in corso il
processo di beatificazione. Ci sono anche le fotografie di altri sacerdoti. In
un locale scuro illuminato con una lampada color rosso sangue vengono scanditi
in continuazione i nomi delle vittime, un lunghissimo elenco che porta alla
commozione.
I piani superiori sono allestiti come un museo. Ci sono ancora gli uffici della
polizia, l’archivio dove sono conservati i faldoni con le schedature. Il
pavimento e le panche dell’archivio sono tappezzati con le fotocopie delle
schedature. Qui viene proiettato un video nel quale si autocelebra la
normalizzazione sovietica e si mostrano gli interrogatori di Imre Nagy e dei
suoi ministri. Il filmato, in lingua ungherese, è sottotitolato in inglese.
Dopo la liberazione dall’occupazione nazista, l’Ungheria fu guidata con pugno di
ferro da Matyas Ràkosi, che avendo trascorso un lungo periodo a Mosca, seguiva
ciecamente le direttive di Stalin. Furono anni bui, caratterizzati da molte
esecuzioni capitali. Alla morte del dittatore sovietico, avvenuta nel 1953, in
Ungheria divenne primo ministro Imre Nagy, un comunista riformista. Egli dovette
dimettersi dalla carica dopo pochi mesi, a causa dei gravi problemi economici
del Paese.
Quando Nikita Kruscev al XX congresso del PCUS (partito comunista sovietico)
rivelò i crimini staliniani, in Ungheria scoppiò la così detta “rivoluzione
d’ottobre”, che chiedeva libere elezioni, libertà di stampa e la partenza delle
truppe sovietiche. Imre Nagy divenne nuovamente primo ministro, sostenuto da un
vasto appoggio popolare. Il 4 novembre 1956 l’esercito dell’Unione Sovietica
invase l’Ungheria. L’ordine venne ristabilito in due settimane, sul terreno
rimasero più di 25000 morti. Imre Nagy venne deportato in Romania, durante il
processo non ammise mai l’accusa di tradimento, dopo due anni di detenzione fu
giustiziato insieme ai suoi ministri.
In altre sale dei video mostrano filmati d’epoca relativi all’insurrezione del
1956 e alla repressione che ne è seguita; altri video mostrano dei sopravvissuti
che raccontano le atrocità subite. In altre sale è raccolta la propaganda e
mostrato il “benessere” che la normalizzazione sovietica ha portato, sulle
pareti ci sono grandi quadri di Ràkosi che è affiancato dai suoi numi tutelari
Lenin e Stalin. Una grande sala è occupata per tutta la sua lunghezza da una
croce bianca, lungo le sue pareti, dentro delle nicchie, sono raccolti gli
oggetti sacri tolti ai sacerdoti catturati: rosari, immagini di santi, breviari,
stole, piccoli calici ed essenziali paramenti.
Quello che ci colpisce negativamente è che questo museo (ma il nome è giusto?)
non è pubblicizzato, né messo tra le cose da vedere nei tour proposti dalle
guide turistiche, in positivo costatiamo che esso è pieno di giovani, che
osservano, leggono (purtroppo tutto è scritto solo in ungherese), riflettono,
annotano. Lasciamo questo luogo scrivendo sul libro delle visite il nostro
ricordo.
La nostra visita di Pest si conclude con un’escursione sul ponte Erzsébet
e la visita del mercato generale Nagycsarnok.
Il ponte Erzsébet è moderno, la sua costruzione è stata terminata nel
1965. Esso sostituisce il vecchio ponte distrutto completamente nel 1945 dalle
truppe naziste in ritirata. Da qui Giuseppe fotografa la statua di san Gerardo,
Géllert in ungherese, che è posta sulla cima della collina omonima. Gerardo,
nato a Venezia il 23 aprile 980, fu battezzato con nome di Giorgio, santo del
giorno. Prese i voti secondo la regola di san Benedetto col nome di Gerardo, che
era quello di suo padre, morto da poco. Quando giunse come missionario in
Ungheria, il re Stefano gli affidò l’educazione di suo figlio Emerico. Alla
morte del re Stefano l’Ungheria cadde in anni bui di lotte intestine per la
conquista del potere. Questo periodo si concluse nel 1046 con una cruenta
rivolta nella quale furono uccisi molti cristiani tra i quali Gerardo, che fu
spinto giù dalla collina nel Danubio. Gerardo fu canonizzato insieme al re
Stefano e a suo figlio, che era morto in giovane età.
Il mercato generale si trova in fondo a via Váci, che è una via pedonale.
L’esterno del mercato generale è sontuoso; ha le pareti in mattoncini rossi e il
tetto di tegole colorate. Il suo interno ha al piano terra negozi di generi
alimentari tra i quali spiccano quelli che vendono la paprika, la spezie base
della cucina ungherese, al primo piano ci sono i negozi artigianali, che però
vendono souvenir made in China!
Tornati a Szentendre trascorriamo la sera riordinando il camper per poter
partire in modo sollecito domani mattina.
Mercoledì 29 luglio
Dopo quattro giorni trascorsi al camping di Szentendre ci trasferiamo a Pécs, la
seconda città dell’Ungheria in ordine di importanza. Si trova nella zona di sud
ovest del paese, quasi al confine con la Croazia. E’ il capoluogo della contea
della Baranya.
La strada che scegliamo non è quella autostradale, perché durante il
trasferimento desideriamo cogliere alcuni aspetti di questa parte di paese. Per
questo motivo siamo costretti ad attraversare Budapest, che non essendo dotata
di una tangenziale e tanto meno di cartelli indicatori, rende indispensabile il
navigatore: Tom questa è la tua mattina!
Un’ora e mezza per attraversare la capitale è lo scotto che paghiamo alla nostra
scelta. Poi la strada prosegue in aperta campagna. E’ una statale piuttosto
trafficata da automobili e mezzi pesanti, non è molto larga, però a tratti una
delle due corsie raddoppia per consentire i sorpassi. Viaggiamo tranquilli,
rispettando il limite di velocità che è di 70 km/h. Esso a volte è fin eccessivo
se si considera il fondo stradale sconnesso e ondulato.
Come sono gli ungheresi al volante? Una parola per definirli: spericolati.
Incuranti dei limiti di velocità, spesso non osservano le norme del codice della
strada. Per ben due volte Giuseppe deve frenare per favorire il rientro dal
sorpasso di un’automobile che ci viene incontro. La polizia stradale? Assente.
Il paesaggio che ci accompagna varia da zona a zona. Nella prima parte del
viaggio passiamo per un’infuocata pianura, tutta coltivata a girasoli, che
tendono la nuca al sole per far maturare i loro oleosi semi. Poi tutto si tinge
di ocra: è il mais in fiore che colora le prime propaggini di una zona
collinare.
Stiamo seguendo il Danubio, ma non lo vediamo, finché eccolo spuntare tra gli
alberi. Alcuni scorci ci consentono di riallacciare il filo conduttore della
nostra vacanza, poi lo attraversiamo e ci allontaniamo da lui, perché Pécs si
trova equidistante tra il Danubio e il Drava, uno dei suoi più importanti
affluenti.
Anche i paesi che incontriamo hanno una diversa fisionomia. Quelli della pianura
sono villaggi di casupole unifamiliari modeste e maltenute. Lungo la strada
alcuni contadini vendono i frutti del loro lavoro: meloni, angurie, pomodori,
prugne. Ci fermiamo e comperiamo due meloni. Sono profumatissimi, maturati sulla
pianta, sono pronti per essere mangiati. Il vecchio che li pesa con una bilancia
che ha bisogno di una spinta per far muovere l’ago ci dice il prezzo in
ungherese. A gesti gli diciamo di scriverlo, lui ce lo urla sempre più forte, ma
noi non capiamo il significato di quella parola che ripete con insistenza.
Infine con la mano indica il numero cinque. Giuseppe vede che un po’ nascosta
sul banchetto c’è una calcolatrice, la prende e scrive cinquanta, il vecchio fa
capire che deve scrivere cinquecento. Paghiamo quindi cinquecento fiorini, che
equivalgono a circa due euro.
Più avanti nella zona collinare tutto ritorna verde. I dolci declivi sono
coltivati a vite e sulle sommità dei colli ci sono scuri boschi. I paesi
cambiano aspetto; sono più ordinati e puliti. Hanno il tratto asburgico,
confermato anche dalla loro toponomastica, oggi bilingue.
Giunti a Pécs alloggiamo in periferia della città al Camping Familia. E’
un piccolo campeggio gestito da una famiglia. La signora che ci accoglie
racconta che suo marito è ingegnere e professore, lei è pensionata, sua figlia è
maestra e suo genero è un ingegnere esperto di economia.
L’ampio giardino della loro casa, ombreggiato da alberi di noce, è stato
attrezzato a campeggio. La loro proprietà si allunga verso un prato, che si
affaccia su un piccolo stagno.
A pochi passi, sulla strada principale, passano gli autobus che portano in
centro. Dopo pranzo ci rechiamo in città. Pécs conserva tracce delle civiltà che
si sono susseguite nei secoli. Vediamo alcune rovine romane e segni della
dominazione turca. Pécs è la città universitaria, che ha il più antico ateneo
dell’Ungheria. Il suo centro di forma ovale è tutta un’isola pedonale. Scendiamo
dall’autobus dove ci ha indicato la signora del campeggio, passiamo davanti alla
sinagoga e ci troviamo nell’ampia piazza Széchnyi ter, dominata da una grande
chiesa, con una maestosa cupola verde rame. La piazza è circondata da eleganti
palazzi barocchi e ha al centro la Colonna della Trinità. La piazza è un
unico cantiere: stanno rifacendo il lastricato.
La chiesa è dedicata a san Bartolomeo. Essa ha una lunga storia. Nel medioevo in
quel luogo c’era una chiesa. Essa fu abbattuta dai turchi che utilizzarono le
sue pietre per erigere al suo posto una moschea. Era circa la metà del XVI
secolo. La moschea fu chiamata del Pascià Gazi Kassim. Quando i turchi furono
cacciati nel 1686, la moschea venne trasformata in chiesa cattolica; il minareto
fu abbattuto. Sulla sua grande cupola, sopra la mezzaluna musulmana venne
innalzata la croce. Al suo interno, sulle pareti, ci sono ancora scritti dei
versetti del Corano, per questo è comunemente chiamata chiesa-moschea.
Ci spostiamo e andiamo a visitare la cattedrale: la basilica di san Pietro e
Paolo. Costruita nel XI secolo si caratterizza per avere quattro campanili, che
si innalzano dai suoi quattro angoli. Il suo interno ha tre navate ed è molto
bello. Ha tutte le pareti decorate con disegni geometrici, grandi lampadari e il
soffitto a cassettoni. L’altare rinascimentale è in marmo rosso; al grande
organo si accede mediante una scala a chiocciola di marmo. La sua ala sinistra è
in fase di restauro. Ci fermiamo ad osservare il fine e preciso lavoro che
alcuni giovani stanno compiendo. Fresca e sorretta da colonne è la cripta.
Proseguendo il giro della città troviamo la moschea del Pascià Hassan Jakovali.
Questa moschea, che ha ancora il minareto, oggi ospita un museo di arte
islamica. E’ un po’ soffocata dall’ospedale e da un altro edificio che le sono
sorti accanto. La nostra visita si conclude passeggiando sulla via principale;
arrivati al Teatro dell’Opera, che ha davanti due fontane, ritorniamo sui nostri
passi e raggiungiamo la fermata dell’autobus.
Ora è sera e per nostra fortuna l’intenso calore del giorno si sta attenuando.
Giovedì 30 luglio
Lunga giornata di trasferimento quella di oggi dall’Ungheria alla Slovenia.
Sveglia ore 7.30 e partenza intorno alle ore 8.00. L’uscita da Pécs è immediata,
perché la direzione che prendiamo non comporta il suo attraversamento. Il
tragitto programmato non è però diretto, perché è doveroso da parte nostra
raggiungere nuovamente il protagonista della nostra vacanza, seguirlo ancora per
un po’, prima di separarci definitivamente da lui.
La strada che ci conduce verso il Danubio passa attraverso zone agricole e
piccoli borghi del tutto simili a quelli visti ieri nella pianura. La prima
parte del viaggio si conclude a Mohacs, dove sul lungo Danubio ci immortaliamo
per salutare l’Ungheria, nazione che abbiamo visitato per la prima volta.
Il viaggio prosegue fino alla frontiera con la Croazia. Questo paese non avendo
aderito al Trattato di Schengen non consente la libera circolazione delle
persone, delle merci e dei capitali, quindi la frontiera è ancora fisicamente
presente e attiva.
La frontiera ungherese è presidiata da donne poliziotto. Esibiamo i documenti,
ci chiedono di vedere dentro al camper. La poliziotta che sale ci sembra più
curiosa che ispettrice.
Pochi metri ed ecco il controllo croato. La sbarra è alzata, dei due poliziotti
presenti uno si allontana, l’altro sta fermo con indifferenza. Avanziamo adagio,
quello fermo ci intima l’alt. Ci fermiamo, vuole vedere dentro al camper, ci fa
aprire anche la toilette, ma non guarda dentro il garage! Prima di farci
partire ci consegna un libretto con tutte le regole da rispettare in Croazia.
L’opuscolo è scritto in diverse lingue, compreso l’italiano. Questa ci sembra
un’ottima iniziativa; poi ci chiede dove siamo diretti e ci dà la carta
geografica della Croazia. Percorsi pochi chilometri transitiamo per Osijek. E’
una città fortificata posta sul Drava. L’affluente, che è prossimo a gettarsi
nel Danubio, scorre lento con il suo consistente carico d’acqua.
Ci spostiamo ancora un poco verso sud est fino a Vukovar, dove il Dunav, così si
chiama in croato il Danubio, fa da confine naturale con la Serbia, prima di
entrarvi completamente.
Vukovar è la città martire dell’indipendenza croata. Quando la Croazia si è
proclamata stato indipendente, Vukovar è stata assediata e bombardata dai serbi
per quattro mesi da agosto a novembre del 1991 ed è capitolata dopo una furiosa
lotta combattuta casa per casa. E’ stata restituita alla Croazia nel 1998 in
seguito agli accordi di pace ed è stata protetta per alcuni anni dalla forza
multinazionale di pace. Ancora oggi mostra i segni delle ingenti ferite
ricevute. Molte case hanno ancora sui muri i segni delle pallottole, altre sono
distrutte, così come degli impianti industriali e un grande silos. Là dove non
si vede la distruzione, la si può immaginare ancora più disastrosa. Infatti la
città ha tantissime case nuove, segno di una completa ricostruzione.
Vukovar era il porto croato sul fiume Danubio, aveva una florida economia basata
sull’agricoltura, sull’industria e sul trasporto fluviale.
Vukovar era una città multietnica dove convivevano croati, serbi, ungheresi e
musulmani bosniaci. Ora stenta a riprendersi; molti dei suoi abitanti se ne
sono andati e, nonostante la ricostruzione, non tornano alle proprie case,
perché la sua economia è bloccata. Anche il Danubio non è più fonte di vita. Lo
raggiungiamo, non ci sono ponti, né traghetti che collegano le due sponde. Della
Serbia, che si affaccia sulla riva opposta non si vede nulla. E’ celata da un
fitto profilo di salici e betulle, che la chiudono al mondo occidentale.
Rivolgiamo ancora uno sguardo al Danubio e lo salutiamo per l’ultima volta
portandolo nei nostri ricordi.
Così, mentre lo lasciamo scorrere denso verso la foce ancora lontana più di 1000
chilometri, giriamo le ruote del camper e immettendoci in autostrada puntiamo
verso ovest.
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