DONAU     DUNA 
DUNAJ     DUNAV 
 
2009
DANUBIO

 

Scrivere del Danubio non è facile,

perché il fiume fluisce continuo e indistinto,

ignaro di proposizioni e del linguaggio, che articola e scinde l’unità del vissuto.

(Claudio Magris)

 

N.B. Cliccando su una immagine qualsiasi potrai accedere alla galleria fotografica completa

 

Mercoledì 8 luglio

Ore 19.50 inizia il nostro viaggio. Il traffico è molto intenso, ma scorrevole fino a Como.

Poi, entrati in Svizzera, gradatamente si dissolve e nell’ora del crepuscolo gustiamo il paesaggio che ci circonda.

Mentre gli ultimi raggi di sole indorano ancora le creste dei monti, sopra i loro verdi versanti si stende, nera, la coltre della notte.

Viaggiamo rilassati, attenti al giocoso e rischioso (per le severe multe) alternarsi dei limiti di velocità, mentre ci vengono incontro le prime avanguardie teutoniche, vogliose di caldo e di sole.

 

Giovedì 9 luglio

Notte riposante nonostante il traffico, trascorsa nell’area di sosta Gottardo Sud.

Ci prepariamo rapidamente e, fatto il pieno di gasolio, ci imbuchiamo nel budello della galleria del Gottardo, 17 chilometri da vivere con lo sguardo a 360°.

Dopo anni di monotonia oggi la Svizzera ci appare diversa, bella e divertente, perché il percorso ci conduce dentro la classica cartolina elvetica: prati verdissimi, linde e placide mucche al pascolo, candidi paesi con i campanili aguzzi, ripide e boscose montagne, che incastonano laghi lucidi come il raso.

Nella tarda mattinata entriamo in Germania, diretti a Furtwangen. Lasciamo ai tedeschi la disputa sulle sorgenti del Danubio, die Donau, in tedesco i fiumi sono femminili. E’ ovvio che questo fiume, non avendo alle spalle un ghiacciaio, non può che nascere dalla confluenza di mille rivoli, alimentati da sorgenti e soprattutto dalle acque meteoriche, caratteristiche del microclima di questa zona, che si rivela per quello che è con uno scroscio intenso.

Giunti a Furtwangen visitiamo il Museo Tedesco dell’Orologio, che raccoglie la più grande collezione della Germania e testimonia l’antica vocazione artigianale della Foresta Nera.

Si possono osservare orologi di ogni foggia e tempo: dalla candela oraria, agli orologi astronomici, oltre numerosi orologi a pendolo, a cucu, da polso, da taschino e curiosi orologi come quelli posti sopra un crocifisso e sopra  una pisside. Ciò che ci stupisce non è solo la precisione dei meccanismi, ma l’ingegno di chi li ha pensati.

La seconda tappa della giornata è Donaueschingen. Qui ci fermiamo al camping Riedsee, dove Paola rispolvera il suo tedesco, aprendo uno dei famosi cassettini della memoria.

Sistemato il camper inforchiamo le biciclette e con una sgambata di 6 chilometri, tutti su ciclabile, raggiungiamo il centro della cittadina, dove si trova la Donauquelle, un pozzo circolare di stile rinascimentale, che si dice essere la sorgente del Danubio, perché qui confluiscono la Breg e la Brisach, i due fiumi che hanno raccolto le acque della Foresta Nera.

 

Venerdì 10 luglio

Dieci anni di onorato servizio sono tanti per aver supportato e sopportato un peso non certo da libellula, è così che la sella della bicicletta di Paola ha deciso di lasciare il suo lavoro, abbandonandosi in mano a Giuseppe, quando ieri sera l’ha presa per sollevare la bicicletta e riporla nel garage del camper.

Forse il caso non è fortuito, egli individua gli eventi per creare occasioni. Quella odierna riguarda  la ricerca di un ciclista per l’acquisto di una nuova sella.

Lasciamo Donaueschingen e con un breve viaggio siamo a Sigmaringen, una graziosa cittadina sulle rive del Danubio, che offre agli amanti del plein air un campeggio e un’area camper. Optiamo per il Sigmaringen Camping. Ci accoglie Maga Magò, una simpatica e scarmigliata signora tutta frizzi e lazzi, che si complimenta per il tedesco di Paola (un complimento non si nega a nessuno!) e si interessa al nostro problema ma, non sapendo dove si trova il ciclista, chiama in causa un’altra signora che parlando inglese permette a Giuseppe di fare un po’ di conversazione.

Recuperato l’accessorio indispensabile, dopo un frugale pasto partiamo per un giro in bicicletta lungo il Danubio. Nonostante siano passati pochi chilometri dalla sua sorgente, il fiume ha già un aspetto regale, dolce e sinuoso scorre verdeggiante nella valle calcarea a tratti aspra, che si è intagliato nel corso dei secoli. La ciclabile in parte asfaltata e in parte a fondo bianco è varia, costeggia il fiume, poi se ne distacca salendo ripidamente sui costoni rocciosi, per poi donare ripide e corroboranti discese. Gioca col fiume ancora giovane attraversandolo con ponti di legno e passa per piccoli paesi, ben attrezzati per il ciclismo itinerante. Pedaliamo in silenzio, assorbiti dai suoni della natura e pronti a scambiare un saluto con i ciclisti che incrociamo e con gli allegri canoisti, che vivono il fiume in modo più intimo.

Nel tardo pomeriggio visitiamo la cittadina di Sigmaringen. Essa è dominata dal castello degli Hoenzollern, che si erge su una rupe a strapiombo sul fiume. Il suo primo insediamento risale all’anno 1000, il castello è stato poi ampliato e rimodernato nel secolo XVI dai citati Hoenzollern.

Il complesso comprende il castello, un museo e la chiesa cattedrale, dedicata a san Clemente, patrono della città.

Cena italo tedesca: spaghetti al pesto, col pesto preparato fresco, prendendo il basilico dalla pianta che ci siamo portati da casa, Wurstel und Weinsaurerkraut mit Senf.

 

Sabato 11 luglio

Giornata di relax è quella che si offre oggi a noi. Il tempo imbronciato di questi giorni volge al bello e ci promette qualche ora calda. Poltriamo nel letto, poi prima della partenza per il breve tragitto che ci porterà a Ulm, andiamo a curiosare nel mercatino delle pulci.

E’ già affollato, tante persone e tipi strani. La merce esposta sui banchetti è varia, si trovano oggetti datati, come un’arcaica carrozzina di legno, delle lampade a petrolio, delle banconote dell’impero austroungarico e roba usata da poco: scarpe, abbigliamento, pentole e ci domandiamo chi mai la comprerà.

Facendo la prima spesa importante nel vicino supermercato, costatiamo come i generi alimentari in Germania abbiano un prezzo decisamente più basso che in Italia. Un esempio per tutti: un litro di latte lo paghiamo 0,42 € contro l’1,15 € del supermercato di Milano.

La strada che ci separa da Ulm percorre una zona della Foresta Nera solo in parte rimasta tale.

Il territorio dolcemente ondulato è coltivato con diverse essenze cerealicole, che con i loro colori ne esaltano la forma. Quando la strada si inerpica per superare un crinale, allora ci si trova immersi nella foresta ed è proprio qui in un’area di sosta che ci fermiamo a pranzare.

Nel primo pomeriggio siamo a Ulm. Posteggiamo il camper nell’area attrezzata, totalmente gratuita, che si trova vicino allo stadio. Con una passeggiata di 20 minuti, allietata da uno scoiattolo rosso, che lesto ci  taglia la strada e si nasconde su un albero, siamo in centro.

Qui visitiamo il Münster, è la cattedrale, il più importante monumento della città, celebre perché ha il più alto campanile del mondo. La chiesa, in stile gotico, ha delle coloratissime vetrate, quella sopra la porta di ingresso è moderna e ricorda l’olocausto degli Ebrei.

Molto belli, perché di legno intagliato sono il baldacchino del pulpito e il coro. All’interno del baldacchino è stata cesellata una minuscola scala a chiocciola, che raggiunge un pulpito in miniatura, si dice per lo Spirito Santo. Esso sta ad indicare che il sermone del Pastore è ispirato dall’alto.

La piazza è piuttosto animata; la troviamo molto diversa dal lontano 1979, anno della nostra prima visita della città. In particolare a destra della cattedrale vediamo un palazzo moderno, lo Stadthaus. Esso, pur staccandosi nettamente dal contesto architettonico della piazza, grazie al suo colore bianco, alle vetrate e alla forma articolata, non incombe come un ingombro sull’antica piazza, anzi fa da ponte tra il Fischervietel, l’antico e popolare borgo dei pescatori e l’aristocratica piazza. Oggi il Fischerviertel è una zona turistica ricca di locali e negozietti e riserva ancora angoli pittoreschi e suggestivi. Fra le sue case scorre la Blau, un piccolo fiume dall’acqua trasparente, che prima di immettersi nel Danubio alimenta una florida vegetazione e ospita uccelli acquatici. Il Danubio qui a Ulm ha ormai l’aspetto del fiume maturo. La sua acqua, ora contaminata, scorre tetra attraverso la città, segnando il confine tra essa e Neu-Ulm, la città moderna.

Rientrando verso l’area camper ci fermiamo alla chiesa di san Giorgio, dove alle ore 19.00 partecipiamo alla messa prefestiva, poco frequentata dai fedeli, ma ben vissuta dagli astanti.

 

Domenica 12 luglio

La tappa odierna ci richiede uno spostamento di poco più di 200 chilometri. Lasciamo la Foresta Nera per spostarci in Baviera, dove a Regensburg il Danubio diventa un grande fiume. Pensiamo di accelerare il percorso scegliendo il tracciato prevalentemente autostradale, ma non facciamo i conti con la Umleitung, la deviazione, che da quando siamo in Germania ci perseguita, interrompendo la nostra marcia e imponendoci giri avviluppati nelle campagne, che attivano e riattivano in continuazione il navigatore, Tom, che con tenacia ci indica la via di ritorno sul tracciato previsto, fino a quando, esausto, si zittisce e finalmente rielabora il percorso alternativo.

Giungiamo a Regensburg nell’ora di pranzo e prendiamo posto al camping Azur.

L’imprevisto è sempre in agguato. Al momento di registrare il proprio documento, Paola si accorge di non averlo, lo chiede a Giuseppe, perché glielo aveva dato da tenere l’ultima volta che erano andati in bicicletta, ma neppure Giuseppe ce l’ha. Ci registriamo col nome di Giuseppe, poi passiamo un tempo breve, ma lunghissimo, alla ricerca del documento scomparso, presi dal timore di dover interrompere il viaggio e attaccati alla speranza di poter gioire per lo scansato pericolo. Per fortuna nostra e vostra, cari lettori, tutto si risolve positivamente. Paola inspiegabilmente non aveva rimesso il documento al suo solito posto, ma in un’altra tasca del suo zainetto.

Nel pomeriggio con una pedalata di 3,5 chilometri lungo la ciclabile del Danubio siamo in centro città. E’ giorno di festa, Regensburg è molta animata, anche perché nelle sue piazze si vive la festa del jazz. La Castra Regina romana, che conserva una traccia di muro e la Porta Pretoria, è piacevole da girare. La nostra visita inizia dal vecchio Rathaus, poi prosegue nel duomo dedicato a san Pietro. E’ una severa costruzione gotica con belle vetrate, ma la maestosità della nostra cattedrale meneghina e la finezza architettonica del duomo di Burgos rimangono, secondo noi, imbattibili. Al suo interno a destra e a sinistra dell’altare maggiore ci sono due preziose statue del XIII secolo che rappresentano l’arcangelo Gabriele e la Vergine Maria, che radiosa accoglie il Verbo.

Ci rechiamo poi al Donau-Schifffahrts-Museum, è un vecchio rimorchiatore a vapore con ruota a pale. Ormeggiato sul Danubio espone al suo interno i modellini delle imbarcazioni che nei secoli hanno navigato questa via d’acqua. Lo visitiamo: è sempre emozionante scendere nel ventre di una nave e sentire il vivace fluire dell’acqua che la fa fremere! Osserviamo i macchinari, la strumentazione di bordo e gli ambienti di vita dell’equipaggio.

L’ultima tappa della nostra visita vuole essere la Keplero-Gedächtnishaus, la casa dove visse e morì l’astronomo Keplero. Mentre cerchiamo sulla guida l’indirizzo, si avvicina una coppia di signori anziani che cordialmente ci chiedono se abbiamo bisogno di aiuto. Quale migliore occasione per un po’ di conversazione! Non solo ci indicano con precisione il luogo, ma si informano anche circa la nostra provenienza e, saputo che siamo italiani, ci chiedono meravigliati se siamo giunti fin qui in bicicletta. Dopo esserci scambiati altre informazioni, ci salutiamo e i simpatici vecchietti sfoggiano con orgoglio le poche parole che conoscono nella nostra lingua.

E’ destino, i grandi scienziati che Paola vuole omaggiare le si negano. Ulm città natale di Einstein, non lo considera suo figlio e non ha nulla che lo ricordi. Regensburg apre la casa di Keplero solo per poche ore nel fine settimana e noi arriviamo che ha appena chiuso: sono solo le 16.00!

Con calma torniamo in campeggio e concludiamo la domenica dedicandoci ai nostri “compiti delle vacanze”.

 

Lunedì 13 luglio

Nella notte è piovuto e anche questa mattina il cielo è coperto da un grigiastro strato di nubi, ma ciò non ci distoglie dal nostro programma. Prepariamo le biciclette e per scaramanzia riponiamo nella borsa il poncho impermeabile, sicuri che ciò farà uscire il sole.

La nostra meta è il monastero di Weltenburg. Risaliamo il Danubio contro corrente. La ciclabile lo segue fedelmente, limitata dalle sue acque verdi che rispecchiano la lussureggiante vegetazione delle sue sponde e dai campi dorati dove brillano con tonalità diverse il giallo del grano, della segale e della soia.

Pedaliamo veloci con un leggero vento contro. Diverse persone si muovono nei due sensi ed è un continuo scambio di saluti: Guten Morgen, Grüss Got!

Per noi, radicati cittadini, l’immergerci nella natura è fonte di continuo stupore: ecco uno scorcio poetico, ecco un verdone che fermo sulla pista attende fino all’ultimo istante prima di spiccare il volo, poi uno stagno costiero, che gracida forte, coperto di ninfee fiorite, il silenzioso airone cinerino, che immobile in una lanca aspetta con pazienza il passaggio del suo pasto e le pecore al pascolo. Quest’anno ci mancavano le pecore!

Transitiamo attraverso piccoli borghi. In uno c’è una chiesa circondata da un raccolto camposanto, che si apre sulla ciclabile. Sul muro esterno una tacca indica il livello che l’acqua ha raggiunto nell’ultimo alluvione, quello del 1999. E’ impressionante!

Ci fermiamo, per offrire al Signore la giornata e glorificarlo per l’amore che ci dona.

La chiesa è chiusa, ma il solerte sacrestano, che sta riordinando le aiuole tombali, interrompe il suo lavoro e con estrema gentilezza ce la apre. E’ una piccola chiesa in stile barocco, silenziosa e raccolta, racconta della vita di fede dei suoi parrocchiani con i libri ben distribuiti sulle panche e l’ordine degli arredi sacri.

Ci mettiamo di nuovo in sella, ma  subito facciamo un’altra sosta, la foto è d’obbligo. Un piccolo traghetto sta trasportando un trattore all’altra riva. Intanto scendono lungo il fiume delle navi da crociera con i turisti sul ponte a godersi il sole, che ha vinto la sua battaglia. Ci salutano con le braccia alzate, rispondiamo facendo altrettanto e via con i pedali!

I primi 32 chilometri ci portano a Kelheim, ora ne mancano dieci per giungere al monastero. Per superare la gola nella quale scorre stretto il Danubio, la pista si stacca dal fiume e si inerpica nel bosco che ricopre il costone roccioso. La ciclabile diventa un sentiero, che solo con la mountain bike e un super allenamento si può affrontare. Spingiamo faticosamente le nostre bici e quando incrociamo la strada carrozzabile rimontiamo in sella. Comunque, come diceva l’invincibile Binda, il corridore che negli anni ’30 è stato pagato per non partecipare al Giro d’Italia, “ghe vör i garun”, ci vogliono le gambe! Noi le abbiamo e con i giusti rapporti, sudati e col fiato corto, arriviamo al culmine del costone, poi godendoci la ripida discesa percorriamo gli ultimi 3 chilometri.

Il monastero benedettino di Weltenburg accoglie dentro le sue mura un antico birrificio, che già produceva nell’anno 1000 delle deliziose birre Dunkel e Bock, che sono servite nel giardino e la chiesa di stile barocco, che ha sull’altare maggiore san Giorgio, che uccide il drago.

Pranziamo seduti all’ombra di un secolare ippocastano: Schnitzel  con patate fritte e insalata mista e un boccale di Bock.

Iniziamo il ritorno navigando su un battello fino a Kelheim.  Esso scivola lento sull’acqua; ci voltiamo indietro per dare un ultimo sguardo al monastero e cogliamo l’illusione del Danubio blu.

Ora il  Danubio è costretto nella gola, si muove allegro, lambisce con grinta la base degli speroni rocciosi, che mostrano tracce di tanto lavoro: caverne, rocce arrotondate, incavi. Sulla sinistra abbarbicata su una rupe c’è una piccola statua: è quella di san Giovanni Nepomuceno, il santo che protegge dalle alluvioni.  Poi il letto del Danubio si distende nuovamente ed ecco comparire un grande Pantheon giallo di forma cilindrica. E’ stato eretto a ricordo della gloria tedesca di inizio XIX secolo.

Dopo 20 minuti di grande suggestione riprendiamo a pedalare e senza ulteriori soste torniamo a Regensburg. Abbiamo così completato la nostra gita percorrendo 80 chilometri col sole in fronte per tutto il giorno.

Sono le 21.00, dopo tanta fatica ci meritiamo un gelatino, che mangiamo di gusto.

 

Martedì 14 luglio

Il cielo sereno, appena velato, annuncia una giornata calda e afosa. La bolla africana, che ha ghermito l’Italia, con le sue ultime propaggini ha valicato le Alpi e, seppure attenuata, si fa sentire fin qui.

Lasciamo Regensburg diretti a Passau, sono poco più di 100 chilometri, che iniziamo a percorrere seguendo la viabilità ordinaria. La zona non è particolarmente interessante da un punto di vista paesaggistico. Regensburg sembra non terminare, perché dopo i suoi ultimi quartieri residenziali si allunga verso sud con un’estesa zona industriale. Poi ci si immerge nella campagna vasta e pianeggiante, coltivata prevalentemente con patate e segale. La monotonia del viaggio è interrotta anche oggi da una deviazione. Ma quanto stanno lavorando i tedeschi sulle loro strade?!?

Questa volta la Umleitung è, però, provvidenziale, perché costringendoci a transitare all’interno dei paesi, ci consente una sosta per rifornire la nostra cambusa.

L’ultimo tratto lo percorriamo in autostrada, perché uscendo da essa di solito si trovano in modo chiaro le indicazioni per i campeggi. Sostiamo al camping Drei Flűsse. Esso si trova a circa 10 chilometri da Passau; ha a monte le prime pendici del Bayrischer Wald e a valle il Danubio.

Ci accoglie gentilmente una signora, che ci fa entrare nonostante sia orario di chiusura. Parla il tedesco in modo incomprensibile, ma con uno sforzo da parte sua e di Paola, ci si intende.

 

Mercoledì 15 luglio

Giuseppe è aperto alle novità,  all’innovazione, alla conoscenza, alle persone. Giuseppe non ama le chiusure, forse è per questo che a volte gli capita di dimenticare il lucchetto delle biciclette o la sua chiave.

Oggi, per nostra fortuna, solo dopo un chilometro dall’inizio della gita, si accorge di non aver con sé la chiave del lucchetto. Torniamo indietro, altrimenti come potremmo visitare Passau, senza posteggiare le biciclette?

Con una ripida discesa raggiungiamo der Donauweg, la via del Danubio, così si chiama la ciclabile che lo segue. Siamo sulla sua riva sinistra. Inizialmente il fondo è bianco e la via è immersa in un fresco bosco, poi si allontana un po’ dal fiume, che scorre veloce tra gorghi e increspature. Transitiamo per alcuni paesi e poi costeggiamo la strada statale. Alla periferia di Passau uno sbarramento fa defluire parte dell’acqua del Danubio in una centrale elettrica, che sorge rossa e massiccia sopra la diga. Ai ciclisti è permesso il transito sulla diga. Le turbine girano forti; da fuori il loro rumore sembra il ronzio dei calabroni.

Ci troviamo a seguire il Danubio sulla sua riva destra.  Entrati in Passau, le chiare indicazioni della ciclabile scompaiono, ci aiutiamo con la piantina della città, che avevamo comperato a caro prezzo in campeggio; 2,80 € davvero spesi bene!

Visto che l’umidità che rendeva spumoso il cielo si sta dissolvendo e che il sole inizia a far sentire la sua possente energia, decidiamo di visitare Passau nel pomeriggio e di proseguire la gita.

Passau è detta la città dei tre fiumi. Infatti è sorta dove l’Inn e l’Ilz confluiscono nel Danubio. Passiamo il ponte sull’Inn, transitiamo per il quartiere chiamato Innstadt, seguiamo la riva destra di questo fiume fino alla sua confluenza con il Danubio. La portata dell’Inn è considerevole. Alla confluenza le acque dei due fiumi proseguono per un po’ separate nell’unico letto, poi si miscelano perdendo ciascuna la propria identità. Usciti dalla città ci troviamo in Austria. Ce ne accorgiamo, perché dove un tempo c’era la frontiera, oggi c’è un grande distributore di carburante. Espone prezzi decisamente inferiori a quelli tedeschi. Ci chiediamo come sia possibile che a distanza di poche centinaia di metri i carburanti possano avere prezzi così diversi.

Ora la ciclabile segue fedelmente il Danubio che, inondato dal sole, si veste di lustrini e offre scorci piacevoli. All’ora di pranzo siamo all’altezza di Oberzell. Avendo già percorso 32 chilometri, decidiamo di traghettare per tornare indietro seguendo la riva sinistra del fiume. Il traghetto sta arrivando, scarica un’automobile, carica noi e riparte. Questo viaggio lo fa in perdita, ma noi siamo i signori di questo natante.

Sbarchiamo e un cartello ci avverte che siamo in Deutschland, in Germania, questo tratto del Danubio fa da confine. Lungo la via del paese ci fermiamo in un Gasthaus, che ha già dei clienti indaffarati a soddisfare la bocca. Pranzo leggero a base di insalata. Poi di nuovo in sella pedaliamo lesti sulla ciclabile, che su questo lato è decisamente più pianeggiante. Avanziamo in un turbinio di piumini degli alberi. La stagione biologica è indietro rispetto a Milano. Improvvisamente ci fermiamo incuriositi; lungo la pista c’è una grande sirena di legno e una persona anziana è arrampicata su di essa, mentre una ragazza armeggia accanto a un’automobile posteggiata lì vicino. E’ un restauratore, che sta chiudendo le crepe e le spaccature del legno, aiutato dalla sua assistente.

Arrivati a Passau per poter entrare nella città vecchia passiamo il ponte sull’Ilz, il piccolo fiume che scende da nord e si getta nel Danubio senza particolari pretese.

Leghiamo le biciclette davanti alla chiesa dei gesuiti, una semplice chiesa in stile gotico. Iniziamo il giro della città portandoci sulla punta, dove c’è la confluenza dell’Inn col Danubio.

Il caldo è notevole e la nostra sete pure. Ci fermiamo a un baracchino, compriamo e beviamo l’acqua minerale più cara del mondo: 5.00 € per un litro! Questa bevuta è proprio necessaria per ricaricarci!

Poi visitiamo il duomo e l’antico Rathaus. La cattedrale è dedicata a santo Stefano. E’ in stile barocco, è piena di stucchi, che lasciano incantati i tedeschi, un po’ meno noi, che amiamo architetture più semplici e sobrie. Bellissimo è invece l’organo, ha circa 18000 canne, è l’organo più grande del mondo. Del Rathaus vediamo la sala consigliare tutta affrescata. Rimaniamo impressionati nell’osservare sul suo muro esterno, prospiciente il Danubio, le diverse altezze raggiunte dalle piene. Imbattibile è quella del 1584, ma anche le ultime tre, quelle del 1954, del 1991 e del 1999 sono state devastanti.

Come l’entrata anche l’uscita da Passau non è semplice, soprattutto perché la ciclabile lungo la riva sinistra del Danubio è uno stretto marciapiede vicino al quale sfrecciano nel senso opposto automobili e camion. Raggiunta la centrale idroelettrica, percorriamo a ritroso il pezzo seguito questa mattina.

La nostra gita si archivia con 60 chilometri pedalati. Vi chiederete come è possibile che la cifra sia sempre tonda. Se volete la precisione oggi i chilometri sono stati 60,10, mentre l’altro giorno erano 79,90.

 

Giovedì 16 luglio

Oggi iniziamo la giornata ringraziando il Signore nel ricordo del giorno in cui ci siamo promessi amore eterno. Lo facciamo nella grotta-cappella che il signor Joseph ha costruito nel suo campeggio, proprio nel mese di luglio del 1977, anno delle nostre nozze. Partiamo e subito squilla il telefonino, arrivano gli auguri dei nostri figli e delle nostre mamme.

Il viaggio prevede tre tappe, la prima è a Linz. Fino a Obernzell ripercorriamo la strada percorsa ieri in bicicletta. Ecco Passau, il Danubio, l’Inn, il castello che dall’alto domina il fiume, il ponte di legno coperto, l’allevamento di daini, il traghetto, i battelli e le chiatte che risalgono o scendono il Danubio, movendo appena l’acqua, che risponde mormorando sommessamente.

Quando il Danubio si infila in una gola, la strada si distacca, attraversa una zona umida e boscosa che profuma di funghi e giunge a Linz. Sono le 12.30, ci fermiamo nel grande parcheggio lungo il Danubio, vicino al ponte dei Nibelunghi, pranziamo e poi andiamo a visitare la città.

Linz si estende su entrambe le rive del Danubio, ma si è maggiormente sviluppata sulla sua sponda destra. Passiamo il ponte sul quale si affaccia un edificio modernissimo tutto costruito con  vetro e acciaio. Ha la forma di un prisma obliquo. Esso ospita l’Ars Electronica Center, un museo interattivo dedicato alla tecnologia. Ci addentriamo nella città, che in questi ultimi anni si è molto aperta all’arte moderna, che trova spazio nelle vie e nelle piazze accanto agli edifici barocchi. A noi questo accostamento così contrastante appare stridente.

Nella piazza principale contornata da case barocche color pastello, spicca una colonna marmorea eretta all’inizio del XVIII secolo in ringraziamento per la liberazione dalle guerre e dalle pestilenze. Poi ci rechiamo nell’antico duomo, di stile barocco e nel nuovo duomo, costruito in stile neogotico. Esso è dedicato a Maria Immacolata.

Ripreso il camper ci spostiamo a Sankt Florian, che si trova a poco più di 10 chilometri a sud est di Linz. In questa cittadina sorge uno dei più grandi monasteri austriaci. Non si conosce con esattezza la data di costruzione di questo centro di culto, le carte antiche riportano che già nell’800 sorgeva un monastero sul luogo dove c’era la tomba di san Floriano e una chiesetta a lui dedicata.

Floriano era un soldato romano che, convertitosi al cristianesimo, è stato annegato nel fiume Enns, era l’anno 304.

Il monastero nei secoli ha subito distruzioni, ricostruzioni, ampliamenti. Oggi ha l’aspetto di una reggia e ospita anche la stanza che era dell’imperatore, che qui si fermava se passava in questa zona. La chiesa in stile barocco è ornata da una grande quantità di stucchi bianchi. L’ambiente silenzioso invita alla preghiera.

L’ultima tappa della giornata ci porta ad Au an der Donau. E’ un paese sul Danubio che segue di pochi chilometri Mauthausen. Qui ci fermiamo nel campeggio omonimo, che è situato sotto l’argine. E’ un tranquillo prato, diviso in piazzole, con ottimi servizi.

Concludiamo la giornata festeggiando il nostro anniversario con una gustosa cenetta in un ristorante austriaco.

 

Venerdì 17 luglio

Solo ora che è sera, dopo una giornata interessante e piacevole, realizziamo che è venerdì 17!

Noi non siamo affatto superstiziosi ed è per questo che ci organizziamo senza badare a numeri e giorni, è così che conviene fare!

La notte trascorsa nel silenzio più totale è stata davvero riposante, siamo pronti per un’altra giornata su due ruote.

Al mattino risaliamo il Danubio lungo la ciclabile fino a Mauthausen. La cittadina è graziosa, linda ed elegante; purtroppo per lei tra il 1940 e il 1945 è stata una delle protagoniste dell’orrore nazista. Il Lager è indicato con il segnale KZ Mauthausen. Per conoscere bene la strada che porta al sito ci fermiamo all’ufficio informazioni; è chiuso, apre alle 13.00. Fuori c’è una cartina della cittadina dove è segnata la strada da seguire. Sono fermi davanti alla cartina anche altri ciclisti. Uno chiede a Paola se è olandese, forse è tratto in inganno dalla maglia arancione, indossata anche da Giuseppe. Saputo che è italiana afferma con orgoglio di essere tedesco e subito sciorina tre parole italiane.

Per raggiungere il Lager si voltano le spalle al Danubio, si transita per la via compresa tra la scuola e la piscina e si sale sulla collina per 3 chilometri. Il primo chilometro di salita è dolce, poi quando la strada si addentra nel bosco la pendenza aumenta fino a raggiungere il 14%. Va bene avere le gambe, ma noi non siamo né Binda, né Merckx, né Pantani, quindi scendiamo dalle bici e proseguiamo a piedi spingendole. L’ultimo chilometro, seppure ancora ripido, lo troviamo pedalabile.

E’ la seconda volta che visitiamo questo Lager, varcare la sua soglia ci scuote ancora molto. Qui più che i reperti, parlano le pietre, così faticosamente cavate e portate dagli internati schiavizzati e il silenzio spontaneo, che chiude la bocca ai tanti visitatori e parla al loro cuore. Anche noi lasciamo parlare le immagini, perché non ci sono parole per descrivere una simile carneficina e tanto dolore.

Al termine della visita godiamo della ripida discesa raggiungendo la velocità massima di 45 km/h, poi a ritroso sulla ciclabile raggiungiamo il campeggio. Pranziamo alla sua birreria con un cono gelato e una Coca Cola, poi di nuovo in sella proseguiamo sottoponendoci a un pomeriggio di elioterapia. La pista è trafficata. Persone che vanno, persone che vengono. C’è chi si ferma per fare una fotografia, chi per spalmarsi la crema, chi per bere un po’ di acqua in un piccolo spazio ombroso. Sulla riva opposta una squadra di pompieri si sta esercitando. Sono fermi con alcuni mezzi di soccorso. Con una pompa pescano l’acqua dal fiume e con gli idranti la spruzzano immaginando di dover spegnere un incendio.

Lungo la ciclabile sono ben indicati i Gasthaus dove, volendo, ci si può rifocillare e alloggiare. Quando l’argine non è più praticabile, chiari segnali indicano la direzione e le distanze per raggiungere i vari paesi. Der Donauweg non fa mai percorrere le strade principali e se non è esclusivamente ciclabile, sceglie stradine di campagna, dove l’inconveniente più grande è quello di incrociare una mietitrebbia che le occupano per tutta la loro larghezza. A noi capita. Ci fermiamo e ci spostiamo ai margini di un campo di mais. L’agricoltore passa e  fa un cenno di ringraziamento e di saluto.

Il Danubio ha un ampio letto, è circondato da rive boscose che ospitano molte specie di uccelli, ci sono anche delle postazioni per la loro osservazione. Lungo l’itinerario si trovano anche dei punti di ristoro-informazione. Offrono tavoli all’ombra, acqua, servizi igienici e l’immancabile birreria, che vende anche gelati e torte. Arrivati a Laibing, un piccolo e poetico borgo agricolo, facciamo merenda gustando una succosa mela, che raccogliamo lungo la strada ai piedi di un albero. Qui invertiamo il senso di marcia. Ritornando ci fermiamo a Mitterkirche per comperare il pane, poi tornati ad Au, nella piccola cappella dedicata a sant’Anna ringraziamo il Signore per la serena giornata che ci ha donato e prendiamo la preghiera che è messa a disposizione. La regaleremo alle nostre mamme.

 

PREGHIERA DELLE NONNE A SANT’ANNA

 

Sant’Anna, aiutami a sopportare che i miei nipoti vadano lungo una via che non capisco.

Non conosco  come si svolge la loro vita..

Le loro scelte mi richiedono molta pazienza.

Mi addolora che la fede e la Chiesa non hanno per loro significato.

Lasciami pregare e fa splendere la mia voce davanti a Gesù.

Forse essi pregano, senza che io veda e sappia.

Sant’Anna io amo i miei figli e i miei nipoti come tu Maria  il tuo caro Gesù.

Oh come vorrei sbagliarmi!

Ti prego sant’Anna, fa che le nostre generazioni si comprendano e siano unite nel bene.

Sant’Anna sostieni i miei nipoti e accogli le mie preoccupazioni per loro.

Nel nome di Gesù benedici la nostra famiglia.

Amen.

 

Sabato 18 luglio

Sembra che anche in Austria valga la regola estiva del lavoratore italiano. Dopo una settimana di tempo stabile con giorni molto caldi e soleggiati, il weekend inizia sotto una pioggia torrenziale, spinta dal forte vento e, data la latitudine, dal clima autunnale.

Come previsto dal nostro programma oggi è giorno di viaggio: un breve spostamento fino a Melk. Giungiamo al camping omonimo, all’ora di pranzo. Il camping  si trova su un’isola compresa tra una lanca e il ramo principale del Danubio.

Nel presto pomeriggio il cielo si rischiara, la pioggia prima si attenua e poi cessa.  Il vento invece continua a spirare con impeto. Ben coperti ci incamminiamo verso il paese, che sta appena al di là del ponte. La meta è la Stift Melk, la celebre abbazia resa ancora più famosa da Umberto Eco nel romanzo Il nome della Rosa. Essa sorge su uno sperone roccioso; con i suoi due campanili gemelli, la grande cupola e con il suo colore radioso, domina il paese e dà un’impronta unica al paesaggio. Originariamente era un castello. Intorno all’anno 1100 l’imperatore d’Austria lo donò ai benedettini. Esso venne trasformato in un’abbazia fortificata. Fu ricostruita all’inizio del 1700, dopo un violento incendio che la distrusse quasi completamente. Il complesso è veramente grande e imponente. L’appartamento imperiale è ora un museo che raccoglie alcune testimonianze della vita di san Benedetto e arredi sacri. Molto belli sono gli stucchi dei soffitti e i parquet di legno intarsiato, dei quali si vede solo una parte, perché sono protetti da spessi tappeti di moquette. Ogni sala è illuminata con un particolare colore, che la rende unica. Due sale sono rimaste intatte: la Marmorsaal e la Biblioteca.

La Marmorsaal era l’antica sala dei banchetti e delle feste. Il suo soffitto affrescato in modo prospettico la fa sembrare più alta di quello che è in realtà. L’affresco rappresenta con figure mitologiche la vittoria del bene sul male.

La biblioteca raccoglie centomila volumi di cui 1888 manoscritti. Oltre alle antiche librerie in essa vi è un nastro di legno a forma di otto, sul quale sono posati dei rotoli. Esso è stato collocato nel 2004 e simboleggia l’infinito, cioè ciò che in realtà avviene nella biblioteca: il continuo suo ampliamento con l’introduzione di nuovi volumi anno dopo anno.

Anche questa sala ha il soffitto affrescato. Vi è rappresentata la Fede affiancata dalle quattro virtù cardinali: la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza. Ai lati delle porte ci sono quattro statue dorate, che rappresentano quattro scienze: la teologia, la filosofia, la medicina e la giurisprudenza.

Scendendo per una scala a chiocciola adorna di stucchi si raggiunge la chiesa.

Essa mostra l’apoteosi del barocco. Lascia anche noi stupefatti, sebbene non amiamo particolarmente questo stile architettonico. E’ dedicata ai santi Pietro e Paolo. Sono rappresentati mediante due statue dorate poste sull’altare maggiore. Qui tutto è d’oro: il grande pulpito, i capitelli delle colonne, i fronzoli dell’organo, degli scranni  del coro e degli altari laterali.

La gente gira, guarda, commenta, parla, si fa fotografare o si auto fotografa e se ne va, come se qui non ci fosse la Persona alla quale rivolgere il migliore saluto.

Terminata la visita ci rechiamo alla chiesa parrocchiale per informarci sull’orario delle messe di domani e rientriamo in campeggio.

 

Domenica 19 luglio

Il vento intenso della notte porta a terra l’umidità ancora sospesa nell’aria, poi inizia a liberare il cielo. Partecipiamo alla messa delle ore 10.00 e, con stupore, costatiamo che la chiesa è mezza vuota e che i partecipanti sono persone prevalentemente anziane. C’è qualche bimbo piccolo, i ragazzi sono solo i cinque chierichetti, non ci sono i giovani. L’Austria non è più cattolica?

Rientrando in campeggio incontriamo un tipo curioso. Capelli e barba bianca, emulo di Konrad Lorenz, lo scienziato etologo originario di questa zona, getta dal ponte del pane  alle anatre che festosamente lo stanno aspettando.

Poi partiamo per una micro tappa. Ci spostiamo di circa 40 chilometri fino a Krems, dove ci fermiamo al camping Donaupark, che si trova proprio affacciato al Danubio. Al di là del fiume, sulla cresta del monte, che chiude la valle, si erge un’altra imponente abbazia, la Stift Göttweig.

In paese c’è una fiera, è la Marillenfest, la festa delle albicocche. La musica e le marcette giungono fin qui e accompagnano con un allegro sottofondo il nostro leggero pranzo.

Il pomeriggio lo occupiamo con una bella gita in bicicletta. Da Krems risaliamo il Danubio lungo la sua riva sinistra fino a Spitz. La ciclabile inizialmente lo costeggia.  Esso scorre molto veloce con la sua acqua torbida, facendo un’ampia ansa verso sud. Poi quando il fiume si ripiega verso nord, la ciclabile senza perderlo di vista sale sulle colline e offre scorci panoramici impareggiabili. Siamo nella regione della Wachau, una delle più belle zone dell’Austria. Pedaliamo in una terra verde coltivata a vigneti e frutteti lungo le pendici collinari, mentre le sommità delle alture sono ricoperte da fitti boschi. Attraversiamo piccoli paesi dal tratto antico e, come ogni valle fluviale degna di rispetto, non mancano sugli speroni rocciosi i castelli, segni di una storia millenaria.

A Spitz traghettiamo sull’altra riva e seguendo la corrente fluviale ritorniamo a Krems con un giro di circa 40 chilometri.

La ciclabile della riva destra è poco impegnativa, in quanto costeggia sempre il fiume, però è meno paesaggistica, tuttavia offre altre occasioni. Passa attraverso i frutteti. Sono maturi i mirtilli, le more, le albicocche, mentre stanno ancora aspettando il loro tempo le mele e le pere.

I contadini hanno messo piccole bancarelle ai bordi della strada e vendono i loro prodotti: frutta, marmellate, liquori casalinghi.

Ci fermiamo tre volte per comperare dei mirtilli, delle albicocche, un vasetto di marmellata e una bottiglia di liquore di albicocca.

La frutta colta matura dagli alberi è una delicatezza, che solo durante qualche vacanza ci è possibile gustare. Potremmo dire di no a tanta bontà, che viene venduta anche a prezzi davvero convenienti?

Dopo cena giunge davanti alla porta del camper un germano reale maschio, tutto scodinzolante attira la nostra attenzione. Abbiamo avanzato un po’ di pane, glielo diamo a pezzettini, lo mangia tutto. Mentre lui si avvia verso altri mezzi, sicuro di poter continuare la sua cena, noi andiamo a visitare il paese. Ci fermiamo alla fiera e  facendoci  prendere dalla gola gustiamo un delizioso dolce all’albicocca, poi ci addentriamo nell’abitato. Giriamo per le sue stradicciole acciottolate, illuminate da lampioni gialli. Sono deserte e silenziose, nascondono angoli suggestivi.

 

Lunedì 20 luglio

La giornata odierna inizia con un altro breve trasferimento: la meta è Vienna. Percorriamo la Romantikstrasse, la strada che arriva alla capitale tagliando a mezza costa il versante destro della riva danubiana. Attraversa piccoli paesi, le cui case sono allineate lungo la strada stessa.

Il paesaggio cambia col passare dei chilometri. La zona verde frutticola è seguita da una zona gialla per le coltivazioni dei girasoli e dei cereali. Presso Vienna il territorio è boscoso, transitiamo attraverso un’estesa faggeta e durante una breve sosta gustiamo dei dolcissimi lamponi che occhieggiano rossi tra il fogliame del sottobosco.

L’ingresso in città non è complesso, perché non incontriamo traffico e, grazie al navigatore, arriviamo senza indugi al camping Wien Süd, sotto una pioggerellina sottile.

Dopo pranzo il cielo si apre, azzurro e sole fanno capolino. Con l’autobus che passa davanti al campeggio e la metropolitana in mezz’ora siamo in centro. Visitiamo la cattedrale dedicata a santo Stefano. Essa è molto bella esternamente, mentre il suo interno gotico è male accostato agli altari barocchi. Rinomato è il suo tetto di tegole colorate. Su un suo lato è rappresentato lo stemma asburgico. Sulla piazza si affaccia un moderno edificio di vetro e acciaio nel quale si specchia la torre del duomo. La visione d’insieme è interessante. La piazza è popolata da un numero incredibile di turisti, che devono stare attenti a non farsi accalappiare dai tanti “Mozart”, che la abitano, sempre pronti a spillare un po’ di euro per un momento kitch. Giuseppe, che conosce bene la città, essendoci stato diverse volte per lavoro in altre stagioni, fa da guida, ma non ritrova la pacata atmosfera conservata nei suoi ricordi. Ci nasce l’idea di tornarci quest’inverno per visitare i suoi musei e respirare la sua austera ed elegante regalità.

Proseguendo a piedi per l’isola pedonale oltrepassiamo la colonna eretta in ricordo della peste e arriviamo al Rathaus. E’ un bell’edificio di stile neogotico con un’altissima guglia. Purtroppo non è possibile ammirarlo nel suo splendore, perché la sua facciata è celata da un megaschermo e il giardino antistante è tutto occupato da chioschi e tavolini. Seguendo il Ring passiamo davanti al Parlamento e arriviamo all’Hofburg, il palazzo imperiale. Qui si tocca con mano la grandezza che ha avuto un tempo questo Paese. Anche l’atmosfera di questo luogo è d’altri tempi. Lente ed eleganti sfilano le carrozze.

Per andare al Teatro dell’Opera percorriamo la strada che lo collega  alla piazza del duomo. Lungo il suo corso per terra si trovano incisi su lastre di marmo i nomi dei musicisti che hanno diretto l’orchestra di questo famosissimo teatro. L’ultimo nome inciso è quello di Claudio Abbado, ne siamo orgogliosi.

Tornando verso la metropolitana ci fermiamo in una piccola chiesa per dire una preghiera. E’ la chiesa dei Cavalieri di Malta, ha le pareti ornate con gli stemmi di famiglie nobili e un piccolo, bell’organo. Poi ci dedichiamo allo shopping, acquistiamo un regalo di Natale e presso l’hotel Sacher una piccola, buona e famosissima Sachertorte, perché non si può venire a Vienna e non gustare il suo esclusivo dolce.

Tornati in campeggio incontriamo i primi italiani della nostra vacanza.

 

Martedì 21 luglio

L’intensa giornata inizia con un tempo di relax, durante il quale Giuseppe facendo colazione termina la lettura del giornale di ieri.

Mentre stiamo per raggiungere la fermata, il bus che dobbiamo prendere ci passa davanti, corriamo. A Paola sembra di essere a Milano, dove sovente le capita di salire al volo sui mezzi pubblici.

La nostra mattinata la dedichiamo al castello di Schönbrunn, che è stato la residenza estiva degli Asburgo. Nato come casino di caccia è cresciuto insieme alla potenza dell’impero asburgico. Nel XVII secolo fu trasformato in palazzo. Raso al suolo dai turchi durante l’assedio del 1683, l’imperatore Leopoldo II lo fece ricostruire. In seguito fu ristrutturato dall’imperatrice Maria Teresa in stile barocco. Nel 1916 il pronipote di Maria Teresa, Francesco Giuseppe morì in questa reggia. Acquistiamo il biglietto per il tour classico, che comprende la visita del castello, del giardino e del Belvedere.

Le sale del castello sono molto belle, arredate con i mobili imperiali, hanno stupendi pavimenti di parquet di legno intarsiato e preziose suppellettili. In particolare ci piacciono la sala in noce, che ha le pareti rivestite con pannelli di noce decorati in oro, il salotto dell’imperatrice, che ha le pareti rivestite da una tappezzeria  di seta chiara e sontuosi mobili, il salone cinese blu, tappezzato con carta di riso cinese del settecento. Quest’ultimo salone ha  anche un’importanza storica, infatti è qui che l’11 novembre 1918 l’imperatore Carlo I rinunciò al trono e dal giorno successivo l’Austria divenne una repubblica. Molto bella è anche la Galleria degli Specchi, luogo dove si svolgevano le feste, tuttavia essa non regge il paragone con quella di Versailles. Purtroppo non riusciamo a documentare in modo ampio quanto vediamo, perché incomprensibilmente è vietato fotografare.

La nostra visita prosegue nel giardino. Attraverso una fresca galleria di vite del Canada raggiungiamo la terrazza, che permette di ammirare il bel giardino all’italiana sul quale si affaccia il retro del palazzo imperiale. Poi giriamo per l’agrumeto. Potessimo farvi sentire il profumo! Sono coltivate diverse essenze: aranci, cedri, mandarini, limoni, bergamotti, pompelmi. Molte piante sono già ornate con i loro frutti maturi, gialli e arancioni, che danno un tocco di colore al verde intenso del fogliame. Altre piante sono ancora in fiore e sono visitate da operose api.

Ci rechiamo al Belvedere. Saliamo su una collinetta ai cui piedi c’è l’imponente fontana di Nettuno. Dall’alto lo sguardo spazia sulla città, tutta circondata da boschi e campagna.

Ora la fame inizia a farsi sentire, sono già le 13.00. Ci accontentiamo di un gelato e una bottiglietta d’acqua e con la metropolitana andiamo al Prater, il parco dei divertimenti, rinomato per la grande ruota panoramica. E’ proprio questa attrattiva che ci  porta qui. Inaugurata nel 1897 in occasione del cinquantenario dell’ascesa al trono dell’imperatore Francesco Giuseppe, questa grande ruota di ferro imbullonato è diventata il simbolo di Vienna. Saliamo sulla cabina numero 10 insieme a una famigliola tedesca. Lentamente la ruota si mette in moto, si ferma di tanto in tanto per permettere la discesa e la salita di altri turisti. Sotto di noi si alzano le grida dei ragazzi che corrono veloci sulle montagne russe e su altri scivoli scoscesi. L’orizzonte si allarga sempre più, aiutati dal profilo della città disegnato all’interno della cabina riconosciamo le guglie delle varie chiese, i grattacieli principali e in lontananza Schönbrunn col suo Belvedere.

Lentamente la cabina scende, il caldo torrido di questa giornata torna a farsi sentire. Ci muoviamo ancora con la metropolitana, sulla quale è possibile caricare le biciclette e raggiungiamo il Palazzo dell’ONU. Sul piazzale antistante troviamo dei profughi iraniani; silenziosamente chiedono di non dimenticare il loro popolo martoriato, che in questi giorni sta patendo una cruenta repressione. Poi ci spostiamo sul Danubio, perché è lui il protagonista della nostra vacanza. Qui a Vienna il suo corso è stato modificato. Il letto originario, un tempo controllato da un faro, è semichiuso e fa parte di un parco di divertimenti. La sua acqua tranquilla oggi riflette l’azzurro del cielo ed è di un bel colore blu. Tra il vecchio e il nuovo Danubio si estende una lunga isola percorsa anche da una pista ciclabile. Il nuovo Danubio scorre marrone tra gorghi e piccole onde create dai battelli turistici  che lo navigano.

Sulla via del ritorno ci fermiamo nuovamente in centro, dove giriamo per il quartiere che si estende da dietro il duomo al Ring. Anche qui case eleganti, grandi alberghi, tante librerie e piccoli negozi di artigianato. In uno di essi comperiamo un gufetto di terracotta verniciata da aggiungere alla nostra collezione.

 

Mercoledì 22 luglio

Altro breve spostamento da Vienna a Bratislava. L’uscita dalla città non è complessa, perché abbiamo alloggiato già nella giusta direzione. Transitiamo per quartieri sempre più periferici e popolari, poi oltrepassati un grande impianto petrolchimico e l’aeroporto, viaggiamo soli su una lunga strada che punta diritto verso la Slovacchia. Percorriamo una zona piuttosto desolata, che costeggia il Danubio, ma non ce lo fa vedere. Incontriamo pochi paesi nei quali spiccano i campanili a cipolla. Superata la frontiera, dove non ci sono più controlli, vediamo in lontananza Bratislava, adagiata sulla riva sinistra del Dunaj, così si chiama il Danubio in slovacco.

Essa è dominata da un grande castello quasi completamente ricoperto da impalcature. Ci fermiamo al camping Zlaté Piesky, che si trova in prossimità del capolinea del tram n. 4, che porta in centro città.

Alla reception, terminata la registrazione, ci consegnano un foglio rosso scritto in inglese. E’ del dipartimento di polizia, riporta una serie di raccomandazioni e consigli utili per prevenire furti e scassi e i numeri da chiamare in caso di emergenza.

Anche oggi il cielo è completamente terso, splende un raggiante sole estivo, la temperatura ha già raggiunto i 30° C.

Visitiamo la città. La nostra prima tappa è il Danubio. E’ impressionante la massa d’acqua che trasporta. Sulle sue rive ci sono numerosi pontili per l’attracco dei battelli. Questo fiume vive più di turismo che di commercio e ciò è abbastanza comprensibile, se si considera che sfocia in un mare chiuso, il mar Nero e che attraversa paesi non particolarmente industrializzati.

Il centro storico di Bratislava, capitale della Slovacchia, è raccolto in un fazzoletto di terra. Saliamo al castello. Gradino dopo gradino lo raggiungiamo sulla cima della collina. Ha la forma rettangolare, i suoi quattro angoli sono sormontati da quattro torri quadrate, che terminano con delle torrette a base ottagonale, chiuse da un tetto conico. E’ in completa ristrutturazione. Da qui si ha però un’ampia veduta della città nuova. Si vedono i moderni ponti che attraversano il Danubio, che è largo più di 200 metri. Sulla sua riva destra sono sorti moderni grattacieli che non hanno lasciato alcun spazio al verde.

Torniamo nella città vecchia, è tutta isola pedonale. Bratislava è una tranquilla cittadina, non ha l’aspetto della capitale. Il suo centro non è stato ancora occupato dai negozi delle grandi firme. Camminiamo lungo le sue vie acciottolate, vediamo la cattedrale dedicata a san Martino. Essa è un monumento storico, costruito in stile gotico sui resti di una precedente chiesa romanica. Il simbolo della città è però la  porta di san Michele. Essa è l’unica porta che rimane delle quattro delle antiche mura medioevali della città. Sopra la porta si eleva una torre, che alla metà del XVI secolo subì delle modifiche, che le hanno dato l’attuale aspetto barocco. Sotto la porta è presente una circonferenza in cui sono indicate le varie distanze con alcune città del mondo, compresa Roma.

E’ sera, il sole è tramontato, ma fa ancora molto caldo. Mentre ci dedichiamo ai nostri passatempi fino a quando la cupola si ammanta di stelle, nel prato passa furtivamente un riccio, che prosegue il suo cammino infilandosi sotto il camper degli olandesi nostri vicini.

 

Giovedì 23 luglio

Alle ore 9.30  lasciamo il luogo dove abbiamo dormito. Chiamarlo campeggio è un’offesa per tutti i camping rispettabili. E’ molto rumoroso, fino a mezzanotte è giunta la musica suonata ad alto volume dalla vicina spiaggia del lago prossimo ad un suo lato e al mattino è iniziato presto il frastuono del traffico della statale che porta in città. Ha servizi inadeguati sotto tutti gli aspetti, per nostra fortuna il camper è autosufficiente al riguardo! Senza divisione in piazzole si è riempito in modo disordinato con scarso rispetto per gli spazi vitali degli equipaggi. D’altra parte non abbiamo avuto scelta, è l’unico campeggio della città.

Il trasferimento odierno prevede l’uscita dalla Slovacchia e l’ingresso in Ungheria.

Programmiamo Tom su un percorso alternativo all’autostrada.  L’itinerario seguito ci stacca dal Danubio. Passiamo per una zona agricola coltivata abbondantemente con mais e girasoli. Pochi sono i paesi incontrati. Essi ci appaiono piuttosto anonimi, piccole casette tutte uguali e grigi caseggiati dagli ingressi minuscoli e dalle finestre quadrate.

La Slovacchia ci sembra un paese ancora povero, ma in rapida crescita. Infatti si sta sviluppando la rete dei centri commerciali, diffusissimi sono i cartelloni pubblicitari, il parco macchine è formato da veicoli vecchi, alcuni provenienti dai paesi occidentali e non più in produzione, ma anche da automobili attuali, molte delle quali di grossa cilindrata. Vivace è il traffico commerciale, camion e furgoni corrono veloci su strade costruite con lastroni di cemento. La strada che percorriamo, per parecchi chilometri è fiancheggiata da filari di alberi di noce e di betulla.

Tra Stúrovo e Esztergom ritroviamo il Danubio, che qui fa da confine. Percorriamo il ponte di ferro Maria Valeria, ricostruito nel 2002, dopo che era stato distrutto durante la II guerra mondiale e siamo in Ungheria. Ci fermiamo al Gran Camping di Esztergom, che è su un’isola compresa tra il grande Duna, così si chiama il Danubio nella lingua magiara, e il piccolo Duna. E’ prossimo alla cittadina.

Esztergom si trova in una bella posizione, è adagiata su una collina che domina il Danubio, che qui raggiunge una larghezza di 300 metri. La sua collocazione strategica ha determinato e condizionato la sua storia. Nel I secolo vide un insediamento romano, di cui rimangono alcune tracce.

All’inizio del X secolo l’Ungheria era soggetta alle cruente incursioni dei Magiari, tribù nomadi provenienti dall’est. Nel 973 Geza, principe dei magiari e suo figlio Vaik si convertirono al cristianesimo. In seguito il principe  intraprese una difficilissima impresa di stabilizzazione della sua gente nel territorio. Si trattava di trasformare il popolo da nomade a stanziale, quindi di sostituire le tende con le case e il saccheggio con il lavoro agricolo. Alla morte di Geza suo figlio, che con il battesimo aveva preso il nome di Stefano, ne continuò l’opera. In suo aiuto intervenne il papa Silvestro II, che gli inviò la corona regia insieme al titolo di “re apostolico”. Stefano organizzò la vita politica e religiosa dell’Ungheria costituendola in contee  ed elesse Esztergon come sede vescovile e capitale del regno.

Dopo la sua morte avvenuta il 15 agosto 1038, fu eletto agli onori degli altari nel giorno dell’Assunta del 1083.

Sulla collina di Esztergon sorse una chiesa, che fu poi distrutta dai turchi nel XVI secolo. La basilica che oggi è presente sulla collina è la più grande chiesa dell’Ungheria. E’ stata costruita nella prima metà del XIX secolo in stile neoclassico. E’ ancora oggi la sede del Primate di questa nazione.

Raggiungiamo la basilica attraverso un ripido sentiero tagliato nel bosco. Dall’alto si gode di un ottimo panorama sul Danubio e sulla Slovacchia, che sta al di là del fiume.

La basilica è dedicata a Maria Assunta, capo, madre e maestra della Chiesa ungherese. Il suo interno è molto ampio e piuttosto disadorno. Alzando lo sguardo verso la cupola troviamo che un po’ ci appartiene. Infatti alla base dei quattro pilastri che la sostengono sono raffigurati dei padri della chiesa: san Geronimo, san Gregorio, sant’Agostino e il nostro sant’Ambrogio.

Nella cripta, che non riusciamo a visitare, perché è chiusa, sono conservate le spoglie dell’arcivescovo József Mindszenty. Egli eroicamente si oppose al regime comunista, pagando enormi conseguenze. Consacrato sacerdote nel 1915, fu imprigionato nel 1919, durante il breve regime comunista e di nuovo nel 1944, quando al potere c’era un partito di ispirazione fascista. Nel 1945 venne consacrato arcivescovo di Esztergom e l’anno dopo fu nominato cardinale. Nel 1948 si oppose al nuovo regime comunista, rifiutandosi di secolarizzare le scuole cattoliche. Per questo fu arrestato, torturato e condannato all’ergastolo, con l’accusa di tradimento.

Liberato durante la rivolta del 1956, quando i comunisti tornarono al potere si rifugiò nell’ambasciata americana e lì rimase per moltissimi anni. Nel 1974 riuscì a trasferirsi a Vienna e un anno dopo morì chiedendo di non essere riportato in patria fino a quando in Ungheria ci fosse stata la presenza militare sovietica. Le sue spoglie furono traslate a Esztergom nel 1991.

Scendiamo dalla collina, percorrendo una lunga scalinata e visitiamo Viziváros, la città dell’acqua, un piccolo quartiere affacciato alla riva del piccolo Danubio. Ha belle case color pastello. Purtroppo non è possibile dare un quadro d’insieme, perché la piazza è completamente occupata da stand.

Troviamo anche un bancomat per prelevare i fiorini, la moneta ungherese. E’ strano, il paese dell’est che quando sono caduti i regimi comunisti era il più occidentalizzato, non ha ancora l’euro! Fa un certo effetto digitare la cifra  ventimila, ma essa equivale a circa 70 €!

Mentre ceniamo con insalata di pasta e formaggio, si avvicina il signore ungherese della roulotte che sta di fronte al nostro camper. Ci offre, parlandoci in tedesco, quattro albicocche, che dice di aver raccolto nel suo giardino. Ringraziamo per il dono ricevuto: sono ancora più buone di quelle acquistate in Austria.

Dopo cena, appena usciti dal campeggio guardiamo il Danubio grigio-rosso che ha salutato il sole e si prepara per la notte.

 

Venerdì 24 luglio

Campeggio tranquillo quello di Esztergom, dotato di piscina, è frequentato da famiglie ungheresi, ma anche dai soliti silenziosi olandesi e poche altre nazionalità: inglesi, belgi, svizzeri e noi, unici italiani.

Notte movimentata! Mezz’ora dopo la mezzanotte viene improvvisa una tempesta di vento, che reca con sé poche gocce d’acqua, strappate dal cielo chissà dove.

Le fronde degli alberi gemono squassate da tanta violenza. I rami scricchiolano mentre il vento si abbatte furioso contro le pareti del camper urlando il suo impeto. All’una ci alziamo per chiudere il tendalino, nel timore che si rompa e per riporre le nostre poltroncine. Non siamo i soli a uscire in pigiama. Chi dorme nelle tende sta rinforzando i picchetti, altri ripongono le sedie, i tavolini, la biancheria stesa. Alle due il vento cessa all’istante. Il campeggio ripiomba nel silenzio più assoluto e noi nel sonno profondo, che ci accompagna fino alle ore 9.00.

Oggi ci spostiamo di circa 30 chilometri e raggiungiamo Visegrád, il cui nome di origine slava significa castello alto.

Ci fermiamo al camping Jurta.  Esso ha il nome della tenda dei popoli mongoli, che giunsero fin qui nel XIII secolo. E’ situato alto sulla collina a due chilometri e mezzo dal paese. E’ un piccolo e tranquillo campeggio, condotto da dei giovani, che offrono il futuro, ma non pensano concretamente ai bisogni del presente. Infatti nel camping è possibile collegarsi liberamente a internet, ma non ci sono le lavatrici! Paola torna alle origini dei suoi campeggi e fa un bucatone a mano. Nel pomeriggio con una passeggiata di 40 minuti, seguendo una mulattiera tagliata in un fresco bosco di querce e faggi, che offre accattivanti scorci sul serpeggiante Danubio, andiamo a visitare la Cittadella.

Visegrád ha una storia secolare, fortezza dei romani nel IV  secolo, ebbe il suo massimo splendore nel XV secolo, quando divenne la seconda capitale dell’Ungheria. Qui veniva il re nel periodo estivo. Dopo la distruzione subita dai turchi, fu nuovamente abbattuta all’inizio del 1700 dagli Asburgo. La Cittadella è situata sulla cima della collina, che domina il Danubio, offre una vista spettacolare sul corso d’acqua che, irradiato dal sole, scorre dorato tra le sue rive boscose. La Cittadella è circondata da un fossato scavato nella roccia. E’ stata in parte ricostruita, ospita sale con le testimonianze storiche della vita del castello e la preziosa corona d’oro tempestata di pietre preziose di re Stefano. La corona è formata da due parti, quella inferiore, detta greca, ha figure di santi e iscrizioni greche, quella superiore o latina raffigura gli evangelisti.

Le varie parti del castello sono collegate tra loro da scale, passerelle e ponti levatoi. Si trovano ricostruiti oggetti medioevali, come la catapulta in legno e la gogna. Paola vi si intrappola. Le sue studenti a volte vorrebbero vederla così, ma come lei dice sempre: “non si sa chi viene dopo!”

Ancora uno sguardo al panorama ed ecco un’ombra oscura per un attimo il sole: è un falco, che rotea sopra la boscaglia del dirupo. Ha attaccato alle zampe dei nastri. Giuseppe capisce subito che è addestrato, cambia obiettivo, fotografa. Iniziamo a cercare il falconiere. Dopo un po’ richiamati dal verso del falco lo vediamo camminare lungo il fossato con il volatile al braccio. Lo seguiamo e quando lo raggiungiamo ha già legato il falco al trespolo  accanto a dei suoi simili.

Rientrando in campeggio ci fermiamo alla Casa Culturale nella Foresta, è chiusa, perché non è periodo scolastico. E’ un edificio costruito in legno e in parte ricoperto di zolle erbose. E’ un luogo dove si promuove l’educazione ambientale delle nuove generazioni.

La nostra cena termina con le prugne raccolte ai piedi degli alberi del giardino della Casa nella Foresta.

 

Sabato 25 luglio

Notte calda, nonostante siamo a 350 metri di altitudine e sulla sommità di una collina. Ci addormentiamo vegliati da tre stelle, che fanno capolino attraverso l’oblò aperto e cullati dal canto dei grilli e ci svegliamo dopo qualche ora, perché una pioggerellina sottile ci spruzza il letto. Poi di nuovo ci addormentiamo coccolati dai tenui suoni della natura e ci svegliamo al trillo della sveglia.

Ci spostiamo di circa 30 chilometri fino a Szentendre. Perché non in bicicletta?

La Slovacchia e l’Ungheria non hanno ancora scoperto quale ricchezza turistica può essere anche per loro il Danubio. Non hanno la pista ciclabile e le strade che seguono il fiume sono abbastanza strette, trafficate e con il fondo a tratti molto sconnesso, proprio lungo i loro bordi, cioè dove pedalano i ciclisti. Per questo preferiamo il camper.

Il problema più urgente di oggi è quello della spesa. L’Ungheria non essendo ancora entrata nella zona euro, non ha ancora diffusi i centri commerciali. Non è che noi rifiutiamo a priori i piccoli negozi, ma qui la scelta diventa poco proponibile a causa della lingua, anche se abbiamo verificato che molte persone dai cinquant’anni in su capiscono e parlano un po’ il tedesco e i giovani un po’ l’inglese.

A Szentendre c’è un supermercato, lì ci approvvigioniamo dei viveri necessari per i prossimi giorni. Alloggiamo al camping Pap-Sziget. Si trova su una piccola isola compresa tra una lanca del Danubio e il corso del fiume. Ci accolgono calorosamente due signore, una parla inglese e affronta la registrazione del nostro arrivo, l’altra col suo bel viso tondo, tipico dei magiari, e con cordialità, parlando un discreto italiano, fa la promozione turistica della sua cittadina. Ci consegna anche una buona documentazione su Budapest scritta in italiano e ci dà informazioni su come raggiungere la capitale coi mezzi pubblici, sugli orari, sui tipi di biglietto e i loro costi.

Dopo pranzo con una passeggiata di circa 40 minuti andiamo a visitare Szentendre, un’altra piacevole cittadina allineata sulla riva destra del Danubio. Il suo centro è caratterizzato dalla presenza di numerose chiese. La prima che visitiamo è la chiesa di san Pietro e Paolo. E’ addobbata per un matrimonio e un’intransigente signora oppone resistenza al nostro ingresso. Le chiediamo l’orario delle messe e, ricevuta l’informazione, usciamo proprio nel momento in cui sta arrivando la sposa. Si forma il corteo nuziale ed entrano in chiesa. Le auguriamo un matrimonio saldo e pieno d’amore.

Poi camminando per le vie acciottolate ci fermiamo a curiosare nei negozi di ricami e di ceramiche e a guardare gli acquarelli, che diversi pittori espongono lungo la strada.

Szentendre è una cittadina che richiama molti artisti per i suggestivi scorci e per i colori del suo bel fiume, che è solo a metà del suo corso.

Arriviamo nella piazza principale dove c’è una grande croce di ferro decorata con icone, poco più avanti c’è una piccola chiesa: la chiesa di Blagoveštenska. E’ di rito ortodosso; in questa città nel XVI secolo arrivarono dei profughi serbi, che fuggivano dai turchi che stavano occupando le loro terre. L’interno di questa chiesa è davvero bello e reso ancora più gradevole dalla musica sacra che lo riempie. Sulle pareti laterali diversi quadri narrano degli episodi della vita di Gesù.

Continuando il nostro girovagare percorriamo la via principale, che è un grande emporio commerciale, tutto ristoranti e negozi di souvenir. In fondo ad essa si alza imperioso un campanile rosso. Ci attrae. Lo raggiungiamo. Anche questa chiesa è di rito ortodosso. E’ chiamata Cattedrale di Belgrado. Il suo interno è incantevole. L’iconostasi rappresenta la Trinità e sotto di essa è rappresentata la visitazione di Maria. Accanto ci sono immagini sacre di santi. Di legno dipinto sono sia il pulpito, sia lo scranno sacerdotale. La visita di questo centro di culto comprende anche un piccolo museo di arte  e arredi sacri. Osserviamo che nei secoli in questo paese un santo molto venerato è san Giorgio. Nelle chiese e anche in questo piccolo museo numerosi sono i quadri che lo rappresentano.

Fuori nel giardino un’altra sposa sta posando per il servizio fotografico. Auguri anche a lei!

Rientrando in campeggio notiamo che una delle prime piazzole è occupata dal piccolo camper di una coppia di tedeschi con i quali ci rincorriamo e ci incrociamo da una settimana nei camping o nei giri in bicicletta. Anche loro ci riconoscono, ci salutiamo cordialmente.

 

Domenica 26 luglio

Non ci capita spesso di riposare alla domenica, oggi sarà così.

Dopo una buona colazione con le biciclette ci rechiamo all’imbarcadero del paese per traghettare sull’isola di Szentendre, che divide il Danubio in due rami da poco dopo Visegrád fino quasi a Budapest. Il battellino che prendiamo trasporta solo persone e biciclette, non ha orari, quando è carico parte. Arriviamo giusto in tempo per imbarcarci e salpare. Pochi minuti e siamo sull’isola, che è una lunga lingua sabbiosa percorsa da una strada secondo la sua lunghezza e da qualche via trasversale, che porta ad altri imbarchi verso la riva destra o sinistra del fiume. Pedaliamo in contro corrente rispetto al flusso del Danubio. La strada è interna e non offre scorci sull’acqua.

Sono le 11.00, quando entriamo nel villaggio di Szigetimonostor. Sta suonando la campana della piccola chiesa, per segnalare l’inizio della messa. Ci fermiamo. Il nostro programma prevedeva la messa questa sera, ma offrire la nostra gita al Signore ci sembra una buona cosa. La chiesa è piena in ogni suo posto. Insieme ad altre persone, in piedi nell’androne, partecipiamo alla celebrazione. La piccola comunità è viva, canta e prega in modo corale. Quando proiettano il versetto del salmo responsoriale su un piccolo schermo posto in alto di fianco all’altare, notiamo che l’ungherese, come l’italiano, è una lingua fonetica, cioè si legge come si scrive, ma è talmente diverso da ogni altra lingua che risulta completamente incomprensibile. Durante la predica capiamo solo la parola Krisztus. Il sacerdote nomina spesso Gesù, chiamandolo Cristo. Questo ci colpisce, perché nelle prediche dei nostri sacerdoti è raro che questo succeda. Un momento commovente è la recita del Padre nostro. Tutti si prendono  per mano, le mani si intrecciano anche con tre o quattro persone a formare un’unica rete, anche noi entriamo a pieno titolo, seppure per un giorno, nella piccola comunità. Un gesto semplice e di autentica fratellanza. Al termine della messa, mentre riprendiamo le biciclette ammiriamo questa comunità composta da tante generazioni di uomini e donne, che  si lasciano solo dopo essersi salutati con trasporto e affetto.

Proseguiamo la nostra pedalata. Il territorio dell’isola è poco fertile, le colture agricole stentano a crescere. C’è qualche campo rinsecchito di mais e di girasoli. Per lo più si allevano  cavalli. Florida è invece la vegetazione spontanea, chissà perché alle erbe e alle piante infestanti basta davvero poco per crescere rigogliose! Sembra di vedere rappresentata la parabola della zizzania.

Passiamo dal villaggio di Taitoftalu e alle 13.15 raggiungiamo l’imbarcadero che ha di fronte la cittadina di Vác. Al chiosco comperiamo un gelato e dell’acqua, il nostro pranzo. Poi riprese le biciclette percorriamo a ritroso la strada. Il vento che adesso soffia in nostro favore ci avvantaggia nella velocità. Per tornare a Szentendre decidiamo di utilizzare l’imbarco di Pocsmegyer. Il traghetto che prendiamo trasporta anche automobili, ma fa paura, perché  è stato costruito col “fai da te”. Infatti a un battellino è stata agganciata su un fianco una zattera di legno. Saliamo e con noi cinque automobili e altre dieci biciclette. Il motore ruggisce forte, con fatica il traghetto si stacca dalla riva e prende il largo, poi si indirizza verso la sponda opposta. Speriamo in bene, un tuffo in queste opache acque gialle non ci attira proprio!

Approdiamo indenni e dopo dieci minuti siamo in campeggio. Con calma ci documentiamo con più precisione su Budapest, per programmare in modo efficace i prossimi due giorni.

Poi, prima di iniziare il conto alla rovescia che nel giro di una settimana ci riporterà a casa, ceniamo in un ristorante tipico, il Rab Ráby: gulasch bagnato con un buon bicchiere di vino rosso.

 

Lunedì 27 luglio

Mezz’ora di autobus e dieci minuti di metropolitana sono il tempo che separa il campeggio di Szentendre dal centro di Budapest. La giornata odierna è dedicata a Buda, la città che sorge sulla sponda destra del Danubio, che con Pest, che è sulla riva sinistra, forma la capitale dell’Ungheria.

Usciamo dalla linea 3 della metropolitana in prossimità del Ponte delle Catene, che è il primo ponte fisso costruito sul tratto ungherese del Danubio. Inaugurato nel 1849 sopporta un discreto traffico. E’ un ponte di ferro, ornato con statue e lampioni. Avrebbe bisogno di una buona ristrutturazione, infatti qua e là il ferro presenta dei buchi, perché completamente corroso dalla ruggine. Percorrendolo da Pest a Buda offre una bella visione del Palazzo Reale, che è eretto sulla cima della collina, che precipita verso il fiume.  Superato il ponte, saliamo sulla collina con la costosissima cremagliera. Non potevamo scegliere giorno peggiore! Oggi è il lunedì che segue il Gran Premio di Ungheria di Formula 1. Evidentemente ieri qui si sono svolti dei ricevimenti e delle esposizioni. La zona è tutta un cantiere. Centinaia di carpentieri stanno smontando gli stand. Camion e furgoni occupano i cortili del Palazzo reale. C’è ben poco da fotografare! A testimonianza di tutto questo traffico c’è però ancora in esposizione il bolide della Red Bull. E’ ammirato da tutti  i turisti qui oggi convenuti, è curato e protetto da diversi uomini della security come se fosse un grande della terra.

Il castello domina possente l’altura. Sorse in questa posizione nel XIII secolo, dopo l’invasione dei tartari. Fu successivamente ampliato, subì distruzioni a causa di incendi, guerre e terremoti. Gli incendi causati dalla II guerra mondiale distrussero il suo arredamento costituito di mobili antichi.  Attualmente si presenta in stile rinascimentale, ciò deriva da un processo di ristrutturazione avvenuto durante il regno di re Mattia soprannominato Corvino dal fregio della sua armatura, rappresentante un corvo.  Dotato di uno spirito molto aperto, re Mattia fu un appassionato mecenate e introdusse in Ungheria la cultura rinascimentale. Entriamo nei cortili del castello attraverso la Porta di Mattia Corvino, da questa posizione si ha un’ampia vista sul Danubio, che con signorilità passa sotto i numerosi  ponti e su Pest, che si affaccia al fiume col suo maestoso Palazzo del Parlamento e altri eleganti edifici.

Rimanendo sulla sommità della collina transitiamo per la piazza della Santa Trinità. E’ la zona medioevale di Buda. In mezzo si erge l’omonima colonna barocca, costruita per commemorare la fine di un’epidemia di peste, per questo è detta Colonna della peste. Proseguendo giungiamo alla chiesa dell’Assunta. Essa è conosciuta come Chiesa di Mattia Corvino, perché in questa chiesa nel 1474 vennero celebrate le nozze tra il re Mattia e Beatrice d’Aragona, figlia di Ferdinando I re di Napoli. La chiesa di stile neogotico risale al XIV secolo, ha subito restauri e ampliamenti in epoche successive. Le sue pareti interne sono tutte affrescate. In una cappella laterale conserva le spoglie del re Bela IV, il sovrano che l’ha fatta costruire. Anche esternamente è molto bella. Ha il tetto ricoperto da  tegole colorate. Di esso si vede solo una parte, perché è in ristrutturazione, così come il campanile.

Proseguendo giungiamo al Bastione dei Pescatori. Il suo nome deriva dal fatto che in questa zona nel medioevo c’era il mercato del pesce.  E’ una costruzione di pietra bianca eretta all’inizio del 1900 sul tratto delle antiche mura la cui difesa era affidata alla corporazione dei pescatori. E’ un buon punto panoramico. Le sue sette torri bianche rappresentano le sette tribù magiare, fondatrici del popolo ungherese.

E’ destino, oggi qui in alto i vari monumenti non sono completamente liberi. Pazienza, questo disagio ci permette di osservare e mostrare il volto vivo della città.

Qui sui bastioni prima incontriamo un falconiere, che per racimolare qualche soldo fodera con un bracciale di cuoio l’avambraccio di chi vuol provare l’ebbrezza di tenere il rapace. La gente guarda e fotografa, soprattutto quando un impavido inglese si lancia per provare questa emozione.

Poi incontriamo una troupe, che sta girando una scena in costume. Ci sono l’eroe e la sua innamorata che passeggiano e flirtano sotto il portico, le comparse con tanto di tuba e i protagonisti invisibili, ma fondamentali: operatori, elettricisti, fonici, costumista, truccatrice, fotografi, semplici aiutanti e il regista, che comanda l’azione.

Incuriositi ci fermiamo ad osservare.

Con una scalinata scendiamo dai Bastioni e arriviamo a Visiváros il quartiere di Buda che è incastrato tra il Danubio e la collina. Seduti a un tavolino di un piccolo bar affacciato su un giardinetto apprezziamo la sosta e pranziamo con un toast, un dolcetto e una birra.

Iniziamo il pomeriggio camminando per questo  quartiere, il cui nome significa città dell’acqua, perché subiva le alluvioni del fiume. Una volta questa era una zona povera, abitata da pescatori e artigiani. Oggi conserva ancora case antiche, alcune ben ristrutturate e ha anche case moderne, studiate in modo da non rompere la sua armonia architettonica.

Mentre camminiamo e commentiamo tra noi ciò che osserviamo, si avvicina un giovanotto magrissimo con in mano una compatta digitale. Porta jeans e una maglietta gialla. E’ un tipo strano, si presenta dicendoci di essere italiano, di Monza, di essere stato ieri al Gran Premio di Formula 1. Ci chiede se da qualche parte abbiamo visto un cartello con scritto solo Buda e subito fa vedere a Giuseppe le fotografie che oggi ha scattato a Pest. Ci chiede cosa c’è di bello da vedere a Buda. Gli consigliamo di salire sulla collina. E’ dubbioso, lo incoraggiamo, perché la collina merita davvero una visita e perché non vogliamo che diventi una cozza attaccata alle nostre scarpe. Si convince, ci salutiamo e ognuno prosegue per la sua strada. Noi passiamo per la chiesa di sant’Anna, la più importante chiesa barocca di Budapest e arriviamo sul lungo Danubio, proprio di fronte al Parlamento.

Concludiamo il giro di Visiváros,  arrivando di nuovo al Ponte delle Catene.

A Pest, secondo l’indicazione della guida, iniziamo a percorrere il viale Andrássy. E’  ampio, ha l’aspetto elegante; è il viale della moda, vi si trovano i negozi degli stilisti. Su di esso si affacciano bei palazzi, che hanno però bisogno di efficaci ristrutturazioni.

I negozi non ci interessano, l’aspetto culturale di Pest fa parte del programma di domani, perciò prendiamo la metropolitana e ci rechiamo a Kossuth Utca, dove c’è un giornalaio che vende i quotidiani stranieri. Quella che passa per viale Andrássy è la linea 1, la linea storica.

La metropolitana di Budapest è la seconda in ordine di anzianità in Europa. Ha stazioni piastrellate in ceramica e le biglietterie in legno. Le scale mobili che collegano le gallerie con le uscite sono molto ripide e si muovono velocemente, tanto che nessuno guadagna tempo salendo o scendendo i loro gradini. Per poter viaggiare liberamente abbiamo deciso di acquistare il biglietto di un giorno. Questa mattina l’acquisto non è stato facile, perché l’edicolante che li vende non conosceva altro che l’ungherese, quindi non capiva la nostra richiesta detta in tedesco e in inglese. Per nostra fortuna è giunta una signora che comprendendo il tedesco ha fatto da interprete. Il biglietto di oggi lo conserviamo, così domani lo potremo mostrare per poter acquistare quelli che ci servono.

 

Martedì 28 luglio

Gli inevitabili contrattempi delle vacanze itineranti, programmate, ma sempre aperte alla casualità, quest’anno si sono concentrati nei due giorni che abbiamo dedicato alla visita di Budapest.

Andiamo con ordine. Questa mattina, recuperata alla reception la carta di identità di Giuseppe, necessaria per poter accedere alla visita guidata e gratuita del Parlamento, ci rechiamo alla fermata dell’autobus. Sono le ore 9.45, l’autobus dovrebbe passare alle ore 10.00. E’ già alla fermata e sta ripartendo. Riusciamo ad attraversare la strada, gli corriamo incontro e facciamo cenno all’autista di fermarsi. Questi tira dritto. Pazienza, sulla palina c’è scritto che ne passa uno anche alle 10.00. Attendiamo, ovviamente l’autobus arriva con 10 minuti di ritardo. La visita guidata del Parlamento  in italiano è alle 11.30, siamo ancora in tempo. Giunti al capolinea dell’autobus, sicuri scendiamo in metropolitana ed esibendo il biglietto giornaliero di ieri ne chiediamo due al giornalaio. Ci dice in ungherese, ma riesce a gesti a farsi capire, che non ne ha. Siamo esterrefatti: come è possibile che in una stazione della metropolitana, che raccoglie la gente che scende dai diversi autobus che qui fanno capolinea, manchino i biglietti? Non lo capiremo mai! Inoltre non ci sono i dispensatori automatici, è un passo di modernizzazione che questo paese deve ancora fare. Non è neppure il caso di viaggiare gratis, perché alle uscite ci sono sempre i controllori che esigono di vedere il biglietto. Il giornalaio, che rappresenta ciò che abbiamo osservato dell’ungherese medio, ovvero  una persona apatica, poco intraprendente, rassegnata alla sua povertà, con cenni ci indica di andare dall’altra parte a comperare i biglietti.

Risaliamo e scendiamo sull’altro binario, intanto una metropolitana passa e il tempo scorre. Dall’altra parte non c’è l’edicola. Percorriamo tutto il binario fino all’uscita in fondo, non troviamo niente. Allora ritorniamo dal giornalaio, siamo rassegnati a comperare il biglietto di una corsa, se ce l’ha. Un po’ inviperito il nostro uomo esce dal suo chiosco e indica a Giuseppe di seguirlo e intima a Paola che si sta accodando di star ferma lì dov’è. Gli fa vedere che all’inizio del binario opposto c’è uno sportello chiuso con una veneziana e gli fa capire a gesti di bussare.

Risaliamo e riscendiamo. Bussiamo sul vetro, si apre uno sportellino e si affaccia un viso slavato e inespressivo. E’ una signora, camicetta bianca e gonna blu. Le mostriamo il biglietto di ieri, con flemma stacca dal blocchetto due biglietti, lentamente li compila con la data di oggi e ce li consegna, poi chiude lo sportello e riabbassa la veneziana.

Ci poniamo delle domande: questa mattina il giornalaio non poteva farsi dare un blocchetto dall’addetta della metropolitana? Lo sportello dell’addetta perché è chiuso e non porta l’insegna ticket? Quella signora cosa fa tutto il giorno chiusa in quello sgabuzzino dotato di una piccola scrivania, un minuscolo lavello e un fornello? Mistero!

Torniamo al nostro binario, ormai il tempo se ne è andato, la visita del Parlamento la faremo di pomeriggio. Prima di iniziare le visite pensate per il dopo pranzo, andiamo al Parlamento per vedere da che parte si entra. Non si entra.

Infatti, mentre sulla guida c’è scritto di presentarsi con 15 minuti di anticipo rispetto l’orario della visita, la  realtà  è un po’ diversa. Gli ingressi sono a numero chiuso, i biglietti sono in distribuzione a partire dalle ore 8.00. Adesso in attesa della richiesta di biglietto c’è una lunga coda. Siamo combattuti se affrontarla o no. Infatti se poi trovassimo il biglietto, perderemmo la visita di altre cose che riteniamo importanti, se non lo trovassimo avremmo perso del tempo cuocendo sotto il sole.

Rinunciamo al Parlamento, che fotografiamo dall’esterno.  La sua struttura si ispira al parlamento britannico. Ha una grande cupola neorinascimentale che collega le due ali dell’edificio di stile neogotico. Ospita le principali istituzioni del paese ed è la residenza del Presidente della Repubblica.

Ci dispiace non poterlo visitare, sarebbe stata un’istruttiva esperienza. Ecco un valido motivo per tornare a Budapest!

Ci dirigiamo verso la basilica di santo Stefano. Come dice il proverbio: “non c’è il due senza il tre e il quattro vien da sé”. E’ qui che si concretizza il quarto contrattempo della giornata. Gli innamorati, che ieri flirtavano nella fiction girata sul Bastione dei Pescatori, oggi si stanno sposando nella cattedrale! E’ mai possibile che in una chiesa consacrata, con la presenza del santissimo Sacramento si giri un film? Evidentemente sì, almeno qui a Budapest. E’ mezzogiorno, i rintocchi della grande campana, che si trova sul campanile di destra stanno annunciando l’Angelus. Entriamo. La cattedrale ha la forma della croce greca. Fatti pochi passi un nastro blocca la possibilità di proseguire. Ci fermiamo e guardiamo ciò che è osservabile da questa posizione. L’interno è tutto dorato, ha una grande cupola alta 96 metri, che spicca nel panorama della città. Le sue famose statue e la reliquia  più preziosa, la mano destra  mummificata di santo Stefano, patrono dell’Ungheria, che è dietro l’altare maggiore, sono irraggiungibili, però possiamo pregare e la nostra orazione sale a Dio.

Ora riprendiamo viale Andrássy, ci soffermiamo ad ammirare il Teatro dell’Opera. Questo viale è stato costruito sull’esempio dei boulevards francesi, ad esso si affacciano eleganti palazzi, che gli donano a un primo sguardo signorilità ed eleganza, ma se ci si ferma per guardare meglio la loro bellezza si è presi dallo sconcerto per tanta trascuratezza. I fregi e i cornicioni cadono a pezzi, le facciate sono scrostate. Capiamo il motivo per cui l’Ungheria non è ancora entrata nell’euro. La sua economia è molto fragile e i conti dello stato non riescono ancora a rispettare i parametri stabiliti dall’Europa. Gli interventi pubblici e privati per conservare il patrimonio architettonico sono scarsi.

Dopo il veloce pranzo all’americana  al Burgher King, troviamo poco più avanti la Casa del Terrore. E’ il palazzo che ospitava il quartier generale della polizia segreta del regime comunista. Già al suo esterno è visibile l’orrore. Il suo perimetro è sottolineato dalle fotografie di alcuni martiri della rivolta del 1956. Il palazzo è alto tre piani e ha anche un piano sotterraneo. Al suo interno si ricorda la storia recente dell’Ungheria, le sue due occupazioni: quella nazista e soprattutto quella sovietica. Entriamo. All’ingresso si trova un carro armato sovietico, uno dei tanti che nelle vie e nelle piazze sparò sulla gente. Dietro di esso c’è una parete alta tre piani tutta tappezzata con le fotografie delle vittime del regime. Quegli occhi decisi guardano tristi chi volge a loro lo sguardo. Vengono i brividi a pensare che l’atrocità nazista non è stata l’ultima e che in questo momento in alcuni paesi del mondo altri uomini e donne stanno subendo ingiuste carcerazioni, torture e forse stanno morendo, perché dei tiranni sanguinari vogliono far tacere la loro libertà di pensiero. Scendiamo nel sotterraneo. Qui si trovano le camere del terrore. La cella della tortura insonorizzata con spesse pareti  imbottite,  per non far sentire le urla all’esterno, gli strumenti delle torture: scudisci di vario tipo  e bastoni, stimolatori elettrici, sgabuzzini dove si poteva stare solo in piedi, sgabuzzini col pavimento a vasca pieno d’acqua fredda, la cella della morte con la forca. Sulle pareti delle celle di detenzione  sono presenti i ritratti di alcuni prigionieri. Nella prima cella il secondo ritratto da destra è quello del cardinale Józef  Mindszenty, del quale è in corso il processo di beatificazione. Ci sono anche le fotografie di altri sacerdoti. In un locale scuro illuminato con una lampada color rosso sangue vengono scanditi in continuazione i nomi delle vittime, un lunghissimo elenco che porta alla commozione.

I piani superiori sono allestiti come un museo. Ci sono ancora gli uffici della polizia, l’archivio dove sono conservati i faldoni con le schedature. Il pavimento e le panche dell’archivio sono tappezzati con le fotocopie delle schedature. Qui viene proiettato un video nel quale si autocelebra la normalizzazione sovietica e si mostrano gli interrogatori di Imre Nagy e dei suoi ministri. Il filmato, in lingua ungherese, è sottotitolato in inglese. 

Dopo la liberazione dall’occupazione nazista, l’Ungheria fu guidata con pugno di ferro da Matyas Ràkosi, che avendo trascorso un lungo periodo a Mosca, seguiva ciecamente le direttive di Stalin. Furono anni bui, caratterizzati da molte esecuzioni capitali. Alla morte del dittatore sovietico, avvenuta nel 1953, in Ungheria divenne primo ministro Imre Nagy, un comunista riformista. Egli dovette dimettersi dalla carica dopo pochi mesi, a causa dei gravi problemi economici del Paese.

Quando Nikita Kruscev al XX congresso del PCUS (partito comunista sovietico) rivelò i crimini staliniani, in Ungheria scoppiò la così detta “rivoluzione d’ottobre”, che chiedeva libere elezioni, libertà di stampa e la partenza delle truppe sovietiche. Imre Nagy divenne nuovamente primo ministro, sostenuto da un vasto appoggio popolare. Il 4 novembre 1956 l’esercito dell’Unione Sovietica invase l’Ungheria. L’ordine venne ristabilito in due settimane, sul terreno rimasero più di 25000 morti. Imre Nagy venne deportato in Romania, durante il processo non ammise mai l’accusa di tradimento, dopo due anni di detenzione fu giustiziato insieme ai suoi ministri.

In altre sale dei video mostrano filmati d’epoca relativi all’insurrezione del 1956 e alla repressione che ne è seguita; altri video mostrano dei sopravvissuti che raccontano le atrocità subite. In altre sale è raccolta la propaganda e mostrato il “benessere” che la normalizzazione sovietica ha portato, sulle pareti ci sono grandi quadri di Ràkosi che è affiancato  dai suoi numi tutelari  Lenin e Stalin. Una grande sala è occupata per tutta la sua lunghezza da una croce bianca, lungo le sue pareti, dentro delle nicchie, sono raccolti gli oggetti sacri tolti ai sacerdoti catturati: rosari, immagini di santi, breviari, stole, piccoli calici ed essenziali paramenti.

Quello che ci colpisce negativamente è che questo museo (ma il nome è giusto?) non è pubblicizzato, né messo tra le cose da vedere nei tour proposti dalle guide turistiche, in positivo costatiamo che esso è pieno di giovani, che osservano, leggono (purtroppo tutto è scritto solo in ungherese), riflettono, annotano. Lasciamo questo luogo scrivendo sul libro delle visite il nostro ricordo.

La nostra visita di Pest si conclude con un’escursione sul ponte Erzsébet e la visita del mercato generale Nagycsarnok.

Il ponte Erzsébet è moderno, la sua costruzione è stata terminata nel 1965. Esso sostituisce il vecchio ponte distrutto completamente nel 1945 dalle truppe naziste in ritirata. Da qui Giuseppe fotografa la statua di san Gerardo, Géllert in ungherese, che è posta sulla cima della collina omonima. Gerardo, nato a Venezia il 23 aprile 980, fu battezzato con nome di Giorgio, santo del giorno. Prese i voti secondo la regola di san Benedetto col nome di Gerardo, che era quello di suo padre, morto da poco. Quando giunse come missionario in Ungheria, il re Stefano gli affidò l’educazione di suo figlio Emerico. Alla morte del re Stefano l’Ungheria cadde in anni bui di lotte intestine per la conquista del potere. Questo periodo si concluse nel 1046 con una cruenta rivolta nella quale furono uccisi molti cristiani tra i quali Gerardo, che fu spinto giù dalla collina nel Danubio. Gerardo fu canonizzato insieme al re Stefano e a suo figlio, che era morto in giovane età.

Il mercato generale si trova in fondo a via Váci, che è  una via pedonale. L’esterno del mercato generale è sontuoso; ha le pareti in mattoncini rossi e il tetto di tegole colorate. Il suo interno ha al piano terra negozi di generi alimentari tra i quali spiccano quelli che vendono la paprika, la spezie base della cucina ungherese, al primo piano ci sono i negozi artigianali, che però vendono souvenir made in China!

Tornati a Szentendre trascorriamo la sera riordinando il camper per poter partire in modo sollecito domani mattina.

 

Mercoledì 29 luglio

Dopo quattro giorni trascorsi al camping di Szentendre ci trasferiamo a Pécs, la seconda città dell’Ungheria in ordine di importanza. Si trova nella zona di sud ovest del paese, quasi al confine con la Croazia. E’ il capoluogo della contea della Baranya.

La strada che scegliamo non è quella autostradale, perché durante il trasferimento desideriamo cogliere alcuni aspetti di questa parte di paese. Per questo motivo siamo costretti ad attraversare Budapest, che non essendo dotata di una tangenziale e tanto meno di cartelli indicatori, rende indispensabile il navigatore: Tom questa è la tua mattina!

Un’ora e mezza per attraversare la capitale è lo scotto che paghiamo alla nostra scelta. Poi la strada prosegue in aperta campagna. E’ una statale piuttosto trafficata da automobili e mezzi pesanti, non è molto larga, però a tratti una delle due corsie raddoppia per consentire i sorpassi. Viaggiamo tranquilli, rispettando il limite di velocità che è di 70 km/h. Esso a volte è fin eccessivo se si considera il fondo stradale sconnesso e ondulato.

Come sono gli ungheresi al volante? Una parola per definirli: spericolati. Incuranti dei limiti di velocità, spesso non osservano le norme del codice della strada. Per ben due volte Giuseppe deve frenare per favorire il rientro dal sorpasso di un’automobile che ci viene incontro. La polizia stradale? Assente.

Il paesaggio che ci accompagna varia da zona a zona. Nella prima parte del viaggio passiamo per un’infuocata pianura, tutta coltivata a girasoli, che tendono la nuca al sole per far maturare i loro oleosi semi. Poi tutto si tinge di ocra: è il mais in fiore che colora le prime propaggini di una zona collinare. 

Stiamo seguendo il Danubio, ma non lo vediamo, finché eccolo spuntare tra gli alberi. Alcuni scorci ci consentono di riallacciare il filo conduttore della nostra vacanza, poi lo attraversiamo e ci allontaniamo da lui, perché Pécs si trova equidistante tra il Danubio e il Drava, uno dei suoi più importanti affluenti.

Anche i paesi che incontriamo hanno una diversa fisionomia. Quelli della pianura sono villaggi di casupole unifamiliari modeste e maltenute. Lungo la strada alcuni contadini vendono i frutti del loro lavoro: meloni, angurie, pomodori, prugne. Ci fermiamo e comperiamo due meloni. Sono profumatissimi, maturati sulla pianta, sono pronti per essere mangiati. Il vecchio che li pesa con una bilancia che ha bisogno di una spinta per far muovere l’ago ci dice il prezzo in ungherese. A gesti gli diciamo di scriverlo, lui ce lo urla sempre più forte, ma noi non capiamo il significato di quella parola che ripete con insistenza. Infine con la mano indica il numero cinque. Giuseppe vede che un po’ nascosta sul banchetto c’è una calcolatrice, la prende e scrive cinquanta, il vecchio fa capire che deve scrivere cinquecento. Paghiamo quindi cinquecento fiorini, che equivalgono a circa due euro.

Più avanti nella zona collinare tutto ritorna verde. I dolci declivi sono coltivati a vite e sulle sommità dei colli ci sono scuri boschi. I paesi cambiano aspetto; sono più ordinati e puliti. Hanno il tratto asburgico, confermato anche dalla loro toponomastica, oggi bilingue.

Giunti a Pécs alloggiamo in periferia della città al Camping Familia. E’ un piccolo campeggio gestito da una famiglia. La signora che ci accoglie racconta che suo marito è ingegnere e professore, lei è pensionata, sua figlia è maestra e suo genero è un ingegnere esperto di economia.

L’ampio giardino della loro casa, ombreggiato da alberi di noce, è stato attrezzato a campeggio. La loro proprietà si allunga verso un prato, che si affaccia su un piccolo stagno.
A pochi passi, sulla strada principale, passano gli autobus che portano in centro. Dopo pranzo ci rechiamo in città. Pécs conserva tracce delle civiltà che si sono susseguite nei secoli. Vediamo alcune rovine romane e segni della dominazione turca. Pécs è la città universitaria, che ha il più antico ateneo dell’Ungheria. Il suo centro di forma ovale è tutta un’isola pedonale. Scendiamo dall’autobus dove ci ha indicato la signora del campeggio, passiamo davanti alla sinagoga e ci troviamo nell’ampia piazza Széchnyi ter, dominata da una grande chiesa, con una maestosa cupola verde rame. La piazza è circondata da eleganti palazzi barocchi e ha al centro la Colonna della Trinità. La piazza è un unico cantiere: stanno rifacendo il lastricato.

La chiesa è dedicata a san Bartolomeo. Essa ha una lunga storia. Nel medioevo in quel luogo c’era una chiesa. Essa fu abbattuta dai turchi che utilizzarono le sue pietre per  erigere al suo posto una moschea. Era circa la metà del XVI secolo. La moschea fu chiamata del Pascià Gazi Kassim. Quando i turchi furono cacciati nel 1686, la moschea venne trasformata in chiesa cattolica; il minareto fu abbattuto. Sulla sua grande cupola, sopra la mezzaluna musulmana venne innalzata la croce. Al suo interno, sulle pareti, ci sono ancora scritti dei versetti del Corano, per questo è comunemente chiamata chiesa-moschea.

Ci spostiamo e andiamo a visitare la cattedrale: la basilica di san Pietro e Paolo. Costruita nel XI secolo si caratterizza per avere quattro campanili, che si innalzano dai suoi quattro angoli. Il suo interno ha tre navate ed è molto bello. Ha tutte le pareti decorate con disegni geometrici, grandi lampadari e il soffitto a cassettoni. L’altare rinascimentale è in marmo rosso; al grande organo si accede mediante una scala a chiocciola di marmo. La sua ala sinistra è in fase di restauro. Ci fermiamo ad osservare il fine e preciso lavoro che alcuni giovani stanno compiendo. Fresca e sorretta da colonne è la cripta.

Proseguendo il giro della città troviamo la moschea del Pascià Hassan Jakovali. Questa moschea, che ha ancora il minareto, oggi ospita un museo di arte islamica. E’ un po’ soffocata dall’ospedale e da un altro edificio che le sono sorti accanto. La nostra visita si conclude passeggiando sulla  via principale; arrivati al Teatro dell’Opera, che ha davanti due fontane, ritorniamo sui nostri passi e raggiungiamo la fermata dell’autobus.

Ora è sera e per nostra fortuna l’intenso calore del giorno si sta attenuando.

 

Giovedì 30 luglio

Lunga giornata di trasferimento quella di oggi dall’Ungheria alla Slovenia. Sveglia ore 7.30 e partenza intorno alle ore 8.00. L’uscita da Pécs è immediata, perché la direzione che prendiamo non comporta il suo attraversamento. Il tragitto programmato non è però diretto, perché è doveroso da parte nostra raggiungere nuovamente il protagonista della nostra vacanza, seguirlo ancora per un po’, prima di separarci definitivamente da lui.

La strada che ci conduce verso il Danubio passa attraverso zone agricole e piccoli borghi del tutto simili a quelli visti ieri nella pianura. La prima parte del viaggio si conclude a Mohacs, dove sul lungo Danubio ci immortaliamo per salutare l’Ungheria, nazione che abbiamo visitato per la prima volta.

Il viaggio prosegue fino alla frontiera con la Croazia. Questo paese non avendo aderito al Trattato di Schengen non consente la libera circolazione delle persone, delle merci e dei capitali, quindi la frontiera è ancora fisicamente presente e attiva.

La frontiera ungherese è presidiata da donne poliziotto. Esibiamo i documenti, ci chiedono di vedere dentro al camper. La poliziotta che sale ci sembra più curiosa che ispettrice.

Pochi metri ed ecco il controllo croato. La sbarra è alzata, dei due poliziotti presenti uno si allontana, l’altro sta fermo con indifferenza. Avanziamo adagio, quello fermo ci intima l’alt. Ci fermiamo, vuole vedere dentro al camper, ci fa aprire anche la toilette, ma non guarda dentro il garage! Prima di farci partire  ci consegna un libretto con tutte le regole da rispettare in Croazia. L’opuscolo è scritto in diverse lingue, compreso l’italiano. Questa ci sembra un’ottima iniziativa; poi ci chiede dove siamo diretti e  ci dà  la carta geografica della Croazia. Percorsi pochi chilometri transitiamo per Osijek. E’ una città fortificata posta sul  Drava. L’affluente, che è prossimo a gettarsi nel Danubio, scorre lento con il suo consistente carico d’acqua.

Ci spostiamo ancora un poco verso sud est fino a Vukovar, dove il Dunav, così si chiama in croato il Danubio, fa da confine naturale con la Serbia, prima di entrarvi completamente.

Vukovar è la città martire dell’indipendenza croata. Quando la Croazia si è proclamata stato indipendente, Vukovar è stata assediata e bombardata dai serbi per quattro mesi da agosto a novembre del 1991 ed è capitolata dopo  una furiosa lotta combattuta casa per casa. E’ stata restituita alla Croazia nel 1998 in seguito agli accordi di pace ed è stata protetta per alcuni anni dalla forza multinazionale di pace. Ancora oggi mostra i segni delle ingenti ferite ricevute. Molte case hanno ancora sui muri i segni delle pallottole, altre sono distrutte, così come degli impianti industriali e un grande silos. Là dove non si vede la distruzione, la si può immaginare ancora più disastrosa. Infatti la città ha tantissime case nuove, segno di una completa ricostruzione.

Vukovar era il porto croato sul fiume Danubio, aveva una florida economia basata sull’agricoltura, sull’industria e sul trasporto fluviale.

Vukovar era una città multietnica dove convivevano croati, serbi, ungheresi e musulmani bosniaci. Ora  stenta a riprendersi; molti dei suoi abitanti se ne sono andati e, nonostante la ricostruzione, non tornano alle proprie case, perché la sua economia è bloccata. Anche il Danubio non è più fonte di vita. Lo raggiungiamo, non ci sono ponti, né traghetti che collegano le due sponde. Della Serbia, che si affaccia sulla riva opposta non si vede nulla. E’ celata da un fitto profilo di salici e betulle, che la chiudono al mondo occidentale.
Rivolgiamo ancora uno sguardo al Danubio e lo salutiamo per l’ultima volta portandolo nei nostri ricordi.

Così, mentre lo lasciamo scorrere denso verso la foce ancora lontana più di 1000 chilometri, giriamo le ruote del camper e immettendoci in autostrada puntiamo verso ovest.