FRANCIA

Tour 2003

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GIOVEDI’ 24 LUGLIO

    Dopo mesi vissuti nella torrida canicola milanese è difficile immaginare che a poco più di 150 km sia possibile trovare il clima ideale per un sonno profondo e rigenerante.

Così è stato per Giuseppe che, partito da Milano in perfetta tenuta estiva, ha dovuto sistemare il nostro caravan per la sosta notturna sferzato da un possente e gelido vento di passo alpino.

    Ma la lungimiranza tutta femminile di chi aveva già preparato il letto della casetta itinerante, gli ha consentito di potersi subito riscaldare, avvolto nel caldo piumone.

 

VENERDI’ 25 LUGLIO

Ore 7.00…finalmente la sveglia può svolgere il suo compito: svegliarci!

Il suo trillo un po’ rauco e insistente ci sollecita ad affrontare la lunga giornata di trasferimento per giungere verso sera a Metz, prima tappa della nostra vacanza in Francia.

    San Bernardino, Coira, Zurigo, Basilea. L’attraversamento della ormai arcinota Svizzera è scorrevole e abbastanza monotono, se si escludono i due tratti autostradali che costeggiano il Wallensee e il lago di Zurigo, lingue d’acqua che evocano nella nostra fantasia bianche immagini preistoriche e conducono le nostre riflessioni e i nostri discorsi sul ciclico alternarsi delle glaciazioni e sull’influenza che forse su di esse ha avuto la crescita e lo sviluppo della popolazione mondiale.

    Attraversato il Reno, assediato da imponenti impianti chimico-industriali, ne seguiamo il suo flemmatico corso sulla sponda francese fino all’altezza di Strasburgo per poi spostarci verso ovest.

Il granaio dell’Europa occidentale non si smentisce. Sotto un cielo azzurro qua e là ornato da sfrangiate nubi, risaltano sulle dolci colline alsaziane le immense e gialle estensioni dei campi ormai mietuti, le verdi colture maicole alternate ai fini filari viticoli e ai rigogliosi boschi che, secondo i cartelli stradali e turistici, ospitano una ricca fauna di cervi, lepri e fagiani.

Metz, uscita “Centre Ville”, seguiamo le indicazioni Camping. Giungiamo sulle rive della Mosella insieme e in mezzo a un gruppo di caravan olandesi. Incolonnati ognuno in attesa del proprio turno per sbrigare le pratiche alla reception, già pregustiamo il meritato riposo quando arriva improvvisa e imprevista la notizia che non ci sono più  posti disponibili. Siamo tutti sorpresi.

    Tuttavia lo spirito di mobilità che anima i francesi fa sì che la direzione sia preparata all’eventualità. Ci viene chiesto se preferiamo sistemarci a nord o a sud della città, quindi ci viene dato un foglio con le indicazioni di un campeggio situato sulla riva della Mosella a 10 km a sud della città a Corny s-Moselle.

    Lo raggiungiamo in breve tempo e sfruttando tutti i suoi confort chiudiamo in bellezza questa lunga giornata.

 

SABATO 26 LUGLIO

 

    Dopo un sonno sereno e riposante e sorprendentemente neppure infastidito dalle zanzare,che temevamo numerose vista la vicinanza al placido corso d’acqua, sotto un cielo reso scuro da un’incombente perturbazione ci avviamo verso la città di Metz. Essa si presenta ora elegante, ora decadente, secondo gli scorci e le vie, comunque accogliente grazie alle tipiche e ombrose piazzette e oggi   piena di vita anche per il mercato che occupa le vie del centro.

    Il pomeriggio piovoso concilia il sonno di Giuseppe, Paola invece inizia a scrivere la storia di questa vacanza.

    Alle 18.00, attraversata la Mosella partecipiamo alla messa prefestiva nella chiesa di Noveant. Ci colpisce particolarmente l’accoglienza del parroco e della comunità. Il primo ci raggiunge alla panca dove ci siamo sistemati e ci chiede da dove veniamo, poi con parole essenziali ci saluta nella nostra lingua. La comunità si stringe cordialmente intorno ai disabili che dal vicino ospizio sono giunti per la funzione liturgica. Questa testimonianza di amore moltiplicato ci introduce alla Parola di questa festa e ne è il suo frutto.

 

DOMENICA 27 LUGLIO

    Il programma odierno prevede uno spostamento di 180 km da Metz a Reims. Sono le 8.00, piove.Seguendo il ritmo dei popoli del nord europei ci prepariamo per la partenza, che avviene alle ore 10.00 in un momento di calma meteorologica. Decidiamo di percorrere le strade nazionali e dipartimentali per poter gustare meglio la bellezza paesaggistica della regione dello Champagne, fissandola nei nostri ricordi  anche con l’obiettivo fotografico.

    Attraversata la Mosella, la strada D11 sale rapidamente fino ad immettersi nella nazionale N3. Questa si snoda su un vasto altopiano mosso da continui saliscendi, che danno all’osservatore il senso dell’infinito. Quante sono le tonalità del giallo? Lo sguardo si incanta e viene rapito dal caleidoscopico mutamento di quelle sfumature esaltate anche dai giochi di luce che il sole fa filtrando in modo più o meno efficace attraverso lo spesso strato di nubi.

    Man mano che ci avviciniamo a Verdun la natura spontanea prende il sopravvento e la strada deserta nella calma domenicale è quasi inghiottita dalla foresta insanguinata dal sacrificio di tanti giovani, morti quasi un secolo fa per soddisfare la ragione di chi, affamato di gloria e di potere, non ha esitato a considerare la vita umana uno strumento al servizio delle proprie ambizioni.

   Lasciamo la zona boschiva ricevendo il fugace saluto di uno scoiattolo che al nostro passaggio lesto si scosta dal ciglio stradale per nascondersi nel folto della vegetazione. Ci immettiamo in una strada secondaria che, collegandosi con la nazionale N4, ci permette di giungere a destinazione.

       Il campeggio si trova a Val-de-Vesle, un piccolo comune a 20 km da Reims. La struttura ospitante è piccola, ma bene e modernamente attrezzata. Troviamo posto in un ampia radura ricavata nel bosco. Abbiamo vicino alcune caravan di anziani coniugi inglesi.

    Nel pomeriggio, svolte alcune faccende domestiche, facciamo una passeggiata per il paese, un tempo nobile e ancora abbiente.

    E’ ormai sera, il campeggio raccoglie tutti i suoi ospiti come una grande famiglia, la grande famiglia europea: francesi, inglesi, olandesi, belgi, italiani e, mentre il sole tramonta, come gli uccelli si radunano sugli alberi cantando la speranza per il domani che verrà, i bimbi corrono gioiosi nel prato e spendono le loro ultime energie per raccogliere ancora qualche emozione da rivivere nel sonno che li attende.

 

LUNEDI’ 28 LUGLIO

    E’ mattino, il sole che filtra attraverso un finestrino socchiuso ci annuncia una bella giornata. Ci rechiamo a Reims per la visita della città.

    Superata la periferica zona industriale, Reims si presenta a noi con i suoi boulevard alberati e le spaziose piazze munite delle francesissime rotonde, che regolano la velocità e l’ordine del traffico.

    Lasciamo l’automobile in un comodo e centrale parcheggio sotterraneo e, piantina alla mano, ci avviamo per le vie pedonali verso la cattedrale che si erge austera in una piazza sufficientemente ampia per poter valorizzare la sua imponenza. Le gotiche volute del portale sono costellate di statue che riempiono lo sguardo per la loro  ricchezza, ma svelano anche l’incuria del tempo e i danni delle due guerre mondiali, che hanno devastato questa regione.

    L’interno, anche se è suddiviso solo in tre navate, ci ricorda il nostro duomo. L’antico organo, il grande orologio ligneo, le vetrate, la cripta, nucleo originario della chiesa, sono di richiamo al visitatore, tuttavia ciò che trasforma il tempio in chiesa non sono tanto l’architettura e gli ornamenti quanto l’approccio personale con cui la si visita, che consente di cogliere, al di là dell’oggettività, la vera ricchezza che è donata.

    Sperimentiamo così l’accoglienza del padre sostando in preghiera nella cappella del S. Sacramento che offre un’atmosfera celestiale anche grazie alla sensibilità di un grande artista come Chagal che  ha interpretato l’immensità di Dio rendendola percepibile attraverso i tocchi di colore delle vetrate.

    Proseguiamo il giro della città: la cattedrale fa parte di un complesso più grande ed è un tutt’uno con il Palazzo Tau, già sede episcopale e  oggi sede  di un  museo  di  arte  sacra  e poi il teatro, il museo delle belle arti, la basilica di St. Remy.

   Strana razza è il popolo dei turisti: guardano, filmano, fotografano tutto ciò che viene loro somministrato come cosa da conoscere, purché sai a portata di mano…o meglio di gamba!

    Anche oggi troviamo conferma di questa nostra convinzione andando a visitare la Basilica di S. Remy, che è situata in una zona un po’ periferica della città. 

     La raggiungiamo a piedi in 20 minuti. Il luogo è deserto! Uno sguardo profano la potrebbe considerare la sorella povera della cattedrale, invece questa chiesa è uno scrigno di spiritualità: accoglie il visitatore con un sottofondo di musiche sacre accompagnandolo in un cammino che diviene via via interiore. Osservando le arcate gotico-romaniche si prova forte il desiderio di vivere appieno l’umana fratellanza che può realizzarsi solo se ciascuno ripone in Dio il senso della propria vita.   

     Questo pensiero si fortifica e si rafforza soffermandosi ad osservare la semplice essenzialità delle cappelle e degli oggetti presenti in essa. Per noi è stato forte il richiamo del fonte battesimale, che in quell’ora concentrava su di sé la luce del pieno giorno quasi a consigliarci e ad invitarci ad un ritorno alle origini.

   Completato il classico giro turistico della città, dedichiamo la prima parte del pomeriggio alla visita di una delle case produttrici di champagne.

Tra i numerosi e famosi produttori scegliamo Mumm, perché offre visite guidate anche in italiano.

    All’accoglienza sono abbastanza sorpresi di avere come visitatori degli italiani non aggregati in un gruppo di un viaggio organizzato. La guida che viene chiamata apposta per noi è la gentilissima signora Laura di origine italiana. Ella prima ci introduce alla conoscenza dei segreti di questo vino, poi ci accompagna a visitare le famosissime cantine. Abbiamo così scoperto che una bottiglia di champagne, che è formata dalla sapiente miscelazione di tre vitigni fermentati separatamente e uniti insieme secondo la tradizione e il gusto del mastro enologo, quando giunge sul mercato ha già tre anni di vita e che è meglio non conservarla ancora a lungo (non più di due anni), perché attraverso il tappo di sughero, che col tempo modifica la sua porosità, perderebbe le famose “bollicine”, cioè l’anidride carbonica sviluppatasi nell’ultima fase della fermentazione, che avviene appunto in bottiglia. Abbiamo anche scoperto che c’è champagne e champagne, in quanto con le uve Pinot Noir e Chardonnay di alcune annate di qualità elevata si producono bottiglie datate che sono dette “millesimate”. L’annata migliore del secolo è stata quella del 1990, ma sono stati datati anche gli anni 1995 e 1999. Lo champagne varia la sua qualità anche secondo la zona di coltivazione dei tre vitigni: il termine che definisce la zona migliore è “cru”. In essa si coltiva il vitigno Chardonnay e lo champagne prodotto solo con questa uva è il migliore.

    La Mumm commercializza il suo champagne “cru” col nome di "Mumm de Cramant".

    Eccoci ora a 7 metri sotto terra nelle cantine scavate nel gesso pervolontà del signor Gorge Hermann Mumm, fondatore di questa industria. Qui alla temperatura di 18°C una volta avveniva la prima fermentazione, ora questa viene fatta in tini d’acciaio refrigerati. Scendendo più in basso a 15 m di profondità troviamo un dedalo di cunicoli scavati nella roccia che si estendono per la lunghezza di 25 km. Ogni galleria, che ha un nome e forma con le altre una vera e propria città sotterranea, ospita le bottiglie di champagne che stanno completando il loro periodo di formazione  con la seconda fermentazione. Esse sono accudite da dei maestri miscelatori che con grande abilità le scuotono e le posizionano a collo in giù variando man mano la loro inclinazione al fine di far fluire verso il tappo metallico il residuo. Al termine di questo periodo, la cui durata varia da uno a due mesi, avviene la stura. La bottiglia viene aperta, il gas contenuto in essa fuoriesce violentemente espellendo i lieviti autori della fermentazione. Si attua quindi il rabbocco con  altro  champagne e si aggiunge dello zucchero che a seconda della quantità renderà questo vino brut, se è secco; demisec, se è semidolce; dry, se è dolce.

    Le qualità dolci sono prodotte solo per il mercato americano, ma ci è stato offerto un loro assaggio alla fine dellavisita.

    Per noi, però, lo champagne deve essere brut e, come ci ha detto la nostra guida, va abbinato a piatti salati dove esprime meglio il suo gusto.

La nostra visita  si conclude nell’enoteca della casa, dove ci ricordiamo dei nostri cari amici Patrizia e Giuliano e compriamo una bottiglia anche per noi.

Per tutti ci sarà un’occasione di festa: le bionde e fini bollicine la esalteranno!

    Tornando verso il campeggio deviamo a destra in direzione delle colline per vedere da vicino le grandi estensioni viticole della “cru”. E’ curioso osservare come l’altitudine selezioni le culture. La zona cerealicola termina quando inizia il declivio; la vite non è più coltivata là dove, mancando la protezione della foresta, sarebbe gelata dai venti freddi che spirano nel periodo invernale.


MARTEDI’ 29 LUGLIO

    Puntuali come un orologio svizzero alle ore 10.00 partiamo da Val-de-Vesle e ci dirigiamo verso nord per giungere nei pressi della città di Lille, dove ci tratterremo un paio di giorni per la visita della città e per affrontare con la prima gita in bicicletta un tratto della famosa Parigi-Rubaix.

    La nazionale N44 nel tratto compreso tra Reims e Saint Quentin con i suoi cimiteri militari e i suoi sacrari ammonisce continuamente sugli orrori della guerra. Non possiamo non fermarci a rendere omaggio a questi giovani sconosciuti e richiamare nel nostro cuore il grido del Papa:  “Mai più la guerra, mai più la guerra!”.

    Il traffico è intenso e veloce, Giuseppe che è alla guida deve prestare molta attenzione perché, se è vero che con la latitudine variano le colture, si passa dal frumento e dal mais alla segale e all’orzo, non è altrettanto vero che cambiano i camionisti. Essi ovunque si trovino a svolgere la loro professione sono per lo più poco rispettosi del codice della strada, soprattutto non tengono in considerazione le distanze di sicurezza e i limiti di velocità.

    Ci chiediamo se per un automobilista risulta difficile governare il mezzo in una situazione di emergenza, come potrà un camionista in una situazione difficile evitare un incidente con un mezzo molto meno agile e pesante almeno quanto venti automobili?

Ci affidiamo al Signore, affinché tenga su di noi la sua mano e ci protegga nel viaggio.

Superata la folta foresta di Saint Gobain la  regione ritorna ad essere agro-zootecnica, ma non è monotona, né ripetitiva. La sua vasta estensione è tutta ondulata e la strada ne asseconda il profilo inerpicandosi su ripide salite e precipitando in altrettante ripide discese.

    La campagna è coltivata con cura affinché dia sempre il meglio della sua capacità produttiva; si presenta pertanto come un grande mosaico le cui tessere giallo, brune, marroni, verdi, violacee, rivelano l’oculata scelta della rotazione agraria, che alterna anno dopo anno cereali, leguminose e altre colture, come la patata e la barbabietola da zucchero. Qua e là, dove si preferisce far riposare il suolo e lo si è lasciato incolto, bovini e ovini lo vivono con un mutuo scambio: erba contro concime.
    Man mano che ci avviciniamo alla città di Lille, la regione diventa più popolata. I paesi che si susseguono numerosi rivelano la loro attuale condizione di zona depressa. Le case sono piccole villette a schiera  in genere mal tenute. Anche il campeggio, che è situato a Cappelle en Pèvéle, rispecchia la condizione generale del luogo......lo sconsigliamo vivamente!

    Ci  sistemiamo e dopo un piccolo pranzo consumato alle 14.30, ci rechiamo a Lille per la visita della città. Anche qui alla grande animazione del centro, fiorente di attività commerciali, un tempo caratteristiche della città, come i maestri cioccolatai e reso unico da modi di viverlo particolari, come il gioco degli scacchi praticato nella “gallerie du teatre”, e ora globalizzato nella moda, nello shopping e nella depravazione dei giovani sbandati, che giocano uno stridente contrasto con  l’eleganza dei signorili palazzi, che vi si affacciano, fa riscontro il vuoto delle zone adiacenti ad esso come quella dove sorge la cattedrale. Essa è uno strano connubio di anni e di stili architettonici. Infatti quasi completamente distrutta durante la guerra, chi l’ha ricostruita, non ha voluto dimenticare la sua antica identità gotica, e l’ha reinterpretata secondo la visione moderna.   

E’ ormai sera, sono quasi giunta al termine di questa pagina di diario, quando Giuseppe mi fa osservare quanto è bello il campanile illuminato  che si staglia  contro il cielo  di questo povero paese.

 

MERCOLEDI’ 30 LUGLIO

    
Non si può affrontare il tipico pavé della leggendaria Parigi-Roubaix senza il giusto clima che la rende, giornalisticamente parlando, e non è retorica, “l’Inferno del Nord”.

    Eccoci quindi accontentati. La serena giornata di ieri si conclude con una notte di pioggia quasi continua e a tratti intensa, che prepara adeguatamente il tracciato per la nostra prova. 

    E’ mattino, il cielo è minaccioso, ma non piove. Affronteremo uno dei tratti finali di questa classica del ciclismo, precisamente quello che percorre la "foresta di Arenberg". Equipaggiati di felpa antivento e di impermeabile, caricate le biciclette in automobile, ci rechiamo a  Wallers, distante circa 30 km da Cappelle en Pèléve qui, lasciato il mezzo a motore, iniziamo a pedalare seguendo l’itinerario di cui abbiamo la traccia cartografica. Il percorso è un anello di circe 45 km che si snoda in parte su strade dipartimentali e in parte su antiche strade il cui selciato è appunto il pavè.

    Wallers è un centro carbonifero: vediamo l’imponente impianto dell’ascensore minerario dominare una vasta area del paese organizzato come la lombarda Crespi d’Adda. Proseguiamo per pochi chilometri ed ecco il primo tratto di pavè, che ci fa attraversare una parte della foresta. Il pavè si presenta come un acciottolato sconnesso e scivoloso col profilo a dorso di mulo. Anche se insigni ciclisti hanno consigliato di affrontare questa pavimentazione con un rapporto lungo agendo di potenza, per risentire meno delle forti vibrazioni  della bicicletta, non riusciamo ad applicarci secondo il suggerimento. La nostra andatura si rallenta e proviamo l’asprezza di questo selciato riversarsi nei nostri muscoli e nelle articolazioni di tutto il corpo.

    Di nuovo siamo sull’asfalto dove recuperiamo sulla media oraria per poi immetterci nuovamente sul pavé che in questo secondo tratto scorre tra i campi di segale in attesa di essere mietuti. E poi ancora strada moderna e piccoli villaggi contadini, le cui aziende zootecniche sfruttano gli ubertosi pascoli per iniziare lo svezzamento degli ultimi nati e ancora pavé e così via fino alla fine del giro, durante il quale siamo stati anche sorpresi da un bel acquazzone. Ritrovata a Wallers l’automobile, con il fisico un po’ provato dai 20 km di pavè ai quali ne vanno aggiunti gli altri 20 di strada ordinaria, ritorniamo al nostro campeggio.

 

GIOVEDI’ 31 LUGLIO

 Oggi sveglia alle ore 7.00, perché è previsto un altro lungo spostamento dalla zona di Lille alla costa della Normandia.
    Uno sguardo al tempo…sembra una giornata novembrina: il cielo è coperto e un’umida nebbiolina opacizza il triste paesaggio. Un’attenta lettura dell’atlante stradale-turistico Michelin ci permette di individuare l’itinerario da seguire senza mai utilizzare le autostrade. Tornati indietro di 5 km, alla rotonda che indirizza verso Tornai, Cambrai, Lille, Donai, prendiamo la nazionale N50 per Donai, Arras.

    Da qui con la nazionale N25 giungiamo a Doullens e poi con la dipartimentale D925 arriviamo fino a Fecamp sulla costa della Normandia, quindi seguendo la piccola D211 raggiungiamo Yport. Via via che scorrono i chilometri il paesaggio rurale e antropico cambia.

    Superato Arras, che è ancora un grosso centro industriale, colpisce l’estensione occupata dall’industria automobilistica della Renault, la campagna prende ancora il sopravvento: campi, campi, campi, tutti meticolosamente coltivati, ma ormai molto diversi da quelli incontrati finora. Il giallo oro del frumento mietuto è qui sostituito dal brunito della segale, il verde delle viti e del mais è qui più intenso, perché è quello della barbabietola da zucchero. Spettacolari sono poi le distese dei campi di patate. Sono in fiore. Il vento che spira agita le bianche corolle che assumono le sembianze di delicate farfalle.

    Più ci spostiamo verso ovest, più il cielo si rasserena. Non abbiamo deciso a priori il luogo preciso dove sostare, perché la costa della Normandia è ricca di campeggi essendo la meta balneare dei parigini. Ci piacerebbe fermarci tra Fecamp e Etretat, perché questo tratto di costa è rinomato per le sue falesie rocciose.

    Quando ci fermiamo per la breve sosta del pranzo, leggendo l’elenco dei paesi che hanno dei campeggi, ci colpisce il nome Yport. In questo piccolo paese ne sono presenti due, con una complessiva notevole capienza. Decidiamo di cercare posto proprio lì. Abbiamo quasi raggiunto la deviazione per Yport, quando dal nulla dei campi esce  uno snello capriolo, che si sofferma appena sul ciglio della strada e poi, con leggeri saltelli la attraversa proprio davanti a noi e con un elegante balzo entra nel campo di segale dall’altro lato della carreggiata mimetizzandosi completamente.

    Giunti a Yport decidiamo di cercare posto nel campeggio più grande, seguiamo le indicazioni, passiamo il paese e seguendo la strada che sale ci troviamo sul pianoro che sovrasta una delle falesie che racchiudono il paese.  Entriamo nel campeggio: esso occupa il giardino terrazzato di una vecchia villa. La vista che offre è impareggiabile. Si domina il paese adagiato fra le due falesie calcaree e lo sguardo si perde nel mare che,  ritirandosi con la bassa marea,  lascia scoperto il suo fondale sul quale ora gozzovigliano i gabbiani, che poi si alzano in volo per raggiungere i loro piccoli urlanti, appollaiati nei nidi sospesi sugli spuntoni rocciosi.

    Troviamo posto nella piazzola numero 7, tra due equipaggi tedeschi. Dopo qualche lavoro domestico,nel tardo pomeriggio attraverso una stradicciola pedonale molto ripida scendiamo in paese. E’ un piccolo borgo che vive di turismo, ma conserva ancora antiche tradizioni artigianali, come quella dei maestri cioccolatai. Ci rechiamo in chiesa per una preghiera. Nella sua semplicità è bella e dice della religiosità di questa gente che una volta viveva di mare. Lungo un suo lato sono appesi dei modelli di velieri  ex voto di naviganti  scampati  alle burrasche oceaniche, mentre l’acquasantiera è una grossa conchiglia che viene da caldi mari lontani. Prendiamo anche visione dell’orario delle messe domenicali per poter programmare la futura giornata di festa. Che tristezza!

    Per ben due week end consecutivi in questo paese non si celebrerà l’eucarestia. Ci recheremo nel paese vicino, dove è segnalato che sarà celebrata la liturgia domenicale.

Percorriamo poi le strette strade sulle quali si affacciano vecchie case con bei giardini fioriti e concludiamo la passeggiata sugli scogli scoperti dal minimo di marea. Il fondo roccioso del mare, se non fosse per i rivoli d’acqua salmastra che scorrono a ritroso verso l’abisso e per le numerose e varie forme di vita benthoniche, che non possono ritirarsi insieme al loro datore di vita, sembrerebbe il suolo lunare.

    Con cautela avanziamo ammirando la celata ricchezza della natura e, imitando persone ben più attrezzate di noi, raccogliamo un po’ di cozze, che serviranno per il sugo della pastasciutta di Giuseppe.

    E’ ormai sera, soddisfatta la curiosità gastronomica dei tedeschi nostri vicini, godiamo degli ultimi scorci sul golfo che si va illuminando e ascoltando il fragore della marea che sta salendo ci ritiriamo nella nostra casetta.


VENERDI’ 1 AGOSTO

  Sveglia senza ora predeterminata: sono quasi le 9.00 e la luce che filtra attraverso gli scuri ci annuncia che il sole in effetti spende in un cielo sgombro di nubi.

    Recandoci ad Etretat per vedere le falesie più rinomate della costa sostiamo a Vattetot, dove ci recheremo domenica mattina. Il silenzio regna sovrano, nella piccola, antica chiesa è possibile lasciare scritto su un quaderno il ricordo del proprio passaggio. Ringraziamo il Signore per la pace che ci dona e gli chiediamo di estenderla a tutto il mondo.

    Il paese di Etretat, che poi raggiungiamo percorrendo la piccola strada litoranea, conserva ancora quasi intatta la sua struttura antica. Le case in legno che si affacciano su strette vie creano un’atmosfera che penetra nel turista così fortemente che è portato a rispettare l’ambiente, così che, nonostante il discreto affollamento del luogo, non c’è il volgare chiasso balneare.

    Passa dopo passo raggiungiamo la spiaggia, che è costituita da una distesa di ciottoli ed è racchiusa tra due muraglioni calcarei a strapiombo sul mare: la falesia di Aval a sinistra e la falesia di Amont a destra. Il paesaggio è davvero incantevole e dona suggestioni che ognuno imprime nei suoi ricordi utilizzando l’arte di cui è dotato.

    Il mare limpido e placido invita a fare il bagno e alcuni temerari sono in acqua, nonostante la sua temperatura piuttosto bassa.

    Per un sentiero saliamo in cima alla falesia d’Amont. Da quell’altezza si ammira lo splendido panorama del golfo e si apprezza meglio il risultato dell’azione erosiva del mare, che ha intagliato la costa scavandovi archi rocciosi e grotte, rifugi dell’avifauna marina.

    Il pomeriggio lo trascorriamo in campeggio. Comodamente seduti sulle nostre poltroncine ci riposiamo contemplando il mare, dopo giorni di intensi tour e spostamenti.

    Nell’arco del pomeriggio osserviamo tutta una fase di marea. Tra le 14.00 e le 15.00 la marea ha raggiunto il suo massimo: il mare ora  raggiunge la base delle falesie e le attacca con i suoi flutti spumeggianti, poi lentamente inizia a ritirarsi e, prima ancora che emergano gli scogli e il fondale, i gabbiani con strilli acuti ne danno il segnale, volando in picchiata per catturare gli sprovveduti pesci che si attardano vicino alla riva. Poi iniziano a vedersi gli scogli più alti, in seguito emerge il fondale che dall’alto sembra un prato un po’ secco, là dove le alghe sono verdi e un campo arato di fresco, se è coperto di alghe rosso-brune.

    Ma non tutti hanno occhi che vedono! Sono passate da poco le 16.00 quando nella piazzola n.8, rimasta libera tra noi e una tranquilla coppia di tedeschi, posteggia un camper italiano targato Bari. Scende una chiassosa famiglia che, con invadenza, interrompe la nostra pace cercando di coinvolgerci in un discorso con frasi quanto meno stralunate, del tipo: “Era proprio necessario fare 2000 km per vedere il mare?” e ancora: “Ma i campeggi qui sono tutti così ampi?”, considerando ciò che è un pregio un grande difetto in quanto, favorendo la privacy, scoraggia la socializzazione coercizzata. Scambiata qualche battuta e avute alcune informazioni circa l’organizzazione del campeggio, per nostra fortuna scendono in paese. Abbiamo così ripreso il filo dei nostri pensieri e continuato a godere l’incommensurabile spettacolo della natura. Più tardi, mentre il sole scompare dietro la falesia che ci ospita, lasciandoci immersi in un’aria che si raffredda rapidamente, le falesie contrapposte si tingono di rosa, il fondale litoraneo, ormai scoperto al massimo, si scurisce e nel mare bluastro diventa visibile il giro delle correnti superficiali, che lo rendono opaco o traslucido secondo il loro specifico movimento. Lentamente si tacitano i gabbiani raccolti nei loro nidi, le rondini affamate intrecciano gli ultimi voli possibili e, mentre silenzioso transita nel cielo un aeroplano, che riverbera la fuggente luce del sole, ai piedi della falesia si accende lampeggiante il faro di Fecamp, guida e segnale per chi nella notte naviga e lavora.

 

SABATO 2 AGOSTO

    Come potranno gli italiani essere considerati dagli altri europei, se non rispettano le norme comportamentali del vivere civile? Il campeggio era ormai silenzioso da più di un’ora e molti, come noi, già dormivano, quando la quiete notturna è stata disturbata da quella famiglia barese che, rientrando dalla “serata” trascorsa in paese, ha raggiunto il camper  gridando. Ci siamo vergognati per loro e verificato ancora una volta la distanza che separa alcuni italiani dalla maggior parte dei popoli del centro-nord Europa.

    Superata la turbolenta notte ci rechiamo a Fecamp, anche per provvedere al rifornimento della nostra dispensa.

    Fecamp è oggi una cittadina turistica, che ha un ampio porto di cabotaggio, che fino a 25 anni fa era occupato dalla flotta peschereccia, mezzo primario dell’economia del luogo. La passeggiata che facciamo inizia dal porto situato sull’estuario di un piccolo fiume il cui alveo è stato modificato nel corso degli ultimi due secoli con la costruzione di diversi bacini. C’è vita sulle barche; il giorno iniziato con la classica foschia agostana promette un sicuro rasserenamento, che invoglia a prendere il largo. Gli olandesi, che non partecipano all’America's Cup, ma di mare se ne intendono, sono i primi a salpare.

    Proseguiamo verso il centro verso il centro della città oggi animato dal mercato. Visitiamo il duomo, dedicato a S. Etienne. Esso, non citato dalle guide turistiche, merita una sosta. Risale all’anno 1000 e conserva pale ed altari in legno di pregevole fattura. La luce che filtra dalla vetrata dell’abside, che rappresenta la crocifissione, riflette sulle pareti laterali l’immagine di Cristo, che così accoglie in un abbraccio il visitatore.  

    Proseguiamo la visita dirigendoci verso il pubblicizzato Benedectine, una volta monastero dove è stato inventato il famoso liquore digestivo e ora, da circa due secoli, sede dell’omonima distilleria. Il nostro giro si conclude ancora al porto, dove visitiamo il museo “Des Terre-Neuvas et de la Peche”. In esso è possibile vedere i modellini delle navi pescherecce che hanno segnato la storia di Fecamp e gli attrezzi utilizzati nelle attività connesse, come quelli per la costruzione dei barili per la conservazione delle aringhe, quelli per la produzione delle vele di lino e altro ancora.

    Ciò che ci ha particolarmente colpito è stata la sezione “Le donne e il mare”, dove si narra con testimonianze scritte, con immagini pittoriche, con oggetti e con un efficace filmato, il ruolo della donna nella vita del pescatore, che con coraggio affrontava l’oceano per trovare banchi di merluzzo, là dove si incontrano la calda corrente del golfo e la fredda corrente del Labrador.

    Le donne, una presenza attenta, attiva, paziente nei preparativi della partenza e nella speranzosa attesa del ritorno, che spesso coincideva, come testimoniato, con la nascita del bimbo concepito poco prima del congedo.

    Il rientro ci regala una gradita sorpresa: il posto dei chiassosi italiani è ora occupato da una coppia di olandesi che cortesemente salutiamo, ricambiati, per poi vivere ciascuno il personale riposo. Dopo cena scendiamo in paese per un’altra breve passeggiata e per assistere al tramonto del sole che si inabissa nel mare. Trascorriamo un’ora incantevole i cui minuti sono tutti preziosi, perché scandiscono e ordinano gli aspetti del paesaggio che, nella sua immobilità, è sempre nuovo. Così, mentre le pareti  bianche e piatte della falesia prendono un colore sgargiante, gli anfratti diventano ancora più neri conferendo a quello strapiombo un grande rilievo. Il mare verso est si scurisce e nella liscia striscia d’orizzonte sembra essere di ghiaccio, verso ovest si imporpora, spandendo intorno a sé riflessi di madreperla.

Pochi minuti e il disco infuocato penetra nell’acqua evidenziando con chiarezza  la velocità della rotazione terrestre. Sono ora le 21.40.  L’orizzonte impallidisce prima di scurirsi, poi nella volta del cielo diventate blu si accendono le luci della notte: il bianco falcetto della luna crescente e le stelle, mondi lontani, rivelano la piccolezza e la fragilità dell’uomo.

 

DOMENICA 3 AGOSTO

    La giornata di oggi la trascorriamo seguendo il ritmo standard: messa al mattino, pranzo, passeggiata pomeridiana, cena e riposo serale.

    Come già scritto in precedenza, per la messa ci rechiamo a Vattetot. Qui la chiesa ha tanti fedeli, ci sono persone anziane e anche tante famiglie con i loro bambini, che non sono mai meno di tre.

    Questa celebrazione ci dona un’aria di casa con il canto d’ingresso e l’alleluia che si eseguono anche a S. Nicolao, la nostra parrocchia. Avendo letto prima la Parola di questa domenica, riusciamo a capire qualche riflessione espresse nella predica. Ci ha colpito l’idea di comunione. Il sacerdote ha detto che si è in comunione con Dio se si accoglie, condivide e vive con la propria vita il sacrificio di Cristo a favore dei fratelli.

    Dopo pranzo ripercorriamo ancora una volta l’itinerario verso Vattetot, ma adesso camminando lungo il sentiero 21, che sale e scende dalle falesie percorrendole lungo il loro margine. Il sole rovente dà un tocco di colore alla nostra carnagione, mentre gustiamo ancora questo panorama che da domani sarà un piacevole ricordo. Le bellezze della natura non sono però solo grandi eventi e imponenti immagini, ci si può incantare anche di fronte a piccole vite che comunque contribuiscono al pulsare della terra. Ecco quindi precederci sul sentiero un piccolo bruco nero che con elegante sinuosità aggira le pietruzze per recarsi chi sa dove. Regoliamo il nostro passo per non schiacciarlo e ci dispiace trovare agonizzante questa promessa di farfalla due ore dopo, quando tornando ripercorriamo il sentiero.  

     La spiaggia sassosa di Vattetot è gremita di bagnanti, la percorriamo e raggiungiamo la base della falesia, che ci separa da Yport. Essa si sta asciugando, perché è iniziata la fase di riflusso della marea. Alzando lo sguardo si rimane impressionati della sua altezza e soprattutto si avverte la sua precarietà cogliendo le crepe e le fenditure che qua e là la percorrono e suscitano qualche timore alcune sue sporgenze rocciose sospese nel vuoto sulle quali sono annidati i gabbiani, che si vedono nella loro vita domestica.

Tornati a Yport scendiamo in paese per inviare le cartoline ai nostri amici, quale anticipo del nostro reportage;  ci lasciamo sedurre dall’invitante vetrina di Pierre Chocolatier e compriamo qualche bon-bon.

    E’ sera, l’aria è fresca, ma il vento ormai calmato invita a restare fuori dalle proprie casette per godere della luce del nord a cui rimane ancora un po’ di tempo per farsi apprezzare.    

    Sono quasi le 22.00 e il signore olandese nostro vicino ci viene a chiedere parlando in inglese se può attaccarsi alla nostra presa elettrica per caricare il telefonino, in quanto la sua non è compatibile con la presa del campeggio. Parlando un po’ inglese e un po’ in tedesco ci accordiamo sui tempi della restituzione dell’apparecchio.

    Siamo nell’Europa unita, ma quanta strada c’è ancora da fare! Così mentre la maggior parte delle persone comuni si sforzano di stabilire relazioni rispettose delle esigenze di tutti, gli stati con la loro organizzazione e le loro infrastrutture non sembrano così solerti e sensibili. Ad esempio qui in Francia le prese elettriche non rispettano le norme UE e se non ci si munisce di adattatori, risulta impossibile utilizzare i propri apparecchi; e ancora mentre in tutta Europa le autostrade sono segnate in verde e le strade statali in blu, qui è esattamente il contrario, pertanto se non si presta attenzione questa inversione disorienta il viaggiatore.

 

 

LUNEDI’ 4 AGOSTO

“Chi dorme non piglia baguette!”

    Parafrasando il noto proverbio, questo è ciò che avremmo potuto dire ai nostri vicini tedeschi questa mattina che, purtroppo per loro, avendo poltrito più del solito, non hanno trovato più pane in campeggio e, a digiuno, sono dovuti andare giù in paese a procurarselo per poter fare la loro abbondante colazione.Stanno tornando col loro prezioso carico nel momento in cui noi ci accingiamo a partire.

    Il trasferimento odierno è solo di 100 km: intendiamo raggiungere Lisieux per visitare la basilica di santa Teresa del Bambin Gesù. Dovendo attraversare la Senna, la strada più breve è il percorso autostradale che con il Ponte di Normandia permette di entrare nel dipartimento del Calvados.        

    Questo rinomato ponte non può certo competere con quelli presenti nel nord Europa, consente però un’ampia visione sul porto di Le Havre, terminale petrolifero e grande porto commerciale della Francia. Superato il ponte, poco dopo la confluenza dell’autostrada A29 con l’autostrada A46 usciamo e, seguendo strade nazionali o dipartimentali, raggiungiamo la meta.

    Nella fase iniziale della programmazione delle nostre vacanze non avevamo pensato a questa tappa, l’abbiamo poi inserita su suggerimento di suor Emanuela. L’idea data è stata davvero buona. La regione è molto boscosa e presenta dolci colline. La basilica è imponente e i ricchi mosaici che l’adornano sono una dottrina scritta per immagini. La visitiamo in un torrido pomeriggio, la cui temperatura raggiunge l’anomala massima, per questa zona,  di 36°C. 

La cripta sottostante, anch’essa ornata con mosaici dai colori più tenui, è più fresca e meno congestionata di visitatori. Vi sostiamo in preghiera e sul quaderno delle dediche chiediamo a S. Teresa un’intercessione per la nostra mamma Teresa. 
    Alloggiamo in un accogliente campeggio a 10 km da Lisieux. Lo abbiamo preferito a quello presente in città per la sua migliore qualità. Esso si trova a metà strada tra Blagny le  Chateau e Le Pin;  occupa il giardino ombroso di un’antica villa del periodo di Luigi XVI. La nostra piazzola si affaccia sulle rive di un piccolissimo laghetto ricco di pesci e abitato da numerose anatre, che instancabilmente lo percorrono in lungo e in largo, richiamandosi a vicenda per poi litigare per i bocconi più prelibati.

 

 

MARTEDI’ 5 AGOSTO

    Cielo sereno, aria tersa, sono solo le 10.00 del mattino e la temperatura si avvicina ai 30°C. Per queste zone è un caldo eccezionale, tanto che viene segnalato con titoloni di prima pagina sui giornali locali.  Oggi ci spostiamo di circa 100 km. La nostra meta è la costa della Normandia che ha vissuto i gloriosi e tragici giorni dello sbarco degli alleati nel 1944.

    Lasciato il campeggio raggiungiamo la nazionale N13, che seguiamo fino a Caen, città industriale dotata di una completa tangenziale, che ci permette di riprendere senza difficoltà la stessa nazionale, che percorriamo fino a Bayeux. Qui ci immettiamo sulla dipartimentale D6, che ci conduce a Port en Bessin. In questo paese, che è baricentrico rispetto a ciò che desideriamo visitare sono presenti due campeggi. Decidiamo di cercare posto al "Portland", situato alla periferia del paese e posto sul plateau di una falesia, quindi senz’altro in una posizione ariosa e ventilata. Sono le ore 12.30 quando ci accasiamo in una vasta piazzola erbosa: è il primo campeggio francese che richiede costi europei, però gli ottimi servizi che offre e i bassi costi sostenuti finora ci convincono per questa soluzione.

    Nel pomeriggio,seguendo la strada costiera, ci rechiamo ad Arromanches, teatro del "D-day" . Lasciata l’automobile saliamo sulla falesia dove è stato costruito l’Arromanches 360.

    E’ una moderna postazione che consente di vedere dall’alto il teatro di guerra del 6 giugno 1944 sia mediante l’osservazione diretta di ciò che resta nel mare delle barriere frangiflutti e dei pontili costruiti in Inghilterra e fin qui trainati dai rimorchiatori britannici per quell’evento che ha cambiato le sorti del mondo, sia mediante l’osservazione retrodatata con i filmati storici proiettati nel museo.

    E’ stridente pensare al sangue versato in mare dagli alleati e sulla terra ferma, anche dalla popolazione residente e dai tedeschi, e vedere che in quelle stesse acque, sulle spiagge e nei paesi, oggi si vive la gioiosa e spensierata realtà balneare. A noi sembrerebbe più corretto rispettare il luogo come un memoriale, ma forse è giusto che la vita abbia ripreso la sua normalità, perché è per questo che si sono immolate molte vite; considerato che la memoria è comunque sollecitata, raccolta, spiegata in varie lingue nei musei,  nei cimiteri, nei sacrari.

    Qui assistiamo al film dello sbarco. La sala circolare raccoglie al centro gli spettatori. Non si può catalogare il film come un documentario, in quanto le angoscianti immagini di ieri si stemperano in quelle rasserenanti di oggi e anche perché, essendo le scene proiettate a tutto tondo, chi guarda è come se vivesse personalmente gli eventi narrati.

    Siamo sulle navi da sbarco, e ci troviamo a correre sulla spiaggia sotto i colpi delle mitragliatrici, che sparano da ogni parte, tra le grida laceranti di dolore di chi cade ferito e siamo rassicurati dalle immagini della curata ricostruzione, che ha cancellato la desolazione dei crolli e della distruzione. Di nuovo tornati indietro nel tempo osserviamo la zona, che sarà testa di ponte, con gli occhi dei piloti militari e vediamo le deflagrazioni delle bombe che aprono le strade ai fanti e ai paracadutisti e poi diventiamo noi stessi bersagli volanti della difesa nemica e quindi tranquilli osservatori dell’ordinata campagna oggi egregiamente coltivata e adibita a pascolo.

    Poi ancora di fronte all’impotenza e all’orrore per le ferite di chi ti cade vicino e allo strazio della morte che non a tutti ha riservato una degna sepoltura. Poi proviamo la gioia di ieri e di oggi. Siamo allineati ai bordi della strada insieme ai sopravvissuti ai bombardamenti, alla battaglia sul campo, ala paura, alla fame, alle rappresaglie, e applaudiamo i liberatori e la sfilata dei musicanti che oggi percorre la stessa strada in un giorno di festa della tradizione locale e ci commoviamo per il semplice gesto di un’esile bimba, che va incontro ad uno stanco soldato, donandogli una rosa selvatica che chi sa come è sbocciata nell’inferno di polvere e fuoco quale segno di speranza.

20 minuti toccanti, travolgenti, coinvolgenti al punto tale che in certi momenti ci si sente quasi male. Successivamente visitiamo il Museo dello Sbarco e della Battaglia in Normandia, che raccoglie la documentazione storica e ricostruisce attraverso diversi diorami le tappe dello sbarco e dell’inizio della liberazione.

Infine, tornando verso Port en Bessin, ci fermiamo a   Longues s-Mer per vedere le postazioni tedesche, che presidiavano la costa. Sono rimasti dei grossi bunker di cemento armato, che ospitano i cannoni, alcuni distrutti, altri ancora in posizione. Lì ci ha dato fastidio vedere con quanta superficialità molte persone si facevano fotografare allegre e sorridenti, da soli o in compagnia, vicino a quelle bocche di morte. La nostra speranza è che guardando le loro istantanee si ricordino del sacrificio di migliaia e migliaia di giovani e adulti e si orientino per essere sempre più dei costruttori di pace.

 

MERCOLEDI’ 6 AGOSTO

Se ieri pomeriggio è stato il tempo del ricordo, oggi è quello della “pietas”: visiteremo i cimiteri di guerra americano e tedesco. Al mattino raggiungiamo in bicicletta la spiaggia di "Omaha Beach". C’è bassa marea. Essa si presenta come un ampio litorale di finissima sabbia di colore giallo-arancio. Alle sue spalle c’è un breve e ripido declivio ricoperto di arbusti, che porta sul pianoro sovrastante, dove la difesa tedesca ha strenuamente tenuto la posizione. In quel lontano 6 giugno 1944, forse per un errore di valutazione dei tempi dei flussi di marea o forse per una marea anomala (in questo tratto della Manica esse risentono molto dei venti occidentali e delle burrasche atlantiche), le truppe da sbarco americane si sono trovate intrappolate tra il fuoco nemico, che dall’alto le falcidiava e i marosi, che ostacolavano l’avanzata e impedivano il ripiegamento. Solo in quel giorno le vittime alleate furono più di 3000, quelle riconosciute meno più di 300. Questi morti sono ricordati con una stele che vigila sul mare. Ci si è stretto il cuore leggendo tra i nomi quelli di casate nostrane: giovani nati nella terra della speranza dei loro padri o dei loro nonni, che hanno acuito con il loro sacrificio la nostalgia e il dolore per la separazione e la lontananza.

    Dalla spiaggia seguendo una ripida strada raggiungiamo il Cimitero Americano. Circondato da una distesa di pini, sui prati curati con maniacale perfezione, si ergono i segni di più di 9000 tombe in marmo bianco di Carrara, che si differenziano solo per il simbolo religioso: la croce latina per i morti cristiani, la stella di Davide per gli ebrei.

C’è parecchia gente, ma regna un silenzio che rende palpabile la costernazione che ognuno avverte per questo lutto che non ha fine.

    Nel pomeriggio ci rechiamo a La Cambe per visitare il Cimitero Tedesco. Il luogo, molto più piccolo, ma altrettanto ben curato, accoglie le spoglie di più di ventunomila soldati, per lo più ragazzi, molti dei quali sepolti senza nome. Non possiamo non lasciarci prendere dallo sgomento quando, passando tra le tombe, prendiamo atto che la maggior parte sono nati nel 1925-26. 

   Qualcuno è addirittura morto prima di aver compiuto i 18 anni, mandato impreparato su questo incandescente fronte di guerra con il solo scopo di rallentare con le proprie azioni di interdizione e il proprio corpo l’avanzata degli alleati, per consentire all’esercito retrostante di riorganizzare la difesa e la protezione del Reich.

    E’ ancora più triste verificare che neppure nella morte gli uomini sono uguali. Infatti mentre nel cimitero americano le lucenti stelle di Davide e le snelle croci inducono il visitatore ad alzare lo sguardo verso il cielo per trovare nell’infinito la certezza dell’immortalità dello spirito e della resurrezione della carne, nel cimitero tedesco le cineree pietre tombali sembrano voler tenere nell’ombra della morte quelle vite spezzate e le nere croci riunite in piccoli gruppi rimandano più al lutto, che alla redenzione. Inoltre mentre il cimitero americano era visitato da tantissime persone provenienti dalle più disparate nazioni europee, anche dalla Germania, lo dimostravano le targhe delle automobili posteggiate, quello tedesco è visitato da un ridotto numero di persone limitate a poche nazioni, (spicca l’assenza delle automobili con targa britannica) come se la vita di questi giovani fosse valsa meno.

    Ma per superare le reciproche diffidenze e lavorare insieme per la pace, non bisogna dimenticare le sofferenze e i lutti che anche questo popolo ha subito (7 milioni di morti) a causa del loro collettivo delirio di onnipotenza, esaltato e guidato dalla follia di un uomo.

 

Concludiamo il pomeriggio a Port en Bessin. Il paese è un porto peschereccio ancora attivo. Vi giungiamo nel momento in cui i pescatori stanno preparando le loro imbarcazioni per prendere il largo all’imbrunire, che cala rapidamente avvolgendo in un’umida nebbia il mare, le strade, le case, il campeggio.

 

GIOVEDI’ 7 AGOSTO

La nebbia che avvolga ancora ogni cosa fa sembrare questo paesaggio agostano un quadro di Monet.

Ci prepariamo per lasciare il Calvados in Normandia, che avremmo potuto osservare seguendo altri itinerari, come la Route de Cidre, per trasferirci  in Bretagna. Percorreremo circa 150 km fino a Cherrieux, un piccolo paese che si affaccia sul mare nel centro della baia di Mont Saint Michel. E’ una zona che già conosciamo, perché è stata una tappa del giro in Bretagna e castelli della Loira, che abbiamo fatto dieci anni fa. Decidiamo comunque di fermarci per diversi motivi: non occupare tutta la giornata in un grande trasferimento che ci porterebbe fino alla costa di granito rosa, non ancora visitata, quindi meta prevista, ritagliarci qualche giorno di relax per compiere passeggiate e gite in bicicletta, consentire a Giuseppe di gustare le ostriche qui allevate in grande abbondanza e vendute fresche a prezzi decisamente accessibili nei mercati del pesce o nelle “fete” paesane, qui molto diffuse nei mesi estivi.

    Studiamo sul chiarissimo Michelin l’itinerario. Da Port en Bessin percorriamo a ritroso i pochi chilometri che ci separano da Bayeux, qui ci inseriamo nella dipartimentale D572 direzione St. Lo. Questo tratto di strada inizialmente piuttosto anonimo diventa suggestivo nel tratto in cui attraversa la foresta di Cerisy, un fitto querceto certamente abitato da animali selvatici. Superata questa città, seguiamo la dipartimentale D999 fino ad Avranches. Qui la strada segue l’ondulato profilo delle colline della Mancia snodandosi tra prati erbosi le cui proprietà sono delimitate da filari di alberi. Poi con nazionale N176 raggiungiamo la litoranea D797 per S. Malo che percorriamo fino a Cherrieux.

Alloggiamo al campeggio "Aumone", nella piazzola che ci viene assegnata dalla signora che lo gestisce. Dopo pranzo andiamo in paese, raggiunta la spiaggia ci troviamo di fronte gli stessi giochi velico-terrestri che avevamo osservato con curiosità lo scorso anno sull’isola di Romo, in Danimarca

    Sono le 16.00 ed è il momento della bassa marea. Il mare, ritirandosi, scopre il suo fondo che qui è tutto sabbioso. Su questo arenile compatto si stanno movendo dei tricicli. Essi zigzagano ad alta velocità seguendo le rotte disegnate dal vento che catturano o con le vele simili a quelle dei windsurf o con degli aquiloni.

    Vediamo in lontananza un trattore dirigersi verso il mare, lo seguiamo camminando sull’asciutto per circa un chilometro e Paola trova e raccoglie preziosi reperti, che saranno materiale di osservazione e di studio nelle attività scolastiche di laboratorio. Intanto il trattore ha raggiunto una barca dotata di ruote. Essa era andata a governare i mitili di allevamento durante l’alta marea, ora, agganciata al trattore, viene trainata fino a riva.

    Dopo un giro per le strade del paesino, la visita in chiesa anche per conoscere gli orari delle messe nella zona, ritorniamo in campeggio, dove è in agguato un fastidioso contrattempo. La cena è quasi pronta quando, in malo modo i francesi della piazzola vicino alla nostra ci rimproverano di aver occupato con il nostro caravan una parte del loro spazio. Li rimandiamo al gestore, in quanto la scelta del posto non l’abbiamo fatta noi.

    Questi, alquanto mortificato, ci raggiunge spiegandoci che sua moglie si è effettivamente sbagliata e che anche quel posto per quei francesi. Ci chiede se possiamo trasferirci due piazzole più avanti lungo lo stesso vialetto. Così dopo cena dobbiamo darci ancora da fare. Mentre muoviamo la nostra casetta, aiutati generosamente dal ragazzone olandese della piazzola di fronte, scopriamo da lui che quei francesi sono un po’ strani, in quanto hanno già questionato nei giorni precedenti con altri equipaggi.

    Finalmente recuperata la nostra tranquillità, progettiamo la gita di domani, che faremo in bicicletta, poi ci dedichiamo al nostro libro: Giuseppe scarica le fotografie per avere a disposizione nella macchina fotografica  nuova memoria, Paola scrive il diario della giornata.

VENERDI’ 8 AGOSTO


La gita che oggi faremo si chiama "Circuit du Marais de Dol". E’ un itinerario di circa 60 km, studiato e consigliato dall’ente turistico dell’Alta Bretagna, che a Cherrieux ha il suo ufficio in un vecchio mulino. La mappa, recuperata, indica con chiarezza il tracciato e dà alcune informazioni circa i paesi che si attraversano. Il percorso si snoda per strade secondarie, se si esclude il tratto costiero, che percorre la D797. Esso è tutto segnato con specifici cartelli, indicatori della direzione.

Dal campeggio, seguendo la strada litoranea passiamo da Le Vivier sur Mer, il più grande porto commerciale dei mitili della Bretagna e continuiamo fino a Saint Benoit des Ondes.

    Questo tratto di strada dipartimentale, piuttosto trafficato, è il culmine della diga che ha consentito di strappare al mare il territorio retrostante. Lasciata la litoranea per stradine secondarie ci addentriamo verso l’interno. Le strade si snodano in una vasta zona pianeggiante qua e là ancora occupata da stagni, habitat di alcune specie  di uccelli stanziali e luoghi di approdo momentaneo per i volatili migratori. Il territorio prosciugato è solcato da canali irrigui, dotati di chiuse, che impediscono all’acqua salmastra della marea di bruciare i suoli. Questi polders sono ben poca cosa rispetto a quelli olandesi, ma sono comunque una risorsa preziosa per questa zona, altrimenti poco coltivabile. Raccolti ormai la segale e l’orzo i contadini stanno ora seminando gli ortaggi: verze, patate, cipolle e carote, che raccolti alla fine dell’estate accompagneranno le portate invernali di questa popolazione.

    I primi paesi li incontriamo là dove finiscono i polders. Essi sorgono su dune formatesi coi sedimenti marini. Alcuni sono solo un piccolo agglomerato di case, altri sono più estesi, tutti però presentano degli aspetti comuni, che li caratterizzano. Le case in pietra scura sono ben curate e rese solari da una grande quantità di fiori posti alle finestre e coltivati nei giardini, i calvari, grossi crocefissi in pietra provenienti dagli antichi cimiteri, le imponenti chiese, che aprono il visitatore al mistero della Presenza,mediante il silenzio, le vetrate, gli arredi lignei, segni di una fede che si tramanda nel tempo.

    Durante la giornata incontriamo altri ciclisti che, come noi, stanno facendo una gita. Tra i tanti ci piace ricordare la famigliola tedesca, papà, mamma, bambina di 10 anni circa, che ci supera mentre siamo fermi per fotografare uno scorcio pittoresco, luogo che ci ha pure premiato con dolcissime more, che si offrivano a noi, grosse e nere, ammiccando dai rami dei rovi allineati lungo la strada; e la coppia francese che pedala su un tandem. Essa ci raggiunge mentre visitiamo  Lillemer, un piccolissimo borgo, già abitato nel neolitico, che conserva accanto alla chiesa una piccionaia medioevale. Lì si fermano per il pranzo, mentre noi riprendiamo a pedalare. Ci raggiungono di nuovo alla periferia di  Dol de Bretagne, sosta fotografica, un cenno di saluto e ciascuno prosegue secondo la sua rotta.

    Se considerassimo solo la condizione meteorologica e le temperature di questa giornata, escluderemmo di essere in Bretagna. Infatti  il sole caldissimo facilita il diffondersi, nell’aria tersa, degli aromi della terra e della vegetazione, rimandando a sensazioni tipicamente mediterranee.  Essendoci attardati lungo il percorso ad ammirare scorci e monumenti, siamo colti alla sprovvista dall’ora di pranzo. Dobbiamo quindi cercare acqua e un po’ di cibo. Sono le  13.00 quando passiamo da Roz-Landrieux e, con il timore di trovare ormai i negozi chiusi, cerchiamo di soddisfare i nostri bisogni terreni. Costatiamo invece con piacere che i commercianti del luogo hanno a cuore il turista in transito, l’epicerie, dove compriamo acqua e prosciutto, fa orario continuato, il boulangere, dal quale compriamo una croccante e squisita baguette, chiude nel presto pomeriggio. Consumato il pasto nell’area pic nic riprendiamo le biciclette. Molto accaldati e toccati dal sole, troviamo ristoro gustando delle succose mele, che raccogliamo mature ai piedi di un albero selvatico, poco prima di immetterci di nuovo sulla litoranea che ci riporta al campeggio.

 

SABATO 9 AGOSTO

    La notte è trascorsa tranquilla, ma per mantenere la temperatura vivibile abbiamo tenuto aperti i finestrini del caravan. E pensare che siamo più vicini al polo nord che all’equatore! Programma odierno: riposo.

    Al mattino ci rechiamo a St.Malo nella zona commerciale per rifornire la dispensa. Quest’anno è la prima volta che usiamo all’estero gli euro per le spese ordinarie. Troviamo che l’unificazione della moneta abbia davvero facilitato il movimento dei popoli, sia per la pezzatura ormai conosciuta da tutti, sia per la possibilità di fare rapidamente il confronto con i prezzi del proprio paese. A conti fatti possiamo concludere che il costo della vita in Francia è allineato a quello italiano, pur con delle differenze nelle categorie merceologiche. Ad esempio in Francia la carne e il pesce costano decisamente meno che in Italia, in compenso il loro paniere pesa di più nelle voci latticini e ortaggi. Notiamo anche che in Francia i prodotti industriali, ma a volte anche quelli freschi, come certi formaggi, contengono più additivi rispetto a quelli italiani, in particolare non sono lesinati i superflui coloranti.

    Infine una polemica sottolineatura sul termine “bio”, qui non garantisce il rispetto delle norme UE. La Francia si sente inserita nell’Europa unita, ma a modo suo!

    Visitiamo anche il sempre interessante Decathlon, che qui in Francia offre una maggiore scelta per genere merceologico e offerte anche su prodotti di marca. Ci regaliamo un caschetto da bici per Giuseppe e un paio di scarpe da tempo libero per Paola, entrambi gli acquisti vanno a rinnovare un equipaggiamento decennale che si sta oramai deteriorando.

 

DOMENICA 10 AGOSTO

Come già scritto, la medesima zona può essere visitata secondo criteri turistici diversi.

    Qui, lungo questa costa così rinomata, c’è chi vive di notte esprimendo il meglio delle sue potenzialità vitali sfrecciando ad alta velocità lungo la rettilinea litoranea per confermare a se stesso e far sapere agli altri di esistere.

    Superata quindi la notte con qualche tormento, ci apprestiamo a vivere la nostra giornata sotto un nuovo profilo, quello eno-gastronomico, sarebbe meglio dire gastronomico-eno, data la modesta quantità di vino che consumiamo.

In mattinata, dopo la partecipazione alla messa nella chiesa di Le Vivier sur Mer, ci rechiamo a Cancale con l’intento di trovare un bel ristorantino per soddisfare il palato di Giuseppe con ostriche e frutti di mare.

Questo paese, situato sulla scogliera che chiude la baia di

Mont St. Michel, è oggi un accogliente centro turistico, che ha conservato la sua antica tradizione peschereccia, legata all’allevamento di huitres e moules, ostriche e cozze, e l’ha anche trasformata nel businnes gastronomico.

    Il piccolo mare del golfo, soggetto ai forti dislivelli di marea è “coltivato” a mitili, la zona del porto, che ha un attivo mercato al dettaglio, offre, prospicienti al mare, numerosi locali, dove si servono senza problemi di orario le famose, artistiche e prelibate “asiette au fruit de mer”.

    Non abbiamo indicazioni circa le qualità dei locali che, salvo qualche eccezione, presentano piatti a prezzi unificati. Ci lasciamo ispirare dall’estetica del locale e dal fiuto di Giuseppe che, avendo viaggiato molto per lavoro in Italia e all’estero, ha acquisito un sesto senso, che gli permette di scegliere senza sbagliare.

    Ci fermiamo al "Au Rochere de Cancalle" dove ordiniamo il piatto di frutti di mare e vino muscadè per Giuseppe e per Paola, che non sa cosa si perde, ma sa cosa ci guadagna a non mangiarli, essendo allergica, una bistecca di manzo con verdure.

La tavola per la consumazione del pesce è imbandita con un cerimoniale.

Prima vengono portati il piatto e il vino, il limone naturale e artificiale per l’igiene delle mani, a seguire le posate speciali: uno schiaccianoci, un ferretto lungo, sottile, con la punta uncinata, una forchettina. Esse serviranno per rompere le chele dei crostacei, per estrarre le lumachine di mare dal loro guscio e per distaccare l’ostrica o la cozza dalla loro valva. Poi viene servito “l’asiette”. Sul tavolo viene posato un vassoietto con delle ciotoline contenenti burro e salse, che servirrano per preparare le tartine da accompagnare al piatto vero e proprio. Sopra al vassoio è posto un sopralzo metallico che reggerà il piatto di portata. Ecco che nella sua magnificenza, portato da una gentile ed efficiente cameriera marocchina, fa la sua entrata “l’asiette” tanto agognata. 

   Il piatto è del colore del mare ed ha la forma di una barca. Il suo fondo è ricoperto di alghe e su di esse vi sono adagiati gamberi, gamberetti, cozze, ostriche, due tipi di lumache di mare, un granchio rosso e un piccolo granchio dell’arenile insieme a spicchi di limone. Tutto è servito in modo tale che i colori vivaci di alcune specie contrastino con i colori smorti di altre e il nero delle lumachine e delle cozze dia rilievo e movimento all’insieme in un gioco di chiaro scuro reso ancora più marcato dal fulgido giallo del limone. Giuseppe ha davanti un piatto che esalta i sensi. Infatti, prima dichiararsi coi suoi sapori, cattura con i suoi colori e predispone alla degustazione col suo profumo di mare aromatizzato all’agrume.

    Lo sguardo di Giuseppe è pieno di ammirazione per quel capolavoro di bontà e si frantuma in piccole e intense occhiate, che ricercando ogni ricchezza, accrescono l’appetito.

    Sono le 13.30 e Giuseppe inizia la sua consumazione.  Assaggia un tipo per specie, ma lascia intatto il grosso granchio rosso, il cui sapore è per lui un mistero da conservare fino all’ultimo. E’quindi un susseguirsi di uso di strumenti e un compiacersi per la delizia di quei prodotti. Trova particolarmente appetibili i gamberi e le ostriche, ma superano tutti per lo spiccato sapore i piccoli gamberetti bruni.

Il gran finale è tutto per il granchio rosso. Diversi sono i suoi sapori: il contenuto delle chele e degli arti ricorda quello dei gamberi, la parte dell’addome, morbida, ha un sapore delicato, le migliaia di uova ricordano un po’ il caviale, ma non incontrano il gusto di Giuseppe. Sono passati 70 minuti e di quel piatto così armoniosamente composto non sono rimasti che gusci ed esoscheletri.

    Uscendo dal ristorante Giuseppe è soddisfatto, ma asserisce di avere ancora un po’ di fame, quindi pensa già alla cena. Decide che essa debba nascere dal connubio della cucina bretone con quella mediterranea, perciò al mercato del pesce compriamo le cozze, che serviranno per il sugo degli spaghetti e le ostriche, antipasto serale; e siccome secondo la tradizione portata in casa nostra da Giuseppe una domenica senza dolce non è una domenica, da un patisierre compriamo due piccoli dolcetti bretoni, che chiuderanno in bellezza questa prima tappa nella regione che li ha inventati.

 

LUNEDI’ 11 AGOSTO

    Ci alziamo presto, perché intendiamo spostarci verso ovest di circa 180 km ed essendo la settimana di ferragosto temiamo di poter incontrare qualche difficoltà a trovare posto nei camping, preferiamo quindi avere a disposizione l’intera giornata. Per lo stesso motivo decidiamo un trasferimento diretto, pertanto non percorriamo le dipartimentali litoranee che seguono il profilo molto articolato della costa e attraversano i paesi e le città ma, rientrando leggermente verso l’interno, viaggiamo lungo le nazionali, che qui in Francia sono spesso delle superstrade di rapido scorrimento.

    Raggiunta Mont Dol de Bretagne ci immettiamo nella nazionale N176 che confluisce dopo Dinan nella N12, che seguiamo fino a St. Brieuc. Percorriamo quindi le dipartimentali D6 e D7 per giungere nella penisola incastonata tra due fiordi sui cui estuari sorgono le cittadine di Treguier e Perros Guirec.

    Il transito su grosse arterie stradali non facilita certo l’osservazione del paesaggio, ma permette altre considerazioni. Ad esempio: come sono i francesi alla guida? Li paragoniamo a dei bradipi per quanto riguarda i loro riflessi e a dei giaguari in quanto a velocità tenuta. Infatti le loro ripartente sono lentissime, agli incroci stentano a trovare il tempo per transitare, nel traffico perdono la sicurezza, quindi hanno comportamenti imprevedibili e irrazionali, ma quando sono finalmente lanciati non li ferma più nessuno. Se si tiene  conto  che il loro  parco  macchine  è piuttosto vecchio ( in media i veicoli hanno dieci anni di vita) e che le loro automobili sono per lo più di media cilindrata, non è sbagliato sostenere che i francesi alla guida sono un po’ pericolosi.  Li salva e assicura anche tutti gli altri automobilisti lo scarso traffico della rete autostradale.

    Giunti intorno alle 11.00 nella zona considerata, ciò che temevamo si avvera. Il primo campeggio ha a disposizione un’unica piazzola nella zona più infelice dell’area (lasciamo al lettore immaginare dove!). Ci spostiamo di qualche chilometro e poco dopo Treguier, a Minihy in località Syet, troviamo posto in un "camping a la fermè".

    E’ il primo campeggio di questo tipo che proviamo e ci apre pure una bella esperienza. In pratica è un agriturismo che mette a disposizione locali e posti per caravan e tende. Il prato che ci ospita sembra una grande corte. Tutto circondato da vegetazione arbustiva, lungo il suo perimetro sono presenti gli equipaggi in una disposizione rispettosa delle esigenze di spazio di ognuno. L’area è dotata dei servizi essenziali, che sono però di qualità.

    Dopo esserci sistemati, nel pomeriggio facciamo un giro di ricognizione a Treguier per trovare presso l’ufficio del turismo le mappe per le gite lungo i capi della zona.

 

MARTEDI’ 12 agosto

I camping a la fermè hanno diversi pregi: sono in zone poco trafficate, non essendo illuminati, quando viene buio cala anche il silenzio: ieri alle 22.00 tutto taceva. La fermè di Syet occupa un luogo di campagna al termine di una strada chiusa. Esito della prima notte a Syet: una dormita di quasi undici ore!

    Anche oggi il giorno si presenta con il cielo completamente sereno che annuncia  ancora un caldo intenso. Ci dedicheremo ad un turismo naturalistico. Tra i quattro circuiti pedonali che costeggiano la penisola scegliamo il secondo che passa per la sua punta, quindi consente di osservare dall’alto l’oceano Atlantico.

    Lasciamo l’automobile a Plougrescante. E’ da questo borgo, situato quasi al centro della penisola che hanno inizio i diversi itinerari. Il nostro, segnalato con due strisce bianco e rosso, attraverso delle strade carrarecce, che ci regalano scorci sulla baia, ci conduce in riva al mare. Il sole, che abbiamo di fronte ancora abbastanza basso, riverberandosi obliquamente, riduce la profondità dell’orizzonte, ma dà risalto agli speroni rocciosi delle falesie e agli scogli. La marea ha iniziato da qualche ora la sua fase di bassa, ci sono già le barche più prossime alla riva in secca; un po’ più al largo iniziano a scoprirsi le gabbie degli allevamenti di ostriche, mentre tra gli scogli affioranti qualcuno si garantisce il pranzo.

    Sostiamo un attimo sul litorale ciottoloso. I graniti e gli scisti di diverse qualità lo rendono variopinto, raccogliamo qualche bel sassolino. Riprendiamo il cammino e seguiamo un polveroso sentiero che sale lungo il bordo della falesia. A seconda della sua direzione si avvertono ora il profumo aromatico della campagna coltivata, protetta solo dalla rigogliosa fascia di felci e rovi, ora quello salmastro del mare. Qui in alto lo sguardo prende possesso dell’intera baia di Jaudy, tutta costellata di rosei spuntoni rocciosi e di scogli semisommersi, che colorano di scuro l’acqua che altrove è invece intensamente blu.

    Via via che il sole si alza e l’aria si riscalda, l’ambiente si anima. Le piccole insenature con costa bassa, raggiungibili in automobile tramite stradine secondarie, si popolano di bagnanti, al largo si iniziano a vedere le barche a vela di chi vive la vacanza navigando. Il sentiero di nuovo sale e attraversa una fresca e resinosa pineta. E’ tra questi alberi alti e secolari che scorgiamo case da sogno, con panoramiche verande che offrono un’ampia vista sulla scogliera e sul mare e castelletti che richiamano antiche leggende.

    Più avanti la vicinanza al margine più esposto della penisola si annuncia con la netta diversificazione della vegetazione. I forti e freddi venti atlantici consentono la vita solo a conifere arbustive e a piante erbacee, come le eriche e altre essenze floreali che, con piccole e sgargianti corolle, donano agli scarsi insetti il prezioso nettare che assicura loro il futuro. L‘ultimo approdo costiero riserva una curiosa immagine. Piccole case di pescatori sono incastonate tra le rocce granitiche quasi a chiedere alla madre terra protezione,calore e conforto.

    All’ora di pranzo arriviamo sulla punta della penisola. Qui la costa è un’alta scogliera di granito rosa, che a balze scende fino all’acqua. Le grandi fenditure della roccia, i massi precipitati, le parti ormai separate dal continente, rese scogli sempre meno imponenti, rivelano la continua sfida che intercorre tra la terra e il mare. Un forte contrasto, che contrappone la strenue solidità del continente alla tenace azione erosiva dell’oceano e del vento. Purtroppo oggi questa lotta la si legge solo osservando la martoriata roccia. Infatti in quest’anomala estate senza vento l’oceano è talmente liscio e piatto che a stento spumeggia intorno agli scogli più lontani.

    Ci dispiace non poter vedere una tempesta bretone o quanto meno l’oceano agitato. Ci ripromettiamo di tornare in questa regione, magari in inverno, per gustare la rude asprezza climatica e le calde e spartane atmosfere sociali che la caratterizzano.

    In silenzio sostiamo e contempliamo la bellezza che ci è donata. Poi mentre un catamarano si perde all’orizzonte riprendiamo il cammino. Doppiato il capo, il sentiero segue per un breve tratto la costa della baia di Gouermel, poi si addentra nella penisola svelando altre bellezze e riservando nuove sorprese, che stridono col sole caldo e a picco di questo pomeriggio estivo. Le case dallo spesso tetto di paglia rimandano all’intenso freddo invernale dal quale difendersi mediante un isolamento a strati. Giunti sulla strada ordinaria la percorriamo fino al borgo di partenza, che ci appare da lontano innalzando il suo particolare campanile in piombo, molto inclinato sull’antica torre.

 

MERCOLEDI’ 13 AGOSTO
Ore 9.00 cielo coperto, temperatura 20°C. La tanto sospirata perturbazione prevista in Italia per ferragosto sembra essere entrata dalla porta atlantica.

Ore 11.00: cielo sereno temperatura in rapido rialzo, afa. Ogni speranza di pioggia per il riarso continente svanisce!

Trascorriamo la mattina a Treguier, che raggiungiamo a piedi con una camminata di mezz’ora di buon passo. La cittadina è sorta sul fondo dell’omonimo fiordo, alla confluenza di due fiumi, che sfociano nell’oceano con un unico estuario. La cittadina ha un piccolo porto di cabotaggio e il suo centro conserva tracce della sua storia,  tra antiche case a graticcio si insinuano strette viuzze medioevali, che confluiscono nella grande piazza centrale, dove si erge l’imponente e strana cattedrale dedicata a San Tugdual. Essa è un concentrato di asimmetrie architettoniche e cromatiche, essendo stata costruita con graniti di diverso colore e avendo subito nel tempo dei rimaneggiamenti. La struttura è comunque armonica e gradevole alla vista. Il suo interno trova luce dalle vetrate, che mettono in risalto le statue lignee dei secoli passati. Centro di culto è, nella navata sinistra, il tempietto dedicato a San Yves. I ceri votivi, le testimonianze delle grazie ricevute, le persone in preghiera, dicono di una devozione ancora sentita. E’ giorno di mercato. Ci aggiriamo tra le bancarelle sempre uguali sotto ogni cielo, che offrono abiti made in China, maschere senegalesi e portamonete in cuoio, giocattolini e “prodotti artigianali locali” ovviamente fabbricati in estremo oriente. La zona alimentare è introdotta da tronfi imbonitori, che convincono sprovvedute massaie ad acquistare utensili che, dopo l’impeto della novità, non saranno più usati. Il rosticciere sta cocendo in enormi pentoloni cipolle, patate, salsicce e cotenne e ci chiediamo chi con questo caldo avrà il coraggio di mangiare un simile piatto. Più avanti ortaggi e mele giocano le loro chances sulla freschezza e sulla genuinità, così come i banchi ittici, che hanno nelle ceste granchi e gamberi ancora vivi. Qua e là artisti di strada si esibiscono suonando brani jazz o classici e, gratificati da attimi di celebrità, si guadagnano la giornata. Siamo ora attratti  dal dolce e magico suono di un flauto che, da dietro un angolo, invita alla scoperta.  Ci troviamo davanti “le petit theatre vert”, e siamo immersi nello spettacolo. Una marionetta abilmente manovrata dal suo papà racconta la storia della vita. Muta, al suono del flauto, che ne scandisce gli umori, la marionetta si muove, fa salti e corse, poi si acquieta nel sonno, dove con movenze appena accennate fa immaginare sospiri e sogni. Si sveglia più grande e con passi incerti e ritmati cerca, cerca… Si esalta e si accascia in un’ansia continua, che si stempera in una danza sempre più delicata e armoniosa, segno dell’amore trovato, che ridona la gioia infantile per la vita.

    Seduti su un tappeto, davanti a quel lembo di strada, palcoscenico improvvisato, tanti bambini con gli occhi sgranati e la bocca aperta osservano ed entrano nella fiaba mantenendo un incredibile silenzio e assecondando i ritmi della danza col battimano. Dietro a loro i grandi, che per un attimo tornano bambini nel riscoprire il bello delle cose semplici.

    Sul far della sera un vento deciso si fa strada tra il tremulo fogliame del cespuglio di ribes, impatta il fianco del nostro caravan e si divide in mille rivoli, che fischiano e sbatacchiano le tende e gli igloo qui vicino, saggiandone la picchettatura. Sospinti dalle veloci correnti aeree, grandi cumuli nerastri si muovono nel cielo cedendo ogni tanto un po’ della loro umidità. E’ la perturbazione tanto attesa, che senz’altro darà movimento anche all’oceano. Attendiamo con una certa impazienza l’ora dell’alta marea per raggiungere il capo più esposto della penisola e salire sulla scogliera a picco.

    Eccoci quindi davanti allo spettacolo della natura. Noi siamo sull’alta balconata rocciosa e il palcoscenico è l’oceano che, come un’ampia parabola, si apre all’infinito. Lì in basso si lotta, si attacca, si resiste. Mentre si alzano al cielo i fragori e gli spruzzi, le rocce degli scogli cambiano colore e sfrigolano quando l’acqua penetra nelle loro fenditure, faticando a ritirarsi per il sopraggiungere di una nuova ondata.

    Alcuni  gabbiani si alzano in volo dagli scogli più lontani e sospesi nell’aria si avvicinano alla costa per trascorrere la notte. La linea del vento però si ingarbuglia tra gli spuntoni della scogliera, forma mulinelli e spire che  sospingono gli urlanti gabbiani nuovamente al largo. I loro gridi spaventati si perdono lontani, mentre i passeri si richiamano con cinguetti ripetuti e si ritirano nei loro nidi nascosti nelle crepe più profonde. Il cerchio arancione del sole al tramonto appare fugacemente e, senza attendere di essere fotografato, si ritira dietro il plumbeo sipario della coltre di nubi, anticipando la notte.

 

GIOVEDI’ 14 AGOSTO

    Nella notte tre luminosi lampi, accompagnati da fragorosi boati e un scroscio di pioggia hanno avvisato che qualcosa sta cambiando dal punto di vista meteorologico.

    Al risveglio il dì si presenta sereno, l’aria si è però rinfrescata. Sottili e alte nubi sono spinte dal vento che col passare delle ore aumenta la sua intensità. Programma odierno: visita della cittadina di Morlaix, che dista circa 50 km da Treguier. La raggiungiamo percorrendo la dipartimentale costiera.

Morlaix è uno dei primi centri che si incontrano del Finistere, cioè quella zona occidentale della Bretagna, denominata dai romani “finis terrae”. Essa è piuttosto caratteristica. Sorta sull’estuario di un piccolo fiume, che ha scavato un profondo solco, ha il suo nucleo storico allungato nella valle, alle spalle del porticciolo di cabotaggio, che ha all’ancora rispettabili barche a vela, in grado di attraversare l’oceano. I suoi quartieri più nuovi si sono espansi lungo i fianchi vallivi e si raggiungono rapidamente salendo ripide scalinate. Lì, più in alto, la visione del panorama sulla città è suggestivo. La peculiarità del centro storico, di origine medioevale, sono le case a graticcio, numerose e ben conservate, molte delle quali sono finemente ornate con statue lignee. Visitiamo in successione due chiese risalenti al XV secolo. Quella dedicata a San Matteo prende luce da un’ampia vetrata che chiude l’abside e con le sue vetrate laterali narra la storia dell’apostolo, da quando abbandona l’ufficio delle imposte per seguire Gesù, alla scrittura del suo vangelo per i cretesi, alla sua missione in Etiopia, dove compie il miracolo di resuscitare la figlia del re, al suo martirio, fino alla dedicazione della prima chiesa in suo onore da parte del Papa Giovanni III.

La chiesa di Santa Melaine ha la volta blu bizantina, che sembra un cielo crepuscolare, grazie agli alti lucernari che la rischiarano. Ha anche un bell’organo, che troneggia sopra il portale.

    Il pranzo lo consumiamo in una “Creperie”, tipico locale francese. Questa è in stile bretone sia nell’arredamento che nelle proposte culinarie. Ordiniamo crepe al salmone per Giuseppe e crepe al formaggio di capra per Paola e accompagniamo il gustoso pasto con del sidro, che troviamo molto più buono rispetto a quello assaggiato in Normandia, perché al gusto brut segue il timbro persistente lievemente dolce delle mele.

Il viaggio di ritorno lo facciamo seguendo prima la nazionale N12 fino a Lannion, poi piccole dipartimentali, per non essere intrappolati dal traffico locale dovuto al week end  ferragostano.

 

 

VENERDI’ 15 AGOSTO

D8; C2; … non stiamo giocando a battaglia navale, ma scandendo la toponomastica delle strade che da Syet conducono al centro di Minihy, dove nella chiesa parrocchiale partecipiamo alla messa dell’Assunta.

L’edificio religioso presenta l’architettura tipica delle chiese della zona. E’ dedicato a S. Yves, che qui ha vissuto. Al  suo interno sulla parete di sinistra c’è un grande quadro murario che riporta, scritto in latino, il testamento del santo. Nel 1293 S. Yves ha lasciato tutti i suoi averi, ricevuti dai genitori, alla fondazione che aveva istituito per assistere i malati e i disabili, che aveva ospitato nel suo lussuoso palazzo alla morte dei suoi cari

La messa solenne e cantata ci riporta indietro di quarant’anni, soprattutto quando al termine della liturgia viene intonato il canto: “Oh Maria, Madre pia…”, che era una delle melodie che accompagnavano la processione mariana del mese di maggio, che seguivamo da bambini, ciascuno schierato nelle fila del proprio oratorio maschile e femminile.

La giornata prosegue in campeggio. Pranzo e riposo assicurato dalla lettura dei libri, che non mancano mai nelle nostre vacanze e dai giochi enigmistici, questi ultimi esclusivo passatempo di Paola.

 

SABATO 16 AGOSTO

    Questa è la Bretagna che amiamo: la regione ventosa che, ai grandi nuvolosi che oscurano il sole rendendo l’aria fresca quasi fredda, alterna l’intensa luminosità del cielo terso rasserenato, che fa gustare il calore degli ultimi lembi d’estate.

    Dobbiamo pensare alla giornata, ma il programma si impone ponendoci un urgente problema da risolvere, ma addolcendolo con una scelta inoppugnabile: la bombola del gas si è svuotata. Dovremo quindi trovare il modo o di ricaricarla o di prenderne un’altra. Questa situazione, impedendoci di fare il caffè, ci porta a gustare “cappuccino e croissant” comodamente seduti ad un tavolino di un bar nella piazza centrale di Treguier. Il problema gas, che affrontiamo subito dopo, è più complicato del previsto, perché non c’è possibilità di ricaricare la bombola, né di scambiarla con un’altra in quanto la marca della nostra non è presente sul mercato francese. Non ci resta che acquistarne una, ma le marche francesi più diffuse e vendute in tutti i centri commerciali non ci sono sul mercato italiano e il problema si ripeterebbe al suo esaurimento. Cerchiamo quindi l’unica marca internazionale “Camping Gaz”, che però vende solo bombole di medio e piccola portata. Quando la troviamo si presenta un ulteriore ostacolo: gli attacchi “Camping Gaz” sono diversi da quelli tedeschi del nostro caravan e da quelli italiani che abbiamo installato per collegare l’impianto della roulotte con la bombola italiana. Dobbiamo allora cercare un altro adattatore. Finalmente risolto ogni inconveniente, grazie alla competenza tecnico-linguistica di Giuseppe, alle ore 12,30 possiamo pranzare e bere il buon caffè italiano.

Ancora una volta spiace costatare quanto sia ancora utopica l’Europa unita. Ciò che dovrebbe semplificare la vita del cittadino non è neppure preso in considerazione, mentre gli si impongono modelli comuni, là dove la caratterizzazione consentirebbe la conservazione delle diverse culture, che sarebbero per tutti una fonte di arricchimento.

Nel pomeriggio ci rechiamo a Paimpol, una cittadina sulla costa della penisola che precede Treguier… ma oggi non è giornata!

Dopo aver a lungo cercato posteggio, ci inoltriamo a piedi lungo il centro pedonale che, seppure molto turisticizzato,  conserva ancora qualche scorcio pittoresco e alcuni edifici simili a quelli di Morlaix. L’intenzione è di raggiungere il porto rinomato per la sua attività peschereccia. Ma, quello che in ogni giorno dell’anno è spazio aperto a chiunque, oggi è blindato. Una fitta palizzata, superabile solo attraverso i varchi predisposti, previo pagamento di 13 € a persona, lo separa dal resto del paese, perché sui suoi moli giostre e baracconi rallegrano questi giorni ferragostani.

    Piuttosto contrariati torniamo alla macchina e raggiungiamo Loguivy de la Mere, il villaggio in punta alla penisola, che seppure diventato centro di vacanza, ha conservato la semplicità di un tempo.

    Passando sugli scogli, che si stanno lentamente bagnando per il salire della marea, raggiungiamo il faro. Da lì osserviamo l’intenso e vivo colore del mare, l’innumerevole quantità di scogli che articolano l’intera costa visibile e la frenetica vita acquatica di bagnanti e natanti.

 

DOMENICA 17 AGOSTO

    Domenica di assoluto riposo. Sentiamo l’ultima messa in francese nella stessa chiesa del giorno dell’Assunta. Oggi è celebrata da un giovane sacerdote, un giovanottone alto e biondo che suscita curiosità e agitazione tra i fedeli, tanto che l’anziana organista, dopo la predica, sbaglia il momento e intona un canto quando bisogna recitare il credo. Un po’ confusa si interrompe, arrossisce imbarazzata, mentre le sue amiche del coro ridono sommessamente.

    Alla fine della messa la voce guida spiega che il prete è il nuovo sacerdote che è stato inviato a Treguier. La sua collaborazione nella missione ecclesiale inizierà con la conoscenza delle diverse comunità, pertanto girerà tra le parrocchie.

    Un applauso spontaneo esprime gioia ed accoglienza. Mentre viene eseguito il canto finale, come si usa in questa nazione, il sacerdote lascia l’altare e raggiunge il portone della chiesa, dove saluta tutti personalmente, anche noi, con una parola e una stretta di mano.

    Lasciamo la Bretagna cenando in paese con una crepe dolce alle mele e calvados flambee.

 

LUNEDI’ 18 AGOSTO

Sveglia ore 7.30. Purtroppo oggi inizia, seppure per tappe, il viaggio di ritorno. Percorreremo poco più di 400km fino a raggiungere la zona dei castelli della Loira. Ripercorriamo a ritroso le strade che da Treguier portano a St. Brieuc e da qui, rimanendo sulla nazionale N12, arriviamo  a Rennes, continuiamo poi fino a Le Mans sulla nazionale N157, che in seguito diventa autostrada A81. A Tours seguiamo per pochi chilometri la nazionale N152, che costeggia la sponda destra della Loira, e ci fermiamo ad Amboise, località molto famosa per il suo castello, che conserva la tomba di Leonardo da Vinci.

    Man mano che ci spostiamo verso est le bigie nubi della mattina bretone si assottigliano e si schiariscono lasciando intravedere occhiate di cielo azzurrino. L’apprezzabile grandezza delle città di Rennes e di Le Mans, la spiccata vocazione industriale e la loro posizione sulla direttrice verso Parigi, fa sì che in questo tratto di strada il traffico sia intenso, con una discreta presenza di camion.

    Il paesaggio autostradale piuttosto anonimo e il percorso ben definito ci permettono di tenere un sottofondo musicale e di fare varie considerazioni. Ad esempio notiamo che l’orribile Multipla, prodotta dalla Fiat, ha in Francia un discreto successo commerciale. Tra le marche straniere è una delle più acquistate e tra i tipi italiani la più diffusa. Un’altra riflessione ci porta a considerare il diverso modo che i francesi hanno di riferirsi all’ospite rispetto agli altri europei

    In Europa tutti hanno fatto proprio il termine anglosassone “reception”, che considera l’ospite come colui che porta qualcosa; in Francia si usa invece il vocabolo nazionale “accueil”, che ribalta la considerazione verso l’ospite, che diventa quindi una persona da accogliere, cioè alla quale è dovuto qualcosa.

    L’esperienza delle nostre frequenti permanenze in Francia ci conferma che non è una questione di termini, è qualcosa di più sostanziale, che si concretizza con un’efficiente organizzazione turistica e con un modo di rapportarsi molto gentile. In Francia i “merci” abbondano in ogni dialogo.

    Il pranzo lo consumiamo velocemente in una delle aree di sosta dell’autostrada seduti comodamente nel nostro caravan, senza farci mancare l’amato caffè.

    Giungiamo ad Amboise verso le 16.00. Il campeggio municipale “De l’IIe d’Or” è molto ampio, ha comodi e ottimi servizi, si trova, come dice il suo nome, sull’isola che qui divide la Loira in due rami. E’ molto vicino al centro del paese. Ci sono molte piazzole libere, scegliamo di fermarci in una zona abitata prevalentemente da tedeschi e olandesi (le targhe automobilistiche sono indicative!), che in genere sono più rispettosi delle regole relative al silenzio e soprattutto non hanno “cheine”. Sì, stiamo parlando proprio di cani! In Francia non c’è quasi famiglia che non ne abbia almeno uno. Di solito hanno piccoli cani di razza ignota, tanti sono gli incroci che hanno alle spalle. Essi sono forse simpatici, certamente piuttosto sgraziati e, come raccontano certe barzellette, sovente assomigliano ai loro padroni.

    Dopo esserci sistemati andiamo in paese per un giro di ricognizione. All’ufficio del turismo recuperiamo diverse informazioni sui campeggi della zona, sui castelli e le mappe di possibili giri in bicicletta. Al castello, che oggi ammiriamo dall’esterno, prenotiamo il posto per lo spettacolo serale di mercoledì. Visitiamo poi la chiesa di Saint Denis, che risale al 1100. All’ingresso troviamo una ragazza, che a nome della comunità parrocchiale accoglie i visitatori consegnando loro una guida alla visita, c’è anche quella in lingua italiana! La chiesa, che nel corso dei secoli è stata ampliata e rimaneggiata,  si presenta senza una struttura ordinata, ogni parte ha però caratteristiche di pregevole fattezza.

    Rientrando in campeggio ci fermiamo a guardare il  barometro. Previsione: “tres sec”. Ci dispiace per i francesi che, come in Italia, stanno contando i danni che la siccità ha provocato all’agricoltura, agli allevamenti, alle persone, ma siamo contenti di poter godere di altre giornate senza limiti di attività.

Dopo cena attendiamo l’oscurità per ritornare sulle sponde della Loira per fotografare il castello illuminato.

 

MARTEDI’ 19 AGOSTO

Sveglia ore 9.00, il cielo completamente sereno ci indica cosa indossare per la nostra gita in bicicletta. Consideriamo i circuiti di cui abbiamo recuperato le mappe. Essi non superano i 30 km, perciò decidiamo di fonderne due per poter fare una gita di circa 50 km.

Oggi staremo a sinistra della Loira. Attraversiamo Amboise e ci dirigiamo verso le lievi alture che stanno alle sue spalle. Valichiamo il crinale, che presenta alcuni tratti di una certa pendenza, quindi scendiamo nella valle dello Cher e raggiungiamo Chenonceaux, dove c’è un altro famoso castello, che è stato abitato da Caterina de Medici. Siamo già molto accaldati. Legate le biciclette nell’apposito posteggio, prima di incamminarci verso il castello pensiamo di iniziare ad intaccare la nostra riserva d’acqua. Con rammarico ci accorgiamo che la borraccia preparata l’acqua gelata di frigorifero è rimasta in roulotte. Il bar all’ingresso del castello vende una bottiglietta da mezzo litro a 3.80 €. E’ un furto! Ci teniamo la sete.

    Pagato il biglietto d’ingresso, entriamo nel parco del castello. Un grande viale alberato di platani guida il visitatore fino ai giardini antistanti il maniero, che sono geometricamente strutturati con aiuole fiorite. Il castello ha le sue fondamenta nel fiume ed è completamente circondato dalle sue acque. Ad esso vi si accede mediante dei ponti levatoi. Entriamo nell’edificio, che per nostra fortuna abbiamo già visitato nella precedente vacanza, in quanto oggi è  impossibile gustarne la ricchezza degli addobbi e dell’arredamento, tanti sono i visitatori. Si cammina nelle sale sospinti dal vociante fiume umano, pertanto non si ha la possibilità di osservare ogni ambiente nella sua grandezza e completezza, né di percepire l’atmosfera castellana delle epoche passate.

    Dalla galleria del piano terreno, tramite la porta che si apre sul retro usciamo nel parco. Esso è un bosco misto lasciato naturale. E’ fresco e riposante e, man mano che ci si allontana dal castello, i suoi viali sono sempre più vuoti.

    Rientriamo nella bolgia per concludere la visita interna. Percorso anche il labirinto, tipico giardino costruito per i giochi dei nobili castellani, lasciamo il castello facendo delle considerazioni sulla vuota e fatua vita dei signori di un tempo e forse di tutte le epoche. Ci riteniamo più fortunati, perché la nostra vita, anche se più faticosa, è molto più ricca di senso.

Ripartiamo e cerchiamo subito dell’acqua, perché la nostra sete è ormai insopportabile. Nell’Epicerie del paese compriamo una bottiglia da un litro e mezzo della stessa marca di quella disdegnata al castello spendendo solo 1 €!

Trovata anche una panchina all’ombra ci dissetiamo e pranziamo consumando i panini che avevamo preparato e portato.

    Riprendiamo a pedalare. Raggiunto il crinale lo percorriamo seguendo il suo profilo per 15 km. Sono stradine comunali classificate “C”. Si snodano con modesti sali scendi in fitti boschi di faggi e querce, intervallati da piccole radure coltivate o da zone acquitrinose. L’ambiente è incantevole e cattura ogni senso con le sue fragranze di legno, di lamponi, di menta, con i suoi colori che, grazie al gioco delle ombre causato dal sole che filtra, hanno tonalità varie, con il suono del vento, che trasporta i versi degli uccelli e li fondendo con lo stormire delle foglie inventando  sinfonie.

    Poi con una rapida e ripida discesa, che gustiamo quale ricompensa della sudata mattutina, siamo di nuovo sulle sponde della Loira, nella cui roccia gessosa sono scavate le cantine per l’invecchiamento del vino qui prodotto, che quest’anno sarà scarso, visto che i grappoli in attesa di maturazione, per la prolungata siccità, sono molto avvizziti. .Una pedalata veloce ci riporta al campeggio.

 

MERCOLEDI’ 20 AGOSTO

    Mattinata casalinga: spesa e faccende domestiche che consentono anche di conoscere più a fondo le abitudini e il modo di vivere quotidiano degli altri popoli. Per i moltissimi stranieri, così come lo è per noi e per i pochi italiani che viaggiano secondo questo criterio, vivere “plen air” è una scelta che, grazie alla sua flessibilità, permette di adattare la vacanza in itinere, secondo i bisogni, gli interessi e le eventualità che insorgono. Ci dispiace annotare però che, mentre per gli stranieri il viaggiare fa parte del loro patrimonio culturale, in genere per gli italiani questo traguardo non è ancora stato raggiunto.

Conferma questa  nostra affermazione la  capacità di viaggiare da soli che essi hanno, mentre gli italiani, salvo eccezioni, viaggiano con almeno due equipaggi e… rigorosamente in camper!

Pomeriggio: visita ai castelli di Chaumont sur Loire e di Chambord.

Il primo, che sorge su un poggio che domina la Loira è immerso in un parco all’inglese i cui alberi secolari, per lo più conifere: larici, larici azzurri, cipressi, sono essi stessi dei monumenti. Esternamente il castello non è, purtroppo, ammirabile nel suo splendore, perché i due torrioni che delimitano il portale d’ingresso sono in restauro

    Il secondo, inserito nella più grande tenuta francese, è a nostro parere insuperabile per maestosità e magnificenza, con i suoi innumerevoli comignoli e torrioni. Al suo interno un grandioso scalone a doppia elica, attribuito a Leonardo da Vinci, collega i diversi piani.

    Esso è stato studiato in modo tale che da ogni camera finestrata sia possibile attraverso la porta vederlo e, quindi, orientarsi. Ciò che stupisce è che questa lussuosa dimora sia stata abitata solo per venti anni nell’arco di cinque secoli. 

    Sul suo retro troviamo la ricostruzione in miniatura di alcuni torrioni e comignoli. Il lavoro incuriosisce Paola, perché come è spiegato esso è il prodotto di un lavoro interdisciplinare svolto dagli alunni della scuola media di Bracieux, il comune a cui appartiene il castello, nell’anno scolastico 2001-2002.

    Una considerazione: senz’altro un’attività del genere sarà un ricordo indelebile dell’esperienza scolastica di quei ragazzi, ma avrà dato loro lo stesso bagaglio di competenze che si possono acquisire mediante una didattica meno titanica, che può comunque essere, pur nella sistematicità, creativa?

 

A la Cour du Roy Francois

Se si è invitati alla corte del re, per vivere la sua favola, occorre lasciarsi suggestionare dal sogno che, annullando il tempo, porta il presente nel passato e fa vivere il passato nel presente fino a quando la magia non esaurisce la sua forza.

   ì Carichi di aspettative, sportivamente eleganti, come ben si addice a chi vive plen air, ci avviamo verso la festa.
Il sole, appena tramontato, ha lasciato una luce radente sulla Loira, che trasforma le sue stanche e placide  acque in uno specchio argentato e ha incendiato il cielo dietro il castello, quasi a voler segnalare il luogo del ritrovo. 
C’è tanta gente in attesa; poi lentamente ci si avvia verso il portone d’ingresso, che  apre alla corte. Paggi e servette accolgono gli ospiti e li accompagnano ai loro posti, mentre una musica rinascimentale crea un’atmosfera, che induce al silenzio e apre la mente e il cuore al gusto del bello.

Via via che il cielo si imbrunisce a oriente e il chiarore occidentale si tinge dei vari colori dell’iride, chi giunge vociante trova gente, sempre più numerosa, già dentro l’evento e ne è lui stesso catturato.

Poco dopo le 22.00, quando ormai il cielo è trapuntato di stelle, una voce accoglie gli ospiti in francese, inglese, tedesco, italiano; e dà due regole a garanzia della sicurezza di tutti.

    Nel buio totale, la musica, sempre più intensa e vibrante, scandisce i tempi dell’illuminazione cromatica, che esalta il fulgore architettonico del castello che, nella sua staticità scenografica, è il protagonista della festa e racconta attraverso il suo popolo vicende e fatti, grandi o piccoli, storici o personali dei nobili che lo hanno abitato e dei villani che lo hanno servito.

    E’ così che sul prato antistante al maniero si ripercorrono alla luce delle torce vicende umane come la morte del re, le lotte per il potere, l’insediamento del nuovo re. Si guardano i suoi amori e le sue battaglie e, insieme al volgo, che vive dignitosamente la sua povertà adoperandosi nei lavori domestici e nei mestieri artigiani, si soffre e si gioisce per quel signore che, a modo suo, è benevolo.

    Verità storica e verità poetica si rincorrono e si intrecciano in un racconto incalzante, che proietta sulla facciata del castello i ritratti dei personaggi storici e riproduce caroselli equestri, danze paesane e ricevimenti di corte nella finzione scenica, fini a quando la medesima finzione diventa verità storica con l’arrivo in scena di Leonardo da Vinci, primo esempio di fuga di cervelli dall’Italia.

    Il genio: architetto, ingegnere, botanico, zoologo, anatomista, scultore, pittore, filosofo, mentre spiega i suoi canoni di bellezza mediante la proiezione di Monna Lisa e dell’uomo vitruviano, allestisce giochi di luce, che imitano quelli d’acqua, realmente realizzati dal suo avo ed esercizi ginnici e di equitazione, che insieme  alle macchine da guerra come la testuggine, prototipo del carro armato, o la salamandra dalla lingua di fuoco, simulano la potenza bellica che era nella sua testa, ma non poteva essere spiegata per la mancanza di materiali adatti.

    E’ un crescendo gioioso animato dai giullari ed esaltato dalla musica incessante, che ha la sua apoteosi nel gioco pirotecnico, che lascia sbalorditi.

Questa la festa organizzata, che ha coinvolto più di un centinaio di persone di Amboise e dintorni, dai bambini agli anziani, che per amore del castello, in modo del tutto volontario, hanno lavorato per tutto l’inverno per raccontare ai turisti, due volte alla settimana, nei mesi estivi, la loro passione.

    Poi la festa è continuata: sul verde palcoscenico del castello la gente del passato si è lasciata avvicinare dalla gente del presente e, familiarizzando, ha consegnato una tradizione che rimarrà viva, se i locali continueranno ad amare il loro castello e se i turisti continueranno ad apprezzare i divertimenti originali e unici per la loro specificità.

Grazie Amboise e grazie alla corte del re!
I battimani  calorosi non ve li abbiamo lesinati quella notte! Tuttavia quello più lungo lo abbiamo nel cuore e vi rimarrà insieme agli altri ricordi della nostra bellissima vacanza francese.

 
GIOVEDI’ 21 AGOSTO
    Come in tutte le favole il principe azzurro sveglia con un bacio la principessa, così Giuseppe mi ha svegliata questa mattina.

Sono le 9.00. Il cielo è completamente sereno, ma l’aria è ancora piuttosto fresca. Decidiamo per una giornata tonico ricreativa, perciò faremo una gita in bicicletta senza obiettivi particolari, se non quelli di godere il panorama e di macinare un po’ di chilometri.

    Oggi pedaliamo sulla sponda destra della Loira, intrecciando due dei tre percorsi segnalati su questo lato. Panini, acqua, macchina fotografica. Controllato il necessario, indossiamo i baschetti e partiamo. Attraversato il ponte sulla Loira, quello antistante il castello, lasciamo subito la nazionale e ci dirigiamo verso l’interno. Superati la zona industriale di Amboise e il cavalcavia ferroviario, giungiamo a Pocè sur Cisse. Qui troviamo le prime sorprese. Questo paesino è gemellato con Grandate (Como). E’ il primo centro che incontriamo legato ad uno italiano, se escludiamo Amboise, ovviamente gemellato a Vinci, per il retaggio storico comune.

    A Pocè c’è un piccolo castello. E’ chiuso, ma il suo giardino è il parco pubblico del paese. Ci fermiamo per la  necessaria documentazione fotografica e commentando la sorpresa ci viene l’idea di programmare in futuro una vacanza in questa zona e di dedicarla alla scoperta dei manieri, delle ville, dei palazzi d’epoca, poco famosi o sconosciuti, ma meritevoli di apprezzamento.

    Proseguiamo seguendo una stradicciola secondaria, che con ripidi strappi ci conduce, attraverso un bosco, sull’altopiano che domina la valle della Loira. Qui zigzaghiamo per strade di campagna “C” in una zona dove i vigneti sembrano non finire mai. Il sole della tarda mattinata è ora ardente e fa cogliere pienamente la sofferenza dei pampini  delle stremate viti, che non riescono a dare succo e tono ai grappoli ormai formati.

Giunti a St. Onen, troviamo un’antica chiesa, che troviamo chiusa, sul cui campanile c’è incisa una frase in latino che dice: “ Il tempo fu, l’eternità avanza.”  …è da meditare!

Ripartiamo e subito incontriamo un’altra salitona. C’è chi va forte e supera velocemente, forzando la pedalata; c’è  chi si ferma e spinge; e chi va col suo passo, ma non si arrende.  Noi apparteniamo a quest’ultima categoria di ciclisti, persone che amano pedalare non contro il tempo, ma per godere di luoghi e paesaggi riuscendo con un allenamento abbastanza assiduo ad aumentare la velocità e la resistenza, così da ampliare anno dopo anno il raggio della propria azione.

Eccoci quindi a Cangey, qui la chiesa sembra attenderci. Sono da poco passate le 13.00 e ce la troviamo davanti col suo portone aperto, superata una veloce curva in discesa. Una repentina frenata e ci fermiamo per una breve visita. Questa chiesetta, dall’aspetto architettonico insignificante, accoglie il visitatore rimanendo aperta ininterrottamente dal mattino a sera e gli mette a disposizione un quaderno per apporvi un pensiero, una preghiera, un ricordo.

Così, dopo il saluto personale a Dio, annotiamo una preghiera di ringraziamento per la vacanza goduta e affidiamo al Signore il  viaggio di ritorno.

Di nuovo in sella, qualche chilometro di pedalata e ci fermiamo a Limerai, dove troviamo lungo la strada una panchina all’ombra, idonea al nostro pranzo.

Nel pomeriggio, sulla strada di ritorno, troviamo un altro  palazzo, non segnalato, ma degno di essere ricordato. Quindi raggiunta la nazionale N152, la seguiamo risalendo la corrente della Loira fino al ponte di Amboise, che ci consente di raggiungere l’isola e il campeggio.

Più tardi ci rechiamo in paese per un breve e ultimo giretto.

    Dopo cena iniziamo i preparativi per la partenza e ci dedichiamo al nostro libro: Giuseppe scarica le fotografie di ieri e di oggi, Paola scrive il diario.

 

VENERDI’ 22 AGOSTO

Ore 7.30: il trillo della sveglia un po’ insistente ci ordina di non poltrire e ci rammenta che abbiamo davanti molte ore di viaggio, che ci condurranno da Amboise a Altkirch, un paese dell’Alsazia, quasi al confine con la Svizzera.

Da Amboise, raggiunta l’autostrada A10 Tours-Parigi, la percorriamo fino a Orleans. Osservando il traffico di questa arteria e la nazionalità dei veicoli che la stanno percorrendo si può affermare che l’Europa sta tornando a casa.

    Lasciamo i tedeschi, gli olandesi, i belgi, i lussemburghesi, i parigini, proseguire verso nord-est lungo l’autostrada. Noi, che dobbiamo mantenere esclusivamente la direzione verso oriente, non abbiamo a disposizione strade di rapido scorrimento, perché la rete stradale francese è Parigi centrica. Seguiamo quindi inizialmente la nazionale N60, che attraversa la foresta di Orleans che, sotto un cielo azzurro Africa (la definizione è di Giuseppe, che vi è stato), riveste già i colori dell’autunno, a causa della prolungata siccità.

    Raggiunta Montargis, continuiamo il tragitto seguendo strade dipartimentali, non tutte scorrevoli per il loro fondo, che da tempo non conosce l’azione del rullo compressore e per il transito nei paesi, che impongono, giustamente, limiti di velocità compatibili con la mobilità pedonale.

Il paesaggio diventa più vario: il profilo altimetrico è mosso e, tra dossi e vallicole scorrono fiumi e canali, ai quali a tratti la strada si affianca. Poco dopo Langres superiamo lo spartiacque che separa i bacini idrografici  tributari della Manica da quelli del Mediterraneo. L’aria di casa inizia a farsi sentire!

Dalle radure racchiuse tra i boschi si vedono alzare nubi rossastre a guisa di segnali di fumo. E’ la terra essiccata dei suoli agrari che, rivoltata dagli aratri meccanici, che la preparano per la semina dei cereali invernenghi, si sbriciola disperdendo nell’aria le particelle più leggere e sottili. Intorno alle 18.00 entriamo nel campeggio Les Acacias di Altkirch, accolti dalla musica melodiosa di due flauti suonati da una coppia tedesca.

    L’ambiente ci è già noto per la sua tranquillità e per la qualità dei servizi. Anche questo campeggio ha la forma di una piccola corte: c’è il prato centrale, ombreggiato da alberi d’alto fusto, racchiuso da un anello viabile a sua volta circondato da una cintura prativa, chiusa all’esterno con delle siepi.

    Ci sistemiamo, seguiti a ruota da alcuni equipaggi inglesi.

Il calar della sera, che ogni giorno anticipa il suo arrivo, è segnato dal gracchiare di stormi di corvi, che dalle aree agricole si spostano verso i boschi per passare la notte.

Contiamo le presenze. In tutto ci sono una dozzina di equipaggi: francesi, ciascuno col proprio cane, tedeschi, inglesi, uno sloveno, uno svizzero e uno italiano: noi.

Concludiamo la giornata con la consueta foto ricordo di fine vacanza.

 

SABATO 23 AGOSTO

La luna è alta nel cielo, quando ci alziamo.…ma non pensate che sia notte! …sono le 10.00 del mattino! Il sole illumina l’ultimo suo spicchio, prima che ricominci il mese.  Quest’anno abbiamo deciso di provare a fare i tedeschi. Cioè puliremo a fondo il caravan utilizzando lo spazio e i servizi dell’ultimo campeggio così che, una volta giunti a casa, lo si debba solo lavare a fondo solo esternamente.

Mentre Giuseppe si occupa del tendalino e dei vari serbatoi, Paola provvede ai vetri e all’arredamento.

    Dopo pranzo percorriamo un’altra tappa verso Milano. Da Altkirch raggiungiamo il Passo del San Bernardino. Qui  ci fermiamo, sia per dormire un’altra notte al fresco, sia per ragioni condominiali, che ci suggeriscono che è meglio non lasciare la roulotte sotto casa per più di una notte.

 

DOMENICA 24 AGOSTO

Ore 5.30 suona la sveglia. E’ ancora scuro e nonostante l’altitudine, 1600 metri, ci sono ben 16,5°C!

    Quest’estate torrida è stata tremenda anche per l’alta montagna, che a pagato la pazzia del clima sacrificando notevoli parti di ghiacciai e alzando i limiti della vegetazione.

    Mezz’ora dopo lasciamo il vasto parcheggio, dove abbiamo riposato insieme ad altri equipaggi italiani in rientro e ad equipaggi tedeschi, alcuni in rientro, altri in entrata in Italia.

Ore 8.30, posteggiamo il caravan sotto casa. Scarichiamo le cose più urgenti prima di partecipare alla messa delle 10.00 della nostra parrocchia, che suggella il termine definitivo della nostra vacanza.