GIOVEDI’ 24 LUGLIO
Dopo mesi vissuti nella
torrida canicola milanese è difficile immaginare che a poco più di 150 km sia
possibile trovare il clima ideale per un sonno profondo e rigenerante.
Così è stato per Giuseppe che,
partito da Milano in perfetta tenuta estiva, ha dovuto sistemare il nostro
caravan per la sosta notturna sferzato da un possente e gelido vento di passo
alpino.
Ma la lungimiranza tutta
femminile di chi aveva già preparato il letto della casetta itinerante, gli ha
consentito di potersi subito riscaldare, avvolto nel caldo piumone.
VENERDI’ 25 LUGLIO
Ore 7.00…finalmente la sveglia
può svolgere il suo compito: svegliarci!
Il suo trillo un po’ rauco e
insistente ci sollecita ad affrontare la lunga giornata di trasferimento per
giungere verso sera a Metz, prima tappa della nostra vacanza in Francia.
San Bernardino, Coira, Zurigo,
Basilea. L’attraversamento della ormai arcinota Svizzera è scorrevole e
abbastanza monotono, se si escludono i due tratti autostradali che costeggiano
il Wallensee e il lago di Zurigo, lingue d’acqua che evocano nella nostra
fantasia bianche immagini preistoriche e conducono le nostre riflessioni e i
nostri discorsi sul ciclico alternarsi delle glaciazioni e sull’influenza che
forse su di esse ha avuto la crescita e lo sviluppo della popolazione mondiale.
Attraversato il Reno,
assediato da imponenti impianti chimico-industriali, ne seguiamo il suo
flemmatico corso sulla sponda francese fino all’altezza di Strasburgo per poi
spostarci verso ovest.
Il granaio dell’Europa
occidentale non si smentisce. Sotto un cielo azzurro qua e là ornato da
sfrangiate nubi, risaltano sulle dolci colline alsaziane le immense e gialle
estensioni dei campi ormai mietuti, le verdi colture maicole alternate ai fini
filari viticoli e ai rigogliosi boschi che, secondo i cartelli stradali e
turistici, ospitano una ricca fauna di cervi, lepri e fagiani.
Metz, uscita “Centre Ville”,
seguiamo le indicazioni Camping. Giungiamo sulle rive della Mosella insieme e in
mezzo a un gruppo di caravan olandesi. Incolonnati ognuno in attesa del proprio
turno per sbrigare le pratiche alla reception, già pregustiamo il meritato
riposo quando arriva improvvisa e imprevista la notizia che non ci sono più
posti disponibili. Siamo tutti sorpresi.
Tuttavia lo
spirito di mobilità che anima i francesi fa sì che la direzione sia preparata
all’eventualità. Ci viene chiesto se preferiamo sistemarci a nord o a sud della
città, quindi ci viene dato un foglio con le indicazioni di un campeggio situato
sulla riva della Mosella a 10 km a sud della città a Corny s-Moselle.
Lo raggiungiamo in breve tempo
e sfruttando tutti i suoi confort chiudiamo in bellezza questa lunga giornata.
SABATO 26 LUGLIO
Dopo un sonno sereno e
riposante e sorprendentemente neppure infastidito dalle zanzare,che temevamo
numerose vista la vicinanza al placido corso d’acqua, sotto un cielo reso scuro
da un’incombente perturbazione ci avviamo verso la città di Metz. Essa si
presenta ora elegante, ora decadente, secondo gli scorci e le vie, comunque
accogliente grazie alle tipiche e ombrose piazzette e oggi piena di vita anche
per il mercato che occupa le vie del centro.
Il pomeriggio piovoso concilia
il sonno di Giuseppe, Paola invece inizia a scrivere la storia di questa
vacanza.
Alle 18.00, attraversata la
Mosella partecipiamo alla messa prefestiva nella chiesa di Noveant. Ci colpisce
particolarmente l’accoglienza del parroco e della comunità. Il primo ci
raggiunge alla panca dove ci siamo sistemati e ci chiede da dove veniamo, poi
con parole essenziali ci saluta nella nostra lingua. La comunità si stringe
cordialmente intorno ai disabili che dal vicino ospizio sono giunti per la
funzione liturgica. Questa testimonianza di amore
moltiplicato ci introduce alla Parola di questa festa e ne è il suo frutto.
DOMENICA 27 LUGLIO
Il programma
odierno prevede uno spostamento di 180 km da Metz a Reims. Sono le 8.00, piove.Seguendo il
ritmo dei popoli del nord europei ci prepariamo per la partenza, che avviene
alle ore 10.00 in un momento di calma meteorologica. Decidiamo di percorrere le
strade nazionali e dipartimentali per poter gustare meglio la bellezza
paesaggistica della regione dello Champagne, fissandola nei nostri ricordi
anche con l’obiettivo fotografico.
Attraversata la Mosella, la
strada D11 sale rapidamente fino ad immettersi nella nazionale N3. Questa si
snoda su un vasto altopiano mosso da continui saliscendi, che danno
all’osservatore il senso dell’infinito. Quante sono le tonalità del
giallo? Lo sguardo si incanta e viene
rapito dal caleidoscopico mutamento di quelle sfumature esaltate anche dai
giochi di luce che il sole fa filtrando in modo più o meno efficace attraverso
lo spesso strato di nubi.
Man mano che ci avviciniamo a
Verdun la natura spontanea prende il sopravvento e la strada deserta nella calma
domenicale è quasi inghiottita dalla foresta insanguinata dal sacrificio di
tanti giovani, morti quasi un secolo fa per soddisfare la ragione di chi,
affamato di gloria e di potere, non ha esitato a considerare la vita umana uno
strumento al servizio delle proprie ambizioni.
Lasciamo la zona boschiva
ricevendo il fugace saluto di uno scoiattolo che al nostro passaggio lesto si
scosta dal ciglio stradale per nascondersi nel folto della vegetazione. Ci
immettiamo in una strada secondaria che, collegandosi con la nazionale N4, ci
permette di giungere a destinazione.
Il campeggio si trova a
Val-de-Vesle, un piccolo comune a 20 km da Reims. La struttura ospitante è
piccola, ma bene e modernamente attrezzata. Troviamo posto in un ampia radura
ricavata nel bosco. Abbiamo vicino alcune caravan di anziani coniugi inglesi.
Nel
pomeriggio, svolte alcune faccende domestiche, facciamo una passeggiata per il
paese, un tempo nobile e ancora abbiente.
E’ ormai sera, il campeggio
raccoglie tutti i suoi ospiti come una grande famiglia, la grande famiglia
europea: francesi, inglesi, olandesi, belgi, italiani e, mentre il sole
tramonta, come gli uccelli si radunano sugli alberi cantando la speranza per il
domani che verrà, i bimbi corrono gioiosi nel prato e spendono le loro ultime
energie per raccogliere ancora qualche emozione da rivivere nel sonno che li
attende.
LUNEDI’ 28 LUGLIO
E’ mattino, il sole che filtra
attraverso un finestrino socchiuso ci annuncia una bella giornata. Ci rechiamo a
Reims per la visita della città.
Superata la periferica zona
industriale, Reims si presenta a noi con i suoi boulevard alberati e le spaziose
piazze munite delle francesissime rotonde, che regolano la velocità e l’ordine
del traffico.
Lasciamo l’automobile in un
comodo e centrale parcheggio sotterraneo e, piantina alla mano, ci avviamo per
le vie pedonali verso la cattedrale che si erge austera in una piazza
sufficientemente ampia per poter valorizzare la sua imponenza. Le gotiche volute
del portale sono costellate di statue che riempiono lo sguardo per la loro
ricchezza, ma svelano anche l’incuria del tempo e i danni delle due guerre
mondiali, che hanno devastato questa regione.
L’interno,
anche se è suddiviso solo in tre navate, ci ricorda il nostro duomo. L’antico
organo, il grande orologio ligneo, le vetrate, la cripta, nucleo originario
della chiesa, sono di richiamo al visitatore, tuttavia ciò che trasforma il
tempio in chiesa non sono tanto l’architettura e gli ornamenti quanto
l’approccio personale con cui la si visita, che consente di cogliere, al di là
dell’oggettività, la vera ricchezza che è donata.
Sperimentiamo
così l’accoglienza del padre sostando in preghiera nella cappella del S.
Sacramento che offre un’atmosfera celestiale anche grazie alla sensibilità di un
grande artista come Chagal che ha interpretato l’immensità di Dio
rendendola percepibile attraverso i tocchi di colore delle vetrate.
Proseguiamo il giro della città: la cattedrale fa parte di un
complesso più grande ed è un tutt’uno con il
Palazzo Tau, già sede episcopale e oggi sede di
un museo di arte sacra e poi il teatro,
il museo delle belle arti, la basilica di St. Remy.
Strana razza è il popolo dei
turisti: guardano, filmano, fotografano tutto ciò che viene loro somministrato
come cosa da conoscere, purché sai a portata di mano…o meglio di gamba!
Anche oggi troviamo conferma
di questa nostra convinzione andando a visitare la Basilica di S. Remy, che è
situata in una zona un po’ periferica della città.
La raggiungiamo a piedi in
20 minuti. Il luogo è deserto! Uno sguardo profano la potrebbe considerare la sorella
povera della cattedrale, invece questa chiesa è uno scrigno di spiritualità:
accoglie il visitatore con un sottofondo di musiche sacre accompagnandolo in un
cammino che diviene via via interiore. Osservando le arcate gotico-romaniche si
prova forte il desiderio di vivere appieno l’umana fratellanza che può
realizzarsi solo se ciascuno ripone in Dio il senso della propria vita.
Questo pensiero si fortifica e
si rafforza soffermandosi ad osservare la semplice essenzialità delle cappelle e
degli oggetti presenti in essa. Per noi è stato forte il richiamo del fonte
battesimale, che in quell’ora concentrava su di sé la luce del pieno giorno
quasi a consigliarci e ad invitarci ad un ritorno alle origini.
Completato il classico giro
turistico della città, dedichiamo la prima parte del pomeriggio alla visita di
una delle case produttrici di champagne.
Tra i numerosi e famosi
produttori scegliamo Mumm, perché offre visite guidate anche in italiano.
All’accoglienza sono abbastanza sorpresi di avere come visitatori
degli italiani non aggregati in un gruppo di un viaggio organizzato. La
guida che viene chiamata apposta per noi è la gentilissima
signora Laura di origine italiana. Ella prima ci introduce
alla conoscenza dei segreti di questo vino, poi ci accompagna a
visitare le famosissime cantine. Abbiamo così scoperto che una
bottiglia di champagne, che è formata dalla sapiente
miscelazione di tre vitigni fermentati separatamente e uniti insieme
secondo la tradizione e il gusto del mastro enologo, quando giunge sul
mercato ha già tre anni di vita e che è meglio non
conservarla ancora a lungo (non più di due anni), perché
attraverso il tappo di sughero, che col tempo modifica la sua
porosità, perderebbe le famose “bollicine”,
cioè l’anidride carbonica sviluppatasi nell’ultima
fase della fermentazione, che avviene appunto in bottiglia. Abbiamo
anche scoperto che c’è champagne e champagne, in quanto
con le uve Pinot Noir e Chardonnay di alcune annate di qualità
elevata si producono bottiglie datate che sono dette
“millesimate”. L’annata migliore del secolo è
stata quella del 1990, ma sono stati datati anche gli anni 1995 e 1999.
Lo champagne varia la sua qualità anche secondo la zona di
coltivazione dei tre vitigni: il termine che definisce la zona migliore
è “cru”. In essa si coltiva il vitigno Chardonnay e
lo champagne prodotto solo con questa uva è il migliore.
La Mumm commercializza il suo
champagne “cru” col nome di "Mumm de Cramant".
Eccoci ora a 7 metri sotto terra
nelle cantine scavate nel gesso pervolontà del signor Gorge Hermann Mumm,
fondatore di questa industria. Qui alla temperatura di 18°C una volta avveniva la
prima fermentazione, ora questa viene fatta in tini d’acciaio refrigerati.
Scendendo più in basso a 15 m di profondità troviamo un dedalo di cunicoli
scavati nella roccia che si estendono per la lunghezza di 25 km. Ogni galleria,
che ha un nome e forma con le altre una vera e propria città sotterranea, ospita
le bottiglie di champagne che stanno completando il loro periodo di formazione
con la seconda fermentazione. Esse sono accudite da dei maestri miscelatori che
con grande abilità le scuotono e le posizionano a collo in giù variando man mano
la loro inclinazione al fine di far fluire verso il tappo metallico il residuo.
Al termine di questo periodo, la cui durata varia da uno a due mesi, avviene la
stura. La bottiglia viene aperta, il gas contenuto in essa fuoriesce
violentemente espellendo i lieviti autori della fermentazione. Si attua quindi
il rabbocco con altro champagne e si aggiunge dello zucchero che a seconda
della quantità renderà questo vino brut, se è secco; demisec, se è semidolce;
dry, se è dolce.
Le qualità dolci sono prodotte
solo per il mercato americano, ma ci è stato offerto un loro assaggio alla fine
dellavisita.
Per noi, però, lo champagne
deve essere brut e, come ci ha detto la nostra guida, va abbinato a piatti
salati dove esprime meglio il suo gusto.
La nostra visita si conclude
nell’enoteca della casa, dove ci ricordiamo dei nostri cari amici Patrizia e
Giuliano e compriamo una bottiglia anche per noi.
Per tutti ci sarà un’occasione
di festa: le bionde e fini bollicine la esalteranno!
Tornando verso il campeggio
deviamo a destra in direzione delle colline per vedere da vicino le grandi
estensioni viticole della “cru”.
E’ curioso osservare come l’altitudine selezioni le culture. La zona cerealicola
termina quando inizia il declivio; la vite non è più coltivata là dove, mancando
la protezione della foresta, sarebbe gelata dai venti freddi che spirano nel
periodo invernale.
MARTEDI’ 29 LUGLIO
Puntuali come un orologio
svizzero alle ore 10.00 partiamo da Val-de-Vesle e ci dirigiamo verso nord per
giungere nei pressi della città di Lille, dove ci tratterremo un paio di giorni
per la visita della città e per affrontare con la prima gita in bicicletta un
tratto della famosa Parigi-Rubaix.
La nazionale N44 nel tratto
compreso tra Reims e Saint Quentin con i suoi cimiteri militari e i suoi sacrari
ammonisce continuamente sugli orrori della guerra. Non possiamo non fermarci a
rendere omaggio a questi giovani sconosciuti e richiamare nel nostro cuore il
grido del Papa: “Mai più la guerra, mai più la guerra!”.
Il traffico è intenso e
veloce, Giuseppe che è alla guida deve prestare molta attenzione perché, se è
vero che con la latitudine variano le colture, si passa dal frumento e dal mais
alla segale e all’orzo, non è altrettanto vero che cambiano i camionisti. Essi
ovunque si trovino a svolgere la loro professione sono per lo più poco
rispettosi del codice della strada, soprattutto non tengono in considerazione le
distanze di sicurezza e i limiti di velocità.
Ci chiediamo se per un
automobilista risulta difficile governare il mezzo in una situazione di
emergenza, come potrà un camionista in una situazione difficile evitare un
incidente con un mezzo molto meno agile e pesante almeno quanto venti
automobili?
Ci affidiamo al Signore,
affinché tenga su di noi la sua mano e ci protegga nel viaggio.
Superata la folta foresta di
Saint Gobain la regione ritorna ad essere agro-zootecnica, ma non è monotona,
né ripetitiva. La sua vasta estensione è tutta ondulata e la strada ne asseconda
il profilo inerpicandosi su ripide salite e precipitando in altrettante ripide
discese.
La campagna è coltivata con
cura affinché dia sempre il meglio della sua capacità produttiva; si presenta
pertanto come un grande mosaico le cui tessere giallo, brune, marroni, verdi,
violacee, rivelano l’oculata scelta della rotazione agraria, che alterna anno
dopo anno cereali, leguminose e altre colture, come la patata e la barbabietola
da zucchero. Qua e là, dove si preferisce far riposare il suolo e lo si è
lasciato incolto, bovini e ovini lo vivono con un mutuo scambio: erba contro
concime.
Man mano che ci avviciniamo
alla città di Lille, la regione diventa più popolata. I paesi che si susseguono
numerosi rivelano la loro attuale condizione di zona depressa. Le case sono
piccole villette a schiera in genere mal tenute. Anche il campeggio, che è
situato a Cappelle en Pèvéle, rispecchia la condizione generale del luogo......lo
sconsigliamo vivamente!
Ci sistemiamo
e dopo un
piccolo pranzo consumato alle 14.30, ci rechiamo a Lille per la visita della
città. Anche qui alla grande animazione del centro, fiorente di attività
commerciali, un tempo caratteristiche della città, come i maestri cioccolatai e
reso unico da modi di viverlo particolari, come il gioco degli scacchi praticato
nella “gallerie du teatre”, e ora globalizzato nella moda, nello shopping e
nella depravazione dei giovani sbandati, che giocano uno stridente contrasto
con l’eleganza dei signorili palazzi, che vi si affacciano, fa riscontro il
vuoto delle zone adiacenti ad esso come quella dove sorge la cattedrale. Essa è
uno strano connubio di anni e di stili architettonici. Infatti quasi
completamente distrutta durante la guerra, chi l’ha ricostruita, non ha voluto
dimenticare la sua antica identità gotica, e l’ha reinterpretata secondo la
visione moderna.
E’
ormai sera, sono quasi giunta al termine di questa pagina di diario, quando
Giuseppe mi fa osservare quanto è bello il campanile illuminato che si staglia
contro il cielo di questo povero paese.
MERCOLEDI’ 30 LUGLIO
Non si può affrontare il
tipico pavé della leggendaria Parigi-Roubaix senza il giusto clima che la rende,
giornalisticamente parlando, e non è retorica, “l’Inferno del Nord”.
Eccoci quindi accontentati. La
serena giornata di ieri si conclude con una notte di pioggia quasi continua e a
tratti intensa, che prepara adeguatamente il tracciato per la nostra prova.
E’ mattino, il cielo è
minaccioso, ma non piove. Affronteremo uno dei tratti finali di questa classica
del ciclismo, precisamente quello che percorre la "foresta di Arenberg". Equipaggiati di felpa antivento e di impermeabile, caricate le biciclette in
automobile, ci rechiamo a Wallers, distante circa 30 km da Cappelle en Pèléve
qui, lasciato il mezzo a motore, iniziamo a pedalare seguendo l’itinerario di
cui abbiamo la traccia cartografica. Il percorso è un anello di circe 45 km che
si snoda in parte su strade dipartimentali e in parte su antiche strade il
cui selciato è appunto il pavè.
Wallers è un centro
carbonifero: vediamo l’imponente impianto dell’ascensore minerario dominare una
vasta area del paese organizzato come la lombarda Crespi d’Adda. Proseguiamo per
pochi chilometri ed ecco il primo tratto di pavè, che ci fa attraversare una
parte della foresta. Il pavè si presenta come un acciottolato sconnesso e
scivoloso col profilo a dorso di mulo. Anche se insigni ciclisti hanno
consigliato di affrontare questa pavimentazione con un rapporto lungo agendo di
potenza, per risentire meno delle forti vibrazioni della bicicletta, non
riusciamo ad applicarci secondo il suggerimento. La nostra andatura si rallenta
e proviamo l’asprezza di questo selciato riversarsi nei nostri muscoli e nelle
articolazioni di tutto il corpo.
Di nuovo siamo sull’asfalto
dove recuperiamo sulla media oraria per poi immetterci nuovamente sul pavé che
in questo secondo tratto scorre tra i campi di segale in attesa di essere
mietuti. E poi ancora strada moderna e piccoli villaggi contadini, le cui
aziende zootecniche sfruttano gli ubertosi pascoli per iniziare lo svezzamento
degli ultimi nati e ancora pavé e così via fino alla fine del giro, durante il
quale siamo stati anche sorpresi da un bel acquazzone. Ritrovata a Wallers
l’automobile, con il fisico un po’ provato dai 20 km di pavè ai quali ne vanno
aggiunti gli altri 20 di strada ordinaria, ritorniamo al nostro campeggio.
GIOVEDI’ 31 LUGLIO
Oggi sveglia alle ore 7.00,
perché è previsto un altro lungo spostamento dalla zona di Lille alla costa
della Normandia.
Uno sguardo al tempo…sembra
una giornata novembrina: il cielo è coperto e un’umida nebbiolina opacizza il
triste paesaggio. Un’attenta lettura dell’atlante stradale-turistico Michelin ci
permette di individuare l’itinerario da seguire senza mai utilizzare le
autostrade. Tornati indietro di 5 km, alla rotonda che indirizza verso Tornai, Cambrai, Lille, Donai, prendiamo la nazionale N50 per
Donai, Arras.
Da qui con
la nazionale N25 giungiamo a Doullens e poi con la dipartimentale D925 arriviamo
fino a Fecamp sulla costa della Normandia, quindi seguendo la piccola D211
raggiungiamo Yport. Via via che scorrono i chilometri il paesaggio rurale e
antropico cambia.
Superato Arras, che è ancora un grosso centro industriale,
colpisce l’estensione occupata dall’industria automobilistica della Renault, la
campagna prende ancora il sopravvento: campi, campi, campi, tutti
meticolosamente coltivati, ma ormai molto diversi da quelli incontrati finora.
Il giallo oro del frumento mietuto è qui sostituito dal brunito della segale, il
verde delle viti e del mais è qui più intenso, perché è quello della
barbabietola da zucchero. Spettacolari sono poi le distese dei campi di patate.
Sono in fiore. Il vento che spira agita le bianche corolle che assumono le
sembianze di delicate farfalle.
Più ci spostiamo verso ovest,
più il cielo si rasserena. Non abbiamo deciso a priori il luogo preciso dove
sostare, perché la costa della Normandia è ricca di campeggi essendo la meta
balneare dei parigini. Ci piacerebbe fermarci tra Fecamp e Etretat, perché
questo tratto di costa è rinomato per le sue falesie rocciose.
Quando ci fermiamo per la
breve sosta del pranzo, leggendo l’elenco dei paesi che hanno dei campeggi, ci
colpisce il nome Yport. In questo piccolo paese ne sono presenti due, con una
complessiva notevole capienza. Decidiamo di cercare posto proprio lì. Abbiamo
quasi raggiunto la deviazione per Yport, quando dal nulla dei campi esce uno
snello capriolo, che si sofferma appena sul ciglio della strada e poi, con
leggeri saltelli la attraversa proprio davanti a noi e con un elegante balzo
entra nel campo di segale dall’altro lato della carreggiata mimetizzandosi
completamente.
Giunti a Yport decidiamo di
cercare posto nel campeggio più grande, seguiamo le indicazioni, passiamo il
paese e seguendo la strada che sale ci troviamo sul pianoro che sovrasta una
delle falesie che racchiudono il paese. Entriamo nel campeggio: esso occupa il
giardino terrazzato di una vecchia villa. La vista che offre è impareggiabile.
Si domina il paese adagiato fra le due falesie calcaree e lo sguardo si perde
nel mare che, ritirandosi con la bassa marea, lascia scoperto il suo fondale
sul quale ora gozzovigliano i gabbiani, che poi si alzano in volo per
raggiungere i loro piccoli urlanti, appollaiati nei nidi sospesi sugli spuntoni
rocciosi.
Troviamo posto nella piazzola
numero 7, tra due equipaggi tedeschi. Dopo qualche lavoro domestico,nel tardo
pomeriggio attraverso una stradicciola pedonale molto ripida scendiamo in paese.
E’ un piccolo borgo che vive di turismo, ma conserva ancora antiche tradizioni
artigianali, come quella dei maestri cioccolatai. Ci rechiamo in chiesa per una
preghiera. Nella sua semplicità è bella e dice della religiosità di questa gente
che una volta viveva di mare. Lungo un suo lato sono appesi dei modelli di
velieri ex voto di naviganti scampati alle burrasche oceaniche, mentre
l’acquasantiera è una grossa conchiglia che viene da caldi mari lontani.
Prendiamo anche visione dell’orario delle messe domenicali per poter programmare
la futura giornata di festa. Che tristezza!
Per ben due week end
consecutivi in questo paese non si celebrerà l’eucarestia. Ci recheremo nel
paese vicino, dove è segnalato che sarà celebrata la liturgia domenicale.
Percorriamo poi le strette strade sulle quali si affacciano vecchie case con bei
giardini fioriti e concludiamo la passeggiata sugli scogli scoperti dal minimo
di marea. Il fondo roccioso del mare, se non fosse per i rivoli d’acqua
salmastra che scorrono a ritroso verso l’abisso e per le numerose e varie forme
di vita benthoniche, che non possono ritirarsi insieme al loro datore di vita,
sembrerebbe il suolo lunare.
Con cautela avanziamo
ammirando la celata ricchezza della natura e, imitando persone ben più
attrezzate di noi, raccogliamo un po’ di cozze, che serviranno per il sugo della
pastasciutta di Giuseppe.
E’ ormai sera, soddisfatta la
curiosità gastronomica dei tedeschi nostri vicini, godiamo degli ultimi scorci
sul golfo che si va illuminando e ascoltando il fragore della marea che sta
salendo ci ritiriamo nella nostra casetta.
VENERDI’ 1 AGOSTO
Sveglia
senza ora predeterminata: sono quasi le 9.00 e la luce che filtra
attraverso gli scuri ci annuncia che il sole in effetti spende in
un cielo sgombro di nubi.
Recandoci ad
Etretat per
vedere le falesie più rinomate della costa sostiamo a Vattetot, dove ci
recheremo domenica mattina. Il silenzio regna sovrano, nella piccola, antica
chiesa è possibile lasciare scritto su un quaderno il ricordo del proprio
passaggio. Ringraziamo il Signore per la pace che ci dona e gli chiediamo di
estenderla a tutto il mondo.
Il paese di
Etretat, che poi
raggiungiamo percorrendo la piccola strada litoranea, conserva ancora quasi
intatta la sua struttura antica. Le case in legno che si affacciano su strette
vie creano un’atmosfera che penetra nel turista così fortemente che è portato a
rispettare l’ambiente, così che, nonostante il discreto affollamento del luogo,
non c’è il volgare chiasso balneare.
Passa dopo passo raggiungiamo
la spiaggia, che è costituita da una distesa di ciottoli ed è racchiusa tra due
muraglioni calcarei a strapiombo sul mare: la falesia di Aval a sinistra e la
falesia di Amont a destra. Il paesaggio è davvero incantevole e dona suggestioni
che ognuno imprime nei suoi ricordi utilizzando l’arte di cui è dotato.
Il mare limpido e placido
invita a fare il bagno e alcuni temerari sono in acqua, nonostante la sua
temperatura piuttosto bassa.
Per un sentiero saliamo in
cima alla falesia d’Amont. Da quell’altezza si ammira lo splendido panorama del
golfo e si apprezza meglio il risultato dell’azione erosiva del mare, che ha
intagliato la costa scavandovi archi rocciosi e grotte, rifugi dell’avifauna
marina.
Il pomeriggio lo trascorriamo
in campeggio. Comodamente seduti sulle nostre poltroncine ci riposiamo
contemplando il mare, dopo giorni di intensi tour e spostamenti.
Nell’arco del pomeriggio
osserviamo tutta una fase di marea. Tra le 14.00 e le 15.00 la marea ha
raggiunto il suo massimo: il mare ora raggiunge la base delle falesie e le
attacca con i suoi flutti spumeggianti, poi lentamente inizia a ritirarsi e,
prima ancora che emergano gli scogli e il fondale, i gabbiani con strilli acuti
ne danno il segnale, volando in picchiata per catturare gli sprovveduti pesci
che si attardano vicino alla riva. Poi iniziano a vedersi gli scogli più alti,
in seguito emerge il fondale che dall’alto sembra un prato un po’ secco, là dove
le alghe sono verdi e un campo arato di fresco, se è coperto di alghe
rosso-brune.
Ma non tutti hanno occhi che
vedono! Sono passate da poco le 16.00 quando nella piazzola n.8, rimasta libera
tra noi e una tranquilla coppia di tedeschi, posteggia un camper italiano
targato Bari. Scende una chiassosa famiglia che, con invadenza, interrompe la
nostra pace cercando di coinvolgerci in un discorso con frasi quanto meno
stralunate, del tipo: “Era proprio necessario fare 2000 km per vedere il mare?”
e ancora: “Ma i campeggi qui sono tutti così ampi?”, considerando ciò che è un
pregio un grande difetto in quanto, favorendo la privacy, scoraggia la
socializzazione coercizzata. Scambiata qualche battuta e avute alcune
informazioni circa l’organizzazione del campeggio, per nostra fortuna scendono
in paese. Abbiamo così ripreso il filo dei nostri pensieri e continuato a godere
l’incommensurabile spettacolo della natura. Più tardi, mentre il sole
scompare dietro la falesia che ci ospita, lasciandoci immersi in un’aria che si
raffredda rapidamente, le falesie contrapposte si tingono di rosa, il fondale
litoraneo, ormai scoperto al massimo, si scurisce e nel mare bluastro diventa
visibile il giro delle correnti superficiali, che lo rendono opaco o traslucido
secondo il loro specifico movimento. Lentamente si tacitano i gabbiani raccolti
nei loro nidi, le rondini affamate intrecciano gli ultimi voli possibili e,
mentre silenzioso transita nel cielo un aeroplano, che riverbera la fuggente
luce del sole, ai piedi della falesia si accende lampeggiante il faro di Fecamp,
guida e segnale per chi nella notte naviga e lavora.
SABATO 2 AGOSTO
Come potranno gli italiani
essere considerati dagli altri europei, se non rispettano le norme
comportamentali del vivere civile? Il campeggio era ormai
silenzioso da più di un’ora e molti, come noi, già dormivano, quando la quiete
notturna è stata disturbata da quella famiglia barese che, rientrando dalla
“serata” trascorsa in paese, ha raggiunto il camper gridando. Ci siamo
vergognati per loro e verificato ancora una volta la distanza che separa alcuni
italiani dalla maggior parte dei popoli del centro-nord Europa.
Superata la turbolenta notte
ci rechiamo a Fecamp, anche per provvedere al rifornimento della nostra
dispensa.
Fecamp è oggi una cittadina
turistica, che ha un ampio porto di cabotaggio, che fino a 25 anni fa era
occupato dalla flotta peschereccia, mezzo primario dell’economia del luogo. La
passeggiata che facciamo inizia dal porto situato sull’estuario di un piccolo
fiume il cui alveo è stato modificato nel corso degli ultimi due secoli con la
costruzione di diversi bacini. C’è vita sulle barche; il giorno iniziato con la
classica foschia agostana promette un sicuro rasserenamento, che invoglia a
prendere il largo. Gli olandesi, che non partecipano all’America's Cup, ma di mare
se ne intendono, sono i primi a salpare.
Proseguiamo verso il centro
verso il centro della città oggi animato dal mercato. Visitiamo il duomo,
dedicato a S. Etienne. Esso, non citato dalle guide turistiche, merita una
sosta. Risale all’anno 1000 e conserva pale ed altari in legno di pregevole
fattura. La luce che filtra dalla vetrata dell’abside, che rappresenta la
crocifissione, riflette sulle pareti laterali l’immagine di Cristo, che così
accoglie in un abbraccio il visitatore.
Proseguiamo la visita dirigendoci verso
il pubblicizzato Benedectine, una volta monastero dove è stato inventato il
famoso liquore digestivo e ora, da circa due secoli, sede dell’omonima
distilleria. Il nostro giro si conclude ancora al porto, dove visitiamo il museo
“Des Terre-Neuvas et de la Peche”. In esso è possibile vedere i modellini delle
navi pescherecce che hanno segnato la storia di Fecamp e gli attrezzi utilizzati
nelle attività connesse, come quelli per la costruzione dei barili per la
conservazione delle aringhe, quelli per la produzione delle vele di lino e altro
ancora.
Ciò che ci ha particolarmente
colpito è stata la sezione “Le donne e il mare”, dove si narra con
testimonianze scritte, con immagini pittoriche, con oggetti e con un efficace
filmato, il ruolo della donna nella vita del pescatore, che con coraggio
affrontava l’oceano per trovare banchi di merluzzo, là dove si incontrano la
calda corrente del golfo e la fredda corrente del Labrador.
Le donne, una presenza attenta,
attiva, paziente nei preparativi della partenza e nella speranzosa attesa del
ritorno, che spesso coincideva, come testimoniato, con la nascita del bimbo
concepito poco prima del congedo.
Il rientro ci regala una
gradita sorpresa: il posto dei chiassosi italiani è ora occupato da una coppia
di olandesi che cortesemente salutiamo, ricambiati, per poi vivere ciascuno il
personale riposo. Dopo cena scendiamo in paese per
un’altra breve passeggiata e per assistere al tramonto del sole che si inabissa
nel mare. Trascorriamo un’ora incantevole i cui minuti sono tutti preziosi,
perché scandiscono e ordinano gli aspetti del paesaggio che, nella sua
immobilità, è sempre nuovo. Così,
mentre le pareti bianche e piatte della falesia prendono un colore
sgargiante, gli anfratti diventano ancora più neri conferendo a quello
strapiombo un grande rilievo. Il mare verso est si scurisce e nella liscia
striscia d’orizzonte sembra essere di ghiaccio, verso ovest si imporpora,
spandendo intorno a sé riflessi di madreperla.
Pochi minuti e il disco
infuocato penetra nell’acqua evidenziando con chiarezza la velocità della
rotazione terrestre. Sono ora le 21.40. L’orizzonte impallidisce prima di
scurirsi, poi nella volta del cielo diventate blu si accendono le luci della
notte: il bianco falcetto della luna crescente e le stelle, mondi lontani,
rivelano la piccolezza e la fragilità dell’uomo.
DOMENICA 3 AGOSTO
La giornata di oggi la
trascorriamo seguendo il ritmo standard: messa al mattino, pranzo, passeggiata
pomeridiana, cena e riposo serale.
Come già scritto in
precedenza, per la messa ci rechiamo a Vattetot. Qui la chiesa ha tanti fedeli,
ci sono persone anziane e anche tante famiglie con i loro bambini, che non sono
mai meno di tre.
Questa celebrazione ci dona
un’aria di casa con il canto d’ingresso e l’alleluia che si eseguono anche a S.
Nicolao, la nostra parrocchia. Avendo letto prima la Parola di questa domenica,
riusciamo a capire qualche riflessione espresse nella predica. Ci ha colpito
l’idea di comunione. Il sacerdote ha detto che si è in comunione con Dio se si
accoglie, condivide e vive con la propria vita il sacrificio di Cristo a favore
dei fratelli.
Dopo pranzo ripercorriamo
ancora una volta l’itinerario verso Vattetot, ma adesso camminando lungo il
sentiero 21, che sale e scende dalle falesie percorrendole lungo il loro
margine. Il sole rovente dà un tocco di colore alla nostra carnagione, mentre
gustiamo ancora questo panorama che da domani sarà un piacevole ricordo. Le
bellezze della natura non sono però solo grandi eventi e imponenti immagini, ci
si può incantare anche di fronte a piccole vite che comunque contribuiscono al
pulsare della terra. Ecco quindi precederci sul sentiero un piccolo bruco nero
che con elegante sinuosità aggira le pietruzze per recarsi chi sa dove.
Regoliamo il nostro passo per non schiacciarlo e ci dispiace trovare agonizzante
questa promessa di farfalla due ore dopo, quando tornando ripercorriamo il
sentiero.
La spiaggia sassosa di Vattetot è gremita di bagnanti, la percorriamo
e raggiungiamo la base della falesia, che ci separa da Yport. Essa si sta
asciugando, perché è iniziata la fase di riflusso della marea. Alzando lo
sguardo si rimane impressionati della sua altezza e soprattutto si avverte la
sua precarietà cogliendo le crepe e le fenditure che qua e là la percorrono e
suscitano qualche timore alcune sue sporgenze rocciose sospese nel vuoto sulle
quali sono annidati i gabbiani, che si vedono nella loro vita domestica.
Tornati a Yport scendiamo in
paese per inviare le cartoline ai nostri amici, quale anticipo del nostro
reportage; ci lasciamo sedurre dall’invitante vetrina di Pierre Chocolatier e
compriamo qualche bon-bon.
E’ sera, l’aria è fresca, ma
il vento ormai calmato invita a restare fuori dalle proprie casette per godere
della luce del nord a cui rimane ancora un po’ di tempo per farsi apprezzare.
Sono quasi le 22.00 e il signore olandese nostro vicino ci viene a chiedere
parlando in inglese se può attaccarsi alla nostra presa elettrica per caricare
il telefonino, in quanto la sua non è compatibile con la presa del
campeggio. Parlando un po’ inglese e un po’ in tedesco ci accordiamo sui tempi
della restituzione dell’apparecchio.
Siamo nell’Europa unita, ma
quanta strada c’è ancora da fare! Così mentre la maggior parte delle persone
comuni si sforzano di stabilire relazioni rispettose delle esigenze di tutti,
gli stati con la loro organizzazione e le loro infrastrutture non sembrano così
solerti e sensibili. Ad esempio qui in Francia le prese elettriche non
rispettano le norme UE e se non ci si munisce di adattatori, risulta impossibile
utilizzare i propri apparecchi; e ancora mentre in tutta Europa le autostrade
sono segnate in verde e le strade statali in blu, qui è esattamente il
contrario, pertanto se non si presta attenzione questa inversione disorienta il
viaggiatore.
LUNEDI’ 4 AGOSTO
“Chi dorme non piglia baguette!”
Parafrasando
il noto proverbio, questo è ciò che avremmo potuto dire ai nostri vicini
tedeschi questa mattina che, purtroppo per loro, avendo poltrito più del solito,
non hanno trovato più pane in campeggio e, a digiuno, sono dovuti andare giù in
paese a procurarselo per poter fare la loro abbondante colazione.Stanno tornando col loro
prezioso carico nel momento in cui noi ci accingiamo a partire.
Il trasferimento odierno è
solo di 100 km: intendiamo raggiungere Lisieux per visitare la basilica di santa
Teresa del Bambin Gesù. Dovendo attraversare la Senna, la strada più breve è il
percorso autostradale che con il Ponte di Normandia permette di entrare nel
dipartimento del Calvados.
Questo rinomato ponte non può certo competere con
quelli presenti nel nord Europa, consente però un’ampia visione sul porto di Le Havre, terminale petrolifero e grande porto commerciale della Francia. Superato
il ponte, poco dopo la confluenza dell’autostrada A29 con l’autostrada A46
usciamo e, seguendo strade nazionali o dipartimentali, raggiungiamo la meta.
Nella fase iniziale della
programmazione delle nostre vacanze non avevamo pensato a questa tappa,
l’abbiamo poi inserita su suggerimento di suor Emanuela. L’idea data è stata
davvero buona. La regione è molto boscosa e presenta dolci colline. La basilica
è imponente e i ricchi mosaici che l’adornano sono una dottrina scritta per
immagini. La visitiamo in un torrido pomeriggio, la cui temperatura raggiunge
l’anomala massima, per questa zona, di 36°C.
La cripta sottostante, anch’essa ornata con mosaici dai colori più tenui, è più fresca e meno
congestionata di visitatori. Vi sostiamo in preghiera e sul quaderno delle
dediche chiediamo a S. Teresa un’intercessione per la nostra mamma Teresa.
Alloggiamo in un accogliente
campeggio a 10 km da Lisieux. Lo abbiamo preferito a quello presente in città
per la sua migliore qualità. Esso si trova a metà strada tra
Blagny le Chateau e
Le Pin; occupa il giardino ombroso di un’antica villa del periodo di Luigi XVI.
La nostra piazzola si affaccia sulle rive di un piccolissimo laghetto ricco di
pesci e abitato da numerose anatre, che instancabilmente lo percorrono in lungo
e in largo, richiamandosi a vicenda per poi litigare per i bocconi più
prelibati.
MARTEDI’ 5 AGOSTO
Cielo sereno, aria tersa, sono
solo le 10.00 del mattino e la temperatura si avvicina ai 30°C. Per queste zone
è un caldo eccezionale, tanto che viene segnalato con titoloni di prima pagina
sui giornali locali. Oggi ci spostiamo di circa 100
km. La nostra meta è la costa della Normandia che ha vissuto i gloriosi e
tragici giorni dello sbarco degli alleati nel 1944.
Lasciato il campeggio
raggiungiamo la nazionale N13, che seguiamo fino a Caen, città industriale
dotata di una completa tangenziale, che ci permette di riprendere senza
difficoltà la stessa nazionale, che percorriamo fino a Bayeux. Qui ci immettiamo
sulla dipartimentale D6, che ci conduce a Port en Bessin. In questo paese, che è
baricentrico rispetto a ciò che desideriamo visitare sono presenti due campeggi.
Decidiamo di cercare posto al "Portland", situato alla periferia del paese e
posto sul plateau di una falesia, quindi senz’altro in una posizione ariosa e
ventilata. Sono le ore 12.30 quando ci accasiamo in una vasta piazzola erbosa: è
il primo campeggio francese che richiede costi europei, però gli ottimi servizi
che offre e i bassi costi sostenuti finora ci convincono per questa soluzione.
Nel pomeriggio,seguendo la
strada costiera, ci rechiamo ad Arromanches, teatro del "D-day"
. Lasciata l’automobile saliamo
sulla falesia dove è stato costruito l’Arromanches 360.
E’ una moderna
postazione che consente di vedere dall’alto il teatro di guerra del 6 giugno
1944 sia mediante l’osservazione diretta di ciò che resta nel mare delle
barriere frangiflutti e dei pontili costruiti in Inghilterra e fin qui trainati
dai rimorchiatori britannici per quell’evento che ha cambiato le sorti del
mondo, sia mediante l’osservazione retrodatata con i filmati storici proiettati
nel museo.
E’ stridente pensare al sangue
versato in mare dagli alleati e sulla terra ferma, anche dalla popolazione
residente e dai tedeschi, e vedere che in quelle stesse acque, sulle spiagge e
nei paesi, oggi si vive la gioiosa e spensierata realtà balneare. A noi
sembrerebbe più corretto rispettare il luogo come un memoriale, ma forse è
giusto che la vita abbia ripreso la sua normalità, perché è per questo che si
sono immolate molte vite; considerato che la memoria è comunque sollecitata,
raccolta, spiegata in varie lingue nei musei, nei cimiteri, nei sacrari.
Qui assistiamo al film dello
sbarco. La sala circolare raccoglie al centro gli spettatori. Non si può
catalogare il film come un documentario, in quanto le angoscianti immagini di
ieri si stemperano in quelle rasserenanti di oggi e anche perché, essendo le
scene proiettate a tutto tondo, chi guarda è come se vivesse personalmente gli
eventi narrati.
Siamo sulle navi da sbarco, e
ci troviamo a correre sulla spiaggia sotto i colpi delle mitragliatrici, che
sparano da ogni parte, tra le grida laceranti di dolore di chi cade ferito e
siamo rassicurati dalle immagini della curata ricostruzione, che ha cancellato
la desolazione dei crolli e della distruzione. Di nuovo tornati indietro nel
tempo osserviamo la zona, che sarà testa di ponte, con gli occhi dei piloti
militari e vediamo le deflagrazioni delle bombe che aprono le strade ai fanti e
ai paracadutisti e poi diventiamo noi stessi bersagli volanti della difesa
nemica e quindi tranquilli osservatori dell’ordinata campagna oggi egregiamente
coltivata e adibita a pascolo.
Poi ancora di fronte
all’impotenza e all’orrore per le ferite di chi ti cade vicino e allo strazio
della morte che non a tutti ha riservato una degna sepoltura. Poi proviamo la
gioia di ieri e di oggi. Siamo allineati ai bordi della strada insieme ai
sopravvissuti ai bombardamenti, alla battaglia sul campo, ala paura, alla fame,
alle rappresaglie, e applaudiamo i liberatori e la sfilata dei musicanti che
oggi percorre la stessa strada in un giorno di festa della tradizione locale e
ci commoviamo per il semplice gesto di un’esile bimba, che va incontro ad uno
stanco soldato, donandogli una rosa selvatica che chi sa come è sbocciata
nell’inferno di polvere e fuoco quale segno di speranza.
20 minuti toccanti,
travolgenti, coinvolgenti al punto tale che in certi momenti ci si sente quasi
male. Successivamente visitiamo il Museo dello Sbarco e della Battaglia in
Normandia, che raccoglie la documentazione storica e ricostruisce attraverso
diversi diorami le tappe dello sbarco e dell’inizio della liberazione.
Infine, tornando verso Port en
Bessin, ci fermiamo a
Longues s-Mer per vedere le postazioni tedesche, che
presidiavano la costa. Sono rimasti dei grossi bunker di cemento armato, che
ospitano i cannoni, alcuni distrutti, altri ancora in posizione. Lì ci ha dato
fastidio vedere con quanta superficialità molte persone si facevano fotografare
allegre e sorridenti, da soli o in compagnia, vicino a quelle bocche di morte.
La nostra speranza è che guardando le loro istantanee si ricordino del
sacrificio di migliaia e migliaia di giovani e adulti e si orientino per essere
sempre più dei costruttori di pace.
MERCOLEDI’ 6 AGOSTO
Se ieri pomeriggio è stato il
tempo del ricordo, oggi è quello della “pietas”: visiteremo i cimiteri di guerra
americano e tedesco. Al mattino raggiungiamo in
bicicletta la spiaggia di "Omaha Beach". C’è bassa marea. Essa si presenta come un
ampio litorale di finissima sabbia di colore giallo-arancio. Alle sue spalle c’è
un breve e ripido declivio ricoperto di arbusti, che porta sul pianoro
sovrastante, dove la difesa tedesca ha strenuamente tenuto la posizione. In quel
lontano 6 giugno 1944, forse per un errore di valutazione dei tempi dei flussi
di marea o forse per una marea anomala (in questo tratto della Manica esse
risentono molto dei venti occidentali e delle burrasche atlantiche), le truppe
da sbarco americane si sono trovate intrappolate tra il fuoco nemico, che
dall’alto le falcidiava e i marosi, che ostacolavano l’avanzata e impedivano il
ripiegamento. Solo in quel giorno le vittime alleate furono più di 3000, quelle
riconosciute meno più di 300. Questi morti sono ricordati con una stele che
vigila sul mare. Ci si è stretto il cuore leggendo tra i nomi quelli di casate
nostrane: giovani nati nella terra della speranza dei loro padri o dei loro
nonni, che hanno acuito con il loro sacrificio la nostalgia e il dolore per la
separazione e la lontananza.
Dalla spiaggia seguendo una
ripida strada raggiungiamo il Cimitero Americano. Circondato da una distesa di
pini, sui prati curati con maniacale perfezione, si ergono i segni di più di
9000 tombe in marmo bianco di Carrara, che si differenziano solo per il simbolo
religioso: la croce latina per i morti cristiani, la stella di Davide per gli
ebrei.
C’è parecchia gente, ma regna
un silenzio che rende palpabile la costernazione che ognuno avverte per questo
lutto che non ha fine.
Nel pomeriggio ci rechiamo a
La Cambe per visitare il Cimitero Tedesco. Il luogo, molto più piccolo, ma
altrettanto ben curato, accoglie le spoglie di più di ventunomila soldati, per lo più
ragazzi, molti dei quali sepolti senza nome. Non possiamo non lasciarci prendere
dallo sgomento quando, passando tra le tombe, prendiamo atto che la maggior
parte sono nati nel 1925-26.
Qualcuno è addirittura morto prima di aver compiuto
i 18 anni, mandato impreparato su questo incandescente fronte di guerra con il
solo scopo di rallentare con le proprie azioni di interdizione e il proprio
corpo l’avanzata degli alleati, per consentire all’esercito retrostante di
riorganizzare la difesa e la protezione del Reich.
E’ ancora più triste verificare
che neppure nella morte gli uomini sono uguali. Infatti mentre nel cimitero
americano le lucenti stelle di Davide e le snelle croci inducono il visitatore
ad alzare lo sguardo verso il cielo per trovare nell’infinito la certezza
dell’immortalità dello spirito e della resurrezione della carne, nel cimitero
tedesco le cineree pietre tombali sembrano voler tenere nell’ombra della morte
quelle vite spezzate e le nere croci riunite in piccoli gruppi rimandano più al
lutto, che alla redenzione. Inoltre mentre il cimitero americano era visitato da
tantissime persone provenienti dalle più disparate nazioni europee, anche dalla
Germania, lo dimostravano le targhe delle automobili posteggiate, quello tedesco
è visitato da un ridotto numero di persone limitate a poche nazioni, (spicca
l’assenza delle automobili con targa britannica) come se la vita di questi
giovani fosse valsa meno.
Ma per superare le reciproche
diffidenze e lavorare insieme per la pace, non bisogna dimenticare le sofferenze
e i lutti che anche questo popolo ha subito (7 milioni di morti) a causa del
loro collettivo delirio di onnipotenza, esaltato e guidato dalla follia di un
uomo.
Concludiamo il pomeriggio a
Port en Bessin. Il paese è un porto peschereccio ancora attivo. Vi giungiamo nel
momento in cui i pescatori stanno preparando le loro imbarcazioni per prendere
il largo all’imbrunire, che cala rapidamente avvolgendo in un’umida nebbia il
mare, le strade, le case, il campeggio.
GIOVEDI’ 7 AGOSTO
La nebbia che avvolga ancora
ogni cosa fa sembrare questo paesaggio agostano un quadro di Monet.
Ci prepariamo per lasciare il
Calvados in Normandia, che avremmo potuto osservare seguendo altri itinerari,
come la Route de Cidre, per trasferirci in Bretagna. Percorreremo circa 150 km fino
a Cherrieux, un piccolo paese che si affaccia sul mare nel centro della baia di
Mont Saint Michel. E’ una zona che già conosciamo, perché è stata una tappa del
giro in Bretagna e castelli della Loira, che abbiamo fatto dieci anni fa.
Decidiamo comunque di fermarci per diversi motivi: non occupare tutta la
giornata in un grande trasferimento che ci porterebbe fino alla costa di granito
rosa, non ancora visitata, quindi meta prevista, ritagliarci qualche giorno di
relax per compiere passeggiate e gite in bicicletta, consentire a Giuseppe di
gustare le ostriche qui allevate in grande abbondanza e vendute fresche a prezzi
decisamente accessibili nei mercati del pesce o nelle “fete” paesane, qui molto
diffuse nei mesi estivi.
Studiamo sul chiarissimo
Michelin l’itinerario. Da Port en Bessin percorriamo a ritroso i pochi
chilometri che ci separano da Bayeux, qui ci inseriamo nella dipartimentale D572
direzione St. Lo. Questo tratto di strada inizialmente piuttosto anonimo diventa
suggestivo nel tratto in cui attraversa la foresta di Cerisy, un fitto querceto
certamente abitato da animali selvatici. Superata questa città, seguiamo la
dipartimentale D999 fino ad Avranches. Qui la strada segue l’ondulato profilo
delle colline della Mancia snodandosi tra prati erbosi le cui proprietà sono
delimitate da filari di alberi. Poi con nazionale N176 raggiungiamo la litoranea
D797 per S. Malo che percorriamo fino a Cherrieux.
Alloggiamo al campeggio "Aumone",
nella piazzola che ci viene assegnata dalla signora che lo gestisce. Dopo pranzo andiamo in paese,
raggiunta la spiaggia ci troviamo di fronte gli stessi giochi velico-terrestri
che avevamo osservato con curiosità lo scorso anno sull’isola di Romo, in
Danimarca
Sono le 16.00 ed è il momento
della bassa marea. Il mare, ritirandosi, scopre il suo fondo che qui è tutto
sabbioso. Su questo arenile compatto si stanno movendo dei tricicli. Essi
zigzagano ad alta velocità seguendo le rotte disegnate dal vento che catturano o
con le vele simili a quelle dei windsurf o con degli aquiloni.
Vediamo in lontananza un
trattore dirigersi verso il mare, lo seguiamo camminando sull’asciutto per circa
un chilometro e Paola trova e raccoglie preziosi reperti, che saranno materiale
di osservazione e di studio nelle attività scolastiche di laboratorio. Intanto
il trattore ha raggiunto una barca dotata di ruote. Essa era andata a governare
i mitili di allevamento durante l’alta marea, ora, agganciata al trattore, viene
trainata fino a riva.
Dopo un giro per le strade del
paesino, la visita in chiesa anche per conoscere gli orari delle messe nella
zona, ritorniamo in campeggio, dove è in agguato un fastidioso contrattempo. La
cena è quasi pronta quando, in malo modo i francesi della piazzola vicino alla
nostra ci rimproverano di aver occupato con il nostro caravan una parte del loro
spazio. Li rimandiamo al gestore, in quanto la scelta del posto non l’abbiamo
fatta noi.
Questi, alquanto mortificato,
ci raggiunge spiegandoci che sua moglie si è effettivamente sbagliata e che
anche quel posto per quei francesi. Ci chiede se possiamo trasferirci due
piazzole più avanti lungo lo stesso vialetto. Così dopo cena dobbiamo darci
ancora da fare. Mentre muoviamo la nostra casetta, aiutati generosamente dal
ragazzone olandese della piazzola di fronte, scopriamo da lui che quei francesi
sono un po’ strani, in quanto hanno già questionato nei giorni precedenti con
altri equipaggi.
Finalmente recuperata la
nostra tranquillità, progettiamo la gita di domani, che faremo in bicicletta,
poi ci dedichiamo al nostro libro: Giuseppe scarica le fotografie per avere a
disposizione nella macchina fotografica nuova memoria, Paola scrive il diario
della giornata.
VENERDI’ 8 AGOSTO
La gita che oggi faremo si
chiama "Circuit du Marais de Dol". E’ un itinerario di circa 60 km, studiato e
consigliato dall’ente turistico dell’Alta Bretagna, che a Cherrieux ha il suo
ufficio in un vecchio mulino. La mappa, recuperata, indica con chiarezza il
tracciato e dà alcune informazioni circa i paesi che si attraversano. Il
percorso si snoda per strade secondarie, se si esclude il tratto costiero, che
percorre la D797. Esso è tutto segnato con specifici cartelli, indicatori della
direzione.
Dal campeggio, seguendo la
strada litoranea passiamo da Le Vivier sur Mer, il più grande porto commerciale dei
mitili della Bretagna e continuiamo fino a Saint Benoit des Ondes.
Questo tratto
di strada dipartimentale, piuttosto trafficato, è il culmine della diga che ha
consentito di strappare al mare il territorio retrostante. Lasciata la litoranea
per stradine secondarie ci addentriamo verso l’interno. Le strade si snodano in
una vasta zona pianeggiante qua e là ancora occupata da stagni, habitat di
alcune specie di uccelli stanziali e luoghi di approdo momentaneo per i
volatili migratori. Il territorio prosciugato è solcato da canali irrigui,
dotati di chiuse, che impediscono all’acqua salmastra della marea di bruciare i
suoli. Questi polders sono ben poca cosa rispetto a quelli olandesi, ma sono
comunque una risorsa preziosa per questa zona, altrimenti poco coltivabile.
Raccolti ormai la segale e l’orzo i contadini stanno ora seminando gli ortaggi:
verze, patate, cipolle e carote, che raccolti alla fine dell’estate
accompagneranno le portate invernali di questa popolazione.
I primi paesi li incontriamo
là dove finiscono i polders. Essi sorgono su dune formatesi coi sedimenti
marini. Alcuni sono solo un piccolo agglomerato di case, altri sono più estesi,
tutti però presentano degli aspetti comuni, che li caratterizzano. Le case in
pietra scura sono ben curate e rese solari da una grande quantità di fiori posti
alle finestre e coltivati nei giardini, i calvari, grossi crocefissi in pietra
provenienti dagli antichi cimiteri, le imponenti chiese, che aprono il
visitatore al mistero della Presenza,mediante il silenzio, le vetrate, gli
arredi lignei, segni di una fede che si tramanda nel tempo.
Durante la giornata
incontriamo altri ciclisti che, come noi, stanno facendo una gita. Tra i tanti
ci piace ricordare la famigliola tedesca, papà, mamma, bambina di 10 anni circa,
che ci supera mentre siamo fermi per fotografare uno scorcio pittoresco, luogo
che ci ha pure premiato con dolcissime more, che si offrivano a noi, grosse e
nere, ammiccando dai rami dei rovi allineati lungo la strada; e la coppia
francese che pedala su un tandem. Essa ci raggiunge mentre visitiamo Lillemer,
un piccolissimo borgo, già abitato nel neolitico, che conserva accanto alla
chiesa una piccionaia medioevale. Lì si fermano per il pranzo, mentre noi
riprendiamo a pedalare. Ci raggiungono di nuovo alla periferia di Dol de
Bretagne, sosta fotografica, un cenno di saluto e ciascuno prosegue secondo la
sua rotta.
Se considerassimo solo la
condizione meteorologica e le temperature di questa giornata, escluderemmo di
essere in Bretagna. Infatti il sole caldissimo facilita il diffondersi,
nell’aria tersa, degli aromi della terra e della vegetazione, rimandando a
sensazioni tipicamente mediterranee. Essendoci attardati lungo il percorso ad
ammirare scorci e monumenti, siamo colti alla sprovvista dall’ora di pranzo.
Dobbiamo quindi cercare acqua e un po’ di cibo. Sono le 13.00 quando passiamo
da Roz-Landrieux e, con il timore di trovare ormai i negozi chiusi, cerchiamo di
soddisfare i nostri bisogni terreni. Costatiamo invece con piacere che i
commercianti del luogo hanno a cuore il turista in transito, l’epicerie, dove
compriamo acqua e prosciutto, fa orario continuato, il boulangere, dal quale
compriamo una croccante e squisita baguette, chiude nel presto pomeriggio.
Consumato il pasto nell’area pic nic riprendiamo le biciclette. Molto accaldati
e toccati dal sole, troviamo ristoro gustando delle succose mele, che
raccogliamo mature ai piedi di un albero selvatico, poco prima di immetterci di
nuovo sulla litoranea che ci riporta al campeggio.
SABATO 9 AGOSTO
La notte è trascorsa
tranquilla, ma per mantenere la temperatura vivibile abbiamo tenuto aperti i
finestrini del caravan. E pensare che siamo più vicini al polo nord che
all’equatore! Programma odierno: riposo.
Al mattino ci rechiamo a St.Malo nella zona commerciale per rifornire
la dispensa. Quest’anno è la prima volta che usiamo
all’estero gli euro per le spese ordinarie. Troviamo che
l’unificazione della moneta abbia davvero facilitato il movimento
dei popoli, sia per la pezzatura ormai conosciuta da tutti, sia per la
possibilità di fare rapidamente il confronto con i prezzi del
proprio paese. A conti fatti possiamo concludere che il costo della
vita in Francia è allineato a quello italiano, pur con delle
differenze nelle categorie merceologiche. Ad esempio in Francia la
carne e il pesce costano decisamente meno che in Italia, in compenso il
loro paniere pesa di più nelle voci latticini e ortaggi. Notiamo
anche che in Francia i prodotti industriali, ma a volte anche quelli
freschi, come certi formaggi, contengono più additivi rispetto a
quelli italiani, in particolare non sono lesinati i superflui
coloranti.
Infine una polemica
sottolineatura sul termine “bio”, qui non garantisce il rispetto delle norme UE.
La Francia si sente inserita nell’Europa unita, ma a modo suo!
Visitiamo anche il sempre
interessante Decathlon, che qui in Francia offre una maggiore scelta per genere
merceologico e offerte anche su prodotti di marca. Ci regaliamo un caschetto da
bici per Giuseppe e un paio di scarpe da tempo libero per Paola, entrambi gli
acquisti vanno a rinnovare un equipaggiamento decennale che si sta oramai deteriorando.
DOMENICA 10 AGOSTO
Come già scritto, la medesima
zona può essere visitata secondo criteri turistici diversi.
Qui, lungo questa costa così
rinomata, c’è chi vive di notte esprimendo il meglio delle sue potenzialità
vitali sfrecciando ad alta velocità lungo la rettilinea litoranea per confermare
a se stesso e far sapere agli altri di esistere.
Superata quindi la notte con
qualche tormento, ci apprestiamo a vivere la nostra giornata sotto un nuovo
profilo, quello eno-gastronomico, sarebbe meglio dire gastronomico-eno, data la
modesta quantità di vino che consumiamo.
In mattinata, dopo la
partecipazione alla messa nella chiesa di Le Vivier sur Mer, ci rechiamo a
Cancale
con l’intento di trovare un bel ristorantino per soddisfare il palato di
Giuseppe con ostriche e frutti di mare.
Questo paese, situato sulla
scogliera che chiude la baia di
Mont St. Michel, è oggi un accogliente centro
turistico, che ha conservato la sua antica tradizione peschereccia, legata
all’allevamento di huitres e moules, ostriche e cozze, e l’ha anche trasformata
nel businnes gastronomico.
Il piccolo mare del golfo,
soggetto ai forti dislivelli di marea è “coltivato” a mitili, la zona del porto,
che ha un attivo mercato al dettaglio, offre, prospicienti al mare, numerosi
locali, dove si servono senza problemi di orario le famose, artistiche e
prelibate “asiette au fruit de mer”.
Non abbiamo indicazioni circa
le qualità dei locali che, salvo qualche eccezione, presentano piatti a prezzi
unificati. Ci lasciamo ispirare dall’estetica del locale e dal fiuto di Giuseppe
che, avendo viaggiato molto per lavoro in Italia e all’estero, ha acquisito un
sesto senso, che gli permette di scegliere senza sbagliare.
Ci fermiamo al
"Au Rochere de
Cancalle" dove ordiniamo il piatto di frutti di mare e vino muscadè per Giuseppe
e per Paola, che non sa cosa si perde, ma sa cosa ci guadagna a non mangiarli,
essendo allergica, una bistecca di manzo con verdure.
La tavola per la consumazione
del pesce è imbandita con un cerimoniale.
Prima vengono portati il
piatto e il vino, il limone naturale e artificiale per l’igiene delle mani, a
seguire le posate speciali: uno schiaccianoci, un ferretto lungo, sottile, con
la punta uncinata, una forchettina. Esse serviranno per rompere le chele dei
crostacei, per estrarre le lumachine di mare dal loro guscio e per distaccare
l’ostrica o la cozza dalla loro valva. Poi viene servito “l’asiette”. Sul tavolo
viene posato un vassoietto con delle ciotoline contenenti burro e salse, che
servirrano per preparare le tartine da accompagnare al piatto vero e proprio.
Sopra al vassoio è posto un sopralzo metallico che reggerà il piatto di portata.
Ecco che nella sua magnificenza, portato da una gentile ed efficiente cameriera
marocchina, fa la sua entrata “l’asiette” tanto agognata.
Il piatto è del colore del
mare ed ha la forma di una barca. Il suo fondo è ricoperto di alghe e su di esse
vi sono adagiati gamberi, gamberetti, cozze, ostriche, due tipi di lumache di
mare, un granchio rosso e un piccolo granchio dell’arenile insieme a spicchi di
limone. Tutto è servito in modo tale che i colori vivaci di alcune specie
contrastino con i colori smorti di altre e il nero delle lumachine e delle cozze
dia rilievo e movimento all’insieme in un gioco di chiaro scuro reso ancora più
marcato dal fulgido giallo del limone. Giuseppe ha davanti un piatto
che esalta i sensi. Infatti, prima dichiararsi coi
suoi sapori, cattura con i suoi colori e predispone alla degustazione col suo
profumo di mare aromatizzato all’agrume.
Lo sguardo di Giuseppe è pieno
di ammirazione per quel capolavoro di bontà e si frantuma in piccole e intense
occhiate, che ricercando ogni ricchezza, accrescono l’appetito.
Sono le 13.30 e Giuseppe
inizia la sua consumazione. Assaggia un tipo per specie, ma lascia intatto il
grosso granchio rosso, il cui sapore è per lui un mistero da conservare fino
all’ultimo. E’quindi un susseguirsi di uso di strumenti e un compiacersi per la
delizia di quei prodotti. Trova particolarmente appetibili i gamberi e le
ostriche, ma superano tutti per lo spiccato sapore i piccoli gamberetti bruni.
Il gran finale è tutto per il
granchio rosso. Diversi sono i suoi sapori: il contenuto delle chele e degli
arti ricorda quello dei gamberi, la parte dell’addome, morbida, ha un sapore
delicato, le migliaia di uova ricordano un po’ il caviale, ma non incontrano il
gusto di Giuseppe. Sono passati 70 minuti e di
quel piatto così armoniosamente composto non sono rimasti che gusci ed
esoscheletri.
Uscendo dal ristorante
Giuseppe è soddisfatto, ma asserisce di avere ancora un po’ di fame, quindi
pensa già alla cena. Decide che essa debba nascere dal connubio della cucina
bretone con quella mediterranea, perciò al mercato del pesce compriamo le cozze,
che serviranno per il sugo degli spaghetti e le ostriche, antipasto serale; e
siccome secondo la tradizione portata in casa nostra da Giuseppe una domenica
senza dolce non è una domenica, da un patisierre compriamo due piccoli dolcetti
bretoni, che chiuderanno in bellezza questa prima tappa nella regione che li ha
inventati.
LUNEDI’ 11 AGOSTO
Ci alziamo presto, perché
intendiamo spostarci verso ovest di circa 180 km ed essendo la settimana di
ferragosto temiamo di poter incontrare qualche difficoltà a trovare posto nei
camping, preferiamo quindi avere a disposizione l’intera giornata. Per lo stesso
motivo decidiamo un trasferimento diretto, pertanto non percorriamo le
dipartimentali litoranee che seguono il profilo molto articolato della costa e
attraversano i paesi e le città ma, rientrando leggermente verso l’interno,
viaggiamo lungo le nazionali, che qui in Francia sono spesso delle superstrade
di rapido scorrimento.
Raggiunta Mont Dol de Bretagne
ci immettiamo nella nazionale N176 che confluisce dopo Dinan nella N12, che
seguiamo fino a St. Brieuc. Percorriamo quindi le dipartimentali D6 e D7 per
giungere nella penisola incastonata tra due fiordi sui cui estuari sorgono le
cittadine di Treguier e Perros Guirec.
Il transito su grosse arterie
stradali non facilita certo l’osservazione del paesaggio, ma permette altre
considerazioni. Ad esempio: come sono i francesi alla guida? Li paragoniamo a
dei bradipi per quanto riguarda i loro riflessi e a dei giaguari in quanto a
velocità tenuta. Infatti le loro ripartente sono lentissime, agli incroci
stentano a trovare il tempo per transitare, nel traffico perdono la sicurezza,
quindi hanno comportamenti imprevedibili e irrazionali, ma quando sono
finalmente lanciati non li ferma più nessuno. Se si tiene conto che il loro
parco macchine è piuttosto vecchio ( in media i veicoli hanno
dieci anni di vita) e che le loro automobili sono per lo più di media
cilindrata, non è sbagliato sostenere che i francesi alla guida sono un po’
pericolosi. Li salva e assicura anche tutti gli altri automobilisti lo scarso
traffico della rete autostradale.
Giunti intorno alle 11.00
nella zona considerata, ciò che temevamo si avvera. Il primo campeggio ha a
disposizione un’unica piazzola nella zona più infelice dell’area (lasciamo al
lettore immaginare dove!). Ci spostiamo di qualche chilometro e poco dopo
Treguier, a Minihy in località Syet, troviamo posto in un
"camping a la fermè".
E’ il primo campeggio di
questo tipo che proviamo e ci apre pure una bella esperienza. In pratica è un
agriturismo che mette a disposizione locali e posti per caravan e tende. Il
prato che ci ospita sembra una grande corte. Tutto circondato da vegetazione
arbustiva, lungo il suo perimetro sono presenti gli equipaggi in una
disposizione rispettosa delle esigenze di spazio di ognuno. L’area è dotata dei
servizi essenziali, che sono però di qualità.
Dopo esserci sistemati, nel
pomeriggio facciamo un giro di ricognizione a Treguier per trovare presso
l’ufficio del turismo le mappe per le gite lungo i capi della zona.
MARTEDI’ 12 agosto
I camping a la fermè hanno
diversi pregi: sono in zone poco trafficate, non essendo illuminati, quando
viene buio cala anche il silenzio: ieri alle 22.00 tutto taceva. La fermè di
Syet occupa un luogo di campagna al termine di una strada chiusa. Esito della
prima notte a Syet: una dormita di quasi undici ore!
Anche oggi il giorno si
presenta con il cielo completamente sereno che annuncia ancora un caldo
intenso. Ci dedicheremo ad un turismo naturalistico. Tra i quattro circuiti
pedonali che costeggiano la penisola scegliamo il secondo che passa per la sua
punta, quindi consente di osservare dall’alto l’oceano Atlantico.
Lasciamo l’automobile a
Plougrescante. E’ da questo borgo, situato quasi al centro della penisola che
hanno inizio i diversi itinerari. Il nostro, segnalato con due strisce bianco e
rosso, attraverso delle strade carrarecce, che ci regalano scorci sulla baia, ci
conduce in riva al mare. Il sole, che abbiamo di fronte ancora abbastanza basso,
riverberandosi obliquamente, riduce la profondità dell’orizzonte, ma dà risalto
agli speroni rocciosi delle falesie e agli scogli. La marea ha iniziato da
qualche ora la sua fase di bassa, ci sono già le barche più prossime alla riva
in secca; un po’ più al largo iniziano a scoprirsi le gabbie degli allevamenti
di ostriche, mentre tra gli scogli affioranti qualcuno si garantisce il pranzo.
Sostiamo un attimo sul
litorale ciottoloso. I graniti e gli scisti di diverse qualità lo rendono
variopinto, raccogliamo qualche bel sassolino. Riprendiamo il cammino e seguiamo
un polveroso sentiero che sale lungo il bordo della falesia. A seconda della sua
direzione si avvertono ora il profumo aromatico della campagna coltivata,
protetta solo dalla rigogliosa fascia di felci e rovi, ora quello salmastro del
mare. Qui in alto lo sguardo prende possesso dell’intera baia di Jaudy, tutta
costellata di rosei spuntoni rocciosi e di scogli semisommersi, che colorano di
scuro l’acqua che altrove è invece intensamente blu.
Via via che il sole si alza e l’aria si riscalda, l’ambiente si anima. Le
piccole insenature con costa bassa, raggiungibili in automobile tramite stradine
secondarie, si popolano di bagnanti, al largo si iniziano a vedere le barche a
vela di chi vive la vacanza navigando. Il sentiero di nuovo sale e attraversa
una fresca e resinosa pineta. E’ tra questi alberi alti e secolari che scorgiamo
case da sogno, con panoramiche verande che offrono un’ampia vista sulla
scogliera e sul mare e castelletti che richiamano antiche leggende.
Più avanti la vicinanza al margine più esposto della penisola si annuncia con la
netta diversificazione della vegetazione. I forti e freddi venti atlantici
consentono la vita solo a conifere arbustive e a piante erbacee, come le eriche
e altre essenze floreali che, con piccole e sgargianti corolle, donano agli
scarsi insetti il prezioso nettare che assicura loro il futuro. L‘ultimo approdo
costiero riserva una curiosa immagine. Piccole case di pescatori sono
incastonate tra le rocce granitiche quasi a chiedere alla madre terra
protezione,calore e conforto.
All’ora di pranzo arriviamo
sulla punta della penisola. Qui la costa è un’alta scogliera di granito rosa,
che a balze scende fino all’acqua. Le grandi fenditure della roccia, i massi
precipitati, le parti ormai separate dal continente, rese scogli sempre meno
imponenti, rivelano la continua sfida che intercorre tra la terra e il mare. Un
forte contrasto, che contrappone la strenue solidità del continente alla tenace
azione erosiva dell’oceano e del vento. Purtroppo oggi questa lotta la si legge
solo osservando la martoriata roccia. Infatti in quest’anomala estate senza
vento l’oceano è talmente liscio e piatto che a stento spumeggia intorno agli
scogli più lontani.
Ci dispiace non poter vedere
una tempesta bretone o quanto meno l’oceano agitato. Ci ripromettiamo di tornare
in questa regione, magari in inverno, per gustare la rude asprezza climatica e
le calde e spartane atmosfere sociali che la caratterizzano.
In silenzio sostiamo e
contempliamo la bellezza che ci è donata. Poi mentre un catamarano si perde
all’orizzonte riprendiamo il cammino. Doppiato il capo, il sentiero segue per un
breve tratto la costa della baia di Gouermel, poi si addentra nella penisola
svelando altre bellezze e riservando nuove sorprese, che stridono col sole caldo
e a picco di questo pomeriggio estivo. Le case dallo spesso tetto di paglia
rimandano all’intenso freddo invernale dal quale difendersi mediante un
isolamento a strati. Giunti sulla strada ordinaria la percorriamo fino al borgo
di partenza, che ci appare da lontano innalzando il suo particolare campanile in
piombo, molto inclinato sull’antica torre.
MERCOLEDI’ 13 AGOSTO
Ore 9.00 cielo coperto,
temperatura 20°C. La tanto sospirata perturbazione prevista in Italia per
ferragosto sembra essere entrata dalla porta atlantica.
Ore 11.00: cielo sereno
temperatura in rapido rialzo, afa. Ogni speranza di pioggia per il riarso
continente svanisce!
Trascorriamo la mattina a
Treguier, che raggiungiamo a piedi con una camminata di
mezz’ora di buon passo. La cittadina è sorta sul fondo
dell’omonimo fiordo, alla confluenza di due fiumi, che sfociano
nell’oceano con un unico estuario. La cittadina ha un piccolo
porto di cabotaggio e il suo centro conserva tracce della sua
storia, tra antiche case a graticcio si insinuano strette viuzze
medioevali, che confluiscono nella grande piazza centrale, dove si erge
l’imponente e strana cattedrale dedicata a San Tugdual. Essa
è un concentrato di asimmetrie architettoniche e cromatiche,
essendo stata costruita con graniti di diverso colore e avendo subito
nel tempo dei rimaneggiamenti. La struttura è comunque armonica
e gradevole alla vista. Il suo interno trova luce dalle vetrate, che
mettono in risalto le statue lignee dei secoli passati. Centro di culto
è, nella navata sinistra, il tempietto dedicato a San Yves. I
ceri votivi, le testimonianze delle grazie ricevute, le persone in
preghiera, dicono di una devozione ancora sentita. E’ giorno di
mercato. Ci aggiriamo tra le bancarelle sempre uguali sotto ogni cielo,
che offrono abiti made in China, maschere senegalesi e portamonete in
cuoio, giocattolini e “prodotti artigianali locali”
ovviamente fabbricati in estremo oriente. La zona alimentare è
introdotta da tronfi imbonitori, che convincono sprovvedute massaie ad
acquistare utensili che, dopo l’impeto della novità, non
saranno più usati. Il rosticciere sta cocendo in enormi
pentoloni cipolle, patate, salsicce e cotenne e ci chiediamo chi con
questo caldo avrà il coraggio di mangiare un simile piatto.
Più avanti ortaggi e mele giocano le loro chances sulla
freschezza e sulla genuinità, così come i banchi ittici,
che hanno nelle ceste granchi e gamberi ancora vivi. Qua e là
artisti di strada si esibiscono suonando brani jazz o classici e,
gratificati da attimi di celebrità, si guadagnano la giornata.
Siamo ora attratti dal dolce e magico suono di un flauto che, da
dietro un angolo, invita alla scoperta. Ci troviamo davanti “le
petit theatre vert”, e siamo immersi nello spettacolo. Una marionetta abilmente
manovrata dal suo papà racconta la storia della vita. Muta, al suono del flauto,
che ne scandisce gli umori, la marionetta si muove, fa salti e corse, poi si
acquieta nel sonno, dove con movenze appena accennate fa immaginare sospiri e
sogni. Si sveglia più grande e con passi incerti e ritmati cerca, cerca… Si
esalta e si accascia in un’ansia continua, che si stempera in una danza sempre
più delicata e armoniosa, segno dell’amore trovato, che ridona la gioia
infantile per la vita.
Seduti su un tappeto, davanti
a quel lembo di strada, palcoscenico improvvisato, tanti bambini con gli occhi
sgranati e la bocca aperta osservano ed entrano nella fiaba mantenendo un
incredibile silenzio e assecondando i ritmi della danza col battimano. Dietro a
loro i grandi, che per un attimo tornano bambini nel riscoprire il bello delle
cose semplici.
Sul far della sera un vento
deciso si fa strada tra il tremulo fogliame del cespuglio di ribes, impatta il
fianco del nostro caravan e si divide in mille rivoli, che fischiano e
sbatacchiano le tende e gli igloo qui vicino, saggiandone la picchettatura. Sospinti dalle veloci correnti
aeree, grandi cumuli nerastri si muovono nel cielo cedendo ogni tanto un po’
della loro umidità. E’ la perturbazione tanto attesa, che senz’altro darà
movimento anche all’oceano. Attendiamo con una certa impazienza l’ora dell’alta
marea per raggiungere il capo più esposto della penisola e salire sulla
scogliera a picco.
Eccoci quindi davanti allo
spettacolo della natura. Noi siamo sull’alta balconata rocciosa e il
palcoscenico è l’oceano che, come un’ampia parabola, si apre all’infinito. Lì in
basso si lotta, si attacca, si resiste. Mentre si alzano al cielo i fragori e
gli spruzzi, le rocce degli scogli cambiano colore e sfrigolano quando l’acqua
penetra nelle loro fenditure, faticando a ritirarsi per il sopraggiungere di una
nuova ondata.
Alcuni gabbiani si alzano in
volo dagli scogli più lontani e sospesi nell’aria si avvicinano alla costa per
trascorrere la notte. La linea del vento però si ingarbuglia tra gli spuntoni
della scogliera, forma mulinelli e spire che sospingono gli urlanti gabbiani
nuovamente al largo. I loro gridi spaventati si perdono lontani, mentre i
passeri si richiamano con cinguetti ripetuti e si ritirano nei loro nidi
nascosti nelle crepe più profonde. Il cerchio arancione del sole al tramonto
appare fugacemente e, senza attendere di essere fotografato, si ritira dietro il
plumbeo sipario della coltre di nubi, anticipando la notte.
GIOVEDI’ 14 AGOSTO
Nella notte tre luminosi
lampi, accompagnati da fragorosi boati e un scroscio di pioggia hanno avvisato
che qualcosa sta cambiando dal punto di vista meteorologico.
Al risveglio il dì si presenta
sereno, l’aria si è però rinfrescata. Sottili e alte nubi sono spinte dal vento
che col passare delle ore aumenta la sua intensità. Programma odierno: visita
della cittadina di Morlaix, che dista circa 50 km da Treguier. La raggiungiamo
percorrendo la dipartimentale costiera.
Morlaix è uno dei primi
centri che si incontrano del Finistere, cioè quella zona occidentale della Bretagna,
denominata dai romani “finis terrae”. Essa è piuttosto caratteristica. Sorta
sull’estuario di un piccolo fiume, che ha scavato un profondo solco, ha il suo
nucleo storico allungato nella valle, alle spalle del porticciolo di cabotaggio,
che ha all’ancora rispettabili barche a vela, in grado di attraversare l’oceano.
I suoi quartieri più nuovi si sono espansi lungo i fianchi vallivi e si
raggiungono rapidamente salendo ripide scalinate. Lì, più in alto, la visione
del panorama sulla città è suggestivo. La peculiarità del centro storico, di
origine medioevale, sono le case a graticcio, numerose e ben conservate, molte
delle quali sono finemente ornate con statue lignee. Visitiamo in successione
due chiese risalenti al XV secolo. Quella
dedicata a San Matteo prende luce da un’ampia vetrata che chiude
l’abside e con le sue vetrate laterali narra la storia dell’apostolo,
da quando abbandona l’ufficio delle imposte per seguire Gesù, alla
scrittura del suo vangelo per i cretesi, alla sua missione in Etiopia,
dove compie il miracolo di resuscitare la figlia del re, al suo
martirio, fino alla dedicazione della prima chiesa in suo onore da
parte del Papa Giovanni III.
La chiesa di Santa Melaine ha
la volta blu bizantina, che sembra un cielo crepuscolare, grazie agli alti
lucernari che la rischiarano. Ha anche un bell’organo, che troneggia sopra il
portale.
Il pranzo lo consumiamo in una
“Creperie”, tipico locale francese. Questa è in stile bretone sia
nell’arredamento che nelle proposte culinarie. Ordiniamo crepe al salmone per
Giuseppe e crepe al formaggio di capra per Paola e accompagniamo il gustoso pasto
con del sidro, che troviamo molto più buono rispetto a quello assaggiato in
Normandia, perché al gusto brut segue il timbro persistente lievemente dolce
delle mele.
Il viaggio di ritorno lo
facciamo seguendo prima la nazionale N12 fino a Lannion, poi piccole
dipartimentali, per non essere intrappolati dal traffico locale dovuto al week
end ferragostano.
VENERDI’ 15 AGOSTO
D8; C2; … non stiamo giocando
a battaglia navale, ma scandendo la toponomastica delle strade che da Syet
conducono al centro di Minihy, dove nella chiesa parrocchiale partecipiamo alla
messa dell’Assunta.
L’edificio religioso presenta
l’architettura tipica delle chiese della zona. E’ dedicato a S. Yves, che qui ha
vissuto. Al suo interno sulla parete di sinistra c’è un grande quadro murario
che riporta, scritto in latino, il testamento del santo. Nel 1293 S. Yves ha
lasciato tutti i suoi averi, ricevuti dai genitori, alla fondazione che aveva
istituito per assistere i malati e i disabili, che aveva ospitato nel suo
lussuoso palazzo alla morte dei suoi cari
La messa solenne e cantata ci
riporta indietro di quarant’anni, soprattutto quando al termine della liturgia
viene intonato il canto: “Oh Maria, Madre pia…”, che era una delle melodie che
accompagnavano la processione mariana del mese di maggio, che seguivamo da
bambini, ciascuno schierato nelle fila del proprio oratorio maschile e
femminile.
La giornata prosegue in
campeggio. Pranzo e riposo assicurato dalla lettura dei libri, che non mancano
mai nelle nostre vacanze e dai giochi enigmistici, questi ultimi esclusivo
passatempo di Paola.
SABATO 16 AGOSTO
Questa è la Bretagna che
amiamo: la regione ventosa che, ai grandi nuvolosi che oscurano il sole rendendo
l’aria fresca quasi fredda, alterna l’intensa luminosità del cielo terso
rasserenato, che fa gustare il calore degli ultimi lembi d’estate.
Dobbiamo pensare alla
giornata, ma il programma si impone ponendoci un urgente problema da risolvere,
ma addolcendolo con una scelta inoppugnabile: la bombola del gas si è
svuotata. Dovremo quindi trovare il modo o di ricaricarla o di prenderne
un’altra. Questa situazione, impedendoci di fare il caffè, ci porta a gustare
“cappuccino e croissant” comodamente seduti ad un tavolino di un bar nella
piazza centrale di Treguier. Il problema gas, che affrontiamo subito dopo, è più
complicato del previsto, perché non c’è possibilità di ricaricare la bombola, né
di scambiarla con un’altra in quanto la marca della nostra non è presente sul
mercato francese. Non ci resta che acquistarne una, ma le marche francesi più
diffuse e vendute in tutti i centri commerciali non ci sono sul mercato italiano
e il problema si ripeterebbe al suo esaurimento. Cerchiamo quindi l’unica marca
internazionale “Camping Gaz”, che però vende solo bombole di medio e piccola
portata. Quando la troviamo si presenta un ulteriore ostacolo: gli attacchi
“Camping Gaz” sono diversi da quelli tedeschi del nostro caravan e da quelli
italiani che abbiamo installato per collegare l’impianto della roulotte con la
bombola italiana. Dobbiamo allora cercare un altro adattatore. Finalmente
risolto ogni inconveniente, grazie alla competenza tecnico-linguistica di
Giuseppe, alle ore 12,30 possiamo pranzare e bere il buon caffè italiano.
Ancora una volta spiace
costatare quanto sia ancora utopica l’Europa unita. Ciò che dovrebbe
semplificare la vita del cittadino non è neppure preso in considerazione, mentre
gli si impongono modelli comuni, là dove la caratterizzazione consentirebbe la
conservazione delle diverse culture, che sarebbero per tutti una fonte di
arricchimento.
Nel pomeriggio ci rechiamo a
Paimpol, una cittadina sulla costa della penisola che precede Treguier… ma oggi
non è giornata!
Dopo aver a lungo cercato
posteggio, ci inoltriamo a piedi lungo il centro pedonale che, seppure molto
turisticizzato, conserva ancora qualche scorcio pittoresco e alcuni edifici
simili a quelli di Morlaix. L’intenzione è di raggiungere il porto rinomato per
la sua attività peschereccia. Ma, quello che in ogni giorno dell’anno è spazio
aperto a chiunque, oggi è blindato. Una
fitta palizzata, superabile solo attraverso i varchi predisposti, previo
pagamento di 13 € a persona, lo separa dal resto del paese, perché sui suoi moli
giostre e baracconi rallegrano questi giorni ferragostani.
Piuttosto contrariati torniamo
alla macchina e raggiungiamo Loguivy de la Mere, il villaggio in punta alla
penisola, che seppure diventato centro di vacanza, ha conservato la semplicità
di un tempo.
Passando sugli scogli, che si
stanno lentamente bagnando per il salire della marea, raggiungiamo il faro. Da
lì osserviamo l’intenso e vivo colore del mare, l’innumerevole quantità di
scogli che articolano l’intera costa visibile e la frenetica vita acquatica di
bagnanti e natanti.
DOMENICA 17 AGOSTO
Domenica di assoluto riposo.
Sentiamo l’ultima messa in francese nella stessa chiesa del giorno dell’Assunta.
Oggi è celebrata da un giovane sacerdote, un giovanottone alto e biondo che
suscita curiosità e agitazione tra i fedeli, tanto che l’anziana organista, dopo
la predica, sbaglia il momento e intona un canto quando bisogna recitare il
credo. Un po’ confusa si interrompe, arrossisce imbarazzata, mentre le sue
amiche del coro ridono sommessamente.
Alla fine della messa la voce
guida spiega che il prete è il nuovo sacerdote che è stato inviato a Treguier.
La sua collaborazione nella missione ecclesiale inizierà con la conoscenza delle
diverse comunità, pertanto girerà tra le parrocchie.
Un applauso spontaneo esprime
gioia ed accoglienza. Mentre viene eseguito il canto finale, come si usa in
questa nazione, il sacerdote lascia l’altare e raggiunge il portone della
chiesa, dove saluta tutti personalmente, anche noi, con una parola e una stretta
di mano.
Lasciamo la Bretagna cenando
in paese con una crepe dolce alle mele e calvados flambee.
LUNEDI’ 18 AGOSTO
Sveglia ore 7.30. Purtroppo
oggi inizia, seppure per tappe, il viaggio di ritorno. Percorreremo poco più di
400km fino a raggiungere la zona dei castelli della Loira. Ripercorriamo a
ritroso le strade che da Treguier portano a St. Brieuc e da qui, rimanendo sulla
nazionale N12, arriviamo a Rennes, continuiamo poi fino a Le Mans sulla
nazionale N157, che in seguito diventa autostrada A81. A Tours seguiamo per pochi
chilometri la nazionale N152, che costeggia la sponda destra della Loira, e ci
fermiamo ad Amboise, località molto famosa per il suo castello, che conserva la
tomba di Leonardo da Vinci.
Man mano che ci spostiamo
verso est le bigie nubi della mattina bretone si assottigliano e si schiariscono
lasciando intravedere occhiate di cielo azzurrino. L’apprezzabile grandezza
delle città di Rennes e di Le Mans, la spiccata vocazione industriale e la loro
posizione sulla direttrice verso Parigi, fa sì che in questo tratto di strada il
traffico sia intenso, con una discreta presenza di camion.
Il paesaggio autostradale
piuttosto anonimo e il percorso ben definito ci permettono di tenere un
sottofondo musicale e di fare varie considerazioni. Ad esempio notiamo che
l’orribile Multipla, prodotta dalla Fiat, ha in Francia un discreto successo
commerciale. Tra le marche straniere è una delle più acquistate e tra i tipi
italiani la più diffusa. Un’altra riflessione ci porta a considerare il diverso
modo che i francesi hanno di riferirsi all’ospite rispetto agli altri europei
In Europa tutti hanno fatto
proprio il termine anglosassone “reception”, che considera l’ospite come colui
che porta qualcosa; in Francia si usa invece il vocabolo nazionale “accueil”,
che ribalta la considerazione verso l’ospite, che diventa quindi una persona da
accogliere, cioè alla quale è dovuto qualcosa.
L’esperienza delle nostre
frequenti permanenze in Francia ci conferma che non è una questione di termini,
è qualcosa di più sostanziale, che si concretizza con un’efficiente
organizzazione turistica e con un modo di rapportarsi molto gentile. In Francia
i “merci” abbondano in ogni dialogo.
Il pranzo lo consumiamo
velocemente in una delle aree di sosta dell’autostrada seduti comodamente nel
nostro caravan, senza farci mancare l’amato caffè.
Giungiamo ad
Amboise verso le
16.00. Il campeggio municipale “De l’IIe d’Or” è molto ampio, ha comodi e ottimi
servizi, si trova, come dice il suo nome, sull’isola che qui divide la Loira in
due rami. E’ molto vicino al centro del paese. Ci sono molte piazzole libere,
scegliamo di fermarci in una zona abitata prevalentemente da tedeschi e olandesi
(le targhe automobilistiche sono indicative!), che in genere sono più rispettosi
delle regole relative al silenzio e soprattutto non hanno “cheine”. Sì, stiamo
parlando proprio di cani! In Francia non c’è quasi
famiglia che non ne abbia almeno uno. Di solito hanno piccoli cani
di razza ignota, tanti sono gli incroci che hanno alle spalle. Essi sono forse
simpatici, certamente piuttosto sgraziati e, come raccontano certe barzellette,
sovente assomigliano ai loro padroni.
Dopo esserci sistemati andiamo
in paese per un giro di ricognizione. All’ufficio del turismo recuperiamo
diverse informazioni sui campeggi della zona, sui castelli e le mappe di
possibili giri in bicicletta. Al castello, che oggi ammiriamo dall’esterno,
prenotiamo il posto per lo spettacolo serale di mercoledì. Visitiamo poi la
chiesa di Saint Denis, che risale al 1100. All’ingresso troviamo una
ragazza, che a nome della comunità parrocchiale accoglie i visitatori
consegnando loro una guida alla visita, c’è anche quella in lingua italiana! La chiesa, che nel corso dei
secoli è stata ampliata e rimaneggiata, si presenta senza una struttura
ordinata, ogni parte ha però caratteristiche di pregevole fattezza.
Rientrando in campeggio ci
fermiamo a guardare il barometro. Previsione: “tres sec”. Ci dispiace per i
francesi che, come in Italia, stanno contando i danni che la siccità ha
provocato all’agricoltura, agli allevamenti, alle persone, ma siamo contenti di
poter godere di altre giornate senza limiti di attività.
Dopo cena attendiamo
l’oscurità per ritornare sulle sponde della Loira per fotografare il castello
illuminato.
MARTEDI’ 19 AGOSTO
Sveglia ore 9.00, il cielo
completamente sereno ci indica cosa indossare per la nostra gita in bicicletta.
Consideriamo i circuiti di cui abbiamo recuperato le mappe. Essi non superano i
30 km, perciò decidiamo di fonderne due per poter fare una gita di circa 50 km.
Oggi staremo a sinistra della
Loira. Attraversiamo Amboise e ci dirigiamo verso le lievi alture che stanno
alle sue spalle. Valichiamo il crinale, che presenta alcuni tratti di una certa
pendenza, quindi scendiamo nella valle dello Cher e raggiungiamo Chenonceaux,
dove c’è un altro famoso castello, che è stato abitato da Caterina de Medici.
Siamo già molto accaldati. Legate le biciclette nell’apposito posteggio, prima
di incamminarci verso il castello pensiamo di iniziare ad intaccare la nostra
riserva d’acqua. Con rammarico ci accorgiamo che la borraccia preparata l’acqua
gelata di frigorifero è rimasta in roulotte. Il bar all’ingresso del castello
vende una bottiglietta da mezzo litro a 3.80 €. E’ un furto! Ci teniamo la sete.
Pagato il biglietto
d’ingresso, entriamo nel parco del castello. Un grande viale alberato di platani
guida il visitatore fino ai giardini antistanti il maniero, che sono
geometricamente strutturati con aiuole fiorite. Il castello ha le sue fondamenta
nel fiume ed è completamente circondato dalle sue acque. Ad esso vi si accede
mediante dei ponti levatoi. Entriamo nell’edificio, che per nostra fortuna
abbiamo già visitato nella precedente vacanza, in quanto oggi è impossibile
gustarne la ricchezza degli addobbi e dell’arredamento, tanti sono i visitatori.
Si cammina nelle sale sospinti dal vociante fiume umano, pertanto non si ha la
possibilità di osservare ogni ambiente nella sua grandezza e completezza, né di
percepire l’atmosfera castellana delle epoche passate.
Dalla galleria del piano
terreno, tramite la porta che si apre sul retro usciamo nel parco. Esso è un
bosco misto lasciato naturale. E’ fresco e riposante e, man mano che ci si
allontana dal castello, i suoi viali sono sempre più vuoti.
Rientriamo nella bolgia per
concludere la visita interna. Percorso anche il labirinto, tipico giardino
costruito per i giochi dei nobili castellani, lasciamo il castello facendo delle
considerazioni sulla vuota e fatua vita dei signori di un tempo e forse di tutte
le epoche. Ci riteniamo più fortunati, perché la nostra vita, anche se più
faticosa, è molto più ricca di senso.
Ripartiamo e cerchiamo subito
dell’acqua, perché la nostra sete è ormai insopportabile. Nell’Epicerie del
paese compriamo una bottiglia da un litro e mezzo della stessa marca di quella
disdegnata al castello spendendo solo 1 €!
Trovata anche una panchina
all’ombra ci dissetiamo e pranziamo consumando i panini che avevamo preparato e
portato.
Riprendiamo a pedalare.
Raggiunto il crinale lo percorriamo seguendo il suo profilo per 15 km. Sono
stradine comunali classificate “C”. Si snodano con modesti sali scendi in fitti
boschi di faggi e querce, intervallati da piccole radure coltivate o da zone
acquitrinose. L’ambiente è incantevole e cattura ogni senso con le sue fragranze
di legno, di lamponi, di menta, con i suoi colori che, grazie al gioco delle
ombre causato dal sole che filtra, hanno tonalità varie, con il suono del vento,
che trasporta i versi degli uccelli e li fondendo con lo stormire delle foglie
inventando sinfonie.
Poi con una rapida e ripida
discesa, che gustiamo quale ricompensa della sudata mattutina, siamo di nuovo
sulle sponde della Loira, nella cui roccia gessosa sono scavate le cantine per
l’invecchiamento del vino qui prodotto, che quest’anno sarà scarso, visto che i
grappoli in attesa di maturazione, per la prolungata siccità, sono molto
avvizziti. .Una pedalata veloce ci riporta
al campeggio.
MERCOLEDI’ 20 AGOSTO
Mattinata casalinga: spesa e
faccende domestiche che consentono anche di conoscere più a fondo le abitudini e
il modo di vivere quotidiano degli altri popoli. Per i moltissimi stranieri,
così come lo è per noi e per i pochi italiani che viaggiano secondo questo
criterio, vivere “plen air” è una scelta che, grazie alla sua flessibilità,
permette di adattare la vacanza in itinere, secondo i bisogni, gli interessi e
le eventualità che insorgono. Ci dispiace annotare però che, mentre per gli
stranieri il viaggiare fa parte del loro patrimonio culturale, in genere per gli
italiani questo traguardo non è ancora stato raggiunto.
Conferma questa nostra
affermazione la capacità di viaggiare da soli che essi hanno, mentre gli
italiani, salvo eccezioni, viaggiano con almeno due equipaggi e… rigorosamente
in camper!
Pomeriggio: visita ai castelli
di Chaumont sur Loire e di Chambord.
Il primo, che sorge su un poggio
che domina la Loira è immerso in un parco all’inglese i cui alberi secolari, per
lo più conifere: larici, larici azzurri, cipressi, sono essi stessi dei
monumenti. Esternamente il castello non è, purtroppo, ammirabile nel suo
splendore, perché i due torrioni che delimitano il portale d’ingresso sono in
restauro
Il secondo, inserito nella più
grande tenuta francese, è a nostro parere insuperabile per maestosità e
magnificenza, con i suoi innumerevoli comignoli e torrioni. Al suo interno un
grandioso scalone a doppia elica, attribuito a Leonardo da Vinci, collega i
diversi piani.
Esso è stato studiato in modo tale che da ogni camera finestrata
sia possibile attraverso la porta vederlo e, quindi, orientarsi. Ciò che
stupisce è che questa lussuosa dimora sia stata abitata solo per venti anni
nell’arco di cinque secoli.
Sul suo retro troviamo la
ricostruzione in miniatura di alcuni torrioni e comignoli. Il lavoro
incuriosisce Paola, perché come è spiegato esso è il prodotto di un lavoro
interdisciplinare svolto dagli alunni della scuola media di Bracieux, il comune
a cui appartiene il castello, nell’anno scolastico 2001-2002.
Una considerazione: senz’altro
un’attività del genere sarà un ricordo indelebile dell’esperienza scolastica di
quei ragazzi, ma avrà dato loro lo stesso bagaglio di competenze che si possono
acquisire mediante una didattica meno titanica, che può comunque essere, pur
nella sistematicità, creativa?
A la Cour du Roy
Francois
Se si è invitati alla corte
del re, per vivere la sua favola, occorre lasciarsi suggestionare dal sogno che,
annullando il tempo, porta il presente nel passato e fa vivere il passato nel
presente fino a quando la magia non esaurisce la sua forza.
ì Carichi di aspettative,
sportivamente eleganti, come ben si addice a chi vive plen air, ci avviamo verso
la festa.
Il sole, appena tramontato, ha
lasciato una luce radente sulla Loira, che trasforma le sue stanche e placide
acque in uno specchio argentato e ha incendiato il cielo dietro il castello,
quasi a voler segnalare il luogo del ritrovo.
C’è tanta gente in attesa; poi
lentamente ci si avvia verso il portone d’ingresso, che apre alla corte. Paggi
e servette accolgono gli ospiti e li accompagnano ai loro posti, mentre una
musica rinascimentale crea un’atmosfera, che induce al silenzio e apre la mente
e il cuore al gusto del bello.
Via via che il cielo si
imbrunisce a oriente e il chiarore occidentale si tinge dei vari colori
dell’iride, chi giunge vociante trova gente, sempre più numerosa, già dentro
l’evento e ne è lui stesso catturato.
Poco dopo le 22.00, quando
ormai il cielo è trapuntato di stelle, una voce accoglie gli ospiti in francese,
inglese, tedesco, italiano; e dà due regole a garanzia della sicurezza di tutti.
Nel buio totale, la musica,
sempre più intensa e vibrante, scandisce i tempi dell’illuminazione cromatica,
che esalta il fulgore architettonico del castello che, nella sua staticità
scenografica, è il protagonista della festa e racconta attraverso il suo popolo
vicende e fatti, grandi o piccoli, storici o personali dei nobili che lo hanno
abitato e dei villani che lo hanno servito.
E’ così che sul prato antistante
al maniero si ripercorrono alla luce delle torce vicende umane come la morte del
re, le lotte per il potere, l’insediamento del nuovo re. Si guardano i suoi
amori e le sue battaglie e, insieme al volgo, che vive dignitosamente la sua
povertà adoperandosi nei lavori domestici e nei mestieri artigiani, si soffre e
si gioisce per quel signore che, a modo suo, è benevolo.
Verità storica e verità
poetica si rincorrono e si intrecciano in un racconto incalzante, che proietta
sulla facciata del castello i ritratti dei personaggi storici e riproduce
caroselli equestri, danze paesane e ricevimenti di corte nella finzione scenica,
fini a quando la medesima finzione diventa verità storica con l’arrivo in scena
di Leonardo da Vinci, primo esempio di fuga di cervelli dall’Italia.
Il genio: architetto,
ingegnere, botanico, zoologo, anatomista, scultore, pittore, filosofo, mentre
spiega i suoi canoni di bellezza mediante la proiezione di Monna Lisa e
dell’uomo vitruviano, allestisce giochi di luce, che imitano quelli d’acqua,
realmente realizzati dal suo avo ed esercizi ginnici e di equitazione, che
insieme alle macchine da guerra come la testuggine, prototipo del carro armato,
o la salamandra dalla lingua di fuoco, simulano la potenza bellica che era nella
sua testa, ma non poteva essere spiegata per la mancanza di materiali adatti.
E’ un crescendo gioioso
animato dai giullari ed esaltato dalla musica incessante, che ha la sua apoteosi
nel gioco pirotecnico, che lascia sbalorditi.
Questa la festa organizzata,
che ha coinvolto più di un centinaio di persone di Amboise e dintorni, dai
bambini agli anziani, che per amore del castello, in modo del tutto volontario,
hanno lavorato per tutto l’inverno per raccontare ai turisti, due volte alla
settimana, nei mesi estivi, la loro passione.
Poi la festa è continuata: sul
verde palcoscenico del castello la gente del passato si è lasciata avvicinare
dalla gente del presente e, familiarizzando, ha consegnato una tradizione che
rimarrà viva, se i locali continueranno ad amare il loro castello e se i turisti
continueranno ad apprezzare i divertimenti originali e unici per la loro
specificità.
Grazie Amboise e grazie alla
corte del re!
I battimani calorosi non ve
li abbiamo lesinati quella notte! Tuttavia quello più lungo lo abbiamo nel cuore
e vi rimarrà insieme agli altri ricordi della nostra bellissima vacanza
francese.
GIOVEDI’ 21 AGOSTO
Come in tutte le favole il
principe azzurro sveglia con un bacio la principessa, così Giuseppe mi ha
svegliata questa mattina.
Sono le 9.00. Il cielo è
completamente sereno, ma l’aria è ancora piuttosto fresca. Decidiamo per una
giornata tonico ricreativa, perciò faremo una gita in bicicletta senza obiettivi
particolari, se non quelli di godere il panorama e di macinare un po’ di
chilometri.
Oggi pedaliamo sulla sponda
destra della Loira, intrecciando due dei tre percorsi segnalati su questo lato. Panini, acqua, macchina
fotografica. Controllato il necessario, indossiamo i baschetti e partiamo.
Attraversato il ponte sulla Loira, quello antistante il castello, lasciamo
subito la nazionale e ci dirigiamo verso l’interno. Superati la zona industriale
di Amboise e il cavalcavia ferroviario, giungiamo a Pocè sur Cisse. Qui troviamo
le prime sorprese. Questo paesino è gemellato con Grandate (Como). E’ il primo
centro che incontriamo legato ad uno italiano, se escludiamo Amboise, ovviamente
gemellato a Vinci, per il retaggio storico comune.
A Pocè c’è un piccolo
castello. E’ chiuso, ma il suo giardino è il parco pubblico del paese. Ci
fermiamo per la necessaria documentazione fotografica e commentando la sorpresa
ci viene l’idea di programmare in futuro una vacanza in questa zona e di
dedicarla alla scoperta dei manieri, delle ville, dei palazzi d’epoca, poco
famosi o sconosciuti, ma meritevoli di apprezzamento.
Proseguiamo seguendo una
stradicciola secondaria, che con ripidi strappi ci conduce, attraverso un bosco,
sull’altopiano che domina la valle della Loira. Qui zigzaghiamo per strade di
campagna “C” in una zona dove i vigneti sembrano non finire mai. Il sole della
tarda mattinata è ora ardente e fa cogliere pienamente la sofferenza dei
pampini delle stremate viti, che non riescono a dare succo e tono ai grappoli
ormai formati.
Giunti a St. Onen, troviamo
un’antica chiesa, che troviamo chiusa, sul cui campanile c’è incisa una frase in
latino che dice: “ Il tempo fu, l’eternità avanza.” …è da meditare!
Ripartiamo e subito
incontriamo un’altra salitona. C’è chi va forte e supera velocemente, forzando
la pedalata; c’è chi si ferma e spinge; e chi va col suo passo, ma non si
arrende. Noi apparteniamo a quest’ultima categoria di ciclisti, persone che
amano pedalare non contro il tempo, ma per godere di luoghi e paesaggi riuscendo
con un allenamento abbastanza assiduo ad aumentare la velocità e la resistenza,
così da ampliare anno dopo anno il raggio della propria azione.
Eccoci quindi a Cangey, qui la
chiesa sembra attenderci. Sono da poco passate le 13.00 e ce la troviamo davanti
col suo portone aperto, superata una veloce curva in discesa. Una repentina
frenata e ci fermiamo per una breve visita. Questa chiesetta, dall’aspetto
architettonico insignificante, accoglie il visitatore rimanendo aperta
ininterrottamente dal mattino a sera e gli mette a disposizione un quaderno per
apporvi un pensiero, una preghiera, un ricordo.
Così, dopo il saluto personale
a Dio, annotiamo una preghiera di ringraziamento per la vacanza goduta e
affidiamo al Signore il viaggio di ritorno.
Di nuovo in sella, qualche
chilometro di pedalata e ci fermiamo a Limerai, dove troviamo lungo la strada
una panchina all’ombra, idonea al nostro pranzo.
Nel pomeriggio, sulla strada
di ritorno, troviamo un altro palazzo, non segnalato, ma degno di essere
ricordato. Quindi raggiunta la nazionale N152, la seguiamo risalendo la corrente
della Loira fino al ponte di Amboise, che ci consente di raggiungere l’isola e
il campeggio.
Più tardi ci rechiamo in paese
per un breve e ultimo giretto.
Dopo cena iniziamo i
preparativi per la partenza e ci dedichiamo al nostro libro: Giuseppe scarica le
fotografie di ieri e di oggi, Paola scrive il diario.
VENERDI’ 22 AGOSTO
Ore 7.30: il trillo della
sveglia un po’ insistente ci ordina di non poltrire e ci rammenta che abbiamo
davanti molte ore di viaggio, che ci condurranno da Amboise a Altkirch, un paese
dell’Alsazia, quasi al confine con la Svizzera.
Da Amboise, raggiunta
l’autostrada A10 Tours-Parigi, la percorriamo fino a Orleans. Osservando il
traffico di questa arteria e la nazionalità dei veicoli che la stanno
percorrendo si può affermare che l’Europa sta tornando a casa.
Lasciamo i tedeschi, gli
olandesi, i belgi, i lussemburghesi, i parigini, proseguire verso nord-est lungo
l’autostrada. Noi, che dobbiamo mantenere esclusivamente la direzione verso
oriente, non abbiamo a disposizione strade di rapido scorrimento, perché la rete
stradale francese è Parigi centrica. Seguiamo quindi inizialmente la nazionale
N60, che attraversa la foresta di Orleans che, sotto un cielo azzurro Africa (la
definizione è di Giuseppe, che vi è stato), riveste già i colori dell’autunno, a
causa della prolungata siccità.
Raggiunta Montargis,
continuiamo il tragitto seguendo strade dipartimentali, non tutte scorrevoli per
il loro fondo, che da tempo non conosce l’azione del rullo compressore e per il
transito nei paesi, che impongono, giustamente, limiti di velocità compatibili
con la mobilità pedonale.
Il paesaggio diventa più
vario: il profilo altimetrico è mosso e, tra dossi e vallicole scorrono fiumi e
canali, ai quali a tratti la strada si affianca. Poco dopo Langres superiamo lo
spartiacque che separa i bacini idrografici tributari della Manica da quelli
del Mediterraneo. L’aria di casa inizia a farsi sentire!
Dalle radure racchiuse tra i
boschi si vedono alzare nubi rossastre a guisa di segnali di fumo. E’ la terra
essiccata dei suoli agrari che, rivoltata dagli aratri meccanici, che la
preparano per la semina dei cereali invernenghi, si sbriciola disperdendo
nell’aria le particelle più leggere e sottili. Intorno alle 18.00 entriamo
nel campeggio Les Acacias di Altkirch, accolti dalla musica melodiosa di due
flauti suonati da una coppia tedesca.
L’ambiente ci è già noto per
la sua tranquillità e per la qualità dei servizi. Anche questo campeggio ha la
forma di una piccola corte: c’è il prato centrale, ombreggiato da alberi d’alto
fusto, racchiuso da un anello viabile a sua volta circondato da una cintura
prativa, chiusa all’esterno con delle siepi.
Ci sistemiamo, seguiti a ruota
da alcuni equipaggi inglesi.
Il calar della sera, che ogni
giorno anticipa il suo arrivo, è segnato dal gracchiare di stormi di corvi, che
dalle aree agricole si spostano verso i boschi per passare la notte.
Contiamo le presenze. In tutto
ci sono una dozzina di equipaggi: francesi, ciascuno col proprio cane, tedeschi,
inglesi, uno sloveno, uno svizzero e uno italiano: noi.
Concludiamo la giornata con la
consueta foto ricordo di fine vacanza.
SABATO 23 AGOSTO
La luna è alta nel cielo,
quando ci alziamo.…ma non pensate che sia notte!
…sono le 10.00 del mattino! Il sole illumina l’ultimo suo
spicchio, prima che ricominci il mese. Quest’anno abbiamo deciso di
provare a fare i tedeschi. Cioè puliremo a fondo il caravan utilizzando lo
spazio e i servizi dell’ultimo campeggio così che, una volta giunti a casa, lo
si debba solo lavare a fondo solo esternamente.
Mentre Giuseppe si occupa del
tendalino e dei vari serbatoi, Paola provvede ai vetri e all’arredamento.
Dopo pranzo percorriamo
un’altra tappa verso Milano. Da Altkirch raggiungiamo il Passo del San
Bernardino. Qui ci fermiamo, sia per dormire un’altra notte al fresco, sia per
ragioni condominiali, che ci suggeriscono che è meglio non lasciare la roulotte
sotto casa per più di una notte.
DOMENICA 24 AGOSTO
Ore 5.30 suona la sveglia. E’
ancora scuro e nonostante l’altitudine, 1600 metri, ci sono ben 16,5°C!
Quest’estate torrida è stata
tremenda anche per l’alta montagna, che a pagato la pazzia del clima
sacrificando notevoli parti di ghiacciai e alzando i limiti della vegetazione.
Mezz’ora dopo lasciamo il
vasto parcheggio, dove abbiamo riposato insieme ad altri equipaggi italiani in
rientro e ad equipaggi tedeschi, alcuni in rientro, altri in entrata in Italia.
Ore 8.30, posteggiamo il
caravan sotto casa. Scarichiamo le cose più urgenti prima di partecipare alla
messa delle 10.00 della nostra parrocchia, che suggella il termine definitivo
della nostra vacanza.
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