Irlanda
Tour 2008
Il mondo è un libro
e quelli che non viaggiano
ne leggono solo una pagina.
(S. Agostino)
N.B. Cliccando su una immagine qualsiasi potrai accedere alla galleria
fotografica completa
24 luglio,
giovedì
Iniziamo a
leggere un’altra pagina del mondo.
Col camper
carico anche di un’abbondante scorta di prodotti mediterranei, in parte
destinati alla tavola di Eileen e Simone, ci rechiamo alla pesa pubblica nella
speranza di non dover lasciare nulla a casa. Tremilacinquecentoventi kg è il
verdetto, che ci permette di affrontare tranquilli l’eventuale fiscalissimo
controllo elvetico.
Il viaggio
di questa prima tappa segue la solita obbligata rotta: Como, Chiasso, Gottardo…
Il traffico
è intenso sia per la grande quantità di mezzi commerciali, sia per il
consistente numero di stranieri, soprattutto olandesi, che stanno lasciando
l’Italia agli italiani.
La coda che
incontriamo al Gottardo e i rallentamenti intorno a Lucerna cambiano un po’ il
nostro piano di viaggio. Non raggiungiamo per sera il cuore dell’Alsazia, anche
quest’anno ci fermiamo al noto camping Les Acacias di Altkirch.
Mai come
oggi la Svizzera ci è sembrata grande. Forse le abbondanti piogge di giugno
oltre a far crescere rigogliosa l’erba dei suoi pascoli, ne hanno dilatato il
territorio?
25 luglio,
venerdì
La meta di
oggi è Calais. Raggiungiamo Reims con le nazionali, godendoci l’ondulato
paesaggio agricolo dove fervono gli ultimi lavori della mietitura e dove stanno
maturando i girasoli e il mais.
In vista
della Manica l’orizzonte si drappeggia di nuvole plumbee, che lasciano filtrare
una pioggia di luce. Giunti sulla costa è di nuovo tutto sereno e la notte al
posteggio dell’imbarco è avvolta in un manto di stelle.
26 luglio,
sabato
Partiamo da
Calais col traghetto delle ore 8.00. Quest’anno ci fanno lasciare il camper sul
deck allo scoperto. Il tempo di leggere un po’ di pagine dei romanzi che abbiamo
da poco iniziato e siamo a Dover.
Mentre
Giuseppe prende in mano la nuova situazione viabilistica senza problemi, Tom, il
navigatore, ha delle esitazioni, non si orienta e inizia a parlare senza alcuna
logica, poi però si riprende e sarà un aiuto prezioso durante una nostra
incertezza.
Questa
vacanza è segnata dalle code, forse scontiamo la fortuna avuta sull’autostrada
A4 in uscita da Milano. La prima coda della giornata la incontriamo sull’Orbital
di Londra. A causa di un tamponamento trascorriamo 40’ andando a passo d’uomo.
La seconda la incontriamo poco dopo Birmingham. Una mandria di bovine da latte
attraversa l’autostrada passando su un ponte. Mentre loro camminano incuranti
del traffico, il traffico non è indifferente al loro passaggio; così gli stupiti
guidatori alzando lo sguardo verso il sovrappasso, alzano anche il piede
dall’acceleratore e si forma la colonna.
Giunti nel
Galles dei lavori sulla sede autostradale impongono una deviazione sulla strada
ordinaria. E’ qui che la nostra incertezza avrebbe potuto attardarci
ulteriormente, se il fido Tom non avesse individuato in tempo reale la via per
ricondurci in autostrada. Un chilometro di single track in un fitto bosco ci
riporta di nuovo sulla via per giungere a Holyhead. Qui alloggiamo al camping
Valley of the Rocks, situato su un promontorio granitico.
27 luglio,
domenica
Dopo tre
giorni di marcia forzata è quanto mai opportuno un giorno di relax.
Ci svegliamo
alle ore 9.00, con calma ci prepariamo per partire con il traghetto-aliscafo
delle ore 12.00, che ci porterà a Dublino.
All’imbarco
siamo tra i primi; sbrigate le formalità ci allineiamo secondo le indicazioni
dietro un camion che trasporta un cavallo, che nell’attesa sporge il suo muso
fuori dal finestrino destando la nostra curiosità.
Il posteggio
si riempie, poi inizia l’operazione d’imbarco. Gli addetti chiamano con un cenno
i mezzi, che vengono ordinatamente sistemati nella stiva. Parte il camion col
cavallo, accendiamo il motore, convinti di doverlo seguire, invece ci stoppano.
Vengono chiamate tutte le automobili, il nostro camper e un altro che ci segue
sono gli ultimi ad essere imbarcati. Saliamo in coperta, ci accomodiamo a un
tavolino dove consumiamo il pranzo al sacco e inganniamo il tempo del viaggio
leggendo. La giornata è stupenda, il vento tiene libero il cielo e muove
leggermente il mare d’Irlanda.
Due ore di
viaggio e siamo a Dublino. Sbarchiamo e grazie alla precisa guida di Tom
raggiungiamo la casa di Simone e Eileen, con i quali trascorriamo felicemente
il pomeriggio e la sera. La notte la
passiamo al camping della città, il Camac Valley.
28 luglio,
lunedì
Anche oggi
il giorno si presenta meteorologicamente splendido. Rare nubi alte nel cielo
corrono veloci sospinte dal vento che in quota è intenso. Siamo diretti verso
sud. La prima tappa è nella contea di Wicklow, per visitare a Glendalough i
resti di un antichissimo luogo monastico.
Tom ci guida
attraverso le montagne su una stretta strada panoramica, che scorre dapprima in
un folto bosco di faggi e pini e poi, raggiunta una certa quota, lungo i crinali
erbosi suddivisi in tanti pascoli, qua e là occupati da greggi. Uno scuro
torrente dalle acque torbate taglia le zolle e allaga le conche di abbeveraggio.
Questo panorama, che ci ricorda le Highlands scozzesi, ci piace molto.
Raggiunto
Glendalough parcheggiamo presso il lago superiore. Qui pranziamo, poi lungo la
strada pedonale raggiungiamo il complesso monastico. La passeggiata è piacevole
e riposante. Camminiamo in una foresta di betulle, querce e faggi. La
stradicciola costeggia il lago inferiore. Lungo le rive del suo emissario sorge
il complesso monastico. La bella e calda giornata di sole fa risaltare la grigia
pietra granitica di quell’antichissimo luogo di culto, fondato da san Kevin
verso la fine del VI secolo. Il complesso, che si è ampliato nei secoli
successivi, ha avuto il massimo splendore intorno al XII secolo poi, quando la
diocesi di Glendalough fu unita a quella di Dublino, iniziò il suo decadimento,
che divenne totale nel 1398, quando gli inglesi lo distrussero.
Delle
antiche chiese e degli edifici rimane poco, svetta tra essi la torre cilindrica,
alta 33 metri col tetto a forma di cono. Essa fungeva da campanile, ma anche da
torre di avvistamento e da rifugio per i monaci, tant’è che la porta di accesso
è situata a tre metri d’altezza, i monaci la raggiungevano con una scala, che
poi ritiravano all’interno della torre stessa.
Intorno e
dietro la torre c’è il cimitero, che meriterebbe più rispetto da parte dei
visitatori.
La nostra
giornata continua con un altro spostamento fino a Kilkenny, dove alloggiamo al
camping Tree Grave. Qui ci accoglie con cordialità un signore di
mezz’età, sfoderando un caloroso sorriso di benvenuto, accompagnato da un saluto
nella nostra lingua e da un colloquio fatto con una pronuncia chiara per
facilitare la nostra comprensione.
29 luglio,
martedì
Dopo la
notte di pioggia battente ci svegliamo sotto un cielo rassicurante. Il vento
teso sta spazzando via i plumbei cumuli aprendo ampi squarci di azzurro.
Oggi ci
dedichiamo alla visita di Kilkenny. Dal campeggio con una camminata di mezz’ora
raggiungiamo il cuore della cittadina di origine medioevale. La nostra visita
inizia dal castello e dal suo parco, che occupano il culmine della collina, che
degrada verso il fiume Nore.
Poi,
percorrendo la strada principale, sulla quale si affacciano alcuni antichi
edifici storici, ora sede del municipio e di un museo, raggiungiamo sulla cima
di un’altra collinetta la cattedrale anglicana di St. Canice. Costruita in stile
gotico, ci colpisce il soffitto della navata centrale realizzato nel 1800 con il
legno della sequoia canadese. Nella chiesa vi sono numerose tombe di famiglie
illustri e di vescovi. Nella sua parte più antica c’è una sedia di pietra
risalente al 400, ancora usata in occasione dell’insediamento del vescovo.
Accanto alla chiesa c’è un’alta torre a base rotonda.
Concludiamo
il giro della città visitando la cattedrale cattolica e la Black Abbey, bella
chiesa fondata dai domenicani: vi è esposto il santissimo Sacramento, sostiamo
in preghiera insieme ad alcuni monaci.
Pranziamo in
un pub, gustando un sandwich irlandese insieme a un bicchiere di birra e, dopo
aver fatto un po’ di spesa, rientriamo al camping e ci concediamo il meritato
riposo.
30 luglio,
mercoledì
Il vento
intenso di questa mattina dà il fàilte al nuovo giorno, è
l’augurio gaelico di benvenuto, che noi interpretiamo come una promessa di
un dì soleggiato dopo la pioggia intermittente della notte.
Prima di
lasciare Killkenny facciamo il pieno a un prezzo conveniente. In Irlanda il
gasolio costa più della benzina, ma è comunque un po’ meno caro che in Italia.
Oggi lo troviamo a 1,40 €/l. Sfruttano questa economica pompa anche un gruppo di
motociclisti, dotati di veicoli d’epoca, che farebbero brillare di curiosità e
gioia gli occhi del nostro amico Roberto.
La direzione
è verso sud-ovest, bypassiamo Corck, raggiungiamo Kinsale. Seguiamo una strada
nazionale, che solo a tratti è degna del suo rango, percorriamo la verde
campagna irlandese, distesa su un ondulato territorio, tutto suddiviso in poderi
color smeraldo, separati da siepi e filari di alberi scuri. Bovini color miele,
bruni, neri, dal manto variamente pezzato, pascolano e ruminano tranquilli,
mentre in altri spazi gli agricoltori raccolgono il frutto della loro fatica.
Kinsale è un
grazioso paese adagiato lungo la baia omonima, luogo ideale per ospitare i
natanti. Una volta porto peschereccio, ora vede questa attività notevolmente
ridotta a favore dello sviluppo turistico. Le case vivacemente colorate la
caratterizzano e la distinguono dai tanti borghi grigi attraversati finora. Nel
pomeriggio percorriamo la strada costiera, che offre scorci paesaggistici
veramente interessanti. La costa segue il profilo della baia, che è profonda e
articolata. C’è l’alta marea, fa caldo, il camper è inondato da un intenso
profumo di mare e dagli stridii degli uccelli acquatici, che si riposano
appollaiati sugli scogli affioranti.
Superato il
paese di Timoleague, ci fermiamo al camping Sexton’s dove siamo accolti
da una simpatica signora, che dice di conoscere Milano e Como, perché sono
ottimi centri per lo shopping.
Al
crepuscolo la quieta campagna che ci circonda si anima di stormi di uccelli
neri, corvi che si fermano sui prati per poi riprendere il volo alla ricerca di
un ricovero per la notte.
31 luglio,
giovedì
Appena il
vento ha smesso di soffiare, l’umidità oceanica ha incominciato a gonfiare le
nubi fino a saturarle. Oggi è il primo giorno di clima irlandese, la pioggia
cade fitta e sottile, rendendo il paesaggio monocromatico. Lasciamo il
campeggio, ritorniamo un po’ indietro per visitare il pittoresco villaggio di
Timoleague, il cui nome gaelico è Tigh Molaga, che significa casa di Molaga.
Esso è dominato dagli imponenti ruderi di un’abbazia francescana costruita nel
1240, su ciò che rimaneva del centro monastico del 600 fondato da santa Molaga.
Dell’abbazia
si riconoscono ancora le singole parti: la chiesa con la navata, il transetto,
il coro; la sacrestia, il dormitorio, la biblioteca. Oggi questi spazi sono il
cimitero del paese. Girando tra le tombe antiche e recenti si percepisce un
senso di profonda spiritualità e risuona nell’animo la domanda evangelica:
“Perché cercate tra i morti Colui che vive?”
Non si può
non elevare una preghiera di suffragio per questi defunti e al contempo
rivolgere un ringraziamento a Dio per ciò che ci sta donando.
Proseguiamo
per Courtmacsherry, il colorato villaggio peschereccio e turistico che si trova
sul capo della baia. C’è bassa marea, le barche sono in secca e sul mare ora
diventato un prato di alghe numerose specie di uccelli marini cercano sul fondo
limaccioso il loro nutrimento. Entriamo in un piccolo emporio per comperare
alcune cartoline. La signora che lo gestisce ci accoglie con grazia, si scusa
per il tempo inclemente, quasi fosse colpa sua, e ci augura comunque una buona
giornata.
Il nostro
viaggio riprende verso ovest, attraverso le lunghe penisole che si protendono
nell’oceano Atlantico. La strada offre diversi panorami. Passiamo attraverso
zone prative occupate da una grande quantità di mandrie bovine, che ci accertano
e confermano la bontà della carne irlandese, borghi di piccole case contornate
però da ampi e variopinti giardini, zone boschive, rese ancora più scure dalla
bigia giornata.
Quando la
strada costeggia la costa lo sguardo spazia lungo le ripide e frastagliate
scogliere, che si allungano nel mare con scogli affioranti e isole lontane.
Pranziamo a
Bantry posteggiando il camper di fronte all’oceano, poi proseguiamo per la
penisola di Beara. Lasciamo la strada nazionale e ci dirigiamo a Bearhaven. La
strada regionale segue la costa, alla nostra destra il paesaggio è alpino: le
montagne presentano versanti prativi tutti inframmezzati da rocce affioranti;
alla nostra sinistra c’è l’oceano con una ricca vegetazione fiorita che gli fa
da contorno.
Alloggiamo
al Bearhaven Golf Club, è un’area attrezzata affacciata sulla baia, ha di
fronte l’isola di Bear. E’ pomeriggio, ora non piove più, ne approfittiamo per
fare una passeggiata lungo le nove buche del campo da golf. Camminiamo su un
morbido tappeto erboso fermandoci a guardare la maestria dei giocatori piccoli e
grandi.
Dato il
clima non propriamente estivo, ceniamo alla montanara: pulenta cuncia.
All’imbrunire si alza il vento, che spinge verso terra le ultime nubi col loro
carico d’acqua, mentre l’orizzonte si tinge di rosa, lasciando sperare in un
giorno migliore.
1 agosto,
venerdì
Un raggio di
sole penetra dalla finestra, illumina il letto e ci sollecita ad alzarci col
buon umore, perché la giornata odierna, pensata come una gita fino all’isola di
Dursey, si prospetta eccezionale.
Partiamo
dalla piccola area lasciando un segno della nostra presenza per ritrovare il
posto al ritorno. Superata la cittadina di Castletownbeare, la strada in un
continuo sali scendi segue la costa aprendosi su paesaggi davvero suggestivi. I
versanti erbosi geometricamente divisi in diverse proprietà si estendono verso
l’oceano, che mina la loro base con i suoi flutti. Tra essi dei laghetti azzurri
riflettono note dorate. La strada poi si addentra un po’ nell’entroterra.
Attraversa brulle e grigie montagne, rese meno tetre dal rosa intenso dell’erica
in fiore, che si insinua tra gli scisti affioranti. L’ultimo tratto, di nuovo
costiero, è tanto stretto, quanto bello. Il traffico è scarso, ma gli irlandesi
che incrociamo, così veloci quando la strada è libera, si lasciano prendere dal
panico. Considerata la lunghezza del nostro mezzo, le strade strette, la bravura
di Giuseppe a districarsi nelle più complesse situazioni, chiedo per lui al
Ministero dei Trasporti la patente C ad honorem !
Giunti sul
capo decidiamo di non attraversare con la teleferica a sei posti lo stretto
braccio di mare che separa il capo dall’isola di Dursey, perché le persone in
attesa sono veramente tante e le corse sono limitate a un breve orario.
Preferiamo fare una passeggiata lungo la scogliera del promontorio. Dall’alto
ammiriamo l’oceano, che oggi lambisce con dolcezza la nuda roccia e si lascia
navigare anche da piccole imbarcazioni. In lontananza avvistiamo alcune
isolette, ultime propaggini dell’Europa. Lo stridio dei gabbiani e il belato
delle pecore sono dispersi dal vento che li fa rimbalzare di roccia in roccia.
Di fronte c’è l’isola di Dursey, è quasi disabitata, è brulla e rocciosa.
L’isola ha dato i natali nel 1590 a don Phillips O’ Sullivan, che visse il
periodo storico anglo-irlandese sotto la regina Elisabetta I. Di questo
sacerdote, formatosi nelle scuole clericali spagnole, si conservano molti
scritti, quello di maggiore importanza è “La storia dell’Irlanda cattolica”.
Nel
pomeriggio raggiungiamo Garnish Point, un altro punto caratteristico dell’apice
della penisola. Qui alcune persone stanno facendo il bagno nell’acqua gelida,
alzando spruzzi e grida acute. Sulla via del ritorno ci fermiamo a
Castletownbeare, visitiamo il suo porto peschereccio, che è il secondo in ordine
di importanza per questa nazione. Poi, passeggiando lungo la sua via principale,
incrociamo dei tipi caratteristici e un matrimonio. Sposi e invitati festeggiano
l’evento stappando una bottiglia di spumante sul sagrato della chiesa. Auguri!
2 agosto,
sabato
Quando il
gallo canta alle ore 7.00 siamo ancora addormentati. Prontamente ci alziamo,
perché la giornata prevede lo spostamento dalla penisola di Beara a quella di
Iveragh, dove percorreremo quasi tutto il rinomato Ring of Kerry.
Lasciamo
l’area camper e ci inoltriamo lungo la strada già percorsa nei giorni scorsi.
Per raggiungere l’altra sponda della penisola decidiamo, dopo qualche
chilometro, di svoltare a sinistra e di valicare le Caha Mountains, che è la
dorsale di questa terra protesa sull’oceano.
La strada è
molto stretta però, data l’ora mattutina, speriamo di non incontrare veicoli che
viaggiano in senso opposto. Voltate le spalle alla baia, che brilla toccata dai
primi raggi del sole, ci inerpichiamo lungo i versanti di una valle scura,
solcata da un torrente dalle acque torbate e ricoperta da un denso strato di
nubi, che si abbassano fino a nascondere le cime delle montagne. Il paesaggio è
tipicamente alpino, sembra di essere intorno ai 2000 metri, invece la montagna
più alta non raggiunge i 700 metri di altitudine.
Tra le rocce
affioranti pascolano le pecore, hanno il dorso colorato di azzurro o di rosso,
secondo il loro proprietario. Superato un bel ponte in pietra, con un ultimo
strappo giungiamo allo Healy Pass, dove c’è un calvario di marmo bianco. Ci
fermiamo. Il passo è intitolato a Thimoty Michael Healy, nato in questa contea.
Egli fu un importante personaggio politico del primo Governo Generale d’Irlanda.
Morto nel mese di marzo del 1931, nell’aprile dello stesso anno gli fu dedicato
il passo.
Sosta
provvidenziale! Infatti, appena rimesso in moto il camper, sopraggiungono un
camion e un’automobile. Qui in alto c’è uno slargo e l’incrocio è facilitato per
la gioia di tutti. La discesa è più lunga e più dolce, offre un bello scenario:
un nero lago glaciale incuneato tra il verde delle pinete e dei pascoli e come
sfondo l’oceano. Giunti sulla costa ne seguiamo il profilo fino sul fondo della
baia, dove ci fermiamo a Kenmare. E’ una cittadina turistica organizzata lungo
due vie principali che si intersecano. Dopo la visita della cattedrale di stile
neogotico, curiosiamo nei negozi di lane e lini e iniziamo il nostro shopping
natalizio dedicato agli amici.
Alle ore
12.00 riprendiamo il viaggio seguendo l’indicazione Ring of Kerry. Lo
percorriamo nel senso orario. Questa direzione, sconsigliata dalle guide
turistiche, perché i pullman delle gite organizzate svolgono il tour nell’altro
senso, ha secondo noi due vantaggi. Quello più evidente è che, essendo il senso
di marcia a sinistra, si percorre il Ring sulla corsia che costeggia il mare,
così si ammira meglio il panorama e si può approfittare più comodamente delle
piazzole di sosta per fermarsi a fotografare. L’altro vantaggio è personale.
Essendo noi diretti verso nord, risparmiamo qualche decina di chilometri.
Il primo
tratto del Ring non è entusiasmante, perché la strada scorre protetta da alte
siepi fiorite, poi inizia lo spettacolo: dall’alto osserviamo la baia contornata
da alte scogliere e le piccole insenature di spiaggia bianca. Il sole gioca a
nascondino tra le nubi in continuo movimento, i colori dei fiori, dei prati,
delle rocce e dell’oceano risaltano particolarmente. La strada è trafficata in
entrambi i sensi di marcia, Giuseppe guida con attenzione e prudenza, che non
sono mai troppe. Infatti all’improvviso una mucca, scappata da un pascolo,
attraversa la strada e incomincia a correre incontro ai mezzi che viaggiano nel
senso contrario al nostro.
Giunti a
Cahersiveen ci fermiamo al campeggio Mannix Point, non senza qualche
trepidazione. Infatti, sapendo che lunedì 4 agosto in Irlanda è festa nazionale
e che qui c’è il festival della musica celtica, in data 15 luglio abbiamo
prenotato via internet un posto, ma per ben due volte non abbiamo ricevuto
risposta. Nonostante ci sia esposto il cartello full ci presentiamo alla
reception. Quando diciamo che avevamo prenotato, leggiamo sul viso dei due
ragazzi dell’ufficio un certo sconcerto. Verificano sul monitor la presenza
della prenotazione e lo sguardo che si scambiano diventa di disagio e di
preoccupazione, perché le nostre due richieste sono registrate. Non sanno cosa
dirci e chiamano il loro superiore. Questi accerta l’errore, con gentilezza si
attiva per assegnarci una piazzola. Dopo circa mezz’ora abbiamo il posto. Per
farsi perdonare del disguido il direttore ci eroga gratuitamente la corrente
elettrica.
Uno scroscio
di pioggia improvvisa e violenta ci fa rintanare per 10’ sul camper, poi torna
il sole e noi con una camminata di mezz’ora andiamo in città per prendere
visione dell’orario della messa.
La prima
chiesa che incontriamo non è più consacrata. Ora è un pub. Non ci piace questa
soluzione spesso presente nei paesi del nord Europa. La mensa del Signore
trasformata in un luogo di gozzoviglie proprio non ci piace. Proseguiamo fino in
centro. La cittadina è già tutta in fermento. Ci sono delle orchestrine che
suonano musica popolare e palchi di legno sui quali ballano coppie giovani e
anziane ritmando con i tacchi i passi della danza, ci sono suonatori di musica
folk che cantano fuori dai pub contornati da un pubblico bevitore, ci sono stand
di generi alimentari e di artigianato. Iniziamo a gustare la sera e decidiamo di
tornare dopo cena.
Sono passate
ormai tre ore, musica, canti e balli continuano; sono cambiati i protagonisti,
ma non l’atmosfera di festa. I bambini hanno il viso truccato, tutti gli adulti
uomini e donne, giovani e anziani bevono birra, le ragazze, incuranti della
serata non propriamente estiva, vestono abitini succinti. Ora la via principale
è chiusa al traffico, altri artisti di strada compiono le loro magie. C’è il
clown, che incanta i bambini trasformando lunghi palloncini in spade, farfalle e
fiori. Più avanti sul palco, dove nel pomeriggio si ballava, un gruppo di
ragazzi si sta preparando per mettere in scena uno spettacolo di fuoco. Quando
il capogruppo vede Giuseppe preparare la macchina fotografica gli si avvicina e
gli chiede se può mandargli le fotografie che scatterà, dato che finora non ha
immagini dello spettacolo. Giuseppe acconsente e lui gli consegna il biglietto
da visita con l’indirizzo e-mail.
Si attende
che diventi buio, poi agli angoli del palco vengono accesi i bracieri e iniziano
i giochi. Con torce di diversa forma i ragazzi, completamente vestiti di nero,
compiono evoluzioni da giocolieri al suono di un ritmo incalzante, in un
crescendo di difficoltà, fino alla girandola finale, che sprizza scintille
imitando i fuochi d’artificio.
Applausi
scroscianti accompagnano le acrobazie. Prima di rientrare al campeggio ci
fermiamo in un pub per concludere la serata irlandese alla loro maniera, ma noi
ci limitiamo a una Guinnes in due.
Grazie alla
collaborazione della generosa collega di Paola, Naila, riusciamo a inviare a
Passepartouts, iragazzi del fuoco, oltre alle fotografie anche il diario di
questa indimenticabile giornata.
“ At
cockrow, at about 7, we are still asleep. We get up quickly because today we’re
going to move from Beara Peninsula to Iveragh Peninsula where we will drive
along almost the famous Ring of Carry.
We leave
the camper area to follow the way already run the previous day. To reach the
other side of the peninsula we decide, after some kilometres, to turn left and
to cross the Caha Mountains, which is the ridge of this land outstretched into
the ocean.
The road
is very narrow but, thanks to the early morning hour we hope not to meet
vehicles in the opposite way. Turning our back to the bay shining at the first
sunbeams, we climb up the slopes of a dark valley, run through by a stream with
water and peat and covered by a thick layer of clouds, which hide the mountain
tops. The landscape is typically alpine, it looks like being at about 2000
metres, on the contrary, the highest mountain doesn’t reach 700 metres of
height.
Sheep
coloured in light blue or red, according to their owners, are grazing among the
emerged rocks. After crossing a nice stone bridge, with a last go, we reach
Healy Pass, where there is a white marble calvary and there we stop. The Pass is
named after Timothy Michael Healy, born in this county. He was a very important
political figure of the First General Government of Ireland. He died in March,
1931 and in April of the same year the Pass was named after him.
This stop
is providential! In fact, as soon as the camper starts, a lorry and a car
arrive. Up here there is a widening and the crossing is easier to everybody’s
joy. The downhill road is longer and gentle and offers a nice scenery: a black
glacial lake wedged into the green colour of pinewoods and pastures and the
ocean in the background. After reaching the coast, we follow the outline up to
the end of the bay, where we stop at Kenmare. It is a holiday town built along
two intersecting main roads. After visiting the cathedral in Neo-Gothic style,
we have a look around the wool and linen shop, thus giving start to the
Christmas shopping for our friends.
At 12 we
set out a game following the road sign for Ring of Carry. We travel in a
clockwise direction. This direction is not recommended by the tour guides
because the coaches of the organized trips make the tour on the other direction,
but according to us it offers two advantages. The most evident one is that,
driving on the left, we drive along the Ring just going along the coast, so we
can better admire the view and we can take advantage of the lay-by to stop and
take some photos. The other advantage is personal, because going to the North,
we can spare a few dozen kilometres.
The first
part of the Ring is not exciting, because the road runs sheltered by high hedges
full of flowers, then the Ring offers a wonderful view: from the top we can see
the bay edged by high cliffs and the small inlets with white sand. The sun plays
hide and seek among the clouds always in motion and the colours of the flowers,
the meadows, the rocks and the ocean show up brightly. The road is
traffic-congested in both the directions and Giuseppe drives very carefully,
which is never too much. In fact, suddenly, a cow escaped from a pasture,
crosses the road and starts running against the vehicles driving in the opposite
direction.
Reached
Cahersyveen we stop at the Mannix Point camping, not without some anxiety. In
fact, knowing that on Monday 4th August in Ireland it is national
holiday and that here there is the Celtic Music Festival, on 15th
July we booked a place through Internet but we tried twice without any answer.
Notwithstanding there is a “full” sign, we reach the reception and, when we say
that we booked in advance, we read a certain disconcertment on the two boys’
faces there in the office. They check for our booking on the pc and the glance
they cast changes into apprehension and worry because our two requests are
registered. They don’t know what to say and call their manager. He verifies
their mistake and very kindly he manages to give us a place. After about half an
hour we have that place and to apologize for the trouble the manager supplies us
with free electric current.
We are
caught in an unexpected and violent shower and we have to shut up in our camper
for ten minutes, then the sun comes out again and after a half an hour walk we
reach the town to take note of the Mass hour.
The first
church we meet is no longer consecrated and now it is a pub. We don’t like this
solution always adopted in the North European countries. We really don’t like
that the Holy Communion is turned into a place of carousal. We go as far as the
centre to see that the town is already in excitement. There are bands playing
popular music and stands where young and old couples dance beating time with
their feet, there are folk music players who sing outside the pubs surrounded by
a drinking audience and there are food and handicraft stands. We start enjoying
the evening and decide to come back after dinner.
Three
hours have gone by and music, songs and dances are going on; people have changed
but not the festival atmosphere. Children are made up, all the men and the
women, young and old, drink beer and the girls, regardless of the not really
summery evening, are scantily dressed. Now the main road is closed to traffic
and other streets jugglers cast their spells. There is the clown who enchants
children turning long balloons into swords, butterflies and flowers. Further on,
on the stand where people danced in the afternoon, a group of young people is
arranging to put on a fire show. When the group leader sees Giuseppe who is
preparing his camera, he approaches and asks if he can send him the photos he is
going to take, because till now he has no pictures of the show. Giuseppe agrees
and he gives him the business card with his e-mail address.
When it
gets dark, the braziers are lit at the corners of the stand and the games start.
With torches of different shapes young people, completely dressed in black,
perform evolutions as jugglers at the sound of a pressing rhythm, in a crescendo
of difficulties, up to the final whirl, which sparks looking like fireworks.
Thundering
applauses follow the acrobatics. Before going back to the camping we stop in a
pub to end the Irish night according to their way, but we limit to a Guinness in
two.”
3 agosto,
domenica
Anche oggi
la sveglia è piuttosto mattutina per essere un giorno di vacanza. Sono le 7.30,
dobbiamo prepararci e raggiungere la chiesa con la solita camminata di mezz’ora
per partecipare alla messa delle ore 9.00.
Il cielo è
completamente coperto da un denso strato di nubi il cui colore spazia nella
gamma cromatica compresa tra il grigio perla e il nero.
Siamo
dispiaciuti, perché avevamo pensato a una gita sull’isola di Valentia con il
pranzo al sacco. Confidiamo però in un rapido cambiamento.
Usciti da
messa, lungo la via del ritorno, ci sorprende un acquazzone tipico dell’Irlanda:
violento, associato a intense raffiche di vento, di breve durata. Non un balcone
per ripararci, non un androne dove rifugiarci. L’acqua che prendiamo è quanto
basta per inzupparci da capo a piedi. Rassegnati raggiungiamo il campeggio e
dedichiamo il resto della mattinata alla corrispondenza e al bucato, che ci
costa caro: ben 8.00 € per lavare e asciugare un carico. Dato il clima non
possiamo fare altrimenti!
Sono quasi
le 13.00, quando il vento impetuoso che non ha più smesso di soffiare, inizia a
dare dei risultati positivi. Il cielo si schiarisce, l’azzurro prende possesso
della volta e il sole fa sentire il suo calore. Optiamo per un rapido pranzo a
base di panini e ci mettiamo in sella alle nostre biciclette per compiere la
gita programmata.
L’isola di
Valentia fa da frangiflutti alla baia di Cahersiveen. Essa è collegata alla
terra ferma a nord con un piccolo traghetto, che parte con una periodicità di
10’ e in 5’ attracca sull’isola e a sud con un ponte.
Usciti dal
campeggio ci dirigiamo a Reenard Point, dove c’è l’imbarco. In meno di mezz’ora
siamo sull’isola. Abbiamo deciso di riutilizzare il traghetto anche per il
ritorno, perché preferiamo consumare i chilometri girando l’isola in ogni suo
punto caratteristico, piuttosto che percorrerli sulla statale della penisola.
Sbarchiamo a
Knightstown e subito inforcate le biciclette e indossati i caschetti iniziamo a
salire verso il Grotto, il punto panoramico più a nord dell’isola. La strada è
stretta, la salita impegnativa anche per il fondo poco scorrevole e per il vento
implacabile.
Per fortuna
i 540 chilometri di allenamento accumulati nei muscoli in questi mesi e gli
agili rapporti delle biciclette ci aiutano ad affrontare il notevole dislivello.
Inoltre il pomeriggio sempre più splendente, l’ombra rinfrescante del primo
tratto e il panorama che lascia sbalorditi sono uno sprone per continuare.
Sembra di pedalare in un giardino. La strada è contornata da siepi fiorite.
L’Irlanda ha questo di straordinario: una vegetazione molto varia. Le forti
essenze dei climi freddi crescono insieme alle gracili erbe dei climi temperati,
che trovano nell’inverno mitigato dalla Corrente del Golfo la possibilità di
sopravvivere e nella breve e sufficientemente calda stagione estiva la
condizione per esplodere in variopinte fioriture e riprodursi. Potessimo
stampare anche il profumo! Esso è dolce, intenso, persistente.
Il Grotto è
la cima di una scogliera dalla quale osserviamo appena sotto di noi le piccole
isole Beginish e dei promontori della penisola di Iveragh, che creano nella baia
un dedalo d’acqua; lontano vediamo il profilo della penisola di Dingle, nostra
meta di domani.
A guidare il
traffico in ingresso e in uscita dalla baia c’è un faro bianco. Costruito nel
1841, dal 1947 lavora in modo automatico, emettendo una luce rossa ogni due
secondi.
Sul Grotto
c’è una grande cava di ardesia, tutt’ora in attività, dalla quale si sono
ricavate le pietre per la costruzione di importanti edifici anche britannici e
francesi.
In alto
all’ingresso della cava in un’umida frattura della roccia, dalla quale gocciola
acqua, è stata riprodotta la grotta di Lourdes. Una preghiera e poi di nuovo in
sella.
Per fortuna
dopo ogni salita c’è la discesa!
Chiudiamo
bene le nostre giacche antivento e giù per il pendio a grande velocità, pronti a
frenare e a rallentare quando incrociamo le automobili che salgono. A metà
discesa deviamo verso destra per raggiungere altri punti di osservazione:
Geokaun Mountain e le Fogher Cliff. La strada sale lungo il versante occidentale
dell’isola. Sotto di noi il terreno è tutto suddiviso in pascoli da muretti a
secco in pietra. Lì stanno tranquillamente brucando o ruminando dei lindi bovini
dal manto color panna. L’orizzonte è già l’oceano aperto, è una lunga striscia
blu. Dall’acqua spuntano delle isole piramidali, sono le Skelling, delle cuspidi
rocciose di cui la più piccola non è visitabile, essendo una riserva naturale
per l’avifauna, la più grande ha in cima un eremo che si raggiunge salendo una
lunghissima scalinata.
Dopo aver
percorso un tratto della salita, per raggiungere il punto di osservazione
lasciamo la strada asfaltata, paghiamo il biglietto di ingresso e percorriamo
una strada sterrata, che in molti tratti è così ripida da costringerci a
spingere a mano la bicicletta. Tanta fatica è però premiata da dei panorami
incredibili.
Fogher Cliff
è un balcone a strapiombo sull’oceano. In fondo l’acqua spumeggia bianca
infrangendosi sulle nere pareti della scogliera, intorno si colora di azzurro,
turchese e blu sempre più scuro. Il vento soffia tesissimo, ma là in basso non è
così forte. Infatti i flutti non generano fragori e gli spruzzi non si innalzano
molto.
Poi
raggiungiamo il punto più alto dell’isola, il Geokaun Mountain. Siamo
all’altezza di 268 metri: questo il dislivello che le nostre gambe hanno
superato! In cima ci sono pochi turisti e un po’ di pecore ….. irlandesi:
infatti sono marchiate con la vernice verde! Da qui, girando lo sguardo a 360°,
abbiamo il quadro d’insieme di ciò che ci circonda. La discesa la facciamo tutta
in sella. Questa volta i freni li usiamo in continuazione fino alla fine dello
sterrato.
Torniamo
all’imbarco completando il giro dell’isola. Passiamo per Chapeltown e poi
costeggiamo la riva meridionale, più calma e riparata e quindi usata come rada
per le imbarcazioni da diporto. Siamo di nuovo all’imbarcadero, un po’ di attesa
e alle 19.00 sbarchiamo. Abbiamo percorso quasi 30 km facendo una gita che non
scorderemo.
Dopo cena in
modo del tutto casuale scopriamo che nella sala ritrovo del campeggio alcuni
ospiti iniziano a intonare canzoni popolari e ballate accompagnandosi con delle
chitarre, due violini, un flauto traverso e diversi strumenti a percussione.
Canti e musiche si alternano a lunghe sorsate di birra. Partecipiamo a questo
momento spensierato con vero piacere, la gioia di stare insieme in modo semplice
ci riporta indietro negli anni, quando queste serate le trascorrevamo ai
campeggi dell’oratorio.
4 agosto,
lunedì
Sveglia
libera, ci alziamo alle ore 9.00 e, dopo aver preparato il camper rifornendolo
anche di carburante, continuiamo il viaggio ultimando il Ring of Kerry. Il
cielo, coperto in modo uniforme, non dà risalto al paesaggio, che è brughiera o
oceano secondo che la strada sia tagliata un po’ all’interno o sulla costa.
Poco prima
di Killorglin, lungo un tratto di strada che percorre una zona molto umida di
torbiere, ci fermiamo in una spaziosa piazzola dove c’è un improvvisato
mercatino. La nostra pausa caffè diventa anche occasione per uno scambio
culturale. C’è una bancarella che vende oggetti vari di brocantages. Ci sono
servizi di ceramica, porta burro, vecchi ferri da stiro, un microscopio,
campanelli, acquasantiere. Ci piace un pendaglio di cuoio e ottone. Riporta i
simboli dell’Irlanda: il trifoglio e l’arpa irlandese, uno strumento a corde
simile alla cetra. Lo comperiamo per appenderlo alla nostra parete dei ricordi.
La signora che ci vende l’oggetto ci chiede da dove veniamo. Saputo che siamo
italiani ci dice che lei ama molto il nostro paese. Era in Italia a studiare nel
1966 quando accadde l’alluvione di Firenze. Ha ancora negli occhi quelle
tragiche immagini e dice di aver sofferto molto in quei giorni per quella città.
Poi ci augura una buona giornata e auspica che presto si faccia largo tra le
nubi “the sun” e ci chiede “in italian”?
Subito dopo
avvicinandoci a un anziano e a due ragazzi che hanno ciascuno un asinello
scopriamo a cosa serve l’oggetto che abbiamo acquistato. E’ il pendaglio, che
attaccato alle briglie scende sul muso dell’animale. Chiediamo ai contadini di
poter fotografare la scena rurale. Loro sono lì per questo, accettano
volentieri. Gli asini hanno un pelo morbidissimo, sono docili, si lasciano
accarezzare, sembrano proprio gradire le coccole. Poi chiediamo al contadino più
anziano se ci regala un pezzo di torba; anche quest’anno Paola porterà qualcosa
di nuovo al laboratorio della scuola.
A Killorglin
ci fermiamo nuovamente. Questa volta ci attrae una Wollen House posta
sull’estuario del fiume cittadino, dove alcune persone stanno pescando il
salmone. Curiosiamo e facciamo altri acquisti natalizi.
Dopo qualche
chilometro, svoltando a sinistra, abbandoniamo la statale per percorrere la
strada litoranea della penisola di Dingle. Su un’ampia piazzola vista mare
pranziamo. Ripreso il tragitto ci fermiamo a Inch per ammirare dall’alto la
splendida spiaggia che si lascia lambire dall’oceano per alcuni chilometri, poi
la costa diventa alta e rocciosa e la strada piega verso l’interno offrendo un
paesaggio particolare. Si vede lo sfruttamento agricolo del territorio; esso si
espande sui versanti montuosi fin dove si inerpicano bruscamente, disegnando su
di essi una chiara scacchiera.
Siamo ormai
in pieno territorio gaelico, anche le indicazioni stradali sono scritte con
questo antichissimo idioma. Qui la cultura celtica è fortemente radicata anche
perché il territorio conserva le vestigia di questa lontanissima civiltà. Ci
fermiamo al camping Teach an Aragail
di Ballydavid.
Il camping è
a conduzione famigliare. I proprietari, due anziani coniugi, ci accolgono con
molta cordialità e ci
istruiscono riguardo alle possibilità turistiche della
zona. Ci offrono materiale informativo, scusandosi perché è scritto solo in
inglese. Quando rispondiamo che abbiamo la documentazione, perché ci siamo
preparati al viaggio, sfoderano un sorriso di gioia e di apprezzamento.
Dopo esserci
sistemati visitiamo il Gallarus Oratory, un prezioso monumento
paleocristiano, molto ben conservato. Costruito con pietre impilate a secco le
une sulle altre, è lungo 8 m, largo 5 m e alto 5 m. Il tetto è a cupola ogivale
ed è chiuso in alto da nove pietre allineate. Fuori c’è una stele con incisa una
croce celtica, essa sorge su una pietraia, di cui non si conosce il significato.
Poco distante da questo sito c’è il castello. Più che un maniero è una casa
fortificata, costruita dalla famiglia Fiztgerald nel XV secolo. Ha la forma
rettangolare. Si può salire ai vari piani grazie a una scala a chiocciola
presente al suo interno. Trascorriamo la sera leggendo.
5 agosto,
martedì
La pioggia e
il vento di questa notte non sono bastati a liberare l’atmosfera della sua
abbondante umidità. Questa mattina il tempo è decisamente irlandese: le nubi
sono molto dense e si abbassano fino quasi a toccare il suolo. E’ ovvio che con
questa condizione meteorologica l’Ecotour delle isole Blasket non è da prendere
in considerazione. Decidiamo di anticipare ciò che avevamo previsto per domani,
precismente la sosta a Dingle, anche per fare la spesa, e il ring della punta
della penisola.
Dingle è
sorta sulla riva della baia omonima, che le fa da porto naturale. Ancora oggi la
piccola cittadina ospita un discreto porto in parte da pesca e in parte di
cabotaggio. L’insediamento si snoda lungo la via che costeggia il mare; oggi il
turismo è ciò che sostiene la sua economia. Non disdegniamo questo suo aspetto,
perché questa sua evoluzione è avvenuta nel segno della tradizione. Visitiamo la
chiesa, che fa parte di un complesso più grande. In origine era un sito
monastico delle clarisse. La chiesa, di costruzione abbastanza recente, è del
1812, è edificata in pietra viva. Ha delle belle vetrate che chiudono le
bifore. Ci piace anche la Via Crucis, che è moderna con i quadri in ceramica.
Ripreso il
camper ci dirigiamo verso ovest. La strada è intagliata nella roccia e a
precipizio sull’oceano. Gli scorci paesaggistici sono veramente stupendi, alte
scogliere sagomano la costa, che risulta frastagliata. Sul fondo delle
insenature piccole spiagge sono rese lisce dai flutti che hanno onde che
smorzano la loro forza rincorrendosi. Su un promontorio troviamo una piazzola
adatta ad una sosta prolungata. Ci fermiamo a pranzare. Siamo circondati dalla
natura aspra e selvaggia che con la sua voce potente: il fragore dell’oceano, il
sibilo del vento e lo stridio dei gabbiani, ci fa contemplare l’Infinito.
Ripartiamo e, dopo aver guadato un torrente, che attraversa la strada per poi
precipitare con una cascata nell’oceano, ci fermiamo su un altro promontorio,
che è collegato alla spiaggia tramite una ripida stradicciola. Scendiamo in riva
all’oceano. La spiaggia è animata, c’è persino una tenda ancorata alla
scogliera, è vicina a una cascatella di acqua dolce che filtra dalle rocce
sovrastanti. Camminiamo sulla sabbia a tratti interrotta dagli scogli resi
ancora più neri dai gusci dei mitili ad essi avvinghiati e dalle alghe che li
ricoprono. Scopriamo così che è il tempo della bassa marea. In una pozza
salmastra che circonda uno scoglio dei piccolissimi pesci nuotano. Speriamo per
loro che questa poca acqua non venga assorbita completamente dalla sabbia.
La
temperatura non è particolarmente bassa, 18° C, ma il vento fortissimo dà una
sensazione di freddo. Noi mediterranei siamo coperti, mentre i nordici, temprati
fin da piccoli, giocano nell’acqua e nuotano: è estate, quindi è il tempo dei
bagni!
Le isole
Blasket sono lì di fronte a noi grigie e scure emergono dall’oceano come dei
fantasmi.
A Dunquin ci
fermiamo per informarci riguardo al tour di domani. Scopriamo che le richieste
sono molte. Ci prenotiamo, salperemo domani alle ore 15.00.
Rientrati al
camping, Giuseppe fa la sua quotidiana esercitazione d’inglese. Conversa con il
simpatico ed estroverso padrone e viene a sapere che molte delle piante presenti
in questa zona dell’Irlanda, tra cui le liliacee dal fiore arancione, che danno
luce alle strade anche nei momenti più bigi, non sono autoctone. Esse sono state
importate all’epoca della colonizzazione britannica da un lord, appassionato di
botanica, proprietario di estese tenute. I fiori arancioni, che sembrano
gladioli in miniatura e che abbelliscono anche il nostro camper, sono originari
del Sudafrica.
Concludiamo
il pomeriggio tornando al Gallarus, dove comperiamo la croce di santa Brigida,
fatta con erbe essicate e intrecciate. La metteremo in casa.
Santa
Brigida, nata intorno alla metà del V secolo, ha costruito il primo convento
irlandese di questa regione. Morì nel 524. Ancora oggi è molto venerata. Il
giorno 1 febbraio, dì della sua festa, si usa esporre sull’uscio di casa la sua
croce, per proteggere la dimora dalle malvagità e dalla povertà.
6 agosto,
mercoledì
Ieri sera il
vento urlava con foga, mentre noi nel tepore del nostro cottage itinerante
concludevamo la giornata giocando a domino.
Speravamo
che tanto impeto bastasse a spingere altrove il carico d’acqua sempre incombente
sulle nostre teste, invece questa mattina ai nostri occhi si ripete la stessa
scena di ieri: nuvole basse e acquerugiola fine e sottile. Nonostante ciò
speriamo ancora, sono solo le 9.00, ora solare le 8.00, il tempo può cambiare! A
spegnere la nostra illusione arriva alle ore 9.30 la telefonata del centro
prenotazioni, che annulla l’escursione. Noi, però, non ci arrendiamo. Salutiamo
il padrone di questo tranquillo camping, che con tanta cordialità ci ha accolto
e ci rechiamo a Dingle per vedere se i tour operator, che partono da lì, oggi
navigano e se c’è posto. Lasciamo il camper nel grande posteggio a pagamento
lungo il molo e velocemente andiamo in un’agenzia. Si salpa oggi alle 12.00!
Intanto anche il tempo fa il tifo per noi. Il groviglio di nubi si dipana e
qualche occhio azzurro inizia a vedersi. La motonave è carica in ogni suo posto.
Puntuale salpa. Lentamente esce dal porto, transita nella baia, vegliata da un
antico torrione e dal faro, fino allo sbocco nell’oceano. La navigazione segue
la costa, praticamente stiamo ripercorrendo sull’acqua la strada costiera. Ieri
abbiamo guardato la scogliera dall’alto, oggi la osserviamo dal basso. Imponenti
blocchi porfirici entrano in modo perpendicolare nell’oceano. Sulla loro sommità
scorgiamo l’erba dei pascoli e gli insediamenti sparsi sia della popolazione
attuale che degli antichi celti. Vediamo alcune case in pietra a forma di
capanna e, meno evidenti perché si confondono con i muretti a secco che
delimitano i pascoli, i cerchi in pietra che avevano una funzione religiosa.
Individuiamo anche la spiaggia da noi visitata ieri. Non c’è vento, ma le onde
oceaniche si fanno sentire. La motonave sobbalza e poi sembra precipitare negli
abissi, la prua taglia l’acqua alzando spruzzi bianchissimi. Per esorcizzare la
paura alcuni gridano, altri ridono, passa poco tempo e alcuni iniziano a star
male, per fortuna noi no. Sconsigliamo vivamente questa escursione a chi soffre
il mal di mare!
L’oceano non
è bello e blu come lo si vede dall’alto. Sulla sua superficie si estendono
grandi chiazze di schiuma bianca: è messo peggio del fiume Lambro!
All’orizzonte si staglia il profilo delle isole Blasket. E’ un piccolo
arcipelago formato da un’isola maggiore, con intorno numerose isole più piccole.
L’isola grande è disabitata da cinquantacinque anni. Quando era abitata, è
stata la culla della letteratura irlandese. Le persone che vediamo su questa
erbosa isola sono i turisti che hanno scelto un altro tipo di tour, che prevede
lo sbarco. Delle altre isole, alcune sono degli scogli emergenti, altre hanno
dimensioni un po’ più consistenti, sono tutte rocciose, sui loro spuntoni
nidificano numerose colonie di uccelli marini. Vediamo dei gabbiani intenti alla
cova e delle sule pronte al volo. Sull’acqua riconosciamo due fulmar, i gabbiani
dalle penne screziate, che avevamo conosciuto in Scozia. La motonave rallenta
per permettere a tutti di vedere e di fotografare. Immaginate la gioia di
Giuseppe, installato il teleobiettivo inizia a scattare a raffica. Al rientro in
porto le fotografie memorizzate sono ben 400! La bellezza di queste isole è
davvero straordinaria. Il comandante le conosce bene, con perizia gira fra esse
per mettere in risalto il loro incanto. Ecco apparire davanti ai nostri occhi
delle rocce ad
arco,
le cui guglie svettano verso il cielo, sembrano delle cattedrali. Poco più
avanti adagiato un po’ in alto un batuffolo bianco spicca su una nera lastra: è
una foca, che si bea al calore del primo sole di questo giorno. Poi una piccola
insenatura, altri scogli con delle foche pigramente ferme, alcune al nostro
arrivo si tuffano in acqua e si celano tra i flutti e ancora un cucciolo curato
a distanza dalla madre, che nuota nell’acqua sottostante emergendo di continuo
per tenere sotto controllo la sua perla preziosa. C’è anche un delfino
giocherellone: quando il comandante lo avvista a tribordo e tutti cercano di
vederlo, lui fulmineamente si immerge per ricomparire a babordo. Il gioco lo
ripete due volte, poi si inabissa e scompare.
E’ ora di
tornare, il comandante vira, si sposta al largo, mette i motori a tutta forza e
torna a Dingle, dove ad aspettarlo c’è un altro gruppo di persone pronte a
godere di questa avventura ecologica.
Siamo al
camper allo scadere dell’orario pagato. Sono le 15.30, data l’ora decidiamo di
non pranzare. Ci mettiamo subito in moto verso Tralee. Seguiamo la strada più
rapida, la nazionale, che quando valica le Slieve Mish Mountains ci dona un
bello scorcio sulla costa settentrionale della penisola. A Tralee ci fermiamo al
camping Woodlands Park; è un campeggio ben organizzato. Prepariamo una
cena sostanziosa: risotto al curry, lonza ai ferri con insalata, frutta.
7 agosto,
giovedì
Grigia
giornata di spostamento, grigia perché il cielo bigio ci accompagna per tutto il
tragitto, grigia perché il paesaggio del territorio che attraversiamo non è
particolarmente interessante. Prima di lasciare Tralee, città che non sembra
meritare una visita, facciamo un buon rifornimento alimentare grazie a due
grossi supermercati.
Troviamo che
in media il costo della vita è paragonabile a quello italiano, alcuni generi,
quali il latte e la carne costano decisamente meno, mentre la frutta e gli
ortaggi hanno un costo elevato, ma non certo come gli alcolici, che in questa
nazione per legge non vengono venduti prima delle ore 10.30 del mattino nei
giorni feriali e prima delle ore 12.30 il sabato e la domenica. Questa regola ci
pare poco logica, non è certamente questo il modo di combattere l’alcolismo che
in effetti è qui diffusissimo.
Ci racconta
nostro figlio, che vive e lavora a Dublino, del basso tasso di criminalità
presente in Irlanda. La Garda, così si chiama la polizia, non è armata. Il suo
maggior lavoro consiste nel raccogliere dalle strade, soprattutto nei week end,
gli ubriachi.
Da Tralee
percorriamo la strada che porta a Tarbert. Taglia un vasto tavolato, una zona un
tempo poverissima, soprattutto nel periodo della grande carestia, dovuta ad
annate di pioggia intensa e incessante che ha fatto marcire i raccolti di
patate, principale sostentamento alimentare della popolazione. Oggi su queste
terre si pratica l’allevamento bovino, la zona non è fiorita e variopinta come
le penisole appena visitate, è intensamente verde.
Transitiamo
dalla cittadina di Listowel. La cattedrale sta proprio nel centro della piazza
principale sulla quale si affacciano case colorate. Da essa dipartono vie molto
animate e piene di negozi. Sul campo sportivo tantissimi bambini si stanno
allenando nello sport nazionale: il calcio gaelico. Non conosciamo nulla di
questo sport. Vediamo che si gioca con una palla sferica, che si passa sia con
le mani che con i piedi. La porta ha una rete come quella del calcio, ma i suoi
montanti sono alti come i pali del rugby.
La campagna
che separa Listowel da Tarbert è ricca di torbiere.
Tarbert si
trova sull’estuario del fiume Shannon, il più grande e importante corso d’acqua
dell’Irlanda. Esso nel tempo ha scavato sulla costa un profondo fiordo, usato
all’inizio del secolo scorso come scalo per gli idrovolanti diretti in America.
Per passare sulla riva opposta utilizziamo il traghetto che parte ogni mezz’ora.
Appena salpati il nostro presuntuoso quadratino parlante dà indicazioni circa la
direzione da prendere. Forse non sa che il comandante non ha bisogno di essere
guidato! Quando sbarchiamo, pranziamo. Siamo nella regione dello Shannon,
continuiamo il viaggio fino a Doolin dove ci fermiamo al camping Nagle’s.
Ci sistemiamo su un terreno erboso vicino a noi c’è una tenda. E’ chiusa. E’
senz’altro di olandesi, solo loro hanno un simile riparo! Lo spazio è protetto
da dei muretti in pietra. Le pietre sono messe a secco le une sulle altre in
orizzontale intervallate da pietre verticali. La cima è costruita con pietre
vicine tra loro tutte messe in senso verticale. Probabilmente questa struttura
costruttiva resiste meglio al fortissimo vento.
Nel tempo
pomeridiano, che ci rimane, andiamo all’imbarcadero per prenotare la gita alle
isole Aran, che faremo sabato insieme a Simone e Eileen, poi ci rechiamo al
villaggio di Doolin, dove le case sono poche, hanno il tetto di paglia e
ospitano negozietti di artigianato locale. La strada costeggia da una parte un
campo da golf. Molte persone stanno giocando, anche dei piccoli principianti…
futuri campioni? Dall’altra parte tranquille mucche pascolano. Osservandole bene
si nota che anche gli erbivori hanno i loro gusti. I prati sono rasi, ma le erbe
dai fiori gialli della famiglia delle composite proprio non piacciono e
svettano alte sul manto verde.
Rientrando
ci sorprende uno scroscio d’acqua. Cosa non farebbe Giuseppe per proteggere la
sua macchina fotografica! Oggi la chiude dentro la giacca impermeabile,
facendosi venire la pancia da tedesco!
Dopo cena si
alza dall’oceano il vento, è teso e freddo, rapidamente la temperatura scende
intorno ai 13° C; il cielo altrettanto velocemente si toglie di dosso la sua
grigia coperta e diventa il protagonista del paesaggio mostrandosi con contrasti
cromatici e mettendo allo scoperto le sue grandi luci. Bianca sopra i pascoli
veleggia il primo quarto di luna, infuocato cala nell’acqua il sole, tingendo
di rosa e viola l’orizzonte.
8 agosto,
venerdì
Bellissimo
risveglio, abbassiamo lo scuro e lo sguardo è inondato da una limpida visione:
cielo azzurro, oceano blu.
In mattinata
ci dedichiamo al camper, poi montiamo la tenda per Eileen e Simone, quindi
partiamo alla volta di Dublino. 500 chilometri ci attendono prima di essere di
nuovo qui per la notte, ma sono fatti con la gioia nel cuore, perché ciascuno
vale due giorni con loro.
Lasciamo
alle spalle l’oceano e ci addentriamo nel territorio. Salendo verso nord-est
entriamo nella contea del Burren, sterile terra calcarea fatta di colline di
nuda roccia, di conche lacustri incise sul duro tavolato, da cui si intravede in
lontananza l’oceano. Le strade sono strette e tortuose, ma soprattutto
sconnesse. Il limite di velocità è di 100 km/h, ma la velocità massima che
riusciamo a raggiungere è di 40 km/h. Finalmente ci innestiamo nella nazionale
che collega Galway a Dublino e riprendiamo velocità. Il taglio ovest-est non è
privo di interesse. Offre un paesaggio agreste. Ha tanti pascoli dove bovini,
pecore merinos e cavalli vivono quietamente questa giornata asciutta. Le
torbiere e le pinete di rimboschimento occupano i terreni più poveri. L’ultimo
tratto è un’ autostrada che ci porta dentro la capitale nell’ora di chiusura
degli uffici di un venerdì pomeriggio. Vi lasciamo immaginare il traffico
caotico e noi col camper alla ricerca del capolinea del tram, luogo di incontro
con Eileen e Simone. Siamo comunque arrivati per primi all’appuntamento!
Ripartiamo
insieme alla volta di Doolin. Ci fermiamo per cena presso un distributore.
Quando è ora di ripartire, sono le 22.30, il camper si impunta come un somaro e
decide di non avviarsi. Questo scherzo l’aveva già fatto alcuni giorni fa, ma si
era sempre risolto dopo qualche tentativo. Sappiamo che non dipende dalla
batteria, perché rimangono bloccati solo il motorino di avviamento e i vetri
elettrici, non è la chiave, ma è… e chi lo sa! Telefoniamo alla Mondial
Assistance, ci rispondono di richiamare domani mattina. Bella Assistance!
Siamo
disarmati, ma dal cielo, veramente dalla strada, arriva la nostra salvezza. Un
SUV con a rimorchio un trattore si ferma. Simone va a chiedere ai conducenti se
possono dare un’occhiata al nostro camper. Questi appaiono restii, ma poi
vengono, constatano la situazione, aprono il cofano, guardano, provano e
intuiscono che è l’antifurto che anche se non è attivato, blocca l’accensione
del motore. Dall’interno del camper aprono una scatoletta, mettono le mani, si
sente uno schiocco simile alla chiusura di un bottone automatico, il camper
riparte: il connettore della centralina dell’antifurto, per gli scossoni
ricevuti lungo le terribili strade irlandesi, si era spostato dalla sua sede e
non portava più il segnale di consenso all’avviamento. Ringraziamo di cuore, non
vogliono niente, si allontanano augurandoci buon viaggio. Siamo in ritardo
rispetto ai tempi previsti. Nonostante lo sforzo di guida veloce prodotto da
Giuseppe, l’inconveniente ci fa arrivare al camping fuori tempo massimo: la
sbarra si è chiusa alle 00.30, noi arriviamo alle 00.38. Simone e Eileen entrano
dal cancello pedonale e dormono nella loro tenda, Paola e Giuseppe dormono sul
camper che posteggiano appena fuori.
Acqua
violenta e vento incessante sono le note della notte.
9 agosto,
sabato
Il concerto
al mattino è ancora in corso. Alle ore 7.30, quando il camping apre la sbarra
noi entriamo. Eileen e Simone dormono nella loro tenda protetta dal muro. Dato
il tempo li lasciamo riposare, perché la gita alla grande isola delle Aran non è
proponibile. Aspettiamo qualche ora per vedere se qualcosa cambia. Alle ore
11.00 smette di piovere, decidiamo di salpare per la più piccola delle tre
isole, quella più vicina alla costa. Il vento è ancora violento, l’oceano
agitato, ci accomodiamo in coperta.
L’isola si
chiama Inisheer ed è uno scudo calcareo eroso dal vento. Lo sterile territorio è
stato strappato alla natura e reso produttivo mediante un duro lavoro. Le rocce
calcaree sono state in parte utilizzate per costruire i muretti che suddividono
le proprietà, il suolo è stato ricoperto con terra buona. I prati che sono stati
ricavati sono adibiti a pascolo. Guardare dall’alto il risultato di tanto lavoro
è stupefacente. L’isola assomiglia a un grande labirinto. Infatti i singoli
appezzamenti di forma irregolare sono collegati tra loro tramite piccole
aperture.
Saliamo al
castello che si erge sulla cima dell’isola, a poche decine di metri rispetto il
livello del mare. E’ un rudere risalente al XV secolo, racchiuso all’interno di
un antico forte ad anello. Questo è un buon punto di osservazione. Sotto di noi
la baia con il porto. L’oceano ha un bel colore turchese, la spiaggia è chiara,
c’è gente in acqua. A contornare il litorale l’unico insediamento umano: casette
sparse color pastello che ospitano circa 200 persone.
Dal
castello, seguendo una stradicciola giungiamo sul versante sud orientale
dell’isola, dove c’è il faro, che alla sera vediamo dal campeggio lampeggiare
ogni 10 secondi con una fulgida luce bianca.
Alle 14.00
la fame inizia a essere consistente, pranziamo in un pub con gustosi piatti
irlandesi a base di pesce e di agnello. Il clima che troviamo nel locale è
famigliare, stanno trasmettendo una semifinale del campionato di calcio gaelico.
L’aria è tesa, il pubblico, praticamente gran parte della comunità locale, segue
con trepidazione e libera la sua tensione esplodendo con un tifo fatto di
sospiri e di applausi secondo che la squadra preferita veda sfumare delle buone
azioni o segni.
Tornati in
campeggio trascorriamo la serata conversando piacevolmente con Eileen e Simone.
10 agosto,
domenica
Ancora una
notte di tempesta, che sul far del mattino si riduce a solo vento. Il cielo è
limpido e un’avvincente mareggiata riempie l’aria del profumo del mare. La
giornata odierna è divisa in due tappe. Il mattino lo dedichiamo alle Cliff of
Moher e il pomeriggio a Galway.
Le Cliff of
Moher sono uno dei punti naturalistici più interessanti dell’Irlanda. E’ una
scogliera che si estende per 8 km con scure pareti scistose a precipizio
sull’oceano. Le pareti più alte raggiungono 200 m di altezza. Su di esse fanno
il nido numerosi uccelli marini, tra i quali i gabbiani e i puffin. Questi
ultimi in questa stagione non ci sono, perché sono migrati. I gabbiani stanno
covando.
Seguiamo la
strada che da Doolin sale sull’altopiano e ci troviamo sopra la scogliera.
All’inizio siamo un po’ delusi, perché immaginavamo un ambiente selvaggio,
invece c’è un centro visitatori, la passeggiata è attrezzata, di conseguenza c’è
un’incredibile quantità di turisti. Superando però quest’impressione negativa e
affanciandoci alla balconata, non possiamo non ammirare tanta bellezza. L’oceano
là in basso urla con potenza, le onde, oggi particolarmente aggressive, quando
si infrangono salgono verso l’alto bianche e luccicanti e lentamente erodono la
roccia. La falesia è viva, le sue pareti non oppongono la stessa resistenza a
tanta furia. Sono perciò frastagliate. Dal mare emergono alcune guglie, che
testimoniano quanto l’oceano rubi terra al continente. Percorriamo tutto il
tratto lecitamente percorribile, ci facciamo anche delle fotografie per fissare
nel tempo il ricordo di questa gioiosa giornata. Poi, come altri turisti, ci
assumiamo la nostra responsabilità, superiamo lo sbarramento che avverte del
pericolo per l’assenza della protezione, e iniziamo a camminare lungo il
sentiero che prosegue per godere di altri arditi scorci. Il vento è molto forte,
il sentiero è scivoloso per le piogge di ieri e di questa notte, camminiamo con
cautela senza andare sul bordo, che in alcuni punti è cedevole. Le Cliff of
Moher meritano proprio di essere viste.
Ripreso il
camper ritorniamo a Doolin e proseguiamo per Galway. Ripercorriamo per la terza
volta la strada che corre alla base delle rudi e rocciose colline del Burren. Il
tempo inizia a fare i capricci. Lo splendido cielo del mattino si rannuvola, ora
violenti scrosci di pioggia si alternano a fugaci schiarite. L’unica nota
meteorologica che rimane costante è il vento, che con forti raffiche sferza
tutto ciò che incontra, compreso il nostro camper.
Galway è la
più importante città della costa occidentale. E’ situata sull’estuario del fiume
Corrib, che sfocia nell’oceano riversando le sue acque torbose, risalite dai
salmoni nel tempo della riproduzione. La città è allegra e giovane. Sede
universitaria, è ricca di locali. Posteggiamo il camper vicino alla cattedrale,
poi superiamo il ponte sul fiume e camminiamo per l’isola pedonale sulla quale
si affacciano ancora vecchi palazzi, che rivelano la fervida attività mercantile
dei secoli passati. La nostra passeggiata prosegue fino all’estuario del Corrib.
Su una sua riva si affacciano ordinatamente linde casette colorate; l’altra
sponda è occupata dalla darsena, oggi non più attiva. Numerosissimi cigni,
germani, sule, fulmar e gabbiani l’hanno eletta come loro abitazione.
Tra sottili
fili di pioggia e momenti di asciutto passiamo insieme le ultime ore di questo
nostro secondo incontro. Capiamo bene l’utilità di avere felpe, maglioni e
giacche con il cappuccio. In Irlanda, data la costante presenza del vento, gli
ombrelli non si usano, perché si rompono subito: anche noi ne abbiamo immolato
uno! Quando il cielo non si trattiene più, si alza sopra la testa il cappuccio e
la vita continua.
Alle ore
17.45 lasciamo Eileen e Simone alla stazione dei bus. Tornano a Dublino, dove li
incontreremo nel prossimo week end. Prima di ripartire ci fermiamo nella
cattedrale e partecipiamo alla santa messa, poi guidati da Tom, raggiungiamo il
campeggio Ballyloughane, è il camping della città e si trova a circa 4 km
dal centro. E’ la sistemazione più cara finora trovata: 24.00 €, senza
elettricità e con le docce a gettone.
E’ sera, il
week-end è stato intenso e ricco di emozioni, facendo i nostri “compiti delle
vacanze” le interiorizziamo trasformandole in sentimenti di gratitudine per le
gioie che ci sono state donate.
11 agosto,
lunedì
Il nostro
viaggio continua; ci spostiamo di circa 70 km in direzione nord est. Entriamo
nella contea del Mayo. E’ una contea prevalentemente agricola, che ha nel suo
centro il piccolo borgo di Knock, che è stato scelto dalla Madonna per diventare
il cuore religioso di questo cattolico paese. Qui il 21 agosto 1879 sul frontone
meridionale della chiesa parrocchiale a 15 persone apparve la Vergine con
affianco san Giuseppe e san Giovanni evangelista. Al centro del muro si disegnò
un altare con sopra un agnello davanti alla croce, in alto un volo di angeli.
Nel 1979 questo santuario fu la meta principale del viaggio apostolico di
Giovanni Paolo II. Qui affluirono centinaia di migliaia di irlandesi.
Considerando che le due cattedrali di Dublino sono protestanti e che il 92%
della popolazione irlandese è cattolica, il santuario di Knock è diventato il
fulcro religioso della nazione.
Alloggiamo
al Knock
Caravan & Camping Park, adiacente al santuario.
L’area del centro religioso è occupata dalla chiesa storica con annessa la
cappella dell’apparizione e dall’immenso nuovo santuario, architettonicamente
molto discutibile secondo i nostri gusti. Alle ore 15.00 nel santuario gremito
di fedeli partecipiamo alla funzione religiosa: santa messa, amministrazione
dell’unzione degli infermi e benedizione eucaristica. Preghiamo per la nostra
famiglia e per le persone care.
12 agosto,
martedì
Iniziamo la
giornata recandoci al santuario, poi riprendiamo il nostro verde tour. Oggi
vogliamo di nuovo raggiungere la costa atlantica, la meta è Achill Island. Il
tragitto che impostiamo non è però diretto, prevede un breve spostamento verso
sud per visitare la zona lacustre di questa contea.
Dopo circa
40 km ci troviamo a passare per il paese di Cong. Scorgiamo i resti ben
conservati di un antico monastero. Ci fermiamo accanto a una famiglia di
cicloturisti, che stanno per rimettersi in sella ai loro due tandem.
Cong ha
origini medioevali, sorge lungo il fiume che collega due grandi laghi il Loch
Corrib e il Loch Measca. Conserva case con il caratteristico tetto in paglia e
una bella croce celtica all’inizio della via principale. Giriamo per il paese,
ci colpiscono anche i tetti delle altre case: sono ricoperti di muschio, dentro
alcune grondaie crescono delle erbe. In questo paese, perennemente irrigato
dalla pioggia, ai semi basta poco per germogliare. Sul muro di una casa è appeso
uno striscione di augurio a David e delle sue foto, accompagnate da didascalie.
Incuriositi leggiamo e scopriamo che David è il nome del ciclista
O’Loughlin che nel 2007 ha vinto il giro d’Irlanda
e nei prossimi giorni parteciperà alle Olimpiadi di Pechino. Auguri David per
una buona prova, ma il nostro tifo e la nostra speranza di vittoria sono per i
ciclisti italiani.
Il monastero
di Cong è stato fondato nel VII secolo, più volte distrutto dal fuoco o da
razziatori, è stato sempre ricostruito. I monaci vivevano sotto la stretta
regola agostiniana e all’apice del suo fulgore il monastero ne ospitava 3000. I
resti attuali sono stati riordinati nel 1860. L’abbazia è diroccata. Come ci è
già capitato di vedere il suo interno ospita il cimitero. Ben conservato è
invece il chiostro con i suoi muri perimetrali e il colonnato interno.
Percorriamo il deambulatorio e attraverso un cancelletto entriamo nel parco, che
è tagliato in due dal fiume, che qui si distende lateralmente formando ampie
pozze stagnanti, dove nuotano cigni e germani. Il parco è naturale, possiede una
discreta varietà di essenze arboree e arbustive. Ci sono tassi, abeti, frassini,
ippocastani, cipressi, che con la loro imponenza secolare creano un tetto
naturale. Seguendo il sentiero giungiamo alla casa del pesce: è una casupola in
pietra sospesa sul fiume. Ha una grata sul pavimento che consentiva ai monaci di
pescare restando al coperto. Il pesce era un’importante fonte di nutrimento per
la comunità monastica, come lo è ancora oggi per gli abitanti di Cong. Mentre
torniamo al camper osserviamo due pescatori che pescano nel fiume con il retino.
Riprendiamo
il trasferimento, la strada entra in una zona boschiva e piuttosto ondulata.
Iniziamo a vedere il Loch Measca, lo scorcio è incantevole. Le acque violacee
sono punteggiate da verdi isolotti ricoperti da una vegetazione lussureggiante.
Su indicazione di Tom svoltiamo a destra. La strada, che continua a costeggiare
il lago, diventa sempre più stretta, praticamente un single track, ma senza i
passing place. Ci auguriamo di non incontrare nessuno e così è, per fortuna!
Ci chiediamo
come possa una strada regionale essere così stretta, il paesaggio è incantevole
e noi, ammaliati da tanta selvaggia bellezza, proseguiamo affiancati da desolate
montagne rese luccicanti dai rivoli d’acqua che le solcano. In prossimità di un
ponte su un torrente ambrato c’è uno slargo. E’ il posto giusto per fermarci per
il pranzo. Noi e la natura: è davvero stupendo!
Due passi
per godere appieno di questa meraviglia. In un pascolo una cavalla e il suo
puledro si avvicinano al cancello. Osserviamo come l’istinto materno sia
garanzia di sopravvivenza per il piccolo e come la fiducia filiale sia totale
nei confronti della madre.
Tornando
verso il camper notiamo che i rovi, che fanno da siepe alla strada, sono carichi
di more, alcune sono già mature. Ci fermiamo e dopo averne gustate un paio, le
raccogliamo. Questa sera il dessert è assicurato: frutti di bosco!
Si parte, la
strada prosegue tortuosa e stretta. Tom si sveglia e inizia a ripetere in modo
martellante: “Tornate indietro quando potete.” In noi il dubbio di aver
sbagliato percorso diventa più concreto, anche perché la strada sta raggiungendo
il fondo della valle che palesemente non ha sbocchi, né valichi. Rientra in
scena la women navigator. Paola apre l’atlante stradale, guarda con
attenzione e scopre che la petulante macchinetta ci ha indirizzato su una
piccola strada locale, che in effetti termina di lì a poco, in fondo alla valle.
All’imbocco di un pascolo riusciamo a fare inversione, torniamo sui nostri
passi, o meglio sulle nostre ruote, cioè indietro. Dopo una svolta vediamo un
gruppo di cavalli che sta galoppando. Ci fermiamo a osservarli e notiamo che
anche gli animali hanno un loro preciso carattere. C’è quello timoroso, che
avverte la nostra presenza e si allontana ancora di più; c’è quello
indifferente, che continua a correre come se non ci fossimo; c’è quello curioso,
che si avvicina, ma mantiene sempre la distanza di sicurezza; c’è quello
socievole, che si avvicina e si lascia accarezzare; c’è quello prudente, che lo
segue, ma è pronto a ritirarsi; c’è quello prepotente, che scaccia gli altri,
perché vuole per sé tutte le coccole.
Siamo di
nuovo sulla strada regionale, atlante in mano prendiamo la giusta direzione.
Bravo Tom, ci hai indicato la strada sbagliata (la cartografia delle strade
secondarie non è molto precisa), ma ci hai fatto un bellissimo regalo,
portandoci in una valle da fiaba!
La strada
valica un piccolo passo, poi continua a costeggiare il Loch Measca fino in
fondo, infine lascia la zona montuosa e dolcemente scende verso l’oceano.
A un tratto
ci corre incontro una pecora, rallentiamo, ci fermiamo, perché essa non sa cosa
fare. Giuseppe sì che lo sa: prende la macchina fotografica e la rende
protagonista dei nostri ricordi.
A Westport,
cittadina che al primo sguardo meriterebbe una sosta che non facciamo, perché
non troviamo un comodo posteggio, imbocchiamo la nazionale 59. E’ peggio della
regionale che abbiamo lasciato, forse perché su questa strada passano numerosi
Tir che con il loro peso determinano la deformazione del fondo.
La zona è
una brughiera, ora rosa per le eriche in fiore, altrove nera per le zolle
rivoltate per l’estrazione della torba. Achill Island è unita alla terra ferma
mediante un ponte, lo superiamo e raggiungiamo il paese di Keel, dove ci
fermiamo al camping Sandybanks. E’ situato direttamente sull’oceano,
troviamo posto in una piazzola proprio davanti all’Atlantico. Keel è adagiata su
un’insenatura sabbiosa, ci sono poco meno di 12° C, tira un vento fortissimo e,
ciò nonostante, ci sono molte persone in acqua, alcune sono senza muta!
La piccola
baia è chiusa a sinistra da alte scogliere e a destra da una lingua sabbiosa,
che ha davanti un isolotto, che sembra il dorso di una balenottera.
Il cielo,
che per tutta la giornata ogni tanto si è pennellato di azzurro, ora è carico
d’acqua. Vento e pioggia accompagnano il nostro giretto in paese: case bianche,
un market, qualche ristorante, il circo. Baciati dal sole che splende per pochi
attimi prima di tramontare, ceniamo alla tedesca: suppe, wurstel e crauti, more
e birra.
13 agosto,
mercoledì
Quando
l’aria calda e umida dell’Atlantico si fronteggia con quella fredda e secca
artica, condensa e piove sui pochi irlandesi, sull’abbondante bestiame e sui
poveri turisti. E’ questa la condizione meteorologica che ha caratterizzato
tutta la notte ed è ancora presente stamane. Le nubi basse cancellano la
scogliera, il freddo consiglia a tutti di rimanere rintanati sui propri mezzi o
nelle tende. Ci alziamo che sono quasi le dieci, indecisi sul da farsi.
Speravamo in una giornata asciutta per gustare l’isola con una salubre
biciclettata, ma il grigiore diffuso e la pioggia torrenziale non promettono
alcun miglioramento. Decidiamo di fare col camper il giro dell’isola previsto in
bicicletta e poi di spostarci riducendo così il viaggio di domani.
Lasciamo
Keel e ci dirigiamo verso Doogon, sul versante settentrionale dell’isola.
Superato un basso valico il paesaggio cambia; è più ondulato e meno sfruttato
dal punto di vista turistico. Le pendici degradano verso l’oceano dove si
appianano formando gialle spiagge. Racchiusi tra i dossi ci sono piccoli stagni
in parte ricoperti di ninfee fiorite.
Tornati
sulla grande isola dell’Irlanda seguiamo la nazionale 59 fino a Ballina. Questa
strada percorre due nette direzioni: il primo tratto punta verso nord e da
Bangor Erris piega decisamente a est. Il territorio è un esteso tavolato
disabitato e acquitrinoso, ricco di torbiere. Lungo la strada sono accumulate
cataste di questo recente carbone, molto usato per il riscaldamento domestico.
Ci fermiamo e Paola ne raccoglie un pezzo.
La pioggia
continua a scrosciare forte e senza tregua. Noi milanesi, soliti a vivere in una
città, che sembra avere un ombrello aperto sopra i suoi tetti, non siamo proprio
abituati a un tempo simile. Arriviamo a Ballina verso metà pomeriggio. Prima di
sistemarci nel campeggio proseguiamo per una decina di chilometri fino a Killala,
un piccolo porto peschereccio sull’omonima baia.
Killala è un
centro storico, conserva un’antica torre a base circolare. E’ ricordata perché
qui nel 1798 sbarcarono i francesi per aiutare i gruppi irlandesi organizzati da
Wolfe Tone nell’insurrezione contro gli inglesi. Questo episodio ebbe una
tragica fine: i francesi superstiti furono rimpatriati, gli insorti furono
impiccati come malfattori. Anche Wolfe Tone, che voleva morire con gli onori
delle armi, cioè fucilato, fu condannato all’impiccagione. Egli, per non subire
questo oltraggio, poco prima dell’esecuzione, si uccise tagliandosi la gola.
Posteggiamo
al porto. E’ piccolo, ha molti pescherecci in disuso. Li guardiamo. Chiusi nel
loro silenzio, sono degli scrigni colmi di ricordi di storie romantiche e di
avventure e come vecchi, che attendono il loro tempo, non li sanno raccontare.
Al piccolo
fish shop del porto comperiamo del salmone affumicato a un prezzo straordinario:
solo 18.00 € al chilo e un po’ di polpa di granchio per il sugo della
pastasciutta di Giuseppe.
Poi torniamo
a Ballina e ci fermiamo al camping Bellek, accolti da una signora
cordiale e spiritosa, che si dispiace per la pioggia e conclude dicendo che,
però, va bene per nuotare!
14 agosto,
giovedì
Trentasei
ore di pioggia ininterrotta non sono bastate per vuotare il cielo, ma noi non ci
lasciamo scoraggiare. Questa mattina un pallido sole si intravede sopra un velo
di nubi a tratti aperto sull’azzurro. Partiamo diretti al Donegal nell’attesa
del sereno che verrà. La nazionale che porta a Sligo transita alta rispetto alla
costa su un suolo erboso allagato dallo straripamento dei corsi d’acqua che in
modo tumultuoso scendono dalle montagne, che si innalzano alla nostra destra.
Superato
Sligo ci fermiamo a Drumcliff. Qui nel 574 sorse un monastero del quale oggi
rimane solo la torre circolare e una croce celtica scolpita su entrambe le facce
con scene del vecchio e del nuovo testamento. Nello stesso luogo nel XIX secolo
fu costruita una chiesa protestante il cui pastore era il padre dello
scrittore-poeta William Butler Yeats. Lo scrittore, nato nel 1865 e morto nel
1939, volle essere seppellito insieme a sua moglie nel piccolo cimitero che
circonda la chiesa in una posizione dalla quale si vede il marcato profilo del
monte Benbullen.
All’ora di
pranzo siamo a Killybegs. Posteggiamo sul molo e visitiamo la cittadina. E’ un
grosso porto peschereccio, dove approdano navi d’altura. La cittadina ha strette
vie che ripide salgono incrociando perpendicolarmente la via principale, che
corre parallela a quella costiera. Dopo pranzo percorriamo la panoramica strada,
che si snoda in alto sulla penisola e ci dirigiamo verso il capo occidentale.
Anche questa penisola ha alte scogliere che fungono da pascolo per una notevole
quantità di pecore e di mucche. Nelle sue conche gli schiumosi torrenti si
acquietano formando laghetti, che oggi sono azzurri come il cielo che li
sovrasta. In basso l’oceano è ricolmo di pagliuzze d’oro. A Malainn Bhig, dove
termina la strada, lasciamo il camper e, scendendo una ripida scalinata,
raggiungiamo la spiaggia, che occupa una piccola insenatura racchiusa tra aspre
pareti, le cui rocce sembrano conficcate nel fondo marino. Il sole è caldo,
finalmente dopo molti giorni possiamo scoprirci.
Giunge l’ora
di cercare l’alloggio per la notte. Ci dirigiamo a Narin. Tagliamo la penisola
seguendo la panoramica strada regionale che valica la sua dorsale per poi
scendere con ripidi tornanti ad Ardara. Da qui con continui saliscendi
raggiungiamo Narin dove, seguendo le indicazioni stradali, raggiungiamo il
camping Tramore Beach, che dista circa 3 km dal villaggio. Il luogo è
incantevole, perché sono dune sabbiose affacciate a una piccola insenatura.
Purtroppo la poesia si spegne subito, perché quando vediamo il camping,
costatiamo che è un villaggio vacanze disseminato di case mobili, praticamente
baracche, impiantate su ogni spazio possibile. I posti per i veicoli itineranti
sono davvero pochi e sono ritagliati nelle piccole aree rimaste libere.
E’ sera, nel
cielo sereno, che volge al blu, la luna chiara, quasi piena, dà un tocco di
colore.
15 agosto,
venerdì
“Alone
vicino, acqua lontana”. Così recita un detto della saggezza popolare nostrana,
riferendosi alla luna, ma si sa, i proverbi non sono esportabili!
Infatti
questa mattina il cielo ha un fondo argenteo sul quale lentamente si spostano
nuvole bianche e nere, che sembrano pecore sparse in un pascolo. La tappa di
oggi ci porta nel punto più settentrionale del nostro viaggio. Lasciamo la
spiaggia di Tramore ancora silenziosa, appena lambita dall’oceano dormiente. La
prima sosta la facciamo dopo una decina di chilometri ad Ardara. E’ una piccola
cittadina rinomata per la lavorazione del lino e della lana. Si trova sul fondo
di un contorto fiordo. Ha diversi empori, che vendono i manufatti della
tessitura, alcuni hanno al loro interno dei vecchi telai manuali, dove un
tessitore mostra come si intrecciano i fili per produrre il tweed e gli altri
tessuti. E’ davvero interessante. Alla Molloy’s Tweed Factory la proprietaria ci
intrattiene piacevolmente. Tra l’altro ci dice che questa estate è
particolarmente fredda e piovosa, un po’ anomala; e come altri irlandesi che
abbiamo incontrato si scusa per il clima non particolarmente adatto al turismo.
Poi, avendo saputo che siamo italiani, si infervora, ci racconta di sua figlia
Raffaella che vive e lavora in Toscana. Noi le diciamo che nostro figlio vive e
lavora a Dublino. La signora conclude dicendo che i giovani d’oggi hanno per
patria l’Europa. Ci mostra la merce, è bella, i prezzi sono europei. I saldi
sono però davvero convenienti, cerchiamo delle occasioni, ne troviamo una.
Alle ore
11.00 partecipiamo alla messa dell’Assunta. Ripreso il viaggio ci dirigiamo
verso est. Mediante una panoramica strada regionale attraversiamo il cuore della
regione del Donegal. Il cielo è sempre più livido, montagne, pascoli, laghetti
sono anche loro cupi e sono la scenografia di un profondo palcoscenico. Non c’è
traffico, non ci sono centri abitati, anche oggi ci lasciamo travolgere
dall’abbraccio della natura. Una casa diroccata, uno scuro torrentello che
schiumeggia saltellando tra i ciottoli, la pineta e i pascoli, uno slargo
sufficiente ad accogliere la nostra villetta motorizzata: questo è il posto
ideale per il pranzo, che si chiude con un romantico omaggio floreale.
Tra Lifford
e Straba passa il confine tra l’Irlanda repubblicana e l’Ulster. Da anni non c’è
più la frontiera, ma ci sono delle differenze che fanno capire il cambio di
nazione.
Prima fra
tutte la segnaletica stradale. Nell’Ulster, che è Regno Unito, troviamo i
cartelli europei, mentre nell’Eire forma e colori europei sono solo per tre
cartelli: lo stop, i limiti di velocità, il divieto di sorpasso, gli altri non
sono ancora stati adeguati alle normative comunitarie, sono dei quadrati gialli
messi con un vertice verso il basso, con l’informazione disegnata in nero.
Un’altra sensibile differenza è il fondo stradale. Non ha più deformazioni con i
conseguenti sobbalzi e scossoni, è compatto e liscio, consente di procedere con
maggiore velocità.
Altre
differenze si notano nell’arredo urbano, dove spiccano le caratteristiche cabine
telefoniche. Inoltre osserviamo una marcata ostentazione della bandiera
britannica per affermare l’appartenenza al Regno Unito.
Passiamo da
Londonderry lungo la sua circolare. Da lontano ci sembra una città interessante.
Nel futuro viaggio in Irlanda dedicheremo più tempo alle sue regioni
settentrionali. Continuiamo a salire verso nord est, inizia a piovere, prima
qualche goccia, poi fine fine, diventa quindi un diluvio, infine si alternano
scrosci violenti a pause. Ci fermiamo al Bush Caravan Park, che è vicino
alle Giant’s Causeway, che vedremo domani.
16 agosto,
sabato
Scrive la
nostra guida turistica: “Il percorso della Giant’s Causeway è più affascinante
se fatto in un giorno umido e burrascoso.” Siamo fortunati! Oggi è il giorno
ideale! Sta piovendo in modo torrenziale, oltre ogni immaginazione e il vento
spira talmente forte, che inclina l’acqua a 45°.
Credeteci,
avremmo preferito essere meno fortunati. Prima di iniziare il giro di boa che ci
porterà a casa, avremmo voluto goderci questa ultima mattina con un clima più
consono alla stagione in corso.
Usciti dal
campeggio ci dirigiamo verso la costa e raggiungiamo il castello di Dunseverck.
Un tempo questa località era la capitale dell’antico regno di Dalriada. Il
castello è stato più volte razziato e nel XVI secolo trasformato in prigione.
Ora è completamente in rovina.
Poi vistiamo
la Giant’s Causeway. E’ una scogliera formata da colonne di basalto di forma
poligonale. Questa formazione geologica ha un’origine antichissima. Si è
generata nel sottosuolo 60 milioni di anni fa, poi il magma è risalito in
superficie grazie alle attività vulcaniche presenti nella zona fino a 20 milioni
di anni fa e si è solidificato rapidamente. Lungo la strada che porta alla
scogliera Paola raccoglie qualche frammento di basalto dalla caratteristica
struttura pentagonale e esagonale e lo nasconde gelosamente nelle tasche della
sua giacca impermeabile. Fradici, ma soddisfatti, ritorniamo al camper e ci
mettiamo in marcia verso Dublino. Il percorso, che è tutto effettuabile tramite
autostrade e nazionali, potrebbe essere veloce, ma il tempo inclemente non
consente di correre. Piove talmente tanto che il parabrezza è un vetro
smerigliato. I prati sembrano risaie, spesso non riescono a trattenere tutta
l’acqua che ricevono e l’autostrada si inonda. A tratti ci sono dei
rallentamenti, perché i mezzi passano dei veri e propri guadi. Solo in
prossimità di Dublino il tempo migliora, cessa di piovere, compare anche qualche
sprazzo di azzurro.
Alloggiamo
nuovamente al camping Camac Valley, pronti a iniziare da domani la visita
della città.
17 agosto,
domenica
Con
l’autobus turistico che parte dal camping alle ore 9.30 andiamo in città per
avere la sua visione d’insieme.
Scendiamo
nei pressi di O’Connell Street, un’ampia strada commerciale, intitolata a un
famoso patriota, la cui storia è davvero interessante.
Daniel O’
Connel, nato nel 1775, studiò giurisprudenza in Francia e lì rimase fino al
1792. La rivoluzione francese con i suoi sanguinosi episodi lasciò in lui un
tenace ripudio della violenza, che caratterizzò la sua vita politica.
Tornato in
patria, nel 1800 fece il suo primo comizio politico di fronte a un’assemblea
riunitasi per deprecare la minacciata unione tra Irlanda e Inghilterra. Dopo
l’unione egli contribuì alla nascita della Catholic Association, una
associazione che auto-sostenendosi provvedeva a difendere e a promuovere
l’emancipazione dei cattolici, cioè il loro libero accesso a tutte le cariche
civili e militari del paese. La sua seconda battaglia politica fu rivolta
all’abolizione dell’Act of Union e alla costituzione di un nuovo parlamento
irlandese autonomo. Verso la metà del 1800, nel periodo della grande carestia,
minato nella salute, volle coronare il sogno di vedere Roma. Partì per l’Italia,
ma giunto a Genova morì, dichiarando di “voler dare la sua anima al cielo, il
suo corpo all’Irlanda e il suo cuore a Roma”. Era il 5 maggio 1847. Il suo corpo
fu seppellito a Dublino, il suo cuore fu inviato a Roma, dove è conservato nella
chiesa di sant’Agata dei Goti, donata dal Papa Pio IX al Collegio Irlandese.
Ci fermiamo
al General Post Office, un palazzo di stile neoclassico, che il 21 novembre 1920
fu testimone della più imponente battaglia per l’indipendenza. Ancora oggi sulle
colonne della facciata sono visibili i fori delle pallottole. L’interno è
molto bello, perché pur nella sua efficienza è arredato e organizzato secondo lo
stile del secolo scorso. Di fronte c’è un monumento, una guglia d’acciaio. Il
monumento è intitolato alla luce. Lo Spire, così viene comunemente chiamato
questo alto spillone, occupa il posto della statua che raffigurava Nelson,
statua che è stata distrutta nel 1966 con un attentato da parte dei
simpatizzanti dell’IRA. Lo Spire vuole simboleggiare la speranza riposta nel
secondo millennio.
La città è
ancora addormentata, ma si sta preparando per un importante evento sportivo del
campionato di calcio gaelico. I venditori di bandiere, cappellini e trombette
stanno allestendo le loro bancarelle nei grandi crocicchi. I primi tifosi
iniziano a raggrupparsi per le strade. Tutti vestono le maglie della loro
squadra del cuore: azzurra e gialla alcuni, bianca e celeste gli altri.
Il nostro
primo obiettivo della giornata è trovare una chiesa e partecipare alla messa. Ci
dirigiamo nella zona più antica della città, quella delle cattedrali, entrambe
appartenenti alla Chiesa d’Irlanda. Oltrepassandole, in un quartiere del primo
‘900, edificato con case a mattoni, troviamo la chiesa parrocchiale. Sono le
11.25, alle 11.30 inizia la messa. Il Signore proprio ci aspetta!
Poi ci
dedichiamo al turismo. St. Patrick’s Cathedral è una chiesa di pietra grigia in
fase di restauro, il suo campanile è coperto dalle impalcature. La Christ Church
Cathedral sorge all’interno della cinta muraria medioevale, dove nel 1038 fu
costruita in legno la prima cattedrale. Questa prima chiesa fu distrutta nel
1172 e al suo posto fu costruita l’attuale cattedrale in pietra. Essa fu
restaurata in seguito a un parziale crollo, avvenuto qualche secolo dopo.
Per l’ora di
pranzo ci spostiamo nel rione di Temple Bar, che deve il suo nome a sir William
Temple, che nel 1600 era proprietario di questa terra. E’ un’area che nei secoli
ha avuto diverse fortune; oggi è ricca di pub e ristoranti. In particolare i pub
fanno vivere la tradizione irlandese, servendo esclusivamente da bere e
allietando la clientela con musica dal vivo.
Mangiamo un
hot dog per strada, perché bere una birra a digiuno non è per noi, poi troviamo
posto proprio nel pub Temple bar. E’ un locale dalla calda atmosfera; il colore
rosso, dominante, è in parte smorzato da quello scuro del legno
dell’arredamento. Le pareti sono ricoperte di quadri. Un duo, che vale un
quartetto, data la stazza, canta canzoni del repertorio popolare. Sorseggiamo
molto lentamente la nostra Guinnes, poi torniamo alla fermata degli autobus e
con il 69 in poco più di mezz’ora siamo in campeggio.
Dublino non
ha la maestosità delle grandi capitali europee, ma ha un suo fascino, forse
dovuto anche ai suoi molti contrasti. Affianca edifici moderni ad altri d’epoca,
case signorili e ben curate ad altre decadenti. E’ una città con tantissimi
giovani, ma gli anziani non stanno certo chiusi in casa. E’ allegra, emancipata,
ma non disdegna la tradizione. Si nota un benessere crescente, grazie anche alla
sua realtà cosmopolita.
18 agosto,
lunedì
Dedichiamo
la mattinata alla visita del Trinity College, la più importante università di
Dublino. Fondato nel 1591 dalla regina Elisabetta I, è stato luogo di studi di
illustri irlandesi, tra i quali Jonathan Swift, autore de “I viaggi di Gulliver”
e Wolfe Tone, la cui storia la abbiamo conosciuta a Killala. Il complesso
edilizio si presenta austero. Quasi tutto costruito in pietra grigia, ha edifici
che risalgono al XVIII e XIX secolo, che racchiudono ampi cortili di forma
quadrata, occupati per la loro maggiore estensione da prati, che ospitano alberi
secolari. Ci sono anche costruzioni modernissime, una fra tutte la Berkeley
Library di fronte alla quale c’è una grossa sfera scolpita da Giò Pomodoro.
Superato l’ingresso si entra in un grande spazio occupato da due cortili uniti
tra loro da una vasta piazza dominata da un alto campanile eretto intorno alla
metà del 1800, nel luogo dove prima dell’università sorgeva un monastero.
Accanto al campanile ci sono le statue di George Salmon e William Edward Lecky.
Salmon fu matematico e teologo. Studiò presso questa università e ne divenne in
seguito prima docente di matematica e dopo la sua ordinazione sacerdotale
anglicana docente di teologia. Nel 1888 fu nominato Provost, cioè rettore. La
riforma da lui compiuta fu quella di ammettere le donne ai gradi accademici.
Lecky fu uno storico e un filosofo. Viaggiò molto e si interessò di politica.
Nel 1895 fu eletto deputato unionista per l’università.
Chiude il
primo cortile un edificio di mattoni rossi, primo alloggio degli studenti. Oggi
è completamente ricoperto dalle impalcature, perché in ristrutturazione.
Sulla destra
del secondo cortile si trova l’edificio che ospita la famosa Old Library, che
merita davvero di essere visitata. Al piano terra si trova la preziosissima
collezione di manoscritti miniati irlandesi, quali il Book of Kells, il Book of
Armagh e il Book of Durrow. Questo spazio desta talmente la nostra curiosità e
cattura così tanto la nostra attenzione, che il tempo passa senza che ce ne
rendiamo conto. Sulle pareti sono riprodotte ingrandite le miniature, al centro
delle sale ci sono le teche con dentro i manoscritti, redatti in epoca
medioevale in forma miniata per essere utilizzati dai monaci nella loro opera
missionaria. Due video illustrano brevemente come avveniva la produzione di
questi libri. Uno mostra la scrittura e l’iconografia miniata, l’altro la
rilegatura. I colori utilizzati derivavano da materiali naturali di origine
minerale, vegetale, animale. Ad esempio il verde lo si ricavava dal minerale
malachite, il giallo da una pianta mediterranea, il rosso da una cocciniglia.
Il Book of
Kells riporta la versione in latino dei quattro vangeli. Probabilmente è stato
scritto intorno al IX secolo dai monaci del monastero fondato da St. Colum Cille
sull’isola di Iona, nel VI secolo. Il manoscritto è stato poi trasferito in
Irlanda quando i vichinghi attaccarono l’isola, che sta di fronte alle coste
scozzesi, uccidendo molti monaci. Arrivò al Trinity College nel 1661. Di questo
Book e degli altri sono stupefacenti le iconografie, alcune occupano intere
pagine. Ci sono disegni ornamentali che ricopiano le creazioni dell’oreficeria
dell’epoca, hanno un significato simbolico, oggi sconosciuto.
Lasciamo con
fatica questa galleria per salire al primo piano, dove si trova la Long Room.
Appena ci affacciamo a questa sala lunga 65 m, siamo inebriati dal suo intenso
profumo di legno e di carta antica e toccati dal clima quasi religioso che si
respira. E’ gremita di visitatori eppure il movimento libero non crea caos.
Ovviamente non c’è silenzio, ma le persone parlano sottovoce, si sente che si è
in una biblioteca, ancora oggi funzionante. La sala è formata da un lungo e
ampio corridoio al centro del quale sono esposti altri manoscritti e l’arpa più
antica d’Irlanda, appartenuta al re irlandese Brian Boru. Essa è uno dei
simboli della nazione, per questo è incisa sul retro di tutte le monete. Ai lati
si aprono tante camere, soppalcate, le cui pareti sono occupate da scaffali
colmi di libri fino al soffitto. I testi presenti in questa sala sono 200.000 e
sono i più antichi. Gli altri volumi di questa fornitissima biblioteca, che
raccoglie tutti i libri pubblicati in Irlanda e nel Regno Unito, sono dislocati
in altri otto edifici.
La nostra
visita continua, vogliamo scoprire qualcosa della attuale vita universitaria.
Girando il campus incontriamo studenti che stanno correndo per i viali dei
cortili, vediamo il verdissimo e soffice campo da rugby, i campi da tennis e di
calcetto. Poi, ancora più curiosi, apriamo una porta di legno di un edificio
grigio e ci troviamo dentro al dipartimento che ospita gli istituti di geologia,
geografia e ingegneria civile. Un cartello avverte che si può sostare solo al
pianoterra, ma ciò è già sufficiente per cogliere la ricchezza con cui è stata
costruita questa università. Per la cronaca affisso all’albo ci sono i risultati
dell’ultimo appello di geografia: nessun bocciato, non molti A ( = risultato >
70%) però ci sono degli A++.
In alcune
vetrinette sono esposti dei fossili, sono favolosi, Paola li guarda con
ammirazione e invidia, mentre Giuseppe fotografa un grande orologio a pendolo
posto alla base dello scalone che porta al primo piano. Accanto c’è un quadro
che spiega la preziosità di questo segna tempo. L’orologio, costruito dalle
officine elettriche Yates di Dublino, è stato installato in università nel 1875.
In origine funzionava in modo estremamente preciso in quanto i suoi magneti
erano regolati tramite un collegamento elettrico con l’orologio siderale
presente nell’osservatorio astronomico di Dunsimk. Adesso è smagnetizzato e
funziona come ogni normale orologio a pendolo.
Lasciamo il
Trinity College e ci spostiamo dalla parte opposta dell’incrocio, dove c’è
l’imponente palazzo della Bank of Ireland. Questo palazzo era stato costruito
per ospitare alla fine del 1700 il parlamento anglo-irlandese. Poi, dopo
l’approvazione dell’Act of Union, che decretò la perdita dell’indipendenza da
parte dell’Irlanda, fu venduto alla banca. C’è un via vai di taxi, che scaricano
e caricano uomini d’affari. Ci colpisce il guardiano, è vestito con il frac e il
cilindro, sembra il papà del film Mary Poppins!
Che fame!
Che ore sono? Le 14.30! Incredibile come passa il tempo quando si è catturati da
un avvincente interesse. Un dolcetto bagnato da un caldo cappuccino e poi, prima
di incontrarci con Simone all’O’ Connell Bridge, andiamo a vedere la statua di
Molly
Malone. La statua in bronzo raffigura una formosa popolana che spinge un
carretto pieno di frutti di mare. Ai suoi piedi c’è un vecchietto, vestito
all’irlandese: gilet di lino tessuto a patchwork e berretto. Per attirare
l’attenzione dei turisti e raggranellare qualche spicciolo suona un tamburello.
Il quadretto è simpatico.
Finalmente
siamo con nostro figlio! Simone ci accompagna nella Dublino georgiana. Una zona
davvero elegante. Da erudito cicerone ci fa osservare i palazzi e i diversi
particolari architettonici. Poi ci sorprende portandoci all’Ancienne Cafè.
Entrando si torna indietro nel tempo di quasi due secoli. E’ un elegante bar,
che solo le immagini possono descrivere bene.
Il nostro
giro continua lungo il Gran Canal, che collega Dublino con lo Shannon;
praticamente questo canale mette in comunicazione il mare d’Irlanda con l’oceano
Atlantico. Il canale inizia dalla vecchia darsena, che un tempo era il porto
della città. In acqua sta navigando una strana imbarcazione. E’ un mezzo anfibio
che muovendosi su ruote fa fare il giro turistico della città e poi immergendosi
in acqua naviga il fiume e il canale fino alla darsena, sorprendendo i pedoni
con urla e schiamazzi, quando passa sotto i ponti.
Oggi il Dock
Lands è un quartiere moderno, con case dalle grandi vetrate, che piacciono molto
a Simone. Da qui si vede anche la sede irlandese di Accenture, dove lui lavora.
Concludiamo il giro passando per il modernissimo centro economico, quindi al
medesimo ponte ci incontriamo con Eileen e insieme ceniamo al ristorante Cetz
Inn, trascorrendo una piacevole serata.
Uno sguardo
sulla città, che si riflette nel fiume, è l’ultimo atto di questa interminabile
e bellissima giornata.
19 agosto,
martedì
Clima
fresco, tempo variabile sono le note che scandiscono il nostro ultimo giorno a
Dublino. Sono passati 29 anni dalla nostra ultima vacanza fredda e bagnata,
speriamo che dall’anno prossimo il ciclo si ripeta!
Questa
mattina la dedichiamo alla visita delle cattedrali e del castello. Purtroppo la
Christ Church Cathedral fino alla fine della settimana non è visitabile, perché
dentro stanno girando la fiction ‘Tudor’. Le giriamo intorno per vederla bene
almeno dall’esterno. Osserviamo che lungo il suo perimetro, sul marciapiede, ci
sono delle mattonelle di ferro con disegnati in basso rilievo in acciaio e in
ottone dei simboli celtici.
Entriamo
invece nella St. Patrick’s Cathedral. Essa sorge appena fuori dalla cinta
muraria medioevale dove, presso un pozzo, san Patrizio battezzava i catecumeni.
La chiesa è molto bella, ma secondo noi non rende onore al santo a cui è
intitolata. Infatti la statua di san Patrizio si trova su una parete laterale
del transetto senza alcuna rilevanza e il battistero, che è segnato come ultima
tappa della visita, è usato come deposito. Lo sguardo d’insieme è catturato
dalla cromaticità del pavimento e delle vetrate. Il coro ligneo è formato da tre
ordini di stalli, due destinati ai cantori e uno ai canonici. Sopra al coro
pendono gli stendardi dei Cavalieri di san Patrizio, rappresentano le famiglie
rimaste fedeli agli inglesi. Lungo le pareti della chiesa sono presenti dei
busti, delle lapidi e dei monumenti funebri.
Imponente, a
sinistra dell’entrata, è quello della famiglia Boyle. Esso fu eretto nel XVII
secolo da Richard Boyle, conte di Cork, in memoria della sua seconda moglie,
lady Katherine, nipote del decano della cattedrale. Il monumento rappresenta
anche i quindici figli del conte, tra i quali c’è Robert, che ha dato il nome
alla famosa legge fisica, ,
che mette in relazione la pressione, il volume e la temperatura dei gas.
Usciti da St.
Patrick, per raggiungere il castello transitiamo attraverso il piccolo parco,
che sta alla sua sinistra. In esso stanno lavorando alacremente e
meticolosamente due giardinieri. Se gli irlandesi curassero tutte le case come
si dedicano al loro verde pubblico e privato, la città sarebbe un gioiello.
Entriamo nel
castello da dove un tempo c’era il ponte levatoio. Sopra il portone c’è la
statua della giustizia, che volta le spalle alla città. Questa posizione è stata
scelta ironicamente dallo scultore per dire che la giustizia britannica non si
curava degli interessi del popolo irlandese. La bilancia che la giustizia ha in
mano ha i piatti forati, per far colare l’acqua della pioggia, che in questo
paese non manca mai.
Di fianco al
cancello ci sono due garitte. Paola ha voglia di giocare, entra nella garitta e
prova l’ebbrezza di fare la sentinella!
Il castello
ai giorni nostri presenta diversi stili architettonici. Esso, nella parte degli
appartamenti governativi, è visitabile solo con la guida. Alle 12.15 la visita è
in italiano. Consegniamo gli zainetti al guardaroba e seguiamo Giovanna, la
graziosa ragazza irlandese che parla italiano come molti italiani
desidererebbero parlare inglese.
Dell’antico
castello medioevale e della sua cinta muraria rimane una torre, che un tempo era
la prigione e oggi ospita la sede della Garda, la polizia, il basamento di
un’altra torre, della quale si è scoperto venti anni fa che a sua volta era
stata eretta su una delle poche costruzioni in muratura dei vichinghi e parte
delle mura. Gli archeologi sono riusciti a distinguere il basamento medioevale
da quello vichingo analizzando le malte cementifere che saldano tra loro le
pietre. Quella vichinga è a base di guscio d’uovo, crine di cavallo e sangue di
bue. Questa scoperta è molto importante, perché i vichinghi, vivendo in capanne
fatte di fango e paglia, pur essendo rimasti in Irlanda per circa 300 anni, non
hanno quasi lasciato traccia di sé.
Saliti al
primo piano ci fermiamo sul pianerottolo, dove sulle pareti sono esposti gli
stemmi dei presidenti che si sono succeduti dal 1922 a oggi. In Irlanda i
presidenti non possono svolgere più di due mandati, ciascuno di sette anni.
Attualmente è presidente la signora Mary McAleese, sta svolgendo il suo
secondo e ultimo mandato.
Le prime
stanze che visitiamo erano quelle da letto del vicerè. Oggi sono arredate come
dei salottini, perché i vicerè portavano dall’Inghilterra i propri mobili e
svuotavano l’appartamento alla fine dell’incarico. Proseguendo di stanza in
stanza vengono messi in risalto vari particolari. Ci piace un soffitto fatto di
stucchi. Questo soffitto, come altri andati distrutti, abbellivano le case
costruite nell’epoca georgiana e demolite negli anni ’50 per far posto a nuove
costruzioni. Per conservarlo è stato tagliato e spostato dall’elegante palazzo
al castello. Un pezzo d’arredamento di notevole pregio è il grande tavolo
poligonale, intarsiato con ben diciotto tipi di legno, costruito in occasione
della visita della regina Vittoria. Questo arredo, così ammirato, non è però
piaciuto alla sovrana, perché gli irlandesi, se potevano, esprimevano in modo
arguto il loro dissenso alla monarchia. In questo caso negli angoli del tavolo
hanno inserito tanti diavoletti. Maestosa è la sala del trono a cui si accede
attraverso un lungo e largo corridoio. Il trono è enorme, perché costruito sulla
stazza del re Guglielmo IV, zio della regina Vittoria. Il trono si presenta poco
aggraziato, perché, per far sedere la regina Vittoria, che notoriamente era
bassa e larga, gli sono state accorciate le gambe di 20 cm. Agli angoli del
baldacchino ci sono il leone, simbolo dei Tudor e l’unicorno, simbolo degli
Stuart, ad indicare il potere britannico sull’Irlanda. Dal centro del soffitto
pende un lampadario dorato del peso di una tonnellata. Esso riporta i simboli
dell’Inghilterra, le tre rose e della Scozia, il cardo, che sovrastano quello
dell’Irlanda, il trifoglio. La stessa simbologia di dominio sta alla base dei
tondi dipinti che ornano le pareti della sala.
La visita
degli appartamenti termina con la sosta nella grande sala dei ricevimenti. E’
ricoperta come le altre da uno spesso tappeto di lana lavorato a mano,
proveniente dal Donegal. E’ ornata con gli stendardi delle più prestigiose
famiglie irlandesi. In fondo c’è la porta dalla quale fa il suo ingresso il
presidente all’inizio del suo mandato. Sopra la porta c’è la bandiera irlandese:
verde, bianco, arancione. Il verde rappresenta i repubblicani, l’arancione gli
unionisti, il bianco è il simbolo della pace.
Giovanna ci
lascia nel cortile del castello raccontandoci l’episodio della consegna della
chiave avvenuta nel 1922 da parte del vicerè al primo presidente della
repubblica.
Quest’ultimo
si è presentato a questo storico appuntamento con sette minuti di ritardo, a
causa del traffico che bloccò il taxi. Si dice che quando il vicerè mostrò al
presidente il suo disappunto per il ritardo, questi gli rispose: “Noi abbiamo
aspettato settecento anni per avere questa chiave, cosa è stato per lei
aspettare sette minuti?”
Al termine
della visita torniamo al guardaroba, Paola consegna il talloncino, le viene
ridato solo il suo zainetto. Diciamo all’addetto che ne avevamo depositati due.
Questi nega, smentisce la nostra affermazione, si irrigidisce. Insistiamo,
allora chiama la direzione. Alla direttrice che sopraggiunge spieghiamo come è
fatto lo zainetto “fantasma” e cosa contiene. Giuseppe viene invitato nel
deposito per riconoscere l’oggetto smarrito e l’inghippo si chiarisce. Il suo
zainetto è stato messo in un altro scomparto, ma a lui non è stata consegnata la
marca di identificazione necessaria per il ritiro. La direttrice lancia uno
sguardo di fuoco all’addetto, si scusa per l’inconveniente e prontamente rende a
Giuseppe il suo zainetto
Concludiamo
la visita del castello passando dalla chiesa, costruita nel 1863 in stile
gotico. E’ chiusa. Poi nel piccolo giardino che è adiacente alla cinta muraria
troviamo una gatta incinta in cerca di coccole. Quale migliore occasione! Un po’
di felino terapia è sempre piacevole e rilassante.
Nel presto
pomeriggio torniamo in campeggio, più tardi scendiamo nuovamente in città per
vivere con Simone e Eileen l’ultima nostra sera irlandese.
20 agosto,
mercoledì
Ore 5.30 il
gallo canta, cinque ore di sonno sono davvero poche, ma bisogna alzarsi perché
il traghetto non aspetta i ritardatari. Un buon caffè funziona senz’altro meglio
di un qualsiasi insistente trillo. In mezz’ora siamo pronti. Fiduciosi ci
affidiamo a Tom, programmato per guidarci al porto per la via più breve, cioè
attraverso la città. Questa dispettosa macchinetta, forse disorientata dai nuovi
svincoli in costruzione, che non conosce, nel corso del viaggio si riprogramma
autonomamente e ci porta a destinazione facendoci percorrere la tangenziale e il
tunnel sotto la città. Il guadagno è che senza imbottigliamenti nel traffico del
mattino in mezz’ora siamo all’imbarco, lo scotto è che il tragitto ci costa un
salato pedaggio.
Espletate le
formalità, ci imbarchiamo sul traghetto Ulysses, con la speranza di non navigare
per dieci lunghi anni! Ore 8.00, il sommesso brontolio dei motori ci avverte che
si sta salpando. Lentamente la nave scivola lungo il molo. Alle nostre spalle
lasciamo l’ampia baia. Questa mattina è baciata dal sole, che prima l’ha
infuocata, poi indorata e ora esalta il candore della città incastonata tra due
strisce scure, quella blu cobalto del mare e quella nera delle colline che la
cingono alle spalle.
Il faro,
guardiano notturno di tanti traffici, sta riposando e non si accorge della
manovra che indirizza il traghetto ponendolo nella condizione di aumentare il
suo moto propulsivo. Ulysses naviga leggero sul mare d’Irlanda, increspandolo
con la sua scia. Tre ore e trenta di completo e benefico relax prima di
immetterci sulle trafficatissime autostrade britanniche.
E’ sera
quando giungiamo nella nobile contea del Kent. Ci fermiamo vicino a Canterbury,
al campeggio Yaw Tree.
21 agosto,
giovedì
Notte
veramente riposante! Canterbury è una bella cittadina medioevale, cinta da mura.
Ha case a graticcio e strette vie con interessanti negozietti di antichità. Per
essere conosciuta bene necessita di più tempo rispetto a quello che possiamo
dedicarle. Comunque le ore che abbiamo le spendiamo bene. Posteggiamo il camper
al parcheggio bus e con una breve passeggiata sulla pedonale del lungo fiume
raggiungiamo il centro. Visitiamo le due cattedrali. Quella cattolica è una
piccola chiesa di stile gotico vittoriano edificata nel 1875. Essa è dedicata a
san Tommaso di Canterbury, Thomas Becket, patrono della città. Egli, sollecitato
dal re Enrico II, suo caro amico, accettò di diventare arcivescovo della città
nel 1162. Fu un grande difensore degli interessi e dell’indipendenza della
Chiesa. Ciò gli comportò la rottura della sua amicizia col re. Il suo martirio è
avvenuto alla fine del 1170 nella cattedrale ora anglicana. Questo tragico
evento suscitò grande indignazione in Europa. Presso la sua tomba si
verificarono miracoli. Il Papa Alessandro III canonizzò Tommaso nel 1173. La
tomba del santo fu poi distrutta durante il regno di Enrico VIII. Le reliquie
superstiti sono conservate in questa chiesa cattolica.
La
cattedrale anglicana è molto imponente. Essa è una delle più antiche chiese
cristiane d’Inghilterra. Quando il monaco Agostino nel 597 sbarcò sulla costa
del Kent, inviato dal Papa Gregorio Magno per convertire i sassoni, fu bene
accolto dal re Etelberto, che dopo poco tempo si convertì. Allora il monaco
decise di costruire una chiesa all’interno della cinta muraria. Il Papa concesse
a questa chiesa il rango di cattedrale. Questo primo edificio subì in seguito
diverse distruzioni, ma fu sempre riedificato. Oggi si presenta in stile gotico.
Molto bella è la sua torre, con i pinnacoli a lanterna. Internamente ha la
pianta a doppia croce e tre navate. Entrando colpisce la sua lunghezza e le
altissime finestre, alcune con belle vetrate. Artistici e colorati sono il
pulpito e il coro, coperto da una volta sorretta da colonne di marmo scuro.
Visitiamo anche la cripta di stile romanico e il chiostro, che ha le volte a
ventaglio finemente decorate. Purtroppo Giuseppe non riesce a fotografare tutto,
perché la macchina esaurisce le sue riserve energetiche.
Nel
pomeriggio, con un certo anticipo siamo a Dover. La speranza di poter anticipare
la traversata della Manica viene subito spenta al check-in. Attendiamo con
pazienza la nostra ora. Intanto le lane si riempiono. Tanti camper e
automobili; sono italiani, francesi e olandesi che rientrano dalle vacanze e
invidiati inglesi che, al contrario, le stanno iniziando.
In attesa
dell’imbarco c’è un’automobile olandese che traina un acquisto che desta la
curiosità di tutti. Si tratta di un’automobile d’epoca, una Nash del 1926. Ha i
raggi delle ruote di legno chiaro.
Arriva l’ora
dell’imbarco ma l’attesa si protrae inspiegabilmente. Partiamo con un’ora di
ritardo… e poi criticano i disguidi del sistema trasporti italiano!
Le bianche
scogliere di Dover brillano con tutto il loro candore illuminate dal sole
pomeridiano. Le osserviamo incantati fino a quando diventano un tutt’uno con
l’orizzonte.
Alle ore
20.40, ora continentale, sbarchiamo a Calais. Usciti dal porto, svoltiamo subito
a destra, seguiamo le indicazioni centre ville e camping car parking e ci
troviamo nell’area camper dotata anche di camper service. Essa si trova sul
lungo mare. Qui trascorriamo la notte.
22 agosto,
venerdì
Ore 7.00,
siamo ancora assonnati, ma dobbiamo alzarci, perché ci aspetta una lunga
giornata di viaggio attraverso la Francia. Un caffè…e via! La colazione può
attendere, perché di questo dolce paese non si possono non gustare i suoi
fragranti croissant. Lanciamo un ultimo sguardo ai traghetti, che
ininterrottamente 24 ore su 24 collegano le due sponde della Manica e
rapidamente ci immettiamo in autostrada. Non c’è molto traffico, sembra che i
mezzi inglesi che passano si portino appresso, legate con sottili fili
invisibili, le loro grigie nubi gonfie d’acqua. A prova di ciò ecco che comincia
a piovere. Prima cadono radi goccioloni, poi scende uno scroscio, infine la
pioggia diventa fitta e incessante e ci accompagna fino quasi a Strasburgo, che
dista ben 600 km da Calais. Superata la grande città alsaziana, sostiamo a sera
al campeggio intercomunale di Riquewihr.
Per
sgranchirci le gambe andiamo in paese. Esso dista due chilometri. La strada è
circondata da vigneti che non sembrano promettere un grande raccolto. Riquewihr
è un caratteristico borgo medioevale. La sua parte antica è racchiusa dentro le
mura in pietra rosa dell’Alsazia. Le sue case a graticcio sono tinte con colori
vivaci. Il selciato è ciottoloso. Il paese abbina alla vocazione enologica
l’attività turistica. Quest’ultima, concentrata nella via principale lo
svilisce, tuttavia se ci si inoltra nelle stradine laterali si è presi dalla
magica suggestione che esso suscita.
23 agosto,
sabato
La tanichina
del Fresh Milk, ultima derrata alimentare d’oltre Manica è vuota, segno che
siamo al capolinea della nostra bella vacanza.
Milano ci
aspetta, ci mettiamo in marcia, il traffico è intenso, ma scorrevole fino quasi
all’imbocco della galleria del Gottardo, dove facciamo un’ora di coda.
Inganniamo l’attesa ascoltando la nostra musica anni ’60, lasciandoci tonificare
dall’aria fresca delle montagne.
A Bellinzona,
dopo una breve pausa, chiudiamo per l’ultima volta la porta del camper sul
nostro estivo sudechigiodela.
|