NORVEGIA
2012
“La
natura pare ferma,
ma prestando
attenzione,
tutto si muove,
si fa notare, brulica,
occhieggia, sussurra.”
(MauroCorona)
N.B.
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fotografica completa
Giovedì
12
luglio
In
qualsiasi ora e in qualsiasi giorno dell’anno, se
l’uscita da Milano è dalla
parte opposta della nostra abitazione, sia che scegliamo
l’attraversamento
della città, sia che percorriamo le tangenziali, impieghiamo
almeno un’ora per
lasciare Milano.
Partiamo
puntuali da casa come da programma alle ore 19.00, posteggiamo il
camper al San
Bernardino alle ore 21.30.
Venerdì
13
luglio
Alle ore
5.00 la pioggia dà la sveglia a tutti i mezzi posteggiati
nel grande piazzale.
Noi ci giriamo nel letto e ci riaddormentiamo sino al suono della
sveglia,
mentre molti camionisti in breve tempo si mettono in moto.
Ci
mettiamo in viaggio alle ore 7.30, direzione nord. La lunga galleria ci
porta
nella terra di Heidi, che percorriamo martellati dalla pioggia.
Svizzera, un breve
tratto in Austria, Germania. Lo spostamento verso nord ci fa incontrare
condizioni meteorologiche migliori. Il cielo grigiastro solo a tratti
non sa
trattenere la sua umidità. Il traffico è intenso,
talora rallentato dai
numerosi cantieri stradali, che obbligano a cambiare corsia e limitano
la
velocità, ciò nonostante è scorrevole
e disciplinato.
Considerate le pause di riposo e quella per il
rifornimento del camper, raggiungiamo Göttingen in dieci ore.
Il quartierino
residenziale che lo scorso anno era in costruzione in
prossimità dell’area
camper è ultimato. Nella Bäckerei
compriamo il pane fresco e un dolcetto.
Sabato 14 luglio
Pioggia,
pioggia e ancora pioggia è stata la sinfonia della notte e
il buon giorno.
Lasciamo l’ospitale area camper di Göttingen alle
ore 8.00, ci attendono poco
più di seicento chilometri. Cerchiamo senza successo il
Lidl, dove lo scorso anno avevamo fatto
la scorta di birra, si sa
che la birra tedesca è la migliore, quindi ci immettiamo in
autostrada
direzione Hannover.
Il tempo
migliora, ora la pioggia è solo acquerugiola, che con il
passare dei chilometri
diventa sempre più fine fino a cessare. Osserviamo il
paesaggio, sembra che qui
non sia ancora arrivata l’estate. Solo l’orzo
è maturo, la segale è ancora
verde e i campi di patate stanno iniziando la fioritura. Proseguendo
verso nord
al miglioramento del tempo si accompagnano campi più maturi.
Questo ci sembra
un buon auspicio.
L’autostrada
è molto trafficata, numerosi sono i cantieri e altrettanto i
rallentamenti.
Eccoci ad Amburgo. E’ un nodo cruciale, che pone tutti in
coda, da qualsiasi
direzione si provenga. Spezziamo questa fatica con la sosta pranzo e
poi,
sostenuti dalla nostra buona musica, ci rimettiamo in marcia direzione
Puttgarden, dove ci imbarcheremo verso la Danimarca, non senza aver
comperato
l’agognata birra.
Giunti a
Puttgarden, nel piccolo borgo vacanziero non troviamo empori
alimentari. Che
fare? La fortuna ci assiste. Vediamo un baffuto signore che maneggiando
uno
strano aggeggio passa una fiamma sul ghiaietto del giardino di casa
sua. Ci
fermiamo e come per incanto nella testa di Paola si apre il giusto
cassettino
che le permette di chiedere con scioltezza dove è possibile
trovare un Markt. Il baffuto, dopo
aver corretto la
pronuncia di un vocabolo risponde: “Zurück
fahren und links fahren und dann rechts”. (Tornare
indietro e girare a
sinistra e poi a destra). Perfetto, acquistato anche il pane,
velocemente
raggiungiamo l’imbarcadero.
Qui la
rubiconda e spiritosa ragazza della biglietteria vedendo che siamo
italiani ci
dice che per noi la traversata è gratuita, perché
abbiamo battuto la Germania
agli europei di calcio. Fosse davvero così! Avremmo
risparmiato 87.00 €, cifra
che pronuncia subito dopo, abbastanza bene, in italiano. Ci indica la
corsia
d’imbarco, è la numero 16. Il nostro numero!
Ottima rampa d’accesso per questa
vacanza!
Mentre
le automobili formano lunghe fila nelle altre corsie, noi percorriamo
la nostra
in completa solitudine. L’addetto all’imbarco ci fa
posteggiare nel piano più
basso del traghetto, dietro a un pullman, che con noi, fa da
contrappeso a un
tir fermo sul lato opposto del pianale.
Saliamo
in coperta e dopo 40’ sbarchiamo. La Danimarca ci accoglie
col sole e la
natura. Un uccello rapace, tre caprioli e un airone cinerino sembrano
sfilare
al nostro fianco mentre nel rispetto dei limiti percorriamo
l’autostrada
finalmente libera fino a Helsingor, dove ci posteggiamo per la notte
vicino al
famoso castello, in compagnia di altri camper, tra cui uno italiano.
Ceniamo
in modo lombardo: ris e erburin,
quartirolo e grana padano. Intanto in mare aperto transita una nave
della Costa
in partenza per la crociera tra i fiordi.
Domenica
15 luglio
In venti
minuti traghettiamo e siamo in Svezia. Poi ci immettiamo in autostrada
e alle
15.10 facciamo il nostro ingresso in Norvegia.
E’
incredibile l’interconnessione del sistema viabilistico
europeo!
Anche
oggi affrontiamo un’intensa giornata di viaggio. Essa
è allietata nella pausa
pranzo da tre beccacce di mare, graziosi uccelletti dal lungo e sottile
becco
arancione, così come le zampe. Un tocco
di colore ravviva la loro nera livrea.
Giunti a
Oslo, alloggiamo al camping Ekeberg. Chiudiamo la giornata festiva ringraziando il
Signore attraverso le
letture della domenica ambrosiana.
Lunedì
16
luglio
Oslo è
tra le capitali europee, che abbiamo visitato, quella che ci piace meno,
perché non ha grandi viali,
importanti monumenti, suntuosi palazzi. Pur essendo stata fondata nel
lontano
anno 1000, non ha tracce della sua lunga storia.
Iniziamo
la nostra visita dal Parco Vigeland,
che porta il nome del grande scultore norvegese Gustav Vigeland, che si
dedicò
a esso per quasi venti anni, adornandolo con le sue sculture bronzee e
di
granito. Si può dire, che questo parco è un inno
alla vita e per noi, che oggi
ricordiamo il trentacinquesimo anniversario di matrimonio, è
il miglior modo di
festeggiare. Le sculture rappresentano la vita degli uomini e delle
donne in
ogni età e momento e ne svelano le emozioni che i fatti, le
situazioni e le
relazioni suscitano.
Il
giardino è ben curato e profuma di rose. Giuseppe le
raccoglie idealmente e le
raggruppa in un bouquet fotografico, che dona a Paola.
All’uscita
dal parco un primo contrattempo intralcia il nostro programma. Il tram
12, che
ci deve portare alla metropolitana con la quale torneremo in centro
è “KO”,
così è scritto sul display della fermata.
Raggiungiamo a piedi la metropolitana
e poi con essa la Nasjonalgalleriet. Qui scopriamo che di
lunedì è chiusa,
mentre sulla nostra guida il giorno di chiusura è indicato
come martedì. Non
vedremo il famoso “Urlo” di Munch, ma abbiamo tanta
voglia di stringere il
nostro viso tra le mani e di urlare la nostra disperazione e rabbia.
Non lo
facciamo, per pudore dei nostri sentimenti. Altri turisti, sconsolati
come noi,
se ne vanno delusi.
E’ ormai
ora di pranzo, pensiamo di festeggiare in un caffè. I prezzi
sono proibitivi
rispetto a ciò che offrono. Ci sediamo in un fast food,
anche qui non si
scherza: spendiamo il doppio di quello che avremmo speso in Italia.
Scendiamo
al porto e con un battello di linea raggiungiamo la penisola di Bygdoy,
che
chiude il fiordo della città nella sua parte di sud ovest.
In questo quartiere
residenziale, costituito da belle ville, sono presenti diversi musei.
Visitiamo
il Vikingskpshuset. Conserva tre navi vichinghe, un carro, delle slitte
e
numerose suppellettili, trovati neitumuli funerari di questo antico
popolo. I
vichinghi usavano seppellire i morti, soprattutto se di rango elevato,
con
numerosi oggetti. Le navi, il carro e le slitte sono di legno finemente
lavorato.
Rientriamo
al porto e visitiamo il moderno quartiere, che è sorto dove
una volta c’erano i
doks. E’ una zona completamente pedonale. I palazzi
presentano un’architettura
moderna dominata dal vetro e dall’acciaio, Le strade di
pietra sono alleggerite
da fontane e aiuole.
Prima di
rientrare in campeggio, tornati in centro, percorriamo la Karl
Johansgate, la
principale via della città e visitiamo la cattedrale.
E’ una chiesa di medie
dimensioni a forma di croce. All’altare barocco,
rappresentante l’ultima cena,
si contrappone un bell’organo.
La
nostra giornata di festa termina con un’appetitosa cenetta
casalinga.
Martedì
17
luglio
Oggi
abbiamo dormito un po’ di più. Prima di lasciare
il campeggio provvediamo al
carico e allo scarico dell’acqua e mentre sistemiamo il
camper, notiamo che in
una piazzuola stanno smontando una tenda. L’automobile
lì accanto è targata
Islanda. Sono i primi islandesi che incontriamo. Arrivano da
un’altra terra dei
nostri sogni.
Programmiamo
Heidi, il navigatore, e partiamo. Appena scesi dalla collina, dove
è situato il
campeggio, Heidi, che ci deve guidare attraverso la città
sull’altra sponda del
fiordo, va in confusione, perché nella zona del porto ci
sono dei cantieri e la
viabilità è sconvolta. In un primo momento al suo
smarrimento si associa il
nostro, tuttavia, grazie al grande senso dell’orientamento di
Giuseppe,
riusciamo con un giro strano a imboccare il Ring1 nella giusta
direzione e in
poco tempo siamo fuori città.
La meta
odierna è la valle che separa la regione di Oslo da quella
di Bergen.
Inizialmente
percorriamo la costa fino a Drammen, poi proseguiamo lungo la statale
40. La
strada segue in contro corrente un fiume, che ha una grande portata
d’acqua.
Quando
la valle si allarga, esso si distende in specchi lacustri. Se il fiume
è costretto
in forre, ribolle e corre veloce in rapide, cateratte e cascate.
Intorno c’è il
verde intenso dei boschi e dei campi coltivati.
Ci
chiediamo se quel seminato giungerà alla maturazione o se
sarà mietuto ancora
verde. Raggiunto il fondo della valle, la strada s’inerpica
con ripidi tornanti.
In pochi
chilometri sale di qualche centinaio di metri e prosegue
sull’altopiano. Esso
si presenta come un vastissimo tavolato con rocce affioranti. La flora
è
scarsa, i licheni ricoprono le rocce, l’erba e gli arbusti
crescono nelle zone
più umide. Sarebbe bello trascorrere la notte qui in alto,
ma il camping non
esiste più.
Preferiamo
quindi scendere lungo il versante opposto e ci fermiamo a Geilo, una
nota
stazione turistica, votata agli sport invernali. Oggi, essendo estate
(ma per
noi è quasi inverno, la temperatura è di
12°C), è assopita nel riposo
stagionale. Visitiamo la chiesa tutta di legno bianco e azzurro e poi
ci
ritiriamo.
Anche
oggi tra rannuvolamenti e schiarite non abbiamo preso una goccia
d’acqua.
Mercoledì
18 luglio
Il
campeggio di Geilo non è certo da consigliare: è
tagliato in due da una strada della
viabilità ordinaria, ma noi questo lo abbiamo capito solo al
mattino. Alle ore
7.00 la sveglia ce la danno i camion in transito, per fortuna la notte
è stata
totalmente tranquilla.
Iniziamo
il nostro spostamento verso Bergen percorrendo una strada che segue il
margine
dell’altopiano, per poi scendere ad Aurland. Il tratto di
strada che ci riporta
in quota sale dolcemente. Transitiamo attraverso una valle incantevole,
dove
dai dirupi scendono cascate alimentate dai nevai sempre più
vicini. Esse danno
acqua a dei vitrei laghetti incastonati tra boschi e rocce. Le soste
sono
frequenti, ogni scroscio è di un’impareggiabile
bellezza e merita di essere
ricordato.
Lungo la
strada incontriamo pecore e capre, che non temono i mezzi motorizzati,
anzi
impongono i loro tempi. Le madri si attardano in mezzo alla via fino a
quando i
loro piccoli sono al sicuro.
La zona
è poco popolata, molte case hanno il tetto ricoperto di
erba, che serve per
ridurre la dispersione del calore.
Superato
il valico all’altezza di 1200 metri circa, la strada scende
in modo repentino
con pendenze che raggiungono il 9%. Essa è intagliata nella
roccia e ha
numerose gallerie, alcune lunghe anche qualche chilometro.
Improvvisamente,
dall’alto ci appare un lago blu cobalto. E’
l’ora del pranzo, l’area picnic che
troviamo con questa vista è proprio un dono.
Ripreso
il viaggio, superiamo Aurland e con un’altra decina di
chilometri siamo a Flåm.
E’ un piccolo borgo sul fondo di uno dei numerosi rami del
Sognefjord, il più
profondo fiordo norvegese. Siamo sul mare, ma il mare aperto dista da
qui 200
km!
Ferme in
rada ci sono due navi da crociera, due mostri galleggianti, che hanno
scaricato
a terra, portandoli con le scialuppe di salvataggio, una frotta di
vacanzieri,
che ora affolla i negozi di souvenir. Anche noi indossiamo la veste del
turista
vacanziero ed entriamo in uno dei tanti negozi a curiosare. Tra tanto
ciarpame
troviamo un simpatico regalino per Niccolò: delle calze
antiscivolo con la
testa dell’alce. Pensiamo che gli piaceranno, considerato
l’affetto che ha per
l’alce di peluche che gli abbiamo portato l’anno
scorso dalla Svezia.
Poi,
ripreso il camper, torniamo indietro e ci fermiamo al campeggio di
Aurland su
una morbida piazzuola erbosa in riva al fiume.
Giovedì
19
luglio
Il sole
filtra attraverso gli scuri e ci augura il buon giorno. E’ il
terzo giorno di
sole, l’aria è frizzante e chiara, ci mettiamo in
viaggio. Il programma prevede
l’arrivo a Bergen, ma le montagne che ci circondano, incavate
dal fiordo, sono
troppo affascinanti per essere abbandonate.
Il bello
del camper è anche questo: poter cambiare itinerario e meta.
Decidiamo di
dedicare la giornata al fiordo che chiude a sud Bergen. Ci dirigiamo
quindi a
Voss, paese che sta sullo spartiacque di due fiordi. La strada tagliata
nella
roccia segue vallate chiuse dai tondeggianti crinali di queste antiche
Alpi.
Quando giunge alla loro base li supera con lunghe gallerie, una delle
tante
percorse è lunga quanto quella del Gottardo, poco
più di 11 km. Le grigie rocce
granitiche, scurite dall’umidità, incombono
minacciose sulla strada. Esse riescono
a nutrire delle temerarie betulle che, come arrampicatori provetti,
trovano
appiglio nelle piccole fessure. Pranziamo in un’area picnic
in riva a un
placido laghetto, poi raggiungiamo Granvin. Qui approdano i traghetti,
che
consentono di passare sull’altra sponda
dell’Eidfjord. La traversata fa risparmiare
più di cento chilometri. Dieci minuti di navigazione ci
costano 280 K,
l’equivalente di circa 40.00 €.
Siamo in
coda insieme a numerose automobili, altri quattro camper e un grosso
camion con
rimorchio. Dopo pochi minuti, ecco arrivare il traghetto. Come una
balena
spalanca la prua e lascia uscire i mezzi, che ha trasportato, per poi
inghiottire nel suo ventre tutti quelli fermi in attesa.
Appena
sbarcati, dal cielo ormai ricoperto di nubi cinerine inizia a scendere
la
pioggia. Ci domandiamo se il cambio di programma sia stato opportuno.
Confidiamo nella buona sorte, che ci premia subito.
Infatti,
oltrepassata una mini galleria, lunga solo 380 metri, il tempo già cambia, non
piove più e il sole fa di
nuovo capolino tra le nubi biancastre.
Percorriamo
la statale che ritorna verso Geilo, desideriamo fermarci
sull’altopiano
Hardangervidda. La strada sale con una pendenza dell’8%.
Le
gallerie, che hanno una forma elicoidale, sembrano non finire mai.
Superato un
alto e roccioso circo troviamo un vivace torrente dall’acqua
torbosa, che ha
intagliato profondamente il suo letto. La strada lo segue
dall’alto.
Dopo
una
curva, ecco lo spettacolo della cascata Vøringfossen. La
sosta è obbligata.
Dall’alto dell’altopiano si gettano nel vuoto
diversi torrenti, ognuno con un
suo specifico modo. C’è quello che scivola sulle
ormai levigate rocce e le
rende luccicanti e nere come l’ossidiana. Altri rivoli
scendono lungo i
canaloni, già molto scavati. Saltano tra gli spuntoni e
giungono in fondo
candidi e schiumosi. C’è l’acqua che
cerca nuove strade e inizia il lento lavorio dell’erosione,
passando su rocce
ancora importanti. C’è poi il torrente principale,
che con voce tenorile si
getta nel vuoto con balzi notevoli e innalza spruzzi, che baciati dal
sole
prendono la sua luce e la dividono nei sette colori.
Non
capiremo mai, coloro che sostengono che la montagna non è
bella!
Torniamo
al camper e troviamo fermi vicino a noi i due cicloturisti, che avevamo
superato ieri. Li riconosciamo perché hanno una lunga frasca
che sporge a
sinistra della bicicletta, serve per tenere a debita distanza i mezzi
motorizzati nel momento in cui sono sorpassati. Ci riconoscono, ci
scambiamo un
cenno di saluto. Intanto sull’altro lato del camper un
tedesco posteggia la sua
casa viaggiante. A molti il nostro mezzo sembra grande, ma in confronto
a
questa è una pulce.
Ripartiamo,
dopo 20 km raggiungiamo la sommità dell’altopiano.
Siamo a 1250 m di
altitudine, abbiamo raggiunto il limite delle nevi perenni.
L’ispida
erba, i muschi e i licheni sono la vegetazione. L’altopiano
ha un profilo
completamente mosso da dossi e conche, che ospitano specchi
d’acqua stagnante e
laghetti di circo. Decidiamo di fermarci qui in alto non solo per la
dovuta
documentazione fotografica, ma anche per la notte. Posteggiamo in
un’area di
sosta in riva al laghetto Skiftesjøen. Dopo
mezz’ora arriva anche il mega
camper teutonico. Il signore ci chiede se ci fermiamo per la notte,
avuta la
nostra risposta affermativa, abbassa i piedi stabilizzatori. Essendo
già le ore
18.00, sua moglie si accinge a preparare la cena,. Passa
un’ora ed ecco
arrivare un camper olandese. Posteggia tra noi e il tedesco. Il signore
scende
e trova Giuseppe sulla riva intento a fotografare. Un saluto e quattro
chiacchiere su come procederà la rispettiva vacanza.
E’
sera,
la luce del nord è ancora intensa, ma il vento forte abbassa
repentinamente la
temperatura. Ci chiudiamo nel camper e dal finestrone che dà
sul lago ci
godiamo lo spettacolo del tramonto, che sembra non avere fine. Alle
22.30 il
sole si adagia sul bianco cuscino nevoso, sparpaglia i suoi raggi
dorati e si
congeda. Anche noi chiudiamo lo scuro augurandoci la buona notte.
Venerdì
20
luglio
Notte
silenziosa, interrotta solo da qualche scroscio di pioggia. Ci alziamo
alle ore
8.00, dopo il lungo sonno sotto il caldo piumone. Brrr…
sul camper la temperatura è 10,5°C e fuori nella
notte è scesa fino a 4°C.
Il cielo
è tormentato da nubi minacciose, ma il sole si fa spazio e
allunga i suoi caldi
raggi negli ampi squarci azzurri. Oggi scendiamo a Bergen. E’
ritenuta la città
più bella della Norvegia e anche la più piovosa.
La statistica dice che i
giorni di pioggia in un anno sono in media 260. Saremo fortunati o
rientreremo
nella media?
Per
soddisfare il nostro gusto del “sü
de chi
giò de là”, decidiamo di non
percorrere la via diretta, ma una volta
tornati a Granvin di seguire il ramo del Hardangerfjorden, che con un
giro più
lungo ci porta comunque alla meta.
Poco
prima di imbarcarci sul traghetto per Granvin facciamo spesa in un
piccolo
supermercato. E’ la nostra prima spesa. Si dice che la
Norvegia sia cara,
confermiamo e ribadiamo l’affermazione con alcuni esempi. I
prezzi sono
convertiti in euro. Un litro di latte costa 2.00 €, le pesche
nettarine 1.00 €
al pezzo, il petto di pollo 14.00 € al chilo, per non parlare
di vino e birra.
In questa vacanza terremo d’occhio anche il frigorifero.
Siamo però stati
previdenti. Olio, pasta, riso, caffè, vino, conserve,
formaggio sotto vuoto li
abbiamo portati dall’Italia, la birra l’abbiamo
comperata in Germania.
Arriviamo
all’imbarco quando il traghetto è appena salpato.
Ci allineiamo dietro
un’automobile di ungheresi. Arriva anche
un’ambulanza, quella che avevamo
incrociato scendendo. L’attesa è di
mezz’ora. Il traghetto deve arrivare all’altra
sponda e poi, dopo aver scaricato e caricato i veicoli, deve tornare
indietro.
Speriamo che il malato non sia grave. L’ambulanza
è la prima ad essere
imbarcata e la prima a scendere dal traghetto. Almeno questo il povero
malato
se lo merita!
Dopo
Granvin la strada si snoda lungo il fiordo a livello
dell’acqua. All’inizio è
piuttosto impegnativa. E’ stretta, in alcuni tratti
è un single track, ma le
piazzuole di scambio, a differenza delle strade analoghe trovate in
Scozia, non
sono a vista. Inoltre il traffico ha una certa consistenza. Noi
percorriamo la
corsia interna, cioè quella che ha alla destra gli spuntoni
della parete
rocciosa, la quale scende verticalmente verso l’acqua.
L’incrocio che è
particolarmente difficoltoso è l’incontro con un
pullman turistico. Giuseppe
stringe a destra e si ferma a pochi centimetri dalla roccia, il pullman
a sua
volta stringe a destra fino a sfiorare il parapetto. Avanti adagio ora
uno ora
l’altro e finalmente si può procedere.
Il
paesaggio ci ricorda il lago di Como. I colori sono resi brillanti
dall’aria
tersa e dal sole splendente. Il micro clima di questo fiordo
è temperato, ai
piedi degli strapiombi, nei piccoli spazi agrari disponibili, ci sono
frutteti
e serre.
Pranziamo
in un’area picnic in riva al fiordo. Il tragitto che segue
è meno difficoltoso,
perché la strada è più ampia e
più agilmente percorribile.
Purtroppo
offre poche piazzuole di sosta, non è quindi possibile
fermarsi per immortalare
tutti gli scorci che meriterebbero di essere ricordati. Verso il fondo
del
fiordo si passa all’altra sponda attraverso un ponte.
Subito
dopo ci fermiamo e mentre Giuseppe torna a piedi sul ponte per scattare
alcune
fotografie, Paola trova tra l’erba della piazzuola delle
dolcissime fragoline.
Senza altre fermate nel primo pomeriggio arriviamo a Bergen. Heidi ci
guida
senza indugi all’area camper, che ha un limite, ma offre un
vantaggio.
Il
limite è che, come quella di Stoccolma, è posta
sotto una strada di scorrimento
veloce, quindi non è particolarmente silenziosa. Il
vantaggio è che con una
camminata di 20’ o con poche fermate di autobus si raggiunge
il centro città.
L’alternativa del campeggio l’abbiamo scartata,
perché il camping è situato a
20 km dalla città.
Bergen
è
la seconda città di questa nazione, sorge sulla costa
più occidentale di una
penisola i cui lati, settentrionale e meridionale, sono due fiordi, il
lato
occidentale molto frastagliato ha di fronte numerose isole, che lo
proteggono
dalla forza del mare di Norvegia. La città, fondata
nell’anno 1000, conserva
poche tracce della sua vita medioevale, mentre le costruzioni del XVI
secolo,
periodo in cui ebbe un grande sviluppo per essere uno dei principali
porti
della Lega Anseatica, sono oggi ancora presenti, seppure riedificate
più volte,
in seguito a devastanti incendi.
Dopo
aver posteggiato, ci sgranchiamo le gambe andando in città.
Entriamo dalla
porta dell’università, superiamo la chiesa di san
Giovanni, che è chiusa e ci
avviamo verso il Torget. Sono
chiamate torget le piazze principali delle città, dove
spesso è allestito il
mercato.
Quello
di Bergen è famoso per la vendita dei prodotti ittici. I
prezzi sono molto
elevati. Un chilo di gamberetti costa 30.00 €, un piatto da
asporto con uno
spiedino di pesce, mezzo panino e un cucchiaio di salsa 28.00
€. Siamo comunque
curiosi e ci fermiamo a guardare. Un venditore, dallo spiccato accento
veneto,
ci decanta i vari tipi di pesce e ci offre qualche assaggio. Sono tutti
destinati al palato di Giuseppe, essendo Paola un
“pesce” non cannibale.
Tra i
vari assaggi c’è anche un po’ di carne
di balena. Oggi contravvenendo alle
scelte dell’Unione Europea, che condividiamo, assecondiamo il
pensiero
norvegese, che sostiene che come si mangia la cacciagione,
così si può consumare
la carne di balena. Ne compriamo un etto. Il suo sapore ricorda quello
del
roastbeef.
Il
nostro giro odierno termina nel Bryggen, il famoso quartiere
medioevale, che
nel periodo della Lega Anseatica ha ospitato i magazzini dei mercanti
tedeschi.
Oggi il quartiere presenta le case di legno ricostruite secondo
l’usanza del
tempo.
Le
grandi case colorate che si affacciano al mare hanno diversi piani. Una
volta
erano abitate secondo una rigida gerarchia.
Al piano
terra i magazzini, al primo c’era l’abitazione del
mercante, i piani superiori
erano destinati alle abitazioni dei lavoratori da quelli più
qualificati a
quelli meno qualificati.
Oggi
dove un tempo c’erano i magazzini, ci sono degli empori
commerciali e locali di
ristoro. E’ possibile salire al primo piano e percorrere le
balconate che danno
sulla strada. Curiosando attraverso i vetri delle finestre si vede che
i locali
sono i magazzini dei negozi sottostanti. Ai piani superiori non
è possibile
accedere. Dai tetti pendono gli argani, che servivano per issare le
merci.
Nel
porto turistico sono ferme numerose barche. Alcune rivelano la grande
ricchezza
dei loro proprietari.
Rientrando
all’area camper, troviamo posteggiato poco distante da noi
l’equipaggio
olandese, che abbiamo conosciuto ieri sera.
Sabato
21
luglio
In una
città molto piovosa non si poteva sperare in due giorni
soleggiati. Verso
mattina ha iniziato a piovere. Decidiamo di concentrare nel pomeriggio
la
restante visita della città, sperando in un miglioramento
del tempo.
Questa
mattina facciamo la spesa. Ci incamminiamo lungo la via secondo le
indicazioni
che ci ha dato il custode dell’area camper, ma il
supermercato non lo troviamo.
A un incrocio chiediamo a una signora. Questa gentilmente ci spiega che
la
direzione è giusta, ma bisogna prima oltrepassare il ponte,
che porta verso il
centro. Ci lascia e a passo svelto si allontana nella direzione che
dobbiamo
seguire anche noi. Poi ha un ripensamento. Torna indietro, ci dice che
c’è
anche l’autobus. La ringraziamo di nuovo. Lei guardando il
cielo incrocia le
dita e ci augura una buona vacanza.
I
norvegesi sono persone gentili, pazienti, disponibili, ma un
po’ disordinati.
Non ci sembra che tengano le loro case con quella cura che
contraddistingue gli
altri popoli del nord Europa. Tuttavia le città, le strade e
i giardini si
presentano più puliti rispetto a quelli italiani. Insomma i
norvegesi sono
nordici, ma anche un po’ mediterranei! Saranno stati i
vichinghi con le loro
lunghe navigazioni a riportare in patria qualche gene
dell’Europa meridionale!
Il tempo
non migliora, dal cielo plumbeo continua a scendere la pioggia, ora a
scrosci
violenti, ora come una sottile acquerugiola. Per fortuna non
c’è vento, quindi
muniti d’impermeabile e ombrello, dopo pranzo, usciamo e
seguendo la strada ormai
nota ritorniamo in centro.
La prima
tappa è la chiesa cattolica di san Paolo, vogliamo prendere
visione dell’orario
delle messe domenicali. La chiesa è chiusa, ma
c’è una bacheca con indicati gli
orari. C’è anche la messa prefestiva alle ore
18.00. Bene!
Proseguiamo
verso il Torget, lungo la via
troviamo
alcuni artisti di strada che stanno esibendo la loro arte. Uno canta
country
americano accompagnandosi con la chitarra e un’armonica.
Sostiamo ad
ascoltarlo, è proprio bravo, merita gli applausi che gli
sono attribuiti.
Arriviamo
poi al duomo, ovviamente chiuso. Giuseppe fotografa la sua massiccia
facciata.
Siamo di nuovo al Bryggen, qui visitiamo l’Hanseatik Museum.
E’ la casa di un
mercante di pesce.
E’
tutta
di legno e risale all’inizio del XVIII secolo. Il piano terra
era il magazzino.
Entriamo.
Il primo senso ad essere colpito è l’olfatto. Un
intenso odore di pesce pervade
la grande camera. Subito ci domandiamo come sia possibile questa
sensazione.
Poi, quando le nostre pupille si sono dilatate, adattandosi alla
semioscurità,
notiamo nel centro della sala un mucchio di stoccafissi. Sono davvero
merluzzi
essiccati e sono loro che animano l’ambiente con il loro
odore.
Lungo le
pareti, ci sono gli utensili che erano usati per la lavorazione del
pesce, che
iniziava già sulle navi. Una porta fa accedere a una ripida
scala, che sale al
piano superiore.
E’
l’abitazione del mercante. Il vano più vicino alla
finestra ospita lo scrittoio
sul quale è aperto un libro mastro. Il letto è
chiuso tra due ante, in pratica
il mercante dormiva dentro un armadio! Bisogna però
considerare il clima del
luogo e che la casa non era riscaldata.
Il
secondo piano era destinato ai dipendenti. I locali presentano un
diverso livello
di confort secondo il rango del lavoratore. Il contabile aveva una
camera
personale, altri convivevano e dormivano in cuccette sovrapposte con le
ante
chiudibili, altri ancora convivevano nel locale più angusto
dell’edificio,
illuminato solo da un piccolo lucernario a soffitto e le loro cuccette
non
erano protette dalle ante.
Un
filmato in lingua norvegese, sottotitolato in inglese, spiega la storia
della
Lega Anseatica. In altri locali sono conservati i sigilli, che i
mercanti
usavano nella sottoscrizione dei contratti e un’interessante
carta geografica,
che illustra le rotte mercantili.
La Lega
Anseatica aveva sede a Lubecca e aveva quattro basi fisse fuori dal mar
Baltico. Esse erano Bruges in Belgio, Londra, Bergen, e Novgorod in
Russia.
Con il
biglietto del museo visitiamo anche la Schøtstuene, che
è la ricostruzione
della sala dove i mercanti si riunivano per discutere gli affari e
stipulare i
contratti, ma anche per riposarsi, mangiare e stare al caldo, essendo
questi
locali riscaldati dalla cucina che stava al piano terra. La cucina ha
come
pavimento il selciato stradale, che è di pietra. Un grande
camino ha la canna
fumaria che passa per le camere superiori. Dove un tempo passava la
canna fumaria
ci sono delle stufe di ghisa. Oggi sono accese ed emanano un piacevole
tepore.
Anche il
quartiere che si affaccia sul porto, di fronte al Bryggen, è
grazioso. Ci sono
belle case variopinte e vicoli con ancora le case di legno.
Alle ore
18.00 partecipiamo alla santa messa. In chiesa ci sono prevalentemente
immigrati, quasi tutti asiatici. Sono anche presenti quattro suore di
madre
Teresa di Calcutta. Una di queste ci porta il libretto della messa.
Ringraziandola
le diciamo che non ci serve perché non conosciamo il
norvegese. Ci risponde che
la messa è in latino e che il libretto è scritto
in latino oltre che in
norvegese. Allora ritiriamo il libretto. Il celebrante è un
giovane sacerdote.
Esce puntale, indossa i paramenti neri. Introduce la messa dicendo in
norvegese, inglese, francese, tedesco, che oggi e domani le messe in
Norvegia
saranno celebrate in suffragio delle settantasette vittime della strage
avvenuta a Oslo il 19 luglio dell’anno scorso. La messa
è tutta cantata in
latino, solo le letture e la predica sono nella lingua nazionale. Per
noi è un
tuffo nella nostra infanzia. Infatti, dopo il Concilio Vaticano II non
abbiamo
più partecipato a una messa cantata in latino.
Poco
dopo l’elevazione entra in chiesa un uomo dal fisico
possente. Indossa dei
jeans e una giacca impermeabile arancione. I suoi lunghi capelli grigi
sono
completamente bagnati, scarmigliati e sciolti sulle spalle. Ha in mano
una
bottiglietta, ma forse il liquido trasparente non è acqua.
Avanza ondeggiando,
vacilla, si appoggia a una panca, dice qualcosa a voce alta. Si ferma
in mezzo
alla navata centrale, prosegue e si siede nella prima panca. Per un
po’ sta
zitto, poi nuovamente riprende a parlare a voce alta. Una delle suore,
la più
massiccia, gli va vicino, gli si siede accanto, lo calma. Dopo la
comunione,
egli si mostra ancora irrequieto, allora anche il sacerdote va da lui e
gli
parla.
In
questo paese il problema dell’alcolismo e della
tossicodipendenza ci sembra
grave, almeno nelle città. Infatti, sia a Oslo, sia qui a
Bergen, abbiamo
incontrato diversi sbandati.
La messa
termina con il canto della Salve Regina.Torniamo
al camper e trascorriamo la sera riordinando gli appunti e le
fotografie.
Domenica
22 luglio
Quando
l’aria
calda e umida atlantica s’incontra con quella secca e fredda
del nord, si forma
un fronte e la terra sottostante ne subisce le conseguenze. Anche
questa
mattina piove.
Oggi ci
spostiamo di 220 km. Torniamo all’interno e ci dirigiamo
verso nord. La meta è
Borgund, un paesino lungo una stretta valle fluviale.
Domenica
mattina è un ottimo momento per viaggiare. Usciamo da Bergen
in un attimo,
perché la strada che abbiamo già percorso per
giungere in città è completamente
priva di traffico.
Sulla
riva del laghetto poco dopo Voss facciamo la pausa caffè,
poi proseguiamo, ma
un’altra sosta s’impone, perché una
magnifica cascata fa bella mostra di sé. E’
imponente. Dal suo largo margine riversa un’abbondante massa
d’acqua, che
raggiunge il fiume sottostante in tempi diversi, perché il
salto è spezzato in
tanti gradoni, posti ad altezze differenti. Essi dividono
l’acqua in sonori
fiotti.
Il fiume
scorre impetuoso ed è vissuto intensamente da numerose
persone. Avvistiamo dei
pescatori, alcuni sono sulle sponde, altri sono immersi tra i suoi
gorghi fino
a mezza coscia. Pazientemente attendono il salmone più
goloso. Ci sono anche
degli agili canoisti, che si destreggiano tra le rapide e le
cascatelle. Ci
sono i gommoni del rafting, dove sei coordinati vogatori, pagaiando,
tengono in
assetto l’imbarcazione e dei temerari, che scendono lungo il
fiume con l’hydrospeed.
Sono sdraiati su delle tavole a pancia in giù, con la testa
rivolta nel senso
della corrente e si governano con le mani e le
pinne…..però portano il casco!
La pausa
pranzo la facciamo nell’area di sosta di Gudvangen. Da buoni
milanesi non ci
facciamo mancare il risotto con lo zafferano. Poi visitiamo il
mercatino
vichingo. E’ un piccolo mercato, sono in mostra e in vendita
dei prodotti
artigianali della lavorazione del legno e del ferro. E’
allestito sotto delle
tende e i venditori sono vestiti a strati con pesanti tuniche di panno
colorato.
Per arrivare
a Borgund dobbiamo scegliere la strada da seguire. Possiamo percorrere
la
vecchia strada di montagna, oppure la più lunga galleria
europea, di 25 km.
Siamo in dubbio fino all’ultimo metro. Ci piacerebbe seguire
la strada di
montagna, perché vedere il fiordo dall’alto deve
essere uno spettacolo
sorprendente, ma la pioggia torrenziale e le nubi basse ci consigliano
di
entrare in galleria. Essa a sua volta ci riserva una sorpresa. In tre
zone si
allarga ed è illuminata da luci azzurrognole, che danno la
sensazione di
viaggiare sotto un ghiacciaio.
Usciti
dalla galleria, dopo pochi chilometri arriviamo a Borgund, che
è rinomata
perché conserva una Stavkyrkje. Le
Stavkyrkje sono delle chiese che sono state costruite tra il 1130 e il
1350 in
tutta Europa, nel periodo della peste nera. In Norvegia ne sono state
erette
mille, ne sono rimaste solo ventotto, mentre nel resto
dell’Europa non ce ne
sono più.
Le
Stavkyrkje sono completamente di legno. Il loro nome deriva dal termine
stav,
che significa palo. Queste chiese sono costruite con pezzi di legno
incastrati
gli uni agli altri, senza l’utilizzo di funi e chiodi. I pali
che le sostengono
e le intelaiature poggiano su un solido basamento di pietra, che le
isola
dall’umidità del terreno e le preserva dalla
marcescenza.
Questa Stavkyrkje
è tutta circondata da un porticato, che protegge le pareti
dalle intemperie. Il
portale principale è intagliato con foglie di acanto. La
pala dell’altare
risale al 1600, mentre la mensa eucaristica, di pietra, è
medioevale. Accanto
all’antica chiesa ne è sorta un’altra
nel 1868. E’ ancora adibita al culto, la
visitiamo e sostiamo in preghiera. Raggiungiamo
poi il campeggio del paese. Ci accoglie un ragazzino preadolescente,
che
parlando con scioltezza in inglese (!) ci dice che i suoi genitori per
ora non
ci sono e che hanno delegato lui al ricevimento degli ospiti. Ci lascia
posteggiare sul vasto prato prospiciente la sua casa.
Lunedì
23
luglio
Lasciamo
l’agricampeggio di Borgund e ci accingiamo a percorrere
un’altra tappa di
montagna.
Il
motore del camper questa mattina non ha la sua solita musica, fa un
rumore
gracchiante, metallico, in milanese si direbbe “rumur
de scepp”.
Questo ci preoccupa, anche
perché stenta a
riprendere. Dopo qualche chilometro improvvisamente inizia a funzionare
bene.
Dopo una sosta, il problema si ripresenta e si risolve allo stesso
modo. Il cielo
è cupo, nebbie fumanti risalgono la valle, strisciando lungo
i suoi versanti.
In pochi
chilometri raggiungiamo Lærdal sul Sognefjorden, che
attraversiamo con il
traghetto. Approdati a Kaupanger il paesaggio cambia. Non siamo
più in una zona
agricola, ricca di frutteti ed erbai, ma in un ambiente tipicamente
alpino,
dove le foreste di conifere ricoprono i versanti montuosi e si spingono
fino
sulle rive dei fiumi e dei laghetti.
Purtroppo
quello che non cambia è il tempo. Il cielo rimane densamente
coperto e la
pioggia a tratti anche molto intensa accompagna il nostro viaggio.
Numerose
gallerie permettono di transitare da una valle all’altra. La
Norvegia
assomiglia a una gruviera!
Quando
la strada non è in galleria, segue fedelmente i margini
sinuosi dei laghetti o
si intreccia con i fiumi. A tratti è molto stretta, numerosi
sono quindi i
rallentamenti dovuti agli incroci con gli altri veicoli. Si sale e si
scende e
appaiono panorami bellissimi sui fiordi che lasciamo alle nostre
spalle. Poco
prima di Skei s’impone una fermata. Tra lo spaccato di due
montagne scende
bianca, grigia e azzurra una delle lingue del grande ghiacciaio
Jostedalsbreen.
A Olden,
porto terminale del Nordfjord, svoltiamo a destra e ci addentriamo in
un’incantevole valle glaciale. Lungo la strada
c’è una chiesetta rossa, che ci
accoglie in un momento di preghiera. Sostiamo al camping Gryta. Siamo
su un
ampio e piano spazio erboso, affacciati a un ridente laghetto, che ha
come
sfondo la lingua Briksdale, una delle tante di quel grande ghiacciaio
che abbiamo
intravisto durante il viaggio e che domani andremo a vedere da vicino.
Passa
un’ora ed ecco si alza il vento. Speriamo che porti via
l’ostinata
perturbazione che ci tedia da tre giorni. L’aria frizzante di
montagna ci mette
appetito; questa sera polenta
concia.
Mentre
Paola rimesta la polenta, Giuseppe telefona al suo amico Roberto,
novello aviatore,
grande esperto di motori e gli spiega l’accaduto di questa
mattina. Roberto
suggerisce alcuni controlli e poi ipotizza una diagnosi: il gasolio
dell’ultimo
pieno è inquinato con acqua.
Martedì
24
luglio
Il vento
forte e il gloria a san Sereno, santo che pregava sempre un nostro
prete
dell’oratorio per avere bel tempo per le gite (e
così era), hanno liberato il
cielo. Ci alziamo e lo sguardo cerca subito il ghiacciaio. E’
bellissimo,
luccica di riverberi dorati, toccato dai primi raggi del sole.
Partiamo,
la strada che percorre questa verde valle dal profilo a U, è
stretta. Segue la
riva del lago, poi il fiume impetuoso, che collega i laghetti situati a
diverse
altezze e chiusi a valle dalle morene che il ghiacciaio Jostedalsbreen
con la
sua forza ha spinto in milioni di anni.
In fondo
alla valle la strada termina. Posteggiamo il camper e iniziamo la
facile
passeggiata per raggiungere l’imponente fronte glaciale.
La
strada si addentra nel Parco Nazionale. E’ percorsa da
tantissimi turisti e da
piccoli veicoli che trasportano i pigroni e chi ha
difficoltà deambulatorie. Il
paesaggio è di quelli che suscita stupore e ammirazione. Da
ogni angolo
spigoloso posto in alto scende una cascata e sullo sfondo
c’è la lingua
glaciale con il suo fronte azzurrognolo e pieno di seracchi. Questo
ghiacciaio incappuccia
una superficie di 500 km2 che ha vette che
raggiungono i 2000 m.
Saliamo,
il sole caldo ci permette di togliere il pile. Il vento vaporizza
l’acqua di
una spettacolare cascata e il sole gioca con le micro bollicine
disegnando
l’arcobaleno. Ogni scorcio attira i nostri sguardi e ci
impone la giusta sosta
per le fotografie. Verde e bianco, boschi, neve, acqua scrosciante e
poi ancora
il verde dei placidi laghetti, nei quali l’acqua entra
tumultuosa, lì si
distende e si riposa per ritornare a saltare con fragore appena
oltrepassa la
soglia morenica.
Dei
cartelli segnalano il limite del fronte nei secoli passati. Dal 1770 a
oggi il
ghiacciaio è arretrato di circa un chilometro. Si giunge al
circo glaciale
attuale passando sotto due enormi massi erratici che si sorreggono a
vicenda.
Eccoci
quindi sulle rive dell’ultimo laghetto e là in
fondo il circo glaciale sul
quale scivola inesorabilmente un’enorme lingua di ghiaccio,
tutta seraccata di
lucide e azzurre guglie e dalla cui bocca esce della candida acqua, che
ha
fretta di acquietarsi nel laghetto.
Tutti
fotografano e si fanno ritrarre. Anche noi ci scambiamo il favore con
una
giovane coppia norvegese con un piccolo di cinque mesi nel marsupio.
Tornando
indietro Paola fa una coccola a una socievole capretta, che
contraccambia
leccando con gusto la sua mano. Poi la capretta si gratta un orecchio
come
fanno i gatti.
Arrivati
al camper, dopo il rapido pranzo a base di panini, ripartiamo e ci
spostiamo
dal Nordfjord al Geirangerfjorden. La strada che percorriamo
è chiamata “via delle
aquile”. Essa è tanto spettacolare, quanto
impegnativa, perché transita
attraverso scoscese montagne in cui si sale e si scende con ripidi
tornanti e
si attraversano lunghe gallerie dalle rocce sporgenti. A questa
difficoltà si
aggiunge il gran traffico di pullman che portano i croceristi a vedere
dall’alto lo straordinario modellamento di questo paese.
Il passo
che fa da spartiacque tra i due fiordi è un piccolo circo
glaciale a circa
mille metri di altitudine. Ora conserva pochi nevai. Sembrano lenzuola
stese
sul prato ad asciugare. Contornano un azzurro laghetto sulla cui
superficie
galleggiano alcuni iceberg e dove incredibilmente nuota solitario un
gabbiano.
Ci
fermiamo al campeggio di Geiranger, paese che sorge dove il fiordo
omonimo
termina. Alla fonda sono ormeggiate due grandi navi da crociera. Il
paese
pullula di turisti, molti sono in fila davanti al molo. Stanno
attendendo con
pazienza il proprio turno per salire sulle scialuppe di salvataggio,
che li
riporteranno a bordo. Intorno alle ore 19.00 il fumo nero che esce
dalle
ciminiere delle navi e il lungo suono delle sirene sono il segnale
della
partenza e anche il saluto d’addio. Ora il paese è
tornato tranquillo e il
fiordo al suo aspetto naturale. La marea del mare di Norvegia giunge
fin qui.
L’acqua si ritira offrendo spiaggette sassose prima
inesistenti. Gli uccelli
acquatici si affrettano a ricercare tra le alghe in secca cibo
prelibato e
alcuni pescatori li imitano, sfoggiando attrezzature ben collaudate. Il
vichingo, posteggiato vicino a noi, si assicura il pranzo di domani
pescando un
grasso pesce.
Mercoledì
25 luglio
Grrr….
tac,
tac tac,… sss… questi sono i sinistri rumori, che
il camper fa nel momento
della messa in moto. Si sta ripetendo accentuato ciò che gli
è successo due
giorni fa. Ci imbarchiamo sul traghetto che da Geiranger ci porta a
Hellesyt.
Questo
trasbordo è per noi una mini crociera. Infatti, in poco
più di un’ora
navigheremo lungo i 20 km del Geirangerfjorden, che è uno
dei rami dello
Storfjorden. Ci lascia stupiti il costo del trasporto. In proporzione
abbiamo
pagato molto di più le brevi traversate dei giorni scorsi.
Il
Geirangerfjorden è racchiuso tra due pareti rocciose alte
fino a 250 m.
Completamente selvaggio, è sempre cupo, ma questa mattina
è ancora più tetro,
perché la mancanza del sole rende più cineree le
sue rocce.
Qua e
là, su qualche esiguo ripiano erboso si intravedono le
casupole abbandonate di
vecchie fattorie.
Rivoli
d’acqua e bianche cascate allietano lo sguardo assetato di
bellezza. Gli scorci
più suggestivi sono commentati dallo speaker di bordo in
norvegese, in inglese
e in tedesco. Egli racconta anche storie e leggende. Si dice che in
quelle
fattorie affacciate sul precipizio, quando i bambini giocavano sul
prato
venivano legati ai massi, affinchè non cadessero nel vuoto e
ancora una delle
più belle cascate è chiamata delle sette sorelle,
perché è formata da sette
fiotti che, secondo la leggenda, erano sette sorelle, che un crudele
destino ha
trasformato in acqua eburnea.
Sbarchiamo.
Ahinoi il motore è ancora più rauco. Non ci
fidiamo a proseguire il viaggio,
perché dovremmo affrontare ripide salite verso i valichi e
discese ardite verso
il mare.
Fermiamo
il camper nel posteggio tra due supermercati, la Coop e il Joker.
E’ quasi
mezzogiorno. Giuseppe sente Dario, il meccanico della Ford Eurocamion
di
Landriano, officina alla quale ci rivolgiamo per la messa a punto del
nostro
mezzo. Egli fa una diagnosi analoga a quella del nostro amico e ci
consiglia di
chiamare il soccorso stradale. Giuseppe telefona alla Mondial
Assistance. Da
Milano la pratica si avvia in poco tempo e ci prospettano
l’arrivo del carro
attrezzi al massimo in un paio d’ore. Pranziamo e attendiamo
con pazienza il
soccorso dedicandoci alla lettura.
Il tempo
passa. Dopo due ore il meccanico non è ancora arrivato, ma
ci telefona e ci dice
che in un paio d’ore arriverà. Non possiamo fare
altro che aspettare ancora. Ci
distraiamo osservando i clienti dei supermercati. Arrivano mamme con
biondi
bimbetti traballanti sulle gambe, calorosi uomini con la pancia da
birra,
canuti anziani che ci guardano, incuriositi dalla targa.
Sono
passate ormai quattro ore. Il carro non arriva. Per fortuna da Milano
non siamo
abbandonati. Più volte la Mondial Assistance ci richiama e
sollecita il
soccorso al suo corrispondente norvegese. Alle ore 17.00 riceviamo una
telefonata dal carrista, che ci
assicura che arriverà entro un’ora. Siamo un
po’ provati. Ci scaldiamo il cuore
e lo stomaco con una bevanda calda. Finalmente il carro attrezzi
arriva. Sono
le 18.40. Le ore norvegesi sono molto elastiche! Dal camion attrezzi
scende un
uomo dal pelo biondo, ma dalla corporatura mediterranea. Si fa spiegare
il
problema, scruta dentro il motore, ascolta il suo rauco ruggito, ci
consiglia
il trasporto in officina. Si mette al lavoro, rivelando una forza
impressionante. Impiega mezz’ora a caricare il camper sul
pianale del camion.
Il problema che ha di fronte è quello di non fare toccare lo
sbalzo posteriore
per terra. Col gancio di traino lo tira lentamente e
all’occorrenza appoggia
sotto le ruote posteriori del camper delle pesanti assi di legno come
se
fossero dei cunei. Poi assicura il camper con robuste cinghie. Il
camper sporge
dal camion per 2,5 m, l’equivalente dello sbalzo posteriore.
Ci fa salire in
cabina. Essa ha solo due posti. Giuseppe viaggia appollaiato sul tunnel
che c’è
tra i due sedili, senza nessuna sicurezza. Ci auguriamo che il viaggio
non sia
difficoltoso, soprattutto che non occorrano brusche frenate.
Il carro
attrezzi ci porterà a Stryn. Da Hellesyt la strada si
inerpica rapidamente, poi
percorre un ondulato territorio molto disboscato, occupato da numerose
fattorie. Pecore e mucche pascolano tranquille e libere, ne incontriamo
alcune
lungo i margini della carreggiata. Il camion viaggia veloce.
L’autista conversa
con Giuseppe, in questo paese tutti parlano l’inglese.
S’informa sul clima
italiano e gli chiede quali regioni marine sono le più
belle, Poi s’interessa alla
nostra vacanza e gentilmente ci fa notare alcuni scorci paesaggistici
davvero
suggestivi. Ci propone addirittura una sosta per fotografare. Giuseppe
ringrazia, ma gli dice di proseguire, non è dello spirito
giusto!. L’altopiano
è chiuso da un lungo lago. L’autista ci dice che
è molto pescoso. Superato il
lago, il paesaggio cambia. Non più verdi pascoli e coltivi,
una fitta foresta
di betulle e conifere inghiotte la strada fino all’inizio
della discesa, che dà
una poetica visione sul fiordo sul quale si affaccia Stryn. Giunti
all’officina, con un’altra mezz’ora di
lento e faticoso lavoro il meccanico
posa il camper a terra. Questa notte la trascorreremo qui, posteggiati
tra alcune
automobili da rottamare e vicino a un caravan, a sua volta bisognoso di
manutenzione. Ci illuderemo di essere in un campeggio!
Domani
mezzogiorno un tecnico specializzato in motori diesel
ispezionerà il camper,
farà la sua diagnosi e prospetterà la soluzione.
Speriamo in bene, sia in
termini di tempo, che di costi!
Giovedì
26
luglio
Ieri
sera ci siamo addormentati tardi, però abbiamo riposato.
Trascorriamo la
mattina in attesa del tecnico specializzato. Verso mezzogiorno un
ometto di
media età in tuta arancione, che già dalle ore
10.00 era presente in officina,
si avvicina al camper. E’ munito di stetoscopio, proprio come
un medico. Fa aprire
il cofano e avviare il motore e come un medico si mette in ascolto del
respiro
rantoloso del povero mezzo malato. Non capisce quale possa essere la
causa del
guasto. Mette le mani qua e là, svita e avvita, guarda
perplesso, riprova a
sentire il motore, svita e riavvita. Ci sembra che sia come il medico
che per
curare una brutta bronchite dia da succhiare le caramelle al miele.
Giuseppe
ricontatta Dario, il capofficina di Eurocamion, da ieri molto attento
al nostro
problema e disponibile con un efficace aiuto a distanza.
Egli ci
consiglia di recarci presso un’officina autorizzata Ford.
Giuseppe telefona
nuovamente a Mondial Assistance, che riattiva la pratica di soccorso e
intanto
sono già arrivate le 14.30. Trascorrono ancora quattro ore
prima che il camper
venga issato sul camion del soccorso stradale. Il viaggio verso
Førde, la
nostra nuova destinazione, è allucinante. Guida ancora il
forzuto di ieri sera.
E’ stanco, perché è stato via tutto il
giorno. Ora deve guidare per 120 km,
questa è la distanza che ci separa da Førde e poi
deve tornare indietro. E’
nervoso. Mentre ieri guidando conversava, oggi è chiuso in
un forzato mutismo.
Sgranocchia qualche nettarina e guida al massimo della
velocità consentita.
Viaggiare a tratti a 80 km/h su strette strade di montagna a precipizio
sulle
scoscese rocciose, vengono le vertigini. La paura aumenta quando
imbocca le
oscure gallerie poco più alte del camion con sopra il nostro
camper. Temiamo
che un sobbalzo faccia sfregare il tetto del camper contro gli spuntoni
di
roccia che sporgono dalla volta. Giuseppe non sa come tenersi,
così com’è
appollaiato sul cassone tra i due sedili. Speriamo di non incrociare
improvvisamente altri grossi mezzi. In due ore giungiamo a
Førde, dove c’è
l’officina autorizzata Ford. Qui c’è un
meccanico in attesa del nostro arrivo.
Appena scaricato il camper, collega il computer al mezzo e individua il
guasto,
che è risolvibile in poche ore, se il pezzo di ricambio
è in magazzino,
altrimenti…
Questa
sera dormiremo in hotel. Per fortuna abbiamo l’assicurazione.
Essa non ci è stata
vicina solo economicamente, ma con un’attenzione alla persona
non ci ha fatto
sentire abbandonati e succubi degli eventi. Non abbiamo fatto niente
per tutto
il giorno, ma la snervante attesa ci ha provato. Siamo stanchi, ceniamo
in
hotel con uno squisito piatto a base di carne e verdure, poi ci
ritiriamo in
camera.
Venerdì
27
luglio
Ihoo!
Ihoo! Ihoo! Carichi come due somarelli, lasciamo il decoroso hotel
della catena
Quality con il piacere di salutare senza aprire il portafoglio e dopo
aver
fatto una luculliana colazione, nella speranza di essere
all’ora di pranzo in
officina, in attesa della riconsegna del mezzo. Con una camminata di
venti
minuti lungo la ciclabile-pedonale, che affianca la strada statale,
arriviamo
in officina. La diagnosi precisa è la seguente: la valvola
che regola la pompa d’iniezione
si è rotta, probabilmente a causa
del gasolio sporco. Va sostituita, ma non è in magazzino. Il
malato sarà
operato e dimesso lunedì, perché oggi, purtroppo
è venerdì. Nonostante il
guasto, il camper si può muovere per brevi tratti. A un
chilometro dall’officina
c’è il campeggio. Decidiamo di trasferirci
lì, perché dormire nel nostro letto,
lo preferiamo a qualsiasi altro giaciglio e anche perché il
costo di una
giornata in campeggio è minore del costo che ciascuno di noi
ha pagato ieri
sera per la cena. Questa sosta forzata diventa una giornata di completo
riposo.
Avendo “pranzato” questa mattina, alle ore 14.00
facciamo colazione con un
caffè, latte e qualche biscotto, poi nel pomeriggio ci
rechiamo all’officina
per conoscere il preventivo della spesa per la riparazione. Il costo
è elevato,
seppure minore di quanto avevamo preventivato. Inoltre ci dicono che la
valvola
la devono far venire dalla Svezia, sperano quindi di risolvere davvero
il
nostro disagio entro lunedì sera. Se lo sperano loro,
immaginate quanto sia
grande la nostra speranza! Poi andiamo a curiosare in un grande
magazzino di
bricolage, che è proprio vicino al campeggio. Intanto il
sole del mattino si è
via via ritirato sotto le nubi che la montagna ha spinto indietro.
Incomincia a
piovere. Inizialmente scendono goccioline sparse, poi in modo sempre
più
continuo. Torniamo in campeggio e ci rituffiamo nella lettura.
Sabato 28
luglio
Sveglia
libera, ci alziamo alle ore 10.00. Nella notte ha smesso di piovere. Il
cielo
si è abbassato e copre con dense e grigie nubi le cime
arrotondate delle verdi
montagne, che racchiudono il fiordo. Più in alto sottili
nubi sfrangiate
lasciano intravedere l’azzurro. Da Milano ci contatta la
Mondial Assistance e
ci avverte prima con un sms e poi con una telefonata che
l’automobile
sostitutiva è disponibile presso l’agenzia AVIS
della cittadina. A piedi
raggiungiamo l’agenzia. Dopo aver sbrigato le pratiche, ci
consegnano un’Audi A3
di colore grigio fumo di Londra. Siamo contenti, ritorniamo subito in
campeggio
e organizziamo il pomeriggio.
Førde
è
una cittadina che è sorta sul fondo del fiordo omonimo.
E’ moderna e non ha
particolari bellezze artistiche e architettoniche. Nel pomeriggio
decidiamo di
recarci a Florø, il paese che si affaccia sul mare di
Norvegia ,sulla punta di
una strettissima penisola, che separa i due fiordi a nord del
Førdefjorden.
Questi fiordi sono poco profondi, ma molto articolati. Le loro acque
sono
costellate di isolotti, alcuni sono solo delle rocce affioranti, altri
sono
rivestiti dalla vegetazione spontanea. Seguiamo la strada che costeggia
il
fiordo.
E’
molto
stretta e tortuosa, ma offre pittoreschi scorci panoramici. Per
superare
qualche sperone s’infila in basse e scure gallerie. Anche
Florø è un paese poco
interessante. Del borgo antico, fatto di bianche case di legno
è rimasto poco.
Si sta trasformando in un moderno paese, con molti centri commerciali.
Ha un
discreto porto, da cui partono le navi che tengono i collegamenti con
le
numerose isole che fanno da frangiflutti a questa frastagliata costa.
E’
sera,
si è alzato un vento deciso. Alle 22.30 un rosso tramonto ci
dà la buona notte.
Domenica
29 luglio
Secondo
il nostro programma oggi dovevamo essere nella città di
Ålesund e qui avremmo
partecipato alla santa messa. Invece siamo fermi a Førde,
dove non c’è la
chiesa cattolica. Dopo colazione celebriamo tra noi la liturgia della
Parola.
Telefoniamo
a Simone e gli raccontiamo la nostra odissea. Lui sorride e ci racconta
l’avventura, che ha vissuto mesi con Eileen e due amici fa
transitando
attraverso il confine tra la Malesia e la Thailandia. La sua
sì è stata una
vera avventura, ma chi non ha ancora trent’anni riesce ad
affrontare gli
imprevisti, i disagi e le varie situazioni con il sorriso sulle labbra.
Beata
gioventù!
Il resto
della mattinata lo passiamo a programmare la gita del pomeriggio. La
guida non
ci aiuta. Questa zona non è molto rinomata. Prendiamo
l’atlante turistico della
Norvegia, scala 1 : 325000, che avevamo acquistato a Oslo e guardiamo
se nei
dintorni sono segnati dei punti panoramici. In effetti, voltando le
spalle al
mare, a una quarantina di chilometri sono segnati due punti panoramici.
Saranno
la nostra meta.
Intanto
il cielo si apre, l’azzurro lascia filtrare l’oro
del sole e la temperatura si
alza. Dopo un veloce pranzo, il risotto domenicale, oggi con i
finferli, sarà
il piatto forte della cena, saliamo in macchina e partiamo.
Usciti
da Førde seguiamo la sponda del lago, che sta alle spalle
della cittadina, poi
deviamo e percorriamo la strada che risale la valle fino a
ciò che era un circo
glaciale, lo valichiamo e scendiamo lungo il
Fjærlandsfjiorden, fiordo molto
più profondo e articolato rispetto a quello di
Førde.
Poi
c’è
una nuova salita. E’ dolce. Siamo circondati dal verde
intenso dei prati e da
quello cupo delle foreste di conifere, che rivestono i versanti fin
sotto gli
strapiombi rocciosi. I neri laghetti, cosparsi di pagliuzze
d’oro, sono
collegati tra loro e alimentati da vivaci torrenti, che spesso
s’inebriano di
bianco formando cascate.
Alla
prima che incontriamo, ci fermiamo. Vicino al ponte nuovo una bianca
chiesetta
del 1848 protegge i suoi morti. E’ nostro desiderio dire una
preghiera in quel
luogo di culto. La chiesa, però, è chiusa. Il
pensiero comunque sale a Dio. Più
avanti ci aspetta una cascata ancora più imponente, chiamata
Gardian. Dalla
piazzola di sosta parte un sentiero. Lo seguiamo. Un moderno ponte
tibetano
d’acciaio consente di passare sopra la cascata. Che
spettacolo! L’acqua salta
tra i massi con grande fragore. Quelli che ha già
addomesticato, li accarezza
scivolando morbida, mentre contro il granito ancora aspro conduce con
forza la
sua battaglia, sicuramente vincente. Oltre la cascata, il sentiero
prosegue e
si addentra nel bosco. Continuiamo il cammino. Delle passerelle di
legno
consentono di non impantanarsi nel terreno molto umido, coperto di
spugnosi
muschi.
Siamo in
un bosco misto di betulle, larici e ginepri. Improvvisamente uno
scoiattolo fa
capolino da dietro un tronco resinoso. Avverte la nostra presenza, si
gira
verso di noi e lesto si nasconde, prima che Giuseppe riesca a
fotografarlo. C’è
molta umidità, ma stranamente non ci sono funghi.
Il fitto
sottobosco è composto di eriche, felci e una grande
quantità di mirtilli. Le
violacee perline occhieggiano tra il verde delle foglie. Ne raccogliamo
alcune.
La loro anima esprime ancora una nota asprigna. I mirtilli non sono
ancora
completamente maturi,…purtroppo!
Ripresa
l’automobile, saliamo ancora un po’ e dietro a una
curva troviamo un discreto
numero di capre, che stanno ruminando, placidamente sedute sulla
carreggiata.
Rallentiamo, avanziamo lentamente, passiamo loro accanto, non si
scompongono.
Quando le abbiamo oltrepassate, ci fermiamo e le fotografiamo, mentre
un’automobile sopraggiunge nel verso opposto e con cautela
passa. Arriviamo quindi
vicini a un’altra cascata e dopo di essa troviamo un
laghetto, che milioni di
anni fa era il bacino di un ghiacciaio. Ora è circondato da
aspre montagne
chiazzate di piccoli nevai. Raggiunto il valico, invertiamo la marcia e
torniamo a Førde.
Alle
22.30 arriva velocemente in campeggio un camion del soccorso stradale.
Si ferma
al camper vicino al nostro. Brutti ricordi! Il guasto di quel camper
è risolto
in poco tempo. Giuseppe, che è uscito per curiosare,
velocemente rientra,
prende la macchina fotografica e coglie l’ultima immagine di
questa lunga
giornata.
Lunedì
30
luglio
Sveglia
alle ore 7.00. Fa freddo, sul camper ci sono 13°C e fuori
8°C. Il cielo limpido
della notte ha lasciato fuggire il poco calore accumulato dalla terra
nell’assolato pomeriggio di ieri.
Ci
copriamo camicia, golf, giacca di pile. I nordici girano in t-shirt, al
massimo
le signore portano un golfino di cotone, ovviamente traforato, per non
soffrire
troppo il caldo!
Oggi il
nostro malato dovrebbe essere operato, guarito e dimesso. Lo mettiamo
in moto.
Con affanno parte e adagio, adagio percorre il chilometro che lo separa
dall’officina. Il pezzo di ricambio è arrivato.
Sono le ore 8.00, ci invitano a
ritornare per mezzogiorno. Avendo a disposizione l’auto di
cortesia inganniamo
l’attesa percorrendo la sponda del fiordo opposta a quella
che porta a Florø.
Questo
lato del fiordo ci piace di più, perché
è più selvaggio. La strada è stretta e
intagliata nella roccia. Offre belle vedute, difficili da fotografare,
perché
non ci sono
piazzuole
di sosta. Quando
l’inquadratura non può essere persa, mettiamo i
quattro lampeggianti, sostiamo
sulla strada e Giuseppe scatta velocemente.
Riconsegniamo
l’automobile all’AVIS e a mezzogiorno ci
presentiamo in officina. Il camper è
pronto. Ci consegnano anche la valvola rotta, che è stata
sostituita. Espletata
la pratica di pagamento, beviamo un caffè e partiamo.
Vogliamo
raggiungere il mare aperto e sostare su una delle molteplici isole che
contornano la frastagliata costa. La scelta cade sull’isola
di Runde, perché su
questa piccola e montuosa isola, percorsa solo per un breve tratto da
una
strada carrozzabile, nidificano molti uccelli migratori e
c’è il campeggio.
Ripercorriamo
a ritroso la strada fino a Byrkjelo, poi seguiamo un piccolo ramo del
Nordfjord
fino ad Anda e qui ci imbarchiamo su un traghetto, che ci fa
attraversare il
fiordo in cinque minuti. Sbarchiamo e dopo poche centinaia di metri ci
imbuchiamo in una lunga galleria, che collega due rami del fiordo,
separati da
una sottile e prominente penisola.
Poi
spostandoci verso nord abbandoniamo il Nordfjior per raggiungere il
Voldafjorden. Ancora una volta bisogna valicare delle dorsali montuose.
Si sale
e si scende in un ambiente alpino costellato di laghetti circondati da
crinali
innevati e siamo solo a 300 metri di altitudine.
A
Forkestad ci imbarchiamo di nuovo. Questa volta la traversata
è un po’ più
lunga. Sbarchiamo a Volda e da qui seguiamo le indicazioni per Runde,
che
raggiungiamo passando da isola a isola attraverso ponti molto arcuati,
che
consentono il passaggio dei grossi pescherecci, che vediamo ormeggiati
nei
porti.
Giungiamo
al camping Goksöyr intorno alle ore 17.30. Vicino alla
reception ci sono la
calotta cranica e una costola di una balena. Ci assegnano un posto in
prima
fila di fronte al mare e ci danno chiare informazioni: una cartina
dell’isola
con segnati i sentieri e una spiegazione in italiano su come fare per
raggiungere i luoghi di osservazione dell’avifauna.
Siamo
galvanizzati! Appena posteggiato il camper, Giuseppe mi chiede di
preparare la
cena per le 19.00. Prende la macchina fotografica e va sulla scogliera
a dare
respiro alla sua passione e al suo estro. Rientra pieno
d’entusiasmo, perché
tra gli scogli ha individuato un nido di fulmar, con la femmina e la
sua
nidiata.
Dopo
cena, preparate le macchine fotografiche e gli obiettivi, prendiamo i
bastoncini, ci copriamo bene e ci incamminiamo sul sentiero, che con
una lunga
erta ci porta in alto sulla scogliera, a precipizio sul mare.
Il
gestore del campeggio ci ha indicato sulla cartina dove, dopo le
ventuno,
arrivano i puffin per trascorrere la notte. Quaranta minuti di salita e
siamo
vicini alle nubi, che corrono basse lambendo la fradicia erba.
Dal
prato si alza in volo uno skua, che va a posarsi più
lontano. Eccoci finalmente
in alto. Le grida dei gabbiani si sentono forte e si mescolano con il
fragore
dei flutti marini che attaccano con insistenza la base delle grigie
falesie.
Ogni anfratto ospita una colonia di una determinata specie di uccelli.
Dopo la
scogliera dei gabbiani, c’è quella dei puffin.
Questi piccoli uccelli volano e
si posano in continuazione, dandosi il cambio al nido per proteggere le
uova e
la nidiata dall’attacco dai famelici gabbiani.
I puffin
con le corte zampine palmate di un bel colore arancione e il becco
importante
dello stesso colore, vivacizzato da delle strisce blu e rosse, la
livrea nera e
bianca, sono proprio belli e forse lo sanno. Troviamo già
sul posto altri
turisti e insieme a loro Giuseppe inizia a scattare foto a ripetizione.
I
puffin sembrano divertiti da questo silenzioso trambusto. Saltellano di
roccia
in roccia, si mettono in posa, poi spiegano le corte ali e si tuffano
nel vuoto
per poi planare sul terreno muovendosi con goffi passettini.
Due
ragazzi di origine araba, che ci avevano superato durante la salita e
che si
erano fermati per fotografarsi vicendevolmente mettendo i piedi
sull’orlo del
precipizio, arrivano adesso alla scogliera dei puffin. Schiamazzando
iniziano a
scendere lungo il sentiero. Spaventano i simpatici uccellini, che
prendono il
volo.
Paola
sfodera lo sguardo severo della professoressa e portando il dito indice
alla
bocca con un sibilo li zittisce. I due se ne vanno. I puffin,
tranquillizzati,
ritornano per la gioia di chi è salito fin quassù
per ammirarli.
E’
trascorsa un’ora e ci sembra di essere appena arrivati. Il
cielo inizia ad
imbrunire, diamo un’ultima occhiata alla scogliera, dove ogni
uccello sta
trovando il suo posto per trascorrere la notte, e torniamo al
campeggio.
C’è
alta
marea, il mare ha coperto quasi tutti gli scogli e si infrange a pochi
metri
dal camper. I gabbiani intrecciano gli ultimi voli e piano piano si
zittiscono.
Noi ci prepariamo una calda tisana con le erbe aromatiche dei frati di
Camaldoli e ci dedichiamo ai nostri compiti delle vacanze.
Martedì
31
luglio
Grigio
è
il cielo, grigio pure il mare, però non piove. Va bene
così.
Mentre
facciamo colazione, assistiamo a una disputa territoriale. Posato su
uno
scoglio, c’è un grosso gabbiano con le penne nere.
Dal cielo scende gridando un
gabbiano imperatore e lo punta. Gli passa vicino con strida minacciose,
questo
risponde a sua volta lanciando a becco spalancato un grido di rimando.
L’attaccante lo supera, recupera un po’ di altezza,
vira e ritorna agguerrito.
L’azione si ripete più volte, ma il gabbiano dalle
penne nere non si schioda
dal suo scoglio. Allora al primo assalitore se ne aggiunge un altro.
Attaccato
su due fronti, il gabbiano dalle penne nere prende il volo.
Usciamo
per una breve passeggiata fino al termine della strada. Delle semplici
casette
di legno colorato e una rossa
fattoria
sfruttano l’esigua striscia di prato presente tra il monte e
il mare.
Simpatiche sono le cassette della posta, personalizzate con dei
disegni. E’
quasi mezzogiorno dalla scogliera alle nostre spalle si alzano forti i
versi
dei gabbiani. Essi prendono il volo contemporaneamente e scendono verso
il mare,
che si sta ritirando per la bassa marea. Per i gabbiani il banchetto
è servito.
Arrivano anche i fulmar e altri uccelli. Lottano per la scelta dello
scoglio
migliore, ognuno lancia versi acuti. Quando tutti hanno trovato un
posto, cala
il silenzio e ciascuno inizia a saziarsi.
Più
tardi anche noi pranziamo, un paio di panini e mezza mela. Il pasto
è leggero
per non far fatica durante la passeggiata del pomeriggio.
Risaliamo
sulla cima della falesia e quando siamo in prossimità della
scogliera abitata
dai gabbiani, seguiamo il sentiero che devia a destra. Percorriamo il
margine
roccioso e giungiamo sulla punta del promontorio. Davanti a noi il mare
aperto,
calmo e fermo si sta colorando di blu, perché nel cielo
alcuni occhi azzurri si
dilatano sul mondo. In basso la grigia roccia è tinta di
bianco.
Appollaiati
sugli spuntoni, ci sono tantissime sule, in cova. Sono uccelli marini
di media
grandezza, dal collo lungo e mobile, che sorregge il capo dorato. Il
piumaggio
del corpo è bianco, le ali sono lunghe e sottili e terminano
con alcune penne
nere.
Alla
nostra sinistra il dedalo di promontori e isole disegna la tormentata
morfologia della costa. Alla nostra destra vediamo in lontananza altri
speroni
rocciosi, scogli e isole.
Dalla
punta scendiamo verso il vecchio faro, con una ripida discesa su un
terreno
erboso molto umido. Il faro ora è in disuso. E’
costruito su una lingua
granitica, che si allunga dalla base della falesia. Vediamo l’antica torre e alcune
casupole
bianche.
Siamo
soli. Il silenzio è interrotto solo dal mormorio del mare e
dai versi di alcuni
uccelli che volano alti. Immaginiamo la solitudine del guardiano,
specie nei
lunghi e bui giorni invernali, magari flagellati dalle tempeste.
Per
tornare indietro percorriamo un altro sentiero. Risaliamo sulla cima
della
falesia e poi scendiamo lungo il suo crinale. Camminiamo su un suolo
acquitrinoso e torboso. Ad ogni passo con i bastoncini tastiamo il
terreno per
non affondare troppo. Più che un sentiero per uomini,
è un tracciato per pecore
e capre e le troviamo belanti intente a brucare l’ispida
erba. Con un lungo
giro ci ricongiungiamo al sentiero di partenza e dopo quattro ore e
mezzo siamo
di nuovo in campeggio. Gli equipaggi, che ieri erano vicino a noi, sono
partiti, ora abbiamo un solo vicino: una famiglia olandese.
Dopo
cena riceviamo una telefonata. E’ Daniele, che ci passa
Niccolò, che è appena
tornato dal mare. Ci saluta con uno strillo e quando Paola gli chiede
se è
abbronzato, alza la maglietta.
Mercoledì
1 agosto
Durante
la notte si è alzato il vento ed è anche piovuto
un po’. Ci alziamo quando la
bassa marea ha richiamato ancora sugli scogli, ora asciutti, i numerosi
uccelli, che si cibano dei piccoli molluschi.
Il programma
di oggi prevede un breve spostamento di 80 km, fino a
Ålesund. Impiegheremo
circa due ore, considerate le strade tortuose, che contornano i fiordi,
gli
stretti ponti di passaggio da un’isola all’altra,
una traversata in traghetto
di circa mezz’ora e qualche sosta per le fotografie.
Arriviamo
a Ålesund all’ora di pranzo, transitando attraverso
una galleria, scavata sotto
il mare, lunga quattro chilometri. Ci fermiamo all’area
camper, che è nella
zona del porto, a poche centinaia di metri dal centro della
città. Posteggiamo
davanti al mare. Il pomeriggio lo dedichiamo alla visita della
città. Ålesund,
poco considerata come meta turistica, è invece una
città, che a nostro parere
merita di essere visitata. La sua architettura è molto
diversa da quella tipica
norvegese. Ricostruita all’inizio del XX secolo, dopo essere
stata distrutta
completamente da un rovinoso incendio, ha case in muratura abbellite
con
torrioni e fregi colorati.
Tranquilla
e silenziosa, senza traffico, la giriamo con piacere, anche se non ha
monumenti
importanti e musei particolari. Camminiamo lungo le sue strade
principali
ammirando le case decorate. L’aria è fredda, il
vento ha liberato parzialmente
il cielo, il sole è caldo.
Ålesund
sorge su un’isola, allo sbocco di due fiordi. Con la sua
pianta arcuata sembra
abbracciare il mare di Norvegia. Dal molo osserviamo l’ampio
panorama chiuso
all’orizzonte dalle isole presenti nel fiordo e dal crinale,
che lo delimita a
nord. Poi raggiungiamo il parco cittadino, dove si trova la statua di
Rollon,
un capo vichingo nato e vissuto in questa città. Il parco si
estende su tutta
la collina, che domina il centro abitato. Un ripido sentiero di
più di 400
scalini s’inerpica fino alla cima. Saliamo,
dall’alto la vista è molto bella.
Vediamo i due fiordi, la città con le sue case colorate, la
grande chiesa, che
era chiusa, il porto turistico e quello commerciale, dove è
ancorata una nave
da crociera e da dove è appena partito un grosso
peschereccio.
Il sole
è ancora alto, anche se è già sera. Il
braccio di mare che va al porto è
trafficato. Passano pescherecci, navi da carico e anche
l’Hurtigruten, la nave
postale, che percorre la costa fino a Capo Nord.
Intanto
all’area
camper sono arrivati tanti equipaggi. Vicino a noi hanno posteggiato un
camper
austriaco e uno svedese. Alcuni pescano e rapidamente abboccano pesci
di
discrete dimensioni. Ci sono anche sei caravan inglesi con molti
bambini, che
giocano schiamazzando, mentre i loro genitori sono completamente
assorti nella
pesca. Anche un ragazzino si destreggia con la canna. Giuseppe lo
osserva.
Quando cattura un pesce, lo offre generosamente a Giuseppe, che accetta
il
regalo. Domani sera lo cucinerà alla griglia.
Alle
22.30 l’orizzonte si tinge di rosa, auspicio di una nuova
bella giornata.
Giovedì
2
agosto
Quando
Paola è in vacanza, dopo cena, si concede mezz’ora
di relax e gioca a carte. Fa
sei solitari. Li ha imparati da bambina andando in vacanza con il nonno
Luigi.
Per il nonno il solitario chiamato Napoleone, se si risolve, annuncia
il cambiamento
del tempo, altrimenti conferma per il giorno dopo il tempo che
è stato. Ebbene
ieri sera Napoleone si è risolto senza neppure
l’utilizzo della “mossa
strategica” e questa mattina c’è una
bella e tersa giornata di sole. Mitico
nonno!
Oggi con
uno spostamento di circa 100 km ci dirigiamo ancora a nord fino a Bud,
un
piccolo borgo situato sulla sponda settentrionale e sulla punta
più occidentale
del Frænfjorden.
Da
Ålesund al Moldenfjorden le strade sono simili ad altre
già percorse. Ci
addentriamo nella penisola, saliamo fino a trecento metri, transitiamo
in una
zona boscosa costellata di laghetti, che hanno come sfondo cime
innevate, poi
scendiamo e a Vestnes ci imbarchiamo su un traghetto, che con una
traversata di
dieci chilometri ci porta a Molde, cittadina che sta sulla sponda
settentrionale del fiordo omonimo.
Le
traversate con i traghetti hanno un costo variabile e a sorpresa.
Variabile,
perché non dipende dalla lunghezza della tratta,
probabilmente il prezzo del
biglietto è dovuto all’essenzialità del
servizio: se non ci sono vie
alternative, allora il costo è elevato. A sorpresa,
perché le tariffe non sono
esposte agli imbarchi. Quanto si paga, lo dice il bigliettaio, quando
si
affaccia al finestrino del mezzo dopo la partenza.
Da Molde
ripartiamo per Bud. Per superare un ennesimo costone entriamo in una
galleria
lunga tre chilometri. E’ a pagamento. Qui in Norvegia per
entrare in alcune
città, come Oslo e Bergen e su alcune strade si deve pagare
un pedaggio.
Abbiamo letto e a Oslo ce l’hanno confermato, che le
telecamere registrano il
passaggio e poi senza oneri aggiunti arriverà a casa entro
tre mesi la
quietanza di pagamento. All’uscita di questa galleria
troviamo invece il
casello.
Il
paesaggio ora è diverso. Siamo sul Frænfjorden, un
fiordo poco profondo,
dall’acqua blu e la vegetazione lussureggiante.
Ci
fermiamo al Bud camping, che si affaccia al porticciolo. Il sole caldo
ci
invita all’abbronzatura. Sulle nostre poltroncine gli
offriamo il viso.
Il
campeggio dista un chilometro dal paese. Con una breve passeggiata lo
raggiungiamo. Bud in origine era un piccolo borgo di pescatori. Ora,
intorno
all’antico nucleo, dove si svolge ancora
l’attività marinara, l’insediamento si
è ampliato. Tuttavia la fisonomia non è mutata,
perché le nuove case sono
anch’esse di legno colorato, edificate secondo
l’architettura tradizionale. La
chiesa di legno bianco si distingue per il suo campanile a cipolla.
Sulla
sommità del promontorio sorge il Romsdalmuseet.
E’ un
memoriale della seconda guerra mondiale, insediato su una postazione
militare
costruita dai tedeschi e utilizzata dagli stessi tra il 1940 e il 1945,
come
bunker e luogo di avvistamento. Il bunker è sotterraneo, ha
le abitazioni dei
soldati, la postazione di avvistamento, mascherata nella roccia del
promontorio
e l’equipaggiamento tecnologico.
Nel 1940
la Norvegia, che si era dichiarata neutrale, fu invasa dai nazisti. Nel
corso
della guerra subì pesanti distruzioni. Nel bunker sono
esposte alcune pagine
dei giornali dell’epoca con le fotografie delle
città bombardate. Esternamente
sono rimasti un cannone e una mitragliatrice. A noi farebbe un certo
effetto
abitare nelle case sottostanti, in pratica sotto tiro.
Ed
eccoci all’ora di cena. Giuseppe fotografa il merlano di 450
g ricevuto in dono
ieri e già se lo mangia con gli occhi. Poi avvia il grill e,
soddisfatto della
cenetta, con un sms la descrive al suo amico Roberto, che si diletta
anche
nella pesca.
Venerdì
3
agosto
Questa
mattina si presenta ancora più promettente rispetto a ieri.
Il cielo sul mare è
completamente sereno e il sole annuncia una giornata calda. Le montagne
stanno
ancora dormendo avvolte da una soffice coltre di nubi. Il vento intenso
dà la
certezza di spazzarle via e di mantenere il bel tempo.
Ci
mettiamo in marcia. Oggi ci spostiamo di circa 70 km in direzione
Kriastiansund. Viaggiamo lentamente lungo la rinomata
Atlanterhavsvegen. E’ la
strada nazionale, che percorre la costa. Abbiamo con noi una mappa
recuperata
ieri al museo di Bud. Essa riporta i punti paesaggistici più
interessanti.
Poco
dopo Bud ci fermiamo. Siamo a Kjeksa-Hustadvika. Qui da
un’ampia piazzuola
panoramica osserviamo la costa modellata dal mare e dal vento. Le
grigie rocce
spiccano nel blu e quelle sommerse giocano con i flutti, che rimbalzano
spumosi. Ripartiamo e dopo un paio di chilometri deviamo verso
Askvågen. Una
stretta strada ci conduce su una frastagliata propaggine della costa.
Gli
innumerevoli isolotti disegnano nel mare un intricato labirinto.
Proseguiamo e
questa imperdibile strada ci porta a Skotten. Altri isolotti, alcuni
supportano
dei fari, segnali essenziali in questo dedalo. Il mare ha sfumature che
variano
dal turchese al blu intenso.
E’
passato mezzogiorno. Davanti a un panorama così incantevole
prepariamo un
pranzo mediterraneo: penne al ragù, cucinato ieri sera,
dolcissime fragole al
naturale, un biscottino per accompagnare il caffè. La nostra
scelta di sosta è
approvata da una coppia di olandesi, che si fermano col loro camper e
pranzano
alla loro maniera: fette di pane spalmate con qualche crema salata. Un
cenno di
saluto e ripartiamo. A Vevang, punta settentrionale della penisola che
chiude a
sud il Sandøyfjorden, inizia il tratto più
spettacolare. La strada saltella tra
un isolotto e l’altro con ponti e terrapieni e nel mezzo, per
consentire il
transito delle barche a vela e dei pescherecci, ha un ponte molto
arcuato, un
po’ attorcigliato su se stesso. E’
d’obbligo la sosta. Giungiamo quindi
sull’isola Averoya e anche qui ci fermiamo e volgiamo lo
sguardo all’indietro.
Molti turisti stanno pescando dal ponte. L’aria è
sferzante e fredda,
nonostante il sole, ma loro sono gente del nord!
C’è persino un vecchietto a
dorso nudo! Noi invece indossiamo il pile e la giacca impermeabile.
Ora la
strada si addentra nell’isola, ma a noi è rimasto
il desiderio di bellezza,
perciò guardando l’atlante ci lasciamo ispirare da
una via secondaria che si
dirige verso una punta, che guarda il mare aperto. La seguiamo e
arriviamo a un
borgo di pescatori. L’aria sa di pesce, numerosi essiccatoi
occupano le rive.
Su di essi saranno stesi i merluzzi, che diverranno stoccafisso.
Le
piccole casupole rosse, incorniciate di bianco, si affacciano sugli
anfratti più
riparati della costa, mentre i pescherecci sono ancorati dove il mare
è più
profondo. Torniamo leggermente indietro, a Hasloy seguiamo
l’indicazione
camping. La strada diventa ancora più stretta,
nell’ultimo tratto è sterrata.
In località Lysø, su un piccolo e roccioso
promontorio, compresso tra due
insenature, troviamo il campeggio. Sono le ore 16.00. Ci fermiamo e ci
regaliamo delle ore di assoluto riposo.
Sabato 4
agosto
Dice il
proverbio: “Non c’è due senza
tre”, però qui in Norvegia è pretendere
troppo.
Così il terzo giorno consecutivo di sole non
c’è. Questa giornata di
trasferimento si presenta col cielo bigio e assenza di vento.
Lasciamo
il campeggio più silenzioso che abbiamo trovato: nessun
scroscio d’acqua di
fiumi e cascate, niente pioggia, non lo sciabordio del mare, non le
grida dei
gabbiani.
Su un
morbido e assorbente fondo erboso, protetti dalle rocce della
scogliera,
abbiamo dormito un sonno profondo, davvero tonificante.
Salutiamo
l’equipaggio dell’unico camper che ha condiviso con
noi questo paradiso, una
giovane coppia austriaca con una bimbetta di circa un anno e partiamo
verso la
nostra meta, che è Trondheim.
Ritrovata
la statale, la percorriamo in direzione nord. Volgiamo un ultimo
sguardo
all’isola di Averoya, molto rocciosa e poco popolata, prima
di imbucarci nel
lungo tunnel sottomarino a pagamento, che ci fa uscire a Kristiansund.
Alla
prima rotonda troviamo, fermi a leggere l’atlante stradale, i
due motociclisti
italiani, che ci avevano superato appena prima del tunnel. Apprezziamo
la
comodità del navigatore, ma anche a noi piace procedere come
facevamo fino a
pochi anni fa, quindi l’atlante lo abbiamo sempre aperto alla
pagina
appropriata.
Kristiansund
è una città che occupa alcune isole alla fine di
un articolato fiordo. La guida
dice che essendo stata distrutta nel 1940, si presenta come una moderna
città
portuale. Non ci fermiamo. Con un altro tunnel e un ponte arriviamo
sulla parte
terminale di una lunga penisola, che separa due fiordi. La
attraversiamo
trasversalmente, quindi saliamo e scendiamo immersi in un paesaggio
alpino.
Giunti sulla riva dell’altro versante, prima di imbarcarci
sul traghetto
pranziamo. Qui ci raggiungono nuovamente i due motociclisti, che
s’imbarcano
subito.
Ripresa
la marcia, seguiamo fino in fondo il profilo di un altro ramo del
fiordo che ha
Kristiansund come sentinella. Poi la statale si addentra
nell’entroterra. Una
bella zona spopolata, ricca di foreste, ci ricorda la Svezia,
però questi
boschi hanno una maggiore presenza di latifoglie. Lungo questo tratto
di strada
non c‘è traffico. Vicino a un laghetto ci
concediamo una pausa caffè.
A
Orkanger ci affacciamo su un altro grande fiordo il Trondheimsfjorden.
L’ultimo
tratto di strada corre in un verde territorio agricolo, che si sta
colorando di
giallo, per la maturazione quasi ultimata dei cereali. Le fattorie
sparse
spiccano con il loro colore rosso, insieme ai covoni di fieno avvolti
nella
plastica bianca. Verdi i prati, bianchi i covoni, rosse le fattorie,
anche in
Norvegia troviamo il tricolore!
Arrivati
a Trondheim, nel quartiere Lade cerchiamo l’area camper,
seguendo alcune
indicazioni lette su dei reportage un po’ datati. Non la
troviamo e non
avvistiamo neppure alcuna indicazione. Chiediamo a più
persone, ma nessuno la
conosce. Decidiamo quindi di pernottare in campeggio. Il più
vicino alla città
dista 10 km. E’ a Flakk, vicino all’imbarcadero.
Alla reception ci consegnano
la mappa della città e ci danno delle precise indicazioni su
dove posteggiare
l’indomani il camper. Concludiamo la giornata con una gustosa
cenetta: grigliata
di carne.
Domenica
5 agosto
Nella
notte è piovuto debolmente e con una certa
continuità, però al primo chiarore
la pioggia è cessata. Il cielo è ancora coperto
su tutto il fiordo, tuttavia
quel grigiore alto e compatto non è foriero di pioggia. Ci
dirigiamo a
Trondheim. Posteggiato il camper secondo l’indicazione
ricevuta, indossiamo la
giacca impermeabile per proteggerci dal freddo e per precauzione.
Trondheim
al primo sguardo si presenta come una città anonima. Ci
dirigiamo alla
cattedrale, che è il più importante monumento
della città. Oggi, domenica
mattina, essendo previsto il servizio religioso, ha
l’ingresso gratuito, così
come è gratuito il posteggio domenicale. Quello che
risparmiamo equivale al
costo del campeggio. Questa è una nota positiva.
La
cattedrale è dedicata a sant’Olav, fondatore della
città. Olav è stato un capo
vichingo, grande combattente. Convertitosi al cristianesimo, nel 1015
invase la
Norvegia e con la forza impose la nuova religione. Nel 1030
morì in battaglia.
Le saghe narrano che nel luogo della sua sepoltura avvennero dei
miracoli. Anni
dopo, fu riesumato e il suo corpo fu trovato intatto. La Chiesa lo
proclamò
santo. In città si costruì una chiesa per dargli
una degna sepoltura. Il suo
corpo è conservato in un sarcofago d’argento. Nei
secoli la prima chiesa è
stata ampliata, rimaneggiata e infine ricevette lo status di
cattedrale.
Oggi si
presenta come un imponente edificio, costruito in muratura con una
pietra
verde, grigio, blu, chiamata steatite. La sua facciata con arcate gotiche sostenute
da
sottili colonne è molto
bella. L’interno, piuttosto buio, riceve una luce
policromatica dal rosone
della facciata. Diciamo una preghiera davanti a un crocefisso e poi
usciamo.
Oggi non partecipiamo alla messa, perché a Trondheim non
c’è la chiesa
cattolica, celebreremo questa sera la liturgia della Parola.
Poco
distante dalla cattedrale scorre il fiume Nid, che è
prossimo alla foce nel fiordo.
Superando l’antico ponte di legno, giungiamo a Bakklandet, il
vecchio quartiere
portuale. I grandi magazzini di legno, costruiti su palafitte, sono
stati
trasformati in abitazioni e locali pubblici. Alle loro spalle, sulle
strette
vie si affacciano piccole case di legno. Trondheim, terza
città norvegese come
importanza e quarto centro urbano che visitiamo, ci delude un
po’.La Norvegia è
bella per i suoi paesaggi, non certo per le sue città.
Trondheim
è il punto più a nord raggiunto nel nostro
viaggio, siamo a 63° di latitudine. Ripartiamo
e da questo momento il senso di marcia s’inverte: direzione
sud.
Attraversiamo
un’ampia zona agricola, poi risaliamo il corso del fiume
Guala, dalla
trasparente acqua torbosa. A Storen, in una piazzuola picnic pranziamo.
Nel
fiume, equipaggiati con salopette gommate, immersi fino
all’inguine, alcuni
pescatori tendono agguati ai salmoni, praticando la pesca a cucchiaio.
La
strada sale dolcemente, in una forra con un ponte supera il fiume, che
proprio
lì forma una cascatella. Sosta. Un
sentiero ci conduce in prossimità della cascata. Ai suoi
margini ci sono delle
pietre di un bel colore verde e una che sembra d’oro. Paola
le raccoglie e
cercherà di capire di che cosa si tratta.
Ripreso
il viaggio, intorno ai 700 m di altitudine, scolliniamo e seguendo il
corso di
un altro fiume giungiamo a Røros, dove alloggiamo al camping
Idretts Parken
Hotell. Sistemato il camper, con una passeggiata di dieci minuti,
andiamo in
paese.
Røros
è
stato un villaggio minerario. Nel suo sottosuolo c’erano
filoni di rame, che
sono stati sfruttati per anni. Ora la miniera è chiusa. Il
paese conserva
ancora la sua antica struttura.
Lungo la
via principale, le case di legno, tutte colorate, ospitano dei negozi.
La via
conduce alla chiesa. E’ tutta di legno, esternamente
è verniciata di bianco. E’
aperta, la visitiamo. Internamente è decorata in azzurro.
Ciò che ci colpisce è
la sistemazione dei posti. Sembra un teatro: c’è
la platea composta di panche,
ai lati ci sono due fila di palchi; tra essi, di fronte
all’altare il palco
reale. Il pulpito non è laterale, come in tutte le chiese,
ma è posto sopra
l’altare.
Intorno
alla chiesa, disseminate sulla collinetta lapidi antiche e recenti
formano il
cimitero del paese. Attraverso un vicolo sterrato raggiungiamo quella
che è
stata la cittadella mineraria. Spiccano imponenti gli ammassi di ganga,
cioè i
detriti della lavorazione del materiale roccioso, da cui è
stato estratto il
rame. Saliamo su queste dune sassose e osserviamo dall’alto
la vecchia
fonderia, le casupole dei minatori e un mucchio di terra rossa.
Lungo il
fiume ci sono le vecchie case dei minatori, alcune sono ancora abitate.
Siamo
curiosi, sbirciamo dentro ad alcune finestre. I locali sono piccoli,
sobriamente arredati. Vicino a una casa troviamo posteggiata una
vecchia Ford
made in USA, con l’avviamento a manovella.
Di
fronte a noi il cielo diventa sempre più nero, mentre alle
nostre spalle è
ancora parzialmente sereno, ma il vento ci soffia in faccia.
Affrettiamo il
passo e arriviamo in campeggio proprio quando iniziano a scendere i
primi
goccioloni, che diventano in breve tempo un intenso acquazzone.
Siamo
lontani dall’Italia da tre settimane e abbiamo poche notizie
del nostro paese.
In questi giorni ci mancano maggiormente quelle concernenti i giochi
olimpici.
Siamo a conoscenza di alcuni successi dei nostri azzurri, ma ci
è mancata la
visione di alcune gare. Sono quasi le 22.50, tra pochi minuti
c’è la finale dei
100 metri uomini.
Giuseppe
è proprio dispiaciuto di non riuscire a vederla.
Improvvisamente il suo
rammarico, come per magia, si trasforma in gioia. Vicino a noi
c’è un caravan di
norvegesi. Essi accendono la televisione, che hanno messo
nell’angolo della
veranda. Dal finestrino del nostro soggiorno vediamo, attraverso la
cerata
trasparente della loro veranda, lo schermo della televisione. Per
essere nel
vivo dell’evento, Giuseppe prende il binocolo e segue con
entusiasmo e
soddisfazione la galoppata vincente di Bolt.
Lunedì
6
agosto
Lasciamo
Røros diretti a Lillehammer. Abbiamo davanti a noi poco
più di 250 km. Nel
primo tratto di strada seguiamo il corso del fiume Glåma. Lo
abbiamo conosciuto
giovane e irruente a Røros e lo vediamo via via
più maturo. Se la valle è
larga, anche il suo letto si distende, l’acqua scorre
lentamente e diventa la
risorsa irrigua per le numerose fattorie. Quando la valle si restringe,
gli
erbai e i pascoli lasciano spazio al bosco. Alte fustaie dal legno
rossiccio
profumano l’aria. Lungo il ciglio della strada, molti fiori
spontanei
ingentiliscono il percorso.
Nella
piazzuola dove gustiamo il caffè di metà mattina
Giuseppe raccoglie delle
splendide margherite, che rallegreranno la nostra casetta in
sostituzione
dell’erica ormai sfiorita.
Giunti ad
Atna, svoltiamo a destra e dopo un paio di chilometri a sinistra.
Dobbiamo
attraversare l’altopiano Alvdal Vestfjell.
La
strada sale velocemente fino a un’altezza di 700 metri.
Viaggiamo in un
ambiente boscoso incredibilmente disabitato. La Norvegia pur avendo
pochi
abitanti ha un gran numero di case sparse sul territorio. Conifere,
betulle,
altre latifoglie e il sottobosco di soffici licheni bianchi ci
ricordano ancora
una volta la Svezia. Ora saliamo con minore pendenza. Il bosco diventa
sempre
meno fitto e meno ricco di specie arboree. A 800 metri rimangono solo
le
conifere e qualche betulla. A 900 metri anche questi alberi non
riescono più a
crescere.
Il
territorio diventa una sconfinata pietraia ricoperta di muschi e
licheni,
mentre vicino ai gorgoglianti torrentelli crescono degli arbusti nani
dal
fogliame grigio, verde. La strada sale ancora fino a 1400 metri. Questo
vasto
altopiano, fatto di conche palustri, laghetti, tundra e rocce nude,
è
l’ambiente ideale per le renne, ma i norvegesi, grandi
cacciatori, le hanno
tutte sterminate. Si presenta quindi come una landa deserta.
Se non
fosse così presto e se non avessimo già
programmato in modo equilibrato le
tappe del rientro, ci fermeremmo qui per goderci una notte solitaria in
compagnia del vento.
In una
piazzuola troviamo numerosi troll,
così sono chiamate anche le pile di pietre, che sono
accatastate le une sulle
altre. Anche noi aggiungiamo un sasso al troll più alto,
prima di iniziare la
discesa.
Questo
versante, contrariamente all’altro è
più abitato. La grande discesa termina a
Ringebu, dove troviamo una Stavkyrkje, Un’altra sosta si
impone. Poi
proseguiamo senza interruzioni fino a Lillehammer, il paese che nel
1994 ha
ospitato i giochi olimpici invernali e che noi ricordiamo per due
eventi
spettacolari. La bellissima cerimonia d’inaugurazione dove
tra le sculture di
ghiaccio, pattinando, si rincorrevano i mitici troll, gli gnomi del
bosco, come
in una magica danza. La medaglia d’oro vinta dalla nostra
staffetta maschile,
De Zolt, Albarello, Vanzetta, Fauner, nella quattro per dieci
chilometri, sulla
favorita squadra di casa. Dopo lo sconcerto, i norvegesi molto
sportivamente
hanno applaudito i nostri grandi e forti atleti.
Ci
rechiamo subito allo stadio del salto con gli sci, dove
c’è ancora la fiaccola
olimpica. Si stanno allenando alcuni giovani atleti, maschi e femmine.
Li
osserviamo nel loro continuo impegno. Salgono in alto con la seggiovia
e poi
via una rapidissima scivolata sul trampolino fino allo stacco, per
volare
lontano, con stile, fino all’atterraggio, oggi
sull’erba, quest’inverno sulla
neve. Poi si tolgono gli sci, escono dal campo di atterraggio, lavano
gli sci
per togliere i residui d’erba e sono già in
risalita, pronti per una nuova
scarica di adrenalina.
Qui
salutiamo la Norvegia, con la promessa di ritornare. Alle 21.30 la
Norvegia ci
saluta donandoci un purpureo tramonto sul lago di Lillehammer.
RINGRAZIAMENTI
All’amica
Michela, che prende sul serio la mia passione di scribacchina.
All’amico
Roberto per la consulenza motoristica.
A Dario,
capofficina di Eurocamion, per l’efficace aiuto a distanza.
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