SCOZIA

TOUR 2007

Ogni nostro viaggio nasce da un sogno, che custodiamo e cresciamo alimentandolo mediante lo scambio e la condivisione dei nostri interessi e delle nostre curiosità.Esso inizia con largo anticipo rispetto al suo svolgersi. Lo prepariamo con cura, leggendo e documentandoci su ciò che il paese scelto offre sotto il profilo culturale e naturalistico.Secondo il tempo che abbiamo a disposizione, studiamo l’itinerario e le tappe, in modo che la conoscenza di quella regione non sia di tipo enciclopedico. Col nostro viaggio desideriamo entrare nel paese respirando i suoi ritmi di vita, per comprenderlo dal di dentro, attraverso ciò che afferriamo e interpretiamo dei suoi frammenti di realtà.Poi partiamo e, come ogni opera d’arte, anche il nostro viaggio rimane aperto all’estro creativo, che legge le situazioni che ci si presentano come opportunità per soddisfare questa nostra passione.

Nel nostro immaginario la Scozia è natura selvaggia, grandi spazi, un popolo legato a tradizioni secolari e una latitudine che richiama il Grande Nord, area geografica che da sempre ci affascina, anche per il suo clima, più idoneo al nostro benessere psico-fisico. Per meglio gustare  il tutto, l’idea è di non fare tappe in Inghilterra e di dedicare le tre settimane a disposizione esclusivamente alla Scozia. Predisposto il percorso con l’ausilio delle più recenti tecnologie informatiche e stilato il programma di massima  per le soste, partiamo alla volta della terra degli Highlanders.

 

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12 luglio, giovedì - Il viaggio verso la Scozia inizia nella tarda mattinata dopo aver pesato il camper carico anche del suo equipaggio alla pesa pubblica di via Rubattino e verificato con sollievo che il tutto rientra nei limiti della norma. Lentamente usciamo da Milano, sempre intasata di traffico in ogni sua ora. Immessi sull’autostrada che porta in Svizzera il tragitto diventa scorrevole e per nulla problematico anche se un po’ noioso. Lasciamo la grande arteria poco dopo Basilea. Siamo in Francia. Su una strada dipartimentale, che segue il profilo altimetrico del suolo ed è a tratti affiancata da platani secolari piantati all’epoca di Napoleone III, raggiungiamo Altkirch, dove nell’accogliente camping Les Acacias sostiamo per la notte.

 

13 luglio, venerdì - Il giorno si presenta climaticamente stupendo: è di  buon auspicio per il lungo viaggio fino a Calais.

Lasciamo il camping senza rifornirci di acqua  perchè, quando si mettono le cose in un posto sicuro… è sicuro che poi non ci si ricorda più dove sono! Così è per l’adattatore del tubo dell’acqua. Lo compriamo nuovo nel grande supermercato Leclerc, facendo anche la spesa dei prodotti freschi per i prossimi giorni e il pieno per il camper.

Abbiamo davanti tutta la giornata, dato che l’imbarco è prenotato per domani mattina.  Saliamo verso nord percorrendo strade dipartimentali e nazionali, che ci fanno gustare le regioni che attraversiamo.

La Francia non finisce mai di stupirci! Infatti dopo non molti chilometri troviamo lungo la strada un’area attrezzata completamente gratuita che non solo offre il camper service, ma dà anche la possibilità dell’allacciamento elettrico. Colmiamo il serbatoio dell’acqua e dopo un corroborante caffè riprendiamo il viaggio attorniati da un paesaggio rurale dove le colture verdi cerealicole del mais si alternano a quelle gialle del grano maturo e a quelle di un verde più chiaro dei pascoli dove abbondano i bovini.

Il profilo dei Vosgi, che chiude l’orizzonte, man mano si avvicina fino a quando, con l’ultima salita, valichiamo lo spartiacque che separa il Mediterraneo dalla Manica e passiamo dal bacino della Saona a quello della Marna.

Gli ultimi 250 chilometri da Reims e Calais li percorriamo velocemente in autostrada e ci troviamo, seguendola fino in fondo, direttamente nel posteggio dell’imbarco.

La realtà che ci si presenta dinnanzi supera di molto la nostra immaginazione. Il posteggio è pieno di campers e caravans di molte nazionalità. Molte persone, come noi, hanno scelto il Regno Unito per la loro vacanza. Desta curiosità e stupore, tra tutti gli abitanti di questo mutevole e piccolo villaggio, una caravan di produzione USA. Lunga, lunghissima, praticamente infinita: agganciata al pulmino che le fa da motrice, occupa uno stallo, il corridoio e anche lo stallo che sta di fronte. Da non credere!

 

14  luglio, sabato - Vive le Republique!  Vive le France!

Con una fragrante croissant festeggiamo il più importante giorno dei francesi, una volta approdati in terra britannica. Il passaggio della Manica è stato emozionante sia per i tempi che per i modi.
Sveglia alle ore 5.00, procedura d’imbarco alle ore 5.45. Alle solite formalità di frontiera si aggiungono particolari controlli di sicurezza. Un poliziotto britannico sale sul camper e guarda se nel servizio, nell’armadio e nel gavone garage è tutto in ordine come da noi dichiarato ( ovvero l’assenza di clandestini!!). Raggiungiamo la corsia assegnataci secondo l’ordine prestabilito, ci imbarchiamo sul traghetto Pride of Dover della P&O. Come ci indicano, lasciamo il camper nella stiva più profonda e saliamo ai piani superiori. E’ la prima volta che siamo su una vera nave, sarebbe meglio dire su un’autentica macchina da soldi! Infatti dei suoi quattro piani emergenti, tre offrono accoglienti bar, ristoranti, sale gioco e negozi. Tutti questi servizi commerciali sono presi d’assalto da una famelica e opulenta clientela. Raggiungiamo il quarto piano, open deck, per cogliere l’attimo del distacco dal continente, che avviene puntuale alle ore 6.30. Il vento teso ci raffredda, rientriamo e, accomodati su soffici poltroncine, attendiamo di avvicinarsi a Dover sorseggiando un caldo beverone, che osano chiamare caffè, mentre alcuni già si carburano con una bionda birra.

Dalla foschia comincia a spuntare la costa britannica. Usciamo all’esterno per ammirare  le bianche scogliere di Dover: sono davvero bianche e spettacolari! Le imponenti falesie fanno da bastione rendendo difficoltoso l’attracco. Sbarchiamo.  Grazie alla magia del fuso orario sono solo le ore 7.00! Usciamo guardinghi dalla stiva, perché bisogna da subito guidare al contrario senza troppe titubanze per non essere d’intralcio a chi finalmente si trova di nuovo a suo agio. Lasciato il terminal la strada compie un’ampia curva, poi si inerpica nascosta tra le rocce e supera in breve il dislivello tra il mare e l’altopiano. Ora la  strada si allarga in due corsie per senso di marcia. La nostra attenzione diventa più acuta, perché si incontrano le prime rotonde, che bisogna affrontare seguendo il senso orario, incolonnandosi secondo l’uscita prescelta.

Guidare a sinistra non è poi così difficile: basta assumere la sfrontatezza di chi in autostrada si mette in corsia di sorpasso e vi rimane fisso e la capacità  di non innervosirsi se ci si vede sorpassati a destra.

L’obiettivo odierno è di raggiungere Edimburgo entro le ore 18.00, cioè prima che chiuda la reception del campeggio. Impostiamo Tom, il navigatore, sul percorso più veloce e ci affidiamo al suo sicuro algoritmo che traccia l’itinerario migliore.

Sotto un cielo soffice e plumbeo, squarciato d’azzurro, scorre il lungo e continuo nastro delle autostrade che ci portano verso nord. Superiamo paesi e città. Un nome ci colpisce : Rugby. E’ la città che ha dato i natali a William Webb Ellis, inventore del gioco con la palla ovale, che tanto piace ai nostri figli. Questo nome innesca una spirale di ricordi: commovente è quello di Stefano, che ci ha lasciato  neanche diciottenne, portato via da una tragica fatalità, e quello che disse allora suo papà:

“ ..... poi c’era il rugby, la sua grande passione. E’ un bello sport, perché hai una meta da raggiungere e non devi mandarci la palla, devi andarci tu con la palla. Ci arrivi a fatica, e hai gli avversari che ti si attaccano addosso e la palla è anche bislunga. Ma tu devi andare dritto alla meta. Non diceva proprio così anche san Paolo?” ( Leo Aletti)

Il traffico è molto intenso fino al superamento del triangolo industriale Birmingham, Manchester, Leeds. Poi, avvicinandoci alla Scozia,  gradualmente scema.

Il territorio britannico è verde, verde, verde. Diventa interessante nella regione a nord di Lancaster, la cui ossatura è formata dai monti Pennini. Le cime arrotondate muovono dolcemente il paesaggio. I versanti erbosi sono punteggiati di armenti.
Ad Abington lasciamo l’autostrada e percorriamo gli ultimi chilometri su una strada statale fino a Edimburgo dove alloggiamo al camping Mortonhall, su un’ampia piazzola erbosa.

 

15 luglio, domenica - Cielo per lo più sereno e sole caldo ci danno il buongiorno. Con l’autobus n. 11 che transita davanti al campeggio, in circa mezz’ora siamo in centro a Edimburgo. La nostra visita inizia dal castello, che è una fortezza posta sulla  cima di un’altura, che 300 milioni di anni fa era un vulcano attivo. Dalle sue fortificazioni osserviamo l’estensione del profondo fiordo e il panorama della sottostante Old Town e della New Town sorta tra la precedente e il mare.
Lungo tutta la cinta possenti cannoni ricordano   l’importanza che questa cittadella ha avuto nei secoli passati. In uno spiazzo perimetrale un cannone più moderno è pronto a sparare una carica a salve puntualmente alle ore 13.00 in ogni giorno feriale. Essendo oggi domenica non assistiamo all’evento, ma certamente lo sentiremo domani.

La visita delle strutture interne del castello è interessante, perché in esse è raccontata la storia della Scozia antica e recente. Ci colpiscono particolarmente gli elenchi dei caduti nelle varie guerre combattute nei secoli. Essi sono riportati in numerosi libri messi a disposizione del pubblico nel monumento nazionale ai caduti. Curiose sono le prigioni, perché hanno la struttura antica, ma nel contempo rivelano una concezione moderna della detenzione. Infatti i bui e umidi sotterranei, certamente affollati, non offrivano alcun conforto ai prigionieri che, tuttavia, potevano lavorare e produrre piccoli oggetti che poi vendevano al pubblico ricavando denaro utile ad alleviare le ristrettezze della pena. Sorprendente è il gioco del domino che troviamo  appoggiato su un tavolaccio: è identico a quello con cui Paola da bambina giocava con il suo nonno paterno. Le tessere di ebano e avorio, la scatoletta di legno col coperchio scorrevole ridestano emozioni di mezzo secolo fa.

Il tempo trascorre veloce, usciamo che è quasi trascorsa l’ora del pranzo. Ci rifocilliamo con un dolcetto e un bicchiere di caffè presi mentre camminiamo lungo il Royal Mile, spina dorsale della Old Town. Ci soffermiamo a curiosare nei negozi, che vendono i prodotti made in Scotland: originali sono le loro insegne che sporgono dai muri delle case. Intimi e verdi sono i cortili interni degli austeri e grigi edifici allineati lungo la via. Facciamo qualche acquisto tra cui il primo regalo di Natale per i nostri cugini con i quali condividiamo la passione per i viaggi in camper. Lungo la via incrociamo personaggi curiosi, che Giuseppe coglie nel loro modo di essere. Visitiamo la High Kirk of St. Giles, bella chiesa dalla struttura gotica e la Cappella del Cardo arredata con scranni lignei di pregiata fattura. Chiude la via la Queen Gallery che ha di fronte il nuovo Parlamento Scozzese, la cui edilizia moderna, piuttosto dibattuta, a nostro parere bene si inserisce nel contesto architettonico circostante, perché gli intarsi in porfido lo legano agli edifici d’epoca e al territorio e le rifiniture in legno rimandano alle lance e ai bastoni del periodo medioevale.

Il resto del pomeriggio lo occupiamo con una piacevole passeggiata lungo il crinale di un altro vulcano spento che separa la città dall’entroterra. Le rosse rocce porfiriche contrastano con l’acceso verde dei prati sottostanti e con gli sgargianti colori dei fiori. Mentre saliamo Giuseppe riscopre la passione per la macrofotografia. Si ferma e, mentre fissa le immagini di corolle e insetti, insegna ad altri escursionisti a osservare le fragili bellezze della natura. Paola raccoglie dei  campioni di roccia da portare a scuola. Stanchi, ma soddisfatti per la piacevole giornata, a Princes Street riprendiamo l’autobus che ci riporta al camping. Ci accomodiamo al piano superiore dietro a una famiglia tedesca e davanti a quella francese, nostra vicina di piazzola.

 

16 luglio, lunedì - Per festeggiare il nostro 30° anniversario di matrimonio ci concediamo una giornata regale. Essa inizia con l’augurio di Simone e prosegue all’Ocean Terminal, dove visitiamo il Britannia, che dopo 40 anni di onorato servizio di Sua Maestà, dal 1997 riposa nelle acque del fiordo. Il Britannia è l’unica nave al mondo che non porta scritto il suo nome, perché la Regina Elisabetta, che ha curato personalmente l’allestimento degli arredi, ha ritenuto che la sua elegante sontuosità bastasse a farlo riconoscere. Lo scafo, a differenza di tutti quelli delle navi dell’epoca, è di un bel blu lucente percorso da una continua banda d’oro zecchino. La nave ha tre alberi ed è equipaggiata con barche di salvataggio più di ogni altra nave al mondo, trasporta anche due motoscafi e la lancia regale con la quale la regina sbarcava. Essa è dotata di una sala a vetri, blindata, che consentiva di vedere l’arrivo della sovrana, ma garantiva alla stessa la sicurezza necessaria. C’è inoltre un garage che ospita la Rolls Royce nera con la quale la regina si spostava, quando era a terra.

La visita inizia dal ponte di comando, dove erano sempre presenti in piena attività almeno otto persone oltre al comandante, l’unico ad avere a disposizione in quel luogo uno sgabello. Sulla nave vigeva una ferrea e rigida gerarchia, che osserviamo negli spazi e negli arredi destinati al comandante, agli ufficiali, ai marinai. Sotto la plancia di comando c’è l’appartamento regale. Tutto è prezioso, ma ci rattrista pensare alla vita di queste persone, che devono essere sempre inappuntabili, non hanno mai tempi lunghi di privacy e forse non hanno mai neppure conosciuto l’amore vero, dato che vivono e dormono in ambienti e camere separate. Scendendo di un altro piano si trova l’appartamento di rappresentanza. L’ampio salone, che può ospitare fino a 250 invitati, ha visto transitare i grandi della terra tra i quali Clinton,  Yeltsin, Mandela. E’ ornato con i doni che la regina ha ricevuto nei suoi numerosi viaggi: la costola di una balena, il dente ritorto di un narvalo, una statua di pietra di Papua, una maschera d’oro tailandese e molti altri oggetti. I piani più bassi sono occupati dagli ambienti riservati al personale, dai servizi di lavanderia  e dal centro medico, dotato anche di una sala operatoria.  Più sotto c’è la sala macchine dove spiccano le potenti turbine e luccicano tutti gli strumenti di controllo e di regolazione. Quando sbarchiamo, come comuni mortali gironzoliamo per il grande centro commerciale sorto intorno alla nave e qui, davanti al Britannia, pranziamo in uno dei suoi locali con un apprezzato menù scozzese: trancio di salmone al vapore condito con salsa rosa e adagiato su un letto di purea di patate per Giuseppe, arrosto di agnello con un misto di verdure al vapore per Paola e due piccole birre.

Questa mattina siamo partiti sotto la pioggia battente, abbiamo visto il fiordo offuscato dalla nebbia, ora il sole gioca con le poche nubi rimaste e ricorda a tutti che siamo in estate.

Sfruttando il ticket day dell’autobus raggiungiamo il centro dove passeggiamo e troviamo un altro regalo natalizio davvero originale, magnifica sorpresa per chi lo riceverà! Siccome il pacco è un po’ ingombrante il negoziante ci chiede se siamo motorizzati. Alla nostra risposta negativa si offre di tenerlo da parte. Noi non possiamo certo arrivare fin lì col camper, perciò Giuseppe gli chiede una borsa. Questa, pur contenendo la scatola non è di aiuto, perché ha i manici troppo corti. Il negoziante è imbarazzato, non sa come risolvere il problema. Giuseppe adocchia sul tavolo un rotolo di scotch da pacco, lesto lo prende e, lasciando stupefatto il negoziante, collega i manici della borsa e prepara un passante utile per il trasporto del pacco: miracoli dell’italico ingegno!

Quindi torniamo al camping. La nostra festa si completa con gli auguri di Daniele e della mamma di Giuseppe.

 

17 luglio, martedì - Il nostro gallo canta puntuale alle ore 8.00 trovandoci ancora addormentati. Dopo aver sistemato e preparato il camper per i prossimi giorni e impostato Tom in modo da non percorrere l’autostrada, partiamo diretti nella zona del Fife, uno dei cinque regni celtici.
Appena usciti dal camping siamo però costretti a fermarci perché sul prato vicino stanno pascolando le famose vacche scozzesi, quelle dal pelo lungo color miele, la lunga frangia e le pronunciate corna. Non si può non fotografarle!
Il fiordo di Edinburgo lo attraversiamo passandolo sul Road Bridge tre volte perché, appena oltrepassatolo, alla seconda rotonda ci sfugge   l’uscita e, fantozzianamente, ci ritroviamo di nuovo sul ponte, ma nella direzione opposta. Con la massima attenzione e lo sguardo anche sull’atlante stradale lo ripercorriamo ancora e questa volta imbocchiamo la strada giusta e da qui seguiamo l’itinerario turistico programmato.

La strada è panoramica, percorre a tratti il margine della scogliera, altrimenti si addentra sull’altopiano, che è sfruttato con seminativi. La giornata soleggiata accende i colori della campagna e fa risaltare le acque brune del mare, rischiarate qua e là da qualche cresta spumeggiante. In mezzo al fiordo affiorano degli isolotti rocciosi, residui ancestrali della morena centrale del ghiacciaio che lo ha formato. Su quelli più alti dei fari indicano il percorso alle navi e ai pescherecci diretti ai vari porti.

Ci fermiamo a Crail, il piccolo paese che sta sulla punta del fiordo, al campeggio Sauchope Links. Esso è posto sullo stretto terrapieno erboso tra il mare e la falesia, che qui non è particolarmente alta. Ad accoglierci un tipico uomo scozzese: alto, lineamenti marcati, carnagione chiara, capelli rossicci. Il suo aspetto rude contrasta con i suoi modi gentili. Ci chiede da dove veniamo, se è la prima volta che visitiamo la Scozia, si scusa di saper dire in italiano solo buon giorno e arrivederci. Ci chiede di insegnargli la parola grazie, che poi ripete tre volte per essere certo di averla acquisita nel suo vocabolario.

Sole e vento sono ottimi ingredienti per asciugare il bucato, che facciamo subito dopo pranzo. Poi, percorrendo il sentiero pedonale, raggiungiamo il paese. Esteso soprattutto lungo la costa, è un ampio arco di casette di vacanza sorte intorno al borgo di pescatori, che racchiude il porticciolo ben protetto da due possenti moli. La marea si alza e spinge alcuni temerari ragazzi dall’acqua a riva.

Proseguiamo la nostra passeggiata lungo il sentiero naturalistico che costeggia il capo. Camminiamo in silenzio sull’erba soffice circondati solo dalle voci della natura: lo sciabordio delle onde che si infrangono sulla scogliera, i sibili del vento che si insinua tra l’erba alta e i radi cespugli, le grida dei gabbiani che a volte sembrano assumere significati umani. Sugli scogli più sporgenti alcuni pescatori si dilettano esercitandosi in pazienza, mentre sul pianoro sovrastante su un campo di golf un giocatore solitario dà mostra della sua bravura.

Tornati al campeggio ceniamo contemplando il mare e concludiamo la serata riprendendo la partita a domino interrotta ieri sera.

 

18 luglio, mercoledì - Notte davvero riposante quando la si trascorre nel silenzio più assoluto! E’ piovuto, ora il cielo è coperto e minaccioso, ma sta trattenendo la sua umidità.Lasciamo Crail diretti a St. Andrews, per vedere i suoi rinomati campi da golf e la sua ampia baia.Arrivati, posteggiamo il camper in prossimità dell’Old Course, il più vecchio campo da golf d’Europa. Ci addentriamo incuriositi lungo i camminamenti dei vari campi. Si respira un’aria aristocratica e d’altri tempi, a noi sconosciuta. Ci sentiamo spettatori di una vita che non ci appartiene e che non invidiamo. Signori e signore di varie età in perfette e firmate tenute sportive pensano, provano, lanciano palline per poi incamminarsi lungo il percorso verso la buca successiva, accompagnati dai solerti caddies carichi delle loro borse piene di irons specifici per i vari lanci.

Per noi italiani il golf è prevalentemente un gioco, nel mondo anglosassone invece è praticato come uno sport dai risvolti professionistici. Esso muove ingenti capitali e questo è qui dimostrato da uno degli sponsor della Club House: la Rolex.

Compriamo le prime due cartoline, le spediremo a dei nostri conoscenti che giocano a golf.

Proseguiamo il viaggio verso nord, transitiamo sul ponte che unisce le due sponde del fiordo sul Tay, attraversiamo velocemente la città di Dundee, grazie alle precise indicazioni di Tom e ci addentriamo nella regione dell’Angus, che è attraversata trasversalmente dai Monti Grampiani. La strada è dapprima affiancata da campi coltivati per lo più a patate, poi si snoda attraverso una zona forestale immersa in una galleria di foglie, infine inizia a salire. Superiamo il limite della vegetazione arborea intorno ai 600 metri di altitudine. Ora le montagne sono glabre. Erose dal vento, hanno i versanti più esposti che mostrano la nuda roccia, altrove l’erica in fiore si alterna a poveri prati dove pascolano in grande quantità le pecore. Superiamo il Caimwel Pass sotto la pioggia battente, che però non scoraggia Giuseppe riguardo le fotografie e, iniziata la discesa, sull’altro versante ci fermiamo al primo paese che incontriamo, Braemar, al campeggio The Invercauld.

Il camping, dotato anche di camper service, si presenta come un’ampia corte circondata da piante che la isolano dai prati e dalla strada. Ci sistemiamo e con pochi passi andiamo in paese. E’ un piccolo centro di villeggiatura attraversato dal Dee River, dalle acque torbate. La chiesa è evangelica, vi entriamo lo stesso e vi sostiamo in preghiera.

Tornati al campeggio troviamo delle anatre che, furbescamente, si aggirano tra gli equipaggi per gustare le ultime beccate prima  di ritirarsi tra i giunchi del ruscello che scorre qui vicino. Nella nostra piazzola viene una mamma dalle penne tutte bianche e i suoi tre pulcini. L’anziano signore inglese, nostro vicino, ci dice che accorrono puntuali ogni giorno e che i piccoli fino a qualche giorno fa erano quattro. Sbriciola due fette di pane. I piccoli si abbuffano, la mamma vigila e mangia qualcosa, poi si incammina scodinzolando verso il ruscello seguita dai suoi pulcini e si volta quasi a sollecitare il più piccolo della nidiata ad affrettare il passo.

 

19 luglio, giovedì - Appena aperta la porta del camper siamo accolti dal qua qua e dal pio pio delle paperelle di ieri sera. Ci danno il buon giorno e chiedono scodinzolando la colazione. Abbiamo il cuore tenero, sbricioliamo un po’ di pane.

Partiamo. La giornata è divisa in tappe. La prima è il castello di Balmoral, la residenza estiva della Regina. Il castello è austero, costruito tutto in pietra grigia, avvolto nella bruma odierna, assume quasi un aspetto triste. Il parco invece è stupendo sia nella sua parte curata a giardino all’italiana, sia nella sua vasta estensione lasciata all’inglese. Del palazzo si può visitare solo la sala da ballo, che funge da piccolo museo. In essa sono raccolti alcuni pezzi dell’argenteria regale, degli abiti da sera, porcellane e quadri. Un video mostra alcuni momenti felici della famiglia reale: la regina che gioca con i suoi nipoti, una festa da ballo, la regina che si dedica ai suoi cani.

Per visitare il parco viene data una mappa con segnati diversi itinerari. Seguiamo quello marcato di giallo. Per comodità lo percorriamo in senso antiorario. La strada dapprima costeggia lo scuro Dee, poi si addentra nella tenuta in un bosco selvaggio dove riconosciamo il faggio, il faggio nero, il larice, la betulla, l’abete rosso, l’acero, numerosi fiori e tanti funghi che, insieme ai muschi e all’erica, profumano l’aria. Il nostro percorso si chiude con la visita del giardino all’italiana, dove i rosai in fiore e altre aiuole danno colore a questa grigia giornata. Prima di lasciare il castello visitiamo anche l’orto. E’ coltivato a erbe aromatiche, patate, cipolle, fragole e lamponi, insalata; le zucchine sono in fiore. Ci chiediamo chi gusta tutta questa bontà quando la regina non è presente. Probabilmente il personale della tenuta, che abbiamo incontrato molto indaffarato nella manutenzione dei prati, dei giardini e della casa.

Terminata la visita, riprendiamo il camper e ci dirigiamo verso nord. La meta è la cittadina di Keith, dove visiteremo la più vecchia distilleria di whisky della Scozia. Percorriamo piccole strade in completa solitudine beandoci della natura che ci circonda, foreste di conifere a perdita d’occhio, prati e pascoli, fiori spontanei lungo i bordi della strada. In una piazzola, circondati da questo incanto, pranziamo.

Giunti a Keith visitiamo la distilleria Strathisla. Fondata nel 1786 essa produce oltre allo whisky che porta il suo nome anche il famoso Chivas Regal. La visita guidata è in inglese, ma ci viene data una scheda molto particolareggiata scritta in italiano per poter seguire le varie fasi della lavorazione.

Prima di iniziare il giro della vecchia fabbrica, ancora funzionante, ci offrono un bicchierino di whisky. Sono le 15.00: ringraziamo, il nostro assaggio è solo formale.

All’interno della fabbrica non si può fotografare, perché i vapori alcolici sono molto infiammabili e una scintilla potrebbe causare una catastrofe.

Lo whisky è prodotto attraverso cinque fasi di lavorazione. Dapprima l’orzo maltato viene macinato fino a ottenere una sorta di farina detta grist. Poi il grist viene fatto macerare in acqua calda dentro un grande tino e si produce il mosto. Ci viene spiegato che un ruolo importante riguardo al gusto dello whisky è dato dall’acqua utilizzata. Qui si prende l’acqua torbata della sorgente che è vicino alla fabbrica. La terza fase consiste nella fermentazione del mosto. Esso viene pompato in tini di legno di pino, gli si aggiunge il lievito, che ha il compito di trasformare gli zuccheri in alcool. Il liquido alcolico  che si forma è simile alla birra ed è chiamato wash. A questa fase segue la distillazione, che è duplice. In grandi alambicchi di rame riscaldati a vapore viene fatta evaporare la miscela di alcool che compone il wash. Di essa si tiene solo il cuore, cioè la parte centrale, per le sue peculiari qualità organolettiche. Con la seconda distillazione lo whisky è ulteriormente raffinato e incrementato della sua gradazione alcolica. Nella fase della distillazione ha un ruolo insostituibile il distillatore. Egli è l’esperto che, senza assaggiare il distillato, ma solo osservandolo nel suo passaggio dagli alambicchi alla cassaforte dell’alcool, decide dove inizia e termina il cuore della distillazione. L’ultima fase è quella dell’invecchiamento.

Per legge lo whisky deve invecchiare in Scozia dentro botti di quercia per un periodo minimo di tre anni. Nella cantina che visitiamo c’è anche la riserva reale, ben custodita in un’apposita camera chiusa, da una pesante grata di ferro. Tra le botti della regina ve ne sono alcune pregevoli: una ha 50 anni, una 45, una 38, le altre sono più giovani.

Chris, la guida, ci conduce infine in un accogliente salotto, che introduce allo shop. Qui, una volta accomodati, ci offre un assaggio di un single malt e di un blend 18 years old.

Lo shop ha in vendita numerosi tipi di whisky diversamente invecchiati. Compriamo una bottiglia della casa, è whisky invecchiato 12 anni.

Sperando di non dover fare il test del palloncino, ripartiamo diretti a Inverness, la città posta sulla punta più orientale del Lochness. Purtroppo il campeggio inizialmente scelto per la sosta non ha posto per caravan e camper. Chiediamo a Tom di indicarcene un altro il più vicino possibile, data l’ora e l’orario di chiusura delle receptions. Ci risponde che ce ne è uno a 400 metri. Lo crediamo pazzo, ma ci fidiamo. Effettivamente, superato il canale che separa il Locheness dal fiordo Moray, troviamo alla nostra destra il camping Torvean. Sta per chiudere, anzi ha già chiuso, tant’è che pagheremo domani. Per fortuna l’addetto alla reception è ancora in ufficio e ci assegna l’ultima piazzola rimasta. Concludiamo la giornata con un buon risotto ai funghi,  non quelli di Balmoral!

 

20 luglio, venerdì - Anche in questo campeggio girano tra le roulotte e i camper  anatre affamate. Qualcuno cede al loro insistente richiamo e sbriciola del pane, ma esse vengono subito allontanate dagli ingordi gabbiani che, ad ali spiegate, le allontanano. Gli illusi però non hanno tenuto conto degli onnipresenti corvi, che si precipitano in mezzo al gruppo e con feroci versi e scatti intimidatori e minacciosi si fanno largo beccando tutto.

Partiamo alle 9.00, il cielo è ancora coperto, ma qualche piccolo sprazzo di azzurro fa ben sperare. Il percorso di oggi è la lunga puntata attraverso le Highlands fino all’oceano Atlantico e successivamente verso est per  raggiungere il capo che separa l’oceano dal Mare del Nord.

Passiamo in rapida successione tre fiordi: Moray, Cromarry, Dornoch. I primi due li oltrepassiamo tramite il ponte che unisce le loro sponde, il terzo lo contorniamo fino al suo fondo. C’è la bassa marea, i loro fondali in secca sono perlustrati dagli insaziabili uccelli marini. Il cielo si sta rasserenando e la straordinaria luce del nord dà risalto a un paesaggio spettacolare fatto di foreste, che celano castelli dall’aspetto misterioso.

Dopo una breve sosta a Lairg, dove nel negozio di abbigliamento The Sutherland Sporting  compriamo un cappellino per Giuseppe, uno dei tanti della sua passione, imbocchiamo una single track road. E’ una strada a una sola carreggiata, dotata di molte passing place, le piazzole dove è possibile l’incrocio con i veicoli provenienti nel senso opposto. La strada si snoda su un vasto altopiano contornato da brulle montagne dai profili tondeggianti. Il verde acceso delle felci contrasta con il rosa delle eriche in fiore e con il nero delle abetaie. Piccoli ponti in pietra consentono di superare i torrenti ricchi d’acqua spumeggiante, che si placa in laghetti lucidi come l’ebano. Per un po’ viaggiamo soli, la velocità è lenta per osservare e godere di tanta bellezza. Le soste sono continue, perché ogni scorcio merita di essere fissato nei nostri ricordi. Poi incrociamo qualche automobile. Notiamo che anche qui al nord i britannici amano il colore rosso per i loro automezzi. E’ usanza quando ci si incrocia fare con la mano un cenno di saluto e di ringraziamento per la precedenza avuta o ceduta. E’ bello questo segno di fratellanza, ci ricorda una frase di Madre Teresa di Calcutta: “…noi apparteniamo alla stessa razza, quella degli uomini.”

Il pranzo lo consumiamo in uno slargo più ampio, aperto sulla vallata punteggiata di laghetti. Passano due cicloturisti, sono ben coperti perché, nonostante il sole l’aria è fredda. Riprendiamo la strada. Dopo qualche chilometro incontriamo un centro abitato: Altnaharra. Sono quattro case, però c’è la Primary School ben attrezzata, un Bed&Breakfast e una fattoria che alleva caprioli. Ogni tanto l’asfalto è interrotto da una griglia di tubi d’acciaio che copre l’ampiezza della strada.  Non ne comprendiamo il significato e l’utilità. Dopo aver costeggiato il Loch Naver e aver visto più volte il cartello stradale Lambs on road, finalmente troviamo davvero le pecore sulla strada. Esse pascolano tra le felci e l’erica  brucando la poca erba a disposizione. Si spostano da una parte all’altra della strada, padrone di questo territorio. A Syre, un po’ fuori dal paese, c’è una piccola chiesa. Ci fermiamo ed entriamo. Non è cattolica, ma il simbolo IHS ricamato sul paramento del leggio e le bibbie distribuite sulle panche ci invitano a pregare. Oggi ne abbiamo particolarmente bisogno, affidiamo a Dio i nostri pensieri. Di fronte alla chiesa, sull’altro lato della strada, un piccolo cimitero accoglie i defunti di questa zona poco popolata. Qui i cimiteri sono campi erbosi, dove delle stele ricordano le persone lì sepolte. Non ci sono alberi, né lumini, né fiori, è la sobrietà del luogo a donargli sacralità. Il vialetto che conduce al cimitero presenta al suo inizio la stessa griglia che ogni tanto si incontra sulla strada. Finalmente ne comprendiamo l’utilità: impedisce alle pecore di raggiungere il luogo, così come sulla strada fa sì che esse non si allontanino dal territorio della fattoria.

Sull’ultimo tratto di strada incontriamo un corteo nuziale. Gli uomini sono tutti in kilt, le signore portano vistosi cappelli, che ricordano quelli sfoggiati dalla regina.

Giungiamo infine a John o’ Groats, 58° lat. N e 3° long. O. E’ il paese più a nord della grande isola britannica. Ci fermiamo al campeggio omonimo. Abbiamo di fronte l’oceano e il profilo delle Isole Orcadi. Mentre il sole lentamente conclude il suo arco nel cielo, prima allungando a dismisura le ombre, poi celandosi dietro le nubi di umidità, che segnano come una banda argentea l’orizzonte marino, ceniamo all’italiana: maccheroni al ragù e uva, comperata fresca e a buon prezzo ieri.

 

21 luglio, sabato - Sotto il caldo piumone non avvertiamo che la temperatura cala notevolmente. Ci svegliamo spontaneamente alle ore 9.00 e nel camper ci sono 12°C! Fuori il vento sibila di continuo facendoci capire di coprirci bene. Il cielo è coperto di un grigio uniforme, che in questo paese significa assenza di  pioggia.

Il primo problema da risolvere è l’approvvigionamento del pane, qui cibo disueto, quasi introvabile fresco e difficilmente reperibile anche confezionato. Ci rechiamo all’emporio del porto, che è vicino al campeggio. Non vende alimentari se non liquori, birre, biscotti. Ha però i capi di abbigliamento in saldo a prezzi davvero convenienti. Compriamo una giacca impermeabile per Paola e una camicia di flanella per Giuseppe, le cartoline e un CD di musica scozzese. Chiediamo anche dove si può trovare il pane, ci viene indicato il General Store, che è anche Post Office, sito nel paese che dista 400 iarde.

Il turismo nel Regno Unito, oltre ai benefici del relax e all’arricchimento culturale, allena la mente con una continua ginnastica, dovuta alle traduzioni delle loro misure in quelle del sistema metrico decimale. Sulle strade i limiti di velocità sono segnalati in miglia all’ora, le distanze in miglia, frazioni di miglio o iarde, il latte si compera a pinte, nei negozietti la frutta è venduta a once.

Infine la sterlina vale tre mezzi di euro. Non c’è che dire, nonostante le basse temperature una vacanza sudata!

Trovato il necessario percorriamo il sentiero che dal campeggio va verso il faro seguendo il profilo della falesia. Camminiamo sul suo margine, è un morbido tappeto erboso, tenuto raso dalle pecore e dai conigli selvatici, che al nostro arrivo corrono lesti nelle loro tane, dotate di numerose vie d’accesso e di fuga.

Dove la falesia si annulla scendiamo sulla spiaggia che è polvere di conchiglie. Raccogliamo alcuni gusci ancora integri e osserviamo con curiosità alcuni ovini che si abbeverano con l’acqua salmastra rimasta tra gli scogli.

Qui, dove  continente e mare si incontrano, veramente si avverte che la natura è in pace con se stessa.

Decidiamo di trascorrere parte del pomeriggio facendo il Wild Life. E’ il giro naturalistico che la motonave Pentland Venture fa fare circumnavigando l’isola di Stroma, che si trova a  poche miglia di fronte a John o’ Groats.

Puntuale alle ore 14.30 l’imbarcazione salpa dal porticciolo e punta diritto verso Stroma. L’aria gelida ci consiglia di coprirci la testa con i berretti invernali. Il mare è mosso, sia per il vento che lo agita, sia per la corrente che intercorre tra l’oceano e il mare del Nord. L’isola si presenta come un vasto tavolato erboso alto sul mare. Manca completamente la vegetazione arborea, si vedono case sparse edificate con la solita pietra grigia e i puntini bianchi delle pecore al pascolo. Via via che ci avviciniamo scopriamo che l’isola è disabitata e che le case sono in gran parte dei ruderi.

La motonave rallenta, si avvicina alla costa per permettere di osservare i rinomati puffins, gli uccelletti simbolo della Scozia. Sono graziosi, hanno il corpo paffuto, il dorso nero, il ventre bianco e un grosso becco colorato di giallo, blu, rosso. Sugli scogli delle nere urie attendono il momento di spiccare il volo. In acqua nuotano giocose le foche, seguiamo le loro evoluzioni osservando il movimento del loro capo, che rimane fuori. Ci guardano incuriosite, sembrano pensare: è arrivata l’ora dell’esibizione!

Il capitano si allontana un po’ dalla costa e, seguendo il senso orario, riprende la marcia. Ora stiamo doppiando il capo più occidentale dell’isola. La falesia è alta circa 60 metri. Il mare, particolarmente agitato, la tormenta con sonori e forti flutti. La sua base è possente, tuttavia presenta fenditure e grotte, che dimostrano chi dei due è più forte.

Il capitano ci fa osservare qualcosa di strano lungo la parete rocciosa. Guardando col binocolo si vede che è una nave piegata su un lato. Sbattuta là dalla furia di una tempesta è incastrata tra le rocce. Ci avviciniamo, sugli spuntoni della falesia numerosi gabbiani stanno covando, mentre altre foche si rincorrono tra i flutti. Più avanti, dove la falesia è morta, delle foche e un piccolo riposano.

Raggiungiamo la costa settentrionale flagellati dal vento gelido, che induce tutti a chiudere meglio le giacche. Poi, però, l’isola stessa, che qui degrada dolcemente verso il mare, funge da paravento. Su questo lato spicca bianco il faro, che sembra in disuso. Più avanti, lungo la costa riposa in secca un vecchio peschereccio che, se potesse essere osservato e conosciuto da vicino, avrebbe tante avventure da raccontare.

Rientrati in campeggio ci dedichiamo ai nostri “compiti delle vacanze”, scriviamo le cartoline e ci concediamo altro riposo. A sera il cielo si rasserena completamente. Ceniamo davanti a un bellissimo tramonto che indora  il mare.

 

22 luglio, domenica - “Quand el sul el turna indré, a la matina ghe l’aqua ai pé’.”

I vecchi detti milanesi sono più fidati degli esperti metereologi. Infatti, mentre le previsioni dell’ufficio turistico portuale indicavano bel tempo, vento e pioggia sono stati la costante di questa notte appena trascorsa, che neppure nel suo cuore è diventata completamente buia.

Ci alziamo alle 9.00. Non piove più, il vento si è calmato, la nebbia umida,  che avvolge ogni cosa, ha cancellato l’isola di Stroma e il profilo delle Orcadi. Decidiamo di vivere all’inglese. Facciamo colazione con un toast al bacon, il pranzo sarà una tazza di the. Ci prepariamo per raggiungere a piedi il faro attraverso la strada carrozzabile. In un’ora percorsa di buon passo lo raggiungiamo. Esso è stato abitato fino al 1997 dal guardiano, due suoi aiutanti e le loro rispettive famiglie. Ora funziona in modo automatizzato. Da qui proseguiamo ancora per un altro miglio sul sentiero che segue il margine della falesia viva, sui cui spuntoni numerose femmine di fulmar, un gabbiano molto diffuso in questa zona, stanno covando. Qualcuna ha già accanto il suo piumoso pulcino. Sulle rocce più prossime al mare, meglio mimetizzati, perché il loro piumaggio nero si confonde con le scure pareti, osserviamo degli shags, dei piccoli cormorani con il becco dal profilo giallo.

Dal basso salgono i versi delle foche e i tonfi del mare, che con veemenza aggredisce le rocce scavandole alla base e tagliandole là dove sono più fragili. Più avanti dei faraglioni, che si ergono come dei grattacieli, raccontano questa impari lotta. Intorno a noi sul prato pascolano le pecore. La loro è una razza particolare: hanno le orecchie diritte, come quelle dei lama andini.

Ogni mamma in genere ha due agnelli, che hanno il muso e le zampe scure. Appena avvertono la nostra presenza, le mamme belano e richiamano a sé i loro piccoli, che le raggiungono di corsa e subito cercano le mammelle per sentirsi rassicurati e protetti.

Lungo la via del ritorno troviamo al pascolo i bovini pelosi, che al nostro passaggio alzano il capo, ma non ci vedono, perché la folta frangia copre i loro occhi.  Rientrando in campeggio una delusione ci attende: gli Highlanders Games, che dovevano svolgersi in paese oggi pomeriggio sono stati annullati a causa dell’inagibilità del prato reso fangoso dall’abbondante pioggia della notte. Avevamo programmato il nostro tour prevedendo questo avvenimento.  Lo avevamo cercato in un piccolo paese, certi di vedere una manifestazione della tradizione locale, non inquinata dal richiamo turistico. Peccato! Sarà questo un motivo per ritornare ancora in Scozia.

Il cielo è ancora coperto, ma il sole riesce a far filtrare la sua luce, l’orizzonte si è ridisegnato con le sue terre lontane.

Breve riposo prima di uscire di nuovo a gironzolare per il porto. Visitiamo i negozietti, alcuni sono dei piccoli laboratori artigianali, di maglieria, di terracotta, di ricamo. La piccola area produttiva è stata costruita con i fondi per lo sviluppo dati dalla Comunità Europea. Comperiamo un altro regalo di Natale e un minuscolo quadrettino con due simpatici puffins, per la nostra parete dei ricordi. Tra i tetti spioventi, delle rondini fanno voli acrobatici.  Sembrano in festa per il caldo sole, che brilla nel cielo ormai terso. Volano in ogni direzione, a tutta velocità approdano al loro nido, dove imbeccano i pulcini, che sporgono il capo col becco aperto. Qualche piccolo, un po’ cresciuto, tenta i primi voli. Con perizia esce dal nido, frulla le ali per saggiare la portanza dell’aria, poi si infila  nella sua casetta  in attesa di essere nuovamente sfamato.

Ancora qualche fotografia al paesaggio, alla motonave che rientra in porto e poi anche noi torniamo al camper.

Ci raccogliamo in preghiera. Per santificare la domenica leggiamo, come domenica scorsa, le letture della messa e recitiamo insieme il Padre nostro.

Alle ore 19.30, con davanti un’ottima carbonara, assistiamo a una scena poco piacevole. Giunge un camper. Senza rispettare le linee di separazione tra le spaziose piazzole si infila tra l’automobile degli inglesi nostri vicini e il camper olandese che sta poco più avanti. Siamo esterrefatti. Il campeggio è semivuoto! All’unisono ci diciamo: saranno italiani. Difatti subito dopo scendono in quattro, parlano… italiano! Luca, il ragazzino, si fa subito riconoscere per il non rispetto delle regole, prende il pallone e inizia a giocare, non nel prato completamente libero, bensì tra il suo camper e il veicolo inglese, mentre il papà telefona facendo sentire a tutti la sua conversazione.

Ci è chiaro lo sguardo preoccupato degli stranieri, che a volte sentiamo su di noi quando posteggiamo il nostro camper nella piazzola vicina alla loro e quello rispettoso e gioviale che ci riservano in seguito, dopo averci conosciuti.

Passa un’ora, rientrano gli inglesi, sono senza parole. Non si perdono d’animo, avvertono la reception. Gli italiani sono invitati a spostarsi, ma dopo una discussione sono gli inglesi, con grande signorilità, che si spostano. Grande lezione educativa è stata impartita ai due ragazzi: per ottenere ciò che si vuole, in questo caso un posto fronte oceano, bisogna giocare d’astuzia ed essere prepotenti!

Concludiamo la giornata e la nostra sosta a John o’ Groats, il paese che porta il nome dell’olandese che nel XV secolo ottenne la concessione reale per gestire il servizio traghetto verso le Orcadi, facendo le ultime fotografie all’oceano striato di bianco, dove scorre più veloce la corrente e ai fari, che tra qualche ora guideranno le navi in transito.

 

23 luglio, lunedì  - Ore 7.30, sveglia. Ci piacerebbe tornare al faro per vedere la scogliera illuminata da est. Purtroppo piove a dirotto, seppure con intermittenza. Partiamo quindi subito dirigendoci verso ovest lungo la strada costiera. La prima deviazione la facciamo a Dunnet, dove imbocchiamo la strada che porta al faro posto sul capo omonimo. Da qui si dovrebbe godere della visione del Pentland Firth e delle Isole Orcadi  che lo chiudono a settentrione. La nebbia però ci nega questa possibilità, quindi se non si può guardare lontano, ci si concentra su ciò che è vicino. Osserviamo le erbe spontanee dei pascoli. Una attrae l’attenzione di Paola, si presenta come un piumino. E’ il bog cotton, cotone di palude. Il piumino è un insieme di filamenti ai cui estremi sono fissati i semi. Evidentemente questa pianta ha l’inseminazione anemofila. Paola ne raccoglie un po’… altro materiale per il laboratorio. Poi entriamo nel faro. Esso è stato costruito nel 1831 da Robert Stevenson, il nonno dello scrittore che porta il suo stesso nome. Durante la II guerra mondiale il faro era stato dotato di un radar che controllava per parecchie miglia le navi e i sottomarini superficiali, che transitavano nel fiordo e per un centinaio di miglia gli aerei. Dal 1989 è disabitato, perché automatizzato. Sbirciamo dentro le finestre. Notiamo che c’è ancora vita. C’è un gatto, della biancheria stesa, un impianto stereo, una batteria, la cucina “vissuta”. Il posto del guardiano è stato preso da qualcuno che ama vivere in solitudine.

Ritornati sulla strada maestra ci fermiamo a Thurso, dove percorriamo la strada principale, che è pedonale. La cittadina è piuttosto anonima, però ci dà l’occasione di acquistare il pane fresco dal profumo invitante e da un simpatico macellaio, che non finiva più di dirci grazie, delle steaks, dei wurstel e sei uova.  Completiamo la spesa al LIDL e facciamo pure il pieno al camper.

Il carburante è in genere molto caro. Spesso il prezzo del diesel è superiore a quello della benzina. Oggi lo paghiamo 1,02 pound! Per fortuna su queste strade si tiene una velocità modesta, quindi la resa del carburante aumenta. Magra consolazione!

Proseguiamo sempre in direzione occidentale. A Dounreay passiamo accanto alla centrale nucleare, che è proprio sul mare. Speriamo di non venire geneticamente modificati!

Ci fermiamo per il pranzo a Strathy Point.  All’imbocco della strada che conduce sul capo, una stele, scritta anche in italiano, riporta in breve la storia recente delle Highlands. Una volta queste terre erano suddivise in grandi proprietà terriere. Esse erano poi date in affitto agli abitanti locali, che le sfruttavano con l’agricoltura. Ci sembra di capire che vi era una sorta di mezzadria. La zona costiera era invece incolta e disabitata. A seguito di periodi infausti di carestie, i proprietari terrieri decisero di sfruttare in modo più completo e redditizio il suolo. Si iniziò così il grande allevamento ovino. I contadini furono forzatamente spostati, molti migrarono in Canada e USA.

Superata la deviazione per Lairg, continuiamo a percorrere la strada costiera. Questa parte di viaggio ci è sconosciuta. La strada è per molti tratti single track e offre bei paesaggi. Il tempo non migliora. Improvvisi scrosci di pioggia rendono il cielo meno scuro, poi una fitta coltre di nebbia prima cala avvolgendo tutto e, rapidamente, come per incanto scompare. Quando sembra che finalmente arrivi il sereno, minacciose nubi nerastre si addensano di nuovo e ricomincia a piovere.

La strada si snoda alta sul mare, a tratti dietro le dune sabbiose che rivestono la parte superiore delle falesie. Il paesaggio è unico. L’entroterra, tutto ondulato, ha nelle conche degli specchi d’acqua di forma più o meno circolare, dove crescono canne e ninfee. Dove invece la strada segue il profilo della duna, lo sguardo si apre su cale sabbiose protette da possenti falesie. Attraversiamo due piccoli fiordi passandoli sul ponte che unisce le loro rive. Straordinario per la sua bellezza selvaggia è il Loch Eriboll. E’ un profondo fiordo che la strada rispetta seguendo tutto il suo contorno. Incassato dentro ripide pareti, ha acque cristalline. Silenzio e natura sono i nostri compagni di viaggio.

Verso sera giungiamo a Durness e ci fermiamo al camping Sango Sands. Sul bel prato panoramico prospiciente la scogliera troviamo un equipaggio inglese e uno olandese che avevamo incontrato a John o’ Groats.

Siamo al tramonto e come è già successo nei giorni scorsi il cielo si rasserena. Godiamo l’ultima occhiata di sole recandoci sulla scogliera abitata dai conigli selvatici, che si rintanano appena avvertono i nostri passi.

 

24 luglio, martedì - Lasciamo il camping intorno alle 9.00. Un timido sole cerca di fare breccia nel cielo ancora coperto. Ci dirigiamo alle grotte che stanno all’inizio del paese. Sono molto decantate, ma non hanno nulla da spartire con quelle che abbiamo visto in Italia. Sono delle enormi caverne scavate dal mare e da un’attività di subsidenza del suolo. Al loro interno scorre un ruscello dall’acqua trasparente e del colore dello whisky. Dovrebbe anche esserci una cascata, effettivamente c’è un inghiottitoio che scende dall’alto, ma l’acqua che filtra gocciola appena. Poi saliamo sulla falesia che le contiene per osservare l’oceano.

Ripreso il camper ci spostiamo dalla parte opposta del paese. L’intenzione è di andare sul capo del promontorio di Durness. Il tempo, che non sembra volgersi al bello, ci fa desistere da questa passeggiata che dovrebbe durare alcune ore. Ammiriamo la spiaggia dorata e facciamo un breve giro dentro il Circolo del Golf, che ha i campi più a nord dell’isola britannica. Quello che ci stupisce è che qui si può entrare nei circoli privati liberamente. Girando tra le buche notiamo che l’ultima è particolarmente difficile. Richiede forza e abilità, perché tra la zona di lancio e la buca ci sono 155 iarde e questo spazio è occupato dalla scogliera, ciò significa che o si lancia la pallina adeguatamente o la stessa la si perde tra gli scogli sottostanti e il mare che si insinua tra essi.

Ripartiamo e transitiamo nuovamente per il centro di questo paesino. In piazza una fila di persone sono davanti a un camion blu strutturato a camper. La cosa ci incuriosisce. Passandogli accanto leggiamo sulla fiancata Mobile Bank of Scotland. Praticamente è uno sportello bancario motorizzato, che si sposta  per raggiungere i diversi micro centri abitati sparsi sul territorio.

Proseguiamo il nostro viaggio verso ovest e ci immergiamo nuovamente nel meraviglioso paesaggio delle Highlands. La strada ha molti tratti single track. Non ci interessa viaggiare veloci. Spesso ci fermiamo per lasciare il passo a chi, conoscendo il luogo, ha più fretta. Diversi i furgoni che transitano e le automobili, ovviamente rosse! Acquitrini, stagni, laghetti e scuri corsi d’acqua bagnano questa terra verde, dove le pecore si muovono indisturbate e rispettate anche dagli automobilisti, quando le incontrano sulla strada.

Finalmente il sole vince la sua battaglia. Il cielo si apre. Ricordando quanto letto in altri diari di viaggio, decidiamo di deviare verso destra e dirigerci all’imbarco per l’isola di Handa. Vi giungiamo alle 13.00. Rapido pranzo a base di panini ed eccoci pronti per questa gita. Siamo carichi di aspettative. L’isola è una proprietà privata, evacuata nel 1847 delle 60 persone che la abitavano per il fallimento della loro economia agricola, adesso è disabitata. Da allora è una riserva naturale, un autentico paradiso per l’avifauna. Su quest’isola vengono a svernare numerose specie artiche e la abitano molte specie stanziali.

Essa si trova all’imboccatura di un fiordo, costellato al suo interno di numerosi isolotti e scogli emergenti. Una barca a motore di alluminio, la Caroline Mary, in dieci minuti  ci porta sull’isola. Siamo in nove, ad accoglierci troviamo due volontarie della SWT, Scottish Wildlife Trust, la principale organizzazione scozzese che si occupa della salvaguardia degli habitat naturali. Una delle due volontarie, dopo aver dato il benvenuto, ci fa strada. Attraversiamo una duna sabbiosa e sostiamo nel capanno di accoglienza. Qui in inglese spiega le regole di comportamento, illustra la mappa dell’isola e il percorso da seguire. Dà informazioni circa le caratteristiche degli uccelli che con maggiore probabilità si potranno osservare.

L’interlocutrice si preoccupa che tutti capiscano, poi consegna il foglio con la mappa dell’isola, esso riporta anche delle spiegazioni relative alle diverse nicchie ecologiche che si incontrano. Con nostra grande soddisfazione questo foglio è disponibile anche in italiano. Per saperne di più sulle specie degli uccelli e della flora acquistiamo un altro foglio, questo solo scritto in inglese, ma con illustrazioni molto eloquenti che rendono comprensibile lo scritto.

Superata la zona delle dune, dove fioriscono i cardi, un altro  simbolo della Scozia, e dei fiori gialli chiamati bog asphodel, percorriamo la brughiera, che occupa il centro dell’isola. Questo suolo acido e umido favorisce la crescita delle felci e dell’erica. E’ solcato da rigagnoli d’acqua e alla sua sommità troviamo un laghetto, dove nuotano numerose great skua, che sono dei grossi uccelli dal piumaggio scuro, con venature marroni.

Le femmine di questi uccelli sono invece accovacciate in cova sopra gli affioramenti rocciosi sparsi tra la vegetazione. Procediamo su dei camminamenti di legno, che assomigliano a un impiantito ferroviario rovesciato. Il percorso è obbligato, perché il passo dei visitatori non deve contribuire all’erosione del suolo e non deve disturbare la fauna. Oltrepassata la brughiera siamo sul margine settentrionale dell’isola. Qui c’è la scogliera che con un salto di 300 piedi precipita nell’oceano. L’aria salmastra e il guano degli uccelli rendono difficile la vita ai vegetali. Nell’erba cresce il ranuncolo e una piccola orchidea rosa. Qua e là i buchi nel terreno rivelano la presenza dei conigli selvatici. Guardare il mare, che rumoreggia ai piedi di queste pareti rocciose dà le vertigini.

Laggiù in fondo, dove solo sporgendosi si vede, verde e nero si agita formando bianchi vortici e gorghi, che rimescolano l’acqua e la lanciano verso la falesia dove s’infrange innalzando  schizzi argentei e gocce iridescenti.

Appollaiati sui terrazzini numerosi gabbiani stanno covando. In cielo si intrecciano i loro voli eleganti e chiari  con quelli possenti dei neri skua. Proseguiamo. L’obiettivo è vedere con più calma i puffins, le pulcinelle di mare. Sul sentiero che contorna la scogliera troviamo il guscio di un uovo dischiuso. E’ poco più grande di quello di una gallina, ha un insolito colore: è azzurro con macchie marroni. Quanta fantasia ha la natura!

Ecco ora il grande desiderio si avvera. Sul pianoro fiorito che ricopre la sommità di un faraglione posto a qualche decina di metri dalla scogliera c’è una colonia di puffins. Questi piccoli uccelli si presentano con tutto il loro splendore. Si muovono sulle loro zampette arancioni con piccoli passi che sembrano una danza. Cercano l’equilibrio allargando le ali come fanno i funamboli con le braccia. Il loro capo, quasi in linea col corpo si nota per il becco molto pronunciato dai colori sgargianti: giallo, blu, rosso. Qualcuno si alza in volo e la gioia di Giuseppe è massima: scatta, scatta, scatta fotografie a ripetizione. Alla fine della visita ne ha memorizzate ben 120!

Non c’è tempo per concludere il percorso ad anello, perché l’ultima barca parte dall’isola alle 17.00. Ritorniamo quindi sui nostri passi e, giunti al capanno, vi entriamo per ringraziare la volontaria che ci ha accolto e istruito e per vedere la piccola esposizione di reperti naturalistici. Tra i tanti gusci di uova riconosciamo quello che abbiamo visto alla scogliera è del guillemot, poi osserviamo la struttura ossea del becco del puffin, le vertebre di un delfino e altre ossa.

Tornati alla bianchissima spiaggia, aspettando la barca, saggiamo la temperatura di quest’acqua turchese, davvero invitante: è fredda oltre ogni immaginazione!

Una fotografia al fotografo e poi salpiamo.

Arrivati al camper salutiamo il turista che sulla scogliera aveva conversato con Giuseppe circa gli obiettivi della fotocamera. Scopriamo dalla targa della sua automobile che è tedesco. Lo precediamo nella partenza, ma poi al primo ampio  e piano passing place lo lasciamo passare. Ci ringrazia e saluta definitivamente con un ampio gesto della mano, che sporge dal finestrino.

Ripresa la strada costiera dopo poche miglia il paesaggio cambia. Le montagne diventano più elevate e aspre, la vegetazione non è più solamente erbacea e arbustiva, ci sono boschi di conifere. I fiordi penetrano in profondità, i loro golfi sembrano laghi alpini. Su isolotti e piccoli promontori ruderi di chiese e di castellotti narrano di una vita passata.

Ci fermiamo all’ora di cena al campeggio Ardmair Point, sito a circa cinque  chilometri dalla cittadina di Ullapool. E’ affacciato su un fiordo, abbiamo di fronte un isolotto e, anche oggi, troviamo tra gli ospiti gli olandesi che da qualche giorno stanno facendo le nostre stesse tappe. Mentre ceniamo si affaccia alla porta del camper una signora accompagnata da una ragazzina, che ha in mano una cassa piena di pesci. Sono sgombri. La signora ci chiede se ne vogliamo uno. Dato che finora non è stato possibile acquistare del pesce, perché l’unica pescheria l’abbiamo trovata a Thurso, ma essendo lunedì era chiusa per turno di riposo, accettiamo la proposta. Scegliamo il pesce che è già pulito e pronto per essere cucinato. Chiediamo quanto costa, ma la signora ci risponde che ce lo regala, perché suo marito va a pescare. Gli olandesi nostri vicini, che in un primo momento avevano rifiutato l’offerta, si fanno avanti e prendono anche loro un pesce, ma siccome come è noto non sanno cucinare, chiedono spiegazione. Chissà quale sarà il risultato, data la pochezza gastronomica britannica e l’incapacità culinaria degli olandesi!

 

25 luglio, mercoledì - Il cielo piange la nostra vacanza sempre più breve mentre noi riprendiamo il viaggio verso ovest. Dopo pochi chilometri siamo a Ullappol. Vedendola dall’alto sembra un paese, invece, nel suo piccolo è organizzata come una città. Di forma quadrata, ha le strade che si incontrano perpendicolarmente. E’ luminosa e allegra, sarà per le sue casette tutte bianche o per la vita del porto peschereccio o per la cordialità dei suoi abitanti che abbiamo interpellato nell’ufficio informazioni turistiche e nella libreria, ordinata e antica, con quel buon odore di libri, che è un piacere girarla, da noi cercata perché ha una postazione di internet point.

Ripartiamo con il sole, la meta di oggi è l’isola di Skye, che raggiungiamo chiedendo a Tom di segnalarci l’itinerario più breve. La strada che percorriamo si stacca dalla costa, che è tutta frastagliata, e penetra all’interno. Un intenso odore di erba tagliata di fresco invade il camper. Ci ricorda le estati della nostra infanzia trascorse sulle prealpi del triangolo lariano. E’ una dolce sensazione, bei ricordi di una vita semplice e felice.

Il tracciato viario è ampio e lineare. Il panorama è quello tipico delle Highlands, ma più rari sono gli scorci pittoreschi. Intanto il tempo muta in continuazione. Nel giro di poche miglia il sole lascia il posto alla pioggia intensa, poi torna, poi viene annullato dalle nubi basse e ritorna più intenso di prima. A Garve lasciamo questa ampia strada e deviamo a destra. Seguiamo l’indicazione Skye. Ora la strada torna a essere interessante. Ci mancava il single track! Soprattutto ci mancavano quegli scorci incantevoli che ti obbligano alla sosta, per non dimenticarli. Notiamo che da Ullapool l’identità scottish è molto sentita. Nei villaggi tutto è scritto con due lingue: l’inglese e il gaelico.

L’isola di Skye è separata dalla terra ferma da un braccio di mare che in un suo punto è talmente stretto che le due sponde sono collegate con un ponte. Quest’isola è morfologicamente simile a tutta la zona costiera. Decidiamo di fermarci al camping Torvaig di Portree, che è la cittadina che sta alla congiunzione dei due anelli stradali che percorrono l’isola.

 

26 luglio, giovedì - Oggi giornata di riposo e di sosta tecnica. Sveglia libera, ci alziamo poco dopo le 9.00. In mattinata provvediamo subito a un maxibucato, utilizzando la lavatrice e l’asciugatrice del campeggio.

Il cielo è arruffato di nubi, che hanno le più svariate tonalità del grigio. Si muovono mescolandosi tra loro per poi sfilacciarsi e lasciar trasparire occhi di intenso azzurro. La fresca temperatura, che in media si aggira intorno ai 15°C, è piacevole e non ci fa certo rimpiangere l’estate lasciata a Milano.

Tra le 10.00 e le 11.00 il campeggio è tutto un fermento: c’è chi come noi si dedica al proprio camper o caravan, chi smonta la tenda, chi si rilassa leggendo e bevendo qualcosa. Il ragazzo del camping sistema l’erba delle piazzole lasciate libere.

Giriamo nei vialetti, i turisti sono in maggior parte inglesi, tra gli stranieri gli olandesi battono tutti.

Ci incuriosisce un camper inglese: è dotato di aerogeneratore. E’ la prima volta che vediamo applicata a un mezzo di trasporto questa fonte energetica.

Nel pomeriggio con una camminata di circa 2 chilometri scendiamo in paese. Portree sorge sulla riva di uno dei tanti fiordi che frastagliano l’isola. Il suo piccolo porto, che le guide dicono essere peschereccio, si è trasformato in approdo da diporto. Lo scorcio che si offre al nostro sguardo è pittoresco: le case che vi si affacciano sono dipinte con colori pastello. Il porticciolo è invaso dai gabbiani imperatore che volano in continuazione ad altezza d’uomo e osano avvicinarsi con una certa prepotenza a chi ha in mano il cartoccio di fish and chips. Se vengono scacciati, atterrano sui tetti delle automobili posteggiate, pronti ad affrontare un nuovo avventore.

Lo sapete che anche in Scozia si può sentire parlare milanese? Ci è capitato comperando il pane. La commessa dandoci il pacchetto e il resto ci ha ringraziato, pronunciando la parola grazie, thank you, in modo dialettale che è suonata ten-chi, che in milanese significa prendi qua! Sorridiamo divertiti.

La salita del ritorno è resa più dolce da un cespuglio di lamponi, che si lascia piluccare, regalandoci i suoi rossi frutti.

Il resto del pomeriggio lo trascorriamo in completo relax, seduti sulle nostre comode poltroncine leggiamo tranquilli scaldati dal tiepido sole.

 

27 luglio, venerdì - Prima di lasciare l’isola di Skye, che fa parte dell’arcipelago delle Ebridi Interne, percorriamo l’anello che, partendo da Portree segue il perimetro della penisola di Trotternish. Seguiamo il senso antiorario. Sono le 8.45, la strada che è un single track, in quest’ora del giorno è percorsa prevalentemente in senso contrario al nostro. Probabilmente sono persone che si dirigono verso il posto di lavoro. E’ un continuo fermarsi e salutarsi ad ogni incrocio. Quando non sono le automobili a rallentare la marcia, sono le  pecore che camminano  sulla strada ad imporre il ritmo. Il cielo ormai lo conosciamo bene, è quellotipico scozzese, fatto di nuvole dense, pesanti che si dissolvono liberando improvvisi, brevi e intensi scrosci d’acqua, di sottili  strati grigi che piovono con una pioggerellina fitta e sottile, di soffici cumuli bianchi che si contorcono e si sfilacciano e fanno da sipario all’azzurro, che può in pochi minuti occupare la volta,  così come può nello stesso tempo sparire per ore. Questi straordinari giochidi luce dipingono il paesaggio risaltandone i contrasti e i colori.

Poco prima di raggiungere Staffin ci fermiamo a osservare dall’alto Kilt Rock. E’ una formazione rocciosa molto antica. E’ composta da due differenti parti. La base presenta strati sedimentari di origine organica, che sono emersi dal fondale marino 160 milioni di anni fa, la parte superiore è formata da rocce basaltiche, solcate verticalmente, è ciò che rimane del vulcano attivo 60 milioni di anni fa. Questa roccia è a perpendicolo sul mare e da essa precipita, con una cascata di 90 metri,  il torrente che scorre sul grande tavolato.

Superato Staffin, un paesino sparso nel verde con le case bianche pezzate di pietre grigie, abbiamo di fronte il profilo delle Ebridi Esterne, i cui costoni sono alte pareti rocciose. Intorno a noi campagna e laghetti dalle scure acque increspate dal vento e, incredibilmente, anche in questo scenario, la cabina telefonica e la cassetta postale con indicata l’ora del ritiro della corrispondenza.

Il giro di boa lo compiamo a Uig, il paese più settentrionale dell’isola. Adagiato in un’ampia baia, da esso partono i traghetti per le Ebridi Esterne. Ritorniamo a Portree percorrendo la parte occidentale dell’anello, che è paesaggisticamente meno entusiasmante.

Da qui, ripassando per la strada fatta quando siamo giunti a Skye, torniamo sull’isola maggiore della Gran Bretagna e raggiungiamo il castello più fotografato di Scozia, famoso per essere stato il set di molti film di successo. E’ l’Eilean Donan Castle. Costruito con pietra scura, racchiuso in una cinta con torri smerlate, è inserito in un quadro paesaggistico che sembra immutato nel tempo. Sorge su un isolotto di un profondo fiordo ed è collegato con la terra ferma mediante un ponte in pietra a tre arcate. Lo visitiamo. Sembra che il costo del biglietto, come  moltissimi altri prezzi, sia stato deciso dal direttore dell’Onestà: 4,95 pound! Nella garitta del controllo biglietti troviamo un uomo vecchio quanto il castello, crea atmosfera! Nella prima sala dei pannelli raccontano la storia del maniero. Leggiamo sulla scheda scritta in italiano che è stato edificato nel medioevo per difendere la zona dagli attacchi dei vichinghi.

Nel XVIII secolo fu occupato dai soldati spagnoli, chiamati per aiutare Giacomo Stuard ad affrontare una rivolta giacobina. Però, quando il re Giorgio venne a conoscenza del fatto, inviò delle fregate e fece saltare il castello, che fu ricostruito tra il 1912 e il 1932.  Visitiamo i suoi tre piani perfettamente arredati, ma non fotografabili. Davvero elegante è la sala del banchetto. Ci piacciono molto gli orologi a pendolo. La cucina è abitata: statue di dimensioni normali sono intente a cucinare i piatti tipici dell’epoca: selvaggina e verdure.

Ripreso il camper iniziamo a percorrere la Great Glen. E’ la lunga vallata che taglia trasversalmente le Highlands collegando la costa occidentale con quella orientale. Essa è una profonda frattura tettonica sul cui tracciato si incontrano numerosi laghi dalla forma allungata. I laghi sono collegati tra loro dal Canale di Caledonia. Ci fermiamo a Gairlochy Holiday Park, un camping dal nome altisonante, ma non all’altezza di tanto fregio. E’ sera e, dovendo trascorrere qui solo la notte, ci accontentiamo.

 

28 luglio, sabato - Un tenue arcobaleno ci dà il buon giorno prima di dileguarsi nel cielo ormai chiaro. In 40’ siamo pronti per partire. Il nostro viaggio continua lungo la faglia in direzione Inverness. Fatti pochi chilometri un semaforo rosso, lampeggiante e sonoro ci blocca. Siamo in prossimità di un ponte sul Canale di Caledonia. E’ un ponte girevole. Il segnale è di stop. Dopo pochi secondi il guardiano del ponte imposta la manovra, la strada ruota e l’imbarcazione in attesa scivola veloce sull’acqua. Pochi minuti e anche noi riprendiamo la marcia. Sostiamo poi a Fort Augustus, il piccolo paese che sta sulla punta occidentale del Loch Ness. Qui ammiriamo ciò che il nostro genio italiano, nella persona di Leonardo da Vinci, ha esportato nel mondo: una serie di chiuse  collegano il Canale di Caledonia al Loch Ness. In attesa ci sono alcuni Paperoni d’Europa sulle loro lunghe barche a vela o su grandi motoscafi. I guardiani delle chiuse ne governano una alla volta al fine di portare l’acqua del bacino con le barche al livello del bacino seguente. Raggiunto lo scopo, si aprono le porte della chiusa e le barche avanzano fino alla porta successiva. Alle loro spalle la chiusa si chiude e l’operazione si ripete fino al superamento dell’ultima chiusa, cioè del dislivello tra i bacini. Poi tutto ricomincia, ma in senso opposto. Vediamo così passare prima i natanti provenienti dal Loch Ness, poi quelli diretti verso il lago. Mentre torniamo verso il camper il dolce suono di una cornamusa ci attrae. E’ un ragazzo vestito col costume tradizionale che allieta i passanti.

Proseguiamo il viaggio costeggiando il lato sinistro del Loch Ness. Lungo e scuro è racchiuso dentro ripide sponde boscose, sovrastate da aspre montagne ricoperte di erica e felci. La strada è abbastanza trafficata. Ancora una volta catturano la nostra attenzione le automobili di colore rosso, di cui molte rosso fuoco. Per gioco proviamo a contare quante ne vediamo su cento. Facciamo due volte la conta. La nostra non è certo un’indagine statistica, per la cronaca il nostro calcolo dà una percentuale del 15%.

Nuova sosta. Siamo al Castle Urquhart, sarebbe meglio dire a quello che fu…

Infatti questo castello è stato distrutto nel 1692. Girando tra le sue rovine si riesce comunque ad avere un’idea di come era edificato e guardandolo dall’alto della sua torre si riconosce bene la sua struttura. E’ ben conservata la Guard con la prigione, dove da secoli un disgraziato soffre incatenato al muro! La grande torre ha nel sotterraneo lo store room, degli altri locali è presente solo il perimetro, ma dei quadri ne illustrano l’utilizzo.

Dall’alto il nostro sguardo si sofferma sul Loch Ness e, sarà per il gioco del vento e della luce sull’acqua o per la suggestione, sulla superficie del lago ci sembra di intravedere per un attimo la sagoma di Nessie, così come è stato dipinto dall’immaginazione popolare.

L’ultima tappa la facciamo a Inverness, dove pensiamo di trascorrere anche la notte. Giungiamo e come, anzi peggio di dieci giorni fa, troviamo entrambi i campeggi pieni. C’è un concorso tra bande musicali, che ha attirato moltissimi turisti. Parcheggiamo il camper al posteggio del centro sportivo e raggiungiamo l’ampio prato della manifestazione. Qui viviamo le ultime ore di un evento culturale della tradizione scozzese. Sotto la pioggia battente, la prima della giornata, le bande si susseguono seguite e acclamate dalla folla che, incurante del maltempo, osserva, commenta, applaude.

La giuria è costituita da quattro giudici  muniti di un blocco, ben difeso dalle intemperie. Su di esso annotano ciò che osservano e ascoltano. Le bande, ciascuna con la sua divisa dal gonnellino dai colori più vari, marciano fino al campo di gara, poi si dispongono in cerchio, eseguono un brano con le cornamuse e i tamburi, quindi salutano e fanno un’uscita solenne.

Non siamo competenti, la musica ci sembra ripetitiva, ma ci interessano tantissimo le persone. Ci sono davvero dei tipi particolari, ciò che ci impressiona è la mole di molti uomini, praticamente sono dei giganti!

Giriamo per il morbido prato zuppo d’acqua. Sembra di camminare sulla Nutella! Paola finalmente capisce i suoi figli quando arrivano a casa dopo la partita di rugby o gli allenamenti giocati sotto la pioggia. Il fondo dei suoi pantaloni è conciato proprio come le loro divise sportive!

Ma dove vanno le bande terminata l’esibizione? Prima di tornare ai propri pullman fanno una  sosta al capannone birreria. Andiamo a curiosare. E’ talmente pieno che fatichiamo ad entrare. Conclusa anche questa avventura e fotografato il verde campo da rugby, che farà diventare verdi di invidia gli amici della A.S.Rugby Milano, ci poniamo il problema della notte.

Escludiamo di fermarci nel posteggio, perché non siamo persone che dormono volentieri per strada.

Seguendo l’indicazione di Tom, ben programmato da Giuseppe, ne troviamo uno a 7 chilometri da Inverness sulla strada per Perth. Raggiuntolo, Mrs Geoff Forrest, alla reception, purtroppo ci dice: “Sorry, it’s full!” Allora sempre su indicazione di Tom ci spostiamo di altri 8 chilometri lungo la stessa direzione. Al camping Auchnahillin troviamo sistemazione tra un camper spagnolo e uno francese.

In mezzo alla pineta delle Monadhliath Mountains c’è un angolo mediterraneo!

 

29 luglio, domenica - Il vento impetuoso ci sveglia scuotendo il camper. Spinge velocemente le nubi, crea ampi spazi al sole desideroso di scaldare questa terra che fatica a conoscere l’estate. Ripercorriamo a ritroso la strada di ieri e torniamo a Inverness. Posteggiamo il camper in una stradina adiacente al fiume Ness e ci incamminiamo verso il centro. Sono circa le 11.00 e c’è una certa animazione. Davanti alla Chiesa Metodista e alla Libera Chiesa di Scozia i fedeli, tutte persone anziane, salutano e sono accolti dal loro pastore. Man mano che ci avviciniamo al centro il movimento acquista il carattere del consumismo. Inverness, leggiamo sulla guida, è la città più a nord che offre una molteplice scelta di grandi magazzini, che attirano la popolazione che vive sparsa ancora più a nord.

Saliamo al castello, è un massiccio edificio costruito con pietra arenaria rosa. Ora è la sede del distretto centrale di polizia. Dall’alto si gode di una discreta vista sulla città. Spicca al di là del fiume la grande cattedrale, che ha una struttura edilizia che ricorda Notre Dame.

Pranziamo all’americana con un panino e una coca-cola da Mc Donald’s; poi ritornando al camper, quasi per caso, notiamo che nella fila di edifici del lungo fiume c’è una chiesa cattolica. Vi entriamo e davanti al Santissimo Sacramento sostiamo in preghiera. La chiesa, edificata nel 1837, dopo dei lavori di ristrutturazione, è stata riaperta e riconsacrata dal vescovo di Aberdeen Mario Conti nel 1979. E’ dedicata a Maria Assunta. La messa ci sarà solo questa sera alle 18.00, noi santificheremo la domenica come abbiamo fatto finora.

Nel pomeriggio percorriamo la strada di rapido scorrimento in direzione di Perth. Transitiamo per la zona boscosa del Parco Nazionale Cairngorm e successivamente saliamo fino a ben 405 metri di altitudine per valicare un passo dei brulli monti Grampiani. Ci fermiamo poi alle loro pendici al camping Blair Castle. L’accoglienza non è delle più incoraggianti, perché c’è esposto il cartello full. Non ci diamo per vinti, chiediamo. Andrew, addetto alla reception, ci dice che qualche posto c’è e ci assegna una piazzola. Risolto un problema se ne presenta un altro. Dobbiamo reintegrare la scorta d’acqua. Accanto alla piazzola c’è un rubinetto, ma esso non è compatibile col nostro attacco. Da bravi italiani, maestri nell’arte di arrangiarci, sotto gli occhi meravigliati e un po’ divertiti della coppia inglese della roulotte vicina, usando due bottiglie e facendo  20 viaggi ciascuno trasportiamo l’acqua nel serbatoio del camper. Così questo bene prezioso per altri due giorni è assicurato.

E’ ormai sera. Mentre il sole tramonta dietro gli alberi del parco del castello, a oriente tra i nuvoloni neri si disegna l’arcobaleno.

 

30 luglio, lunedì - Un campeggio con piazzole ampie 100 m2 e servizi igienici grandi come il bagno di casa a un costo equivalente a poco più di 25 € al giorno in una località molto rinomata, in Italia lo possiamo solo sognare. Qui, invece, è una realtà, una situazione piuttosto diffusa. Questo camping adiacente al castello, dipendente dall’amministrazione del castello, si distingue particolarmente per la qualità.

Sveglia libera, colazione nutriente in vista di un pranzo modesto. Eccoci pronti per il Blair Castle. Lo raggiungiamo percorrendo il lungo viale nascosto sotto una galleria di tigli odorosi. Il castello si mostra a poco a poco col suo candore. La sua architettura, molto articolata, dà leggerezza alla struttura che, più larga che alta, sarebbe diversamente piuttosto opprimente. All’ingresso troviamo la prima piacevole sorpresa: mostrando la ricevuta del camping paghiamo solo la visita del castello e non quella del parco. Alle 11.00 in punto un suonatore di cornamusa esce dal castello, si pone tra i due cannoni e inizia a suonare per dare il benvenuto ai visitatori. Ripeterà la sua esibizione altre due volte nell’arco della giornata. Egli appartiene agli Atholl Highlanders, un ridotto gruppo di persone, che formano l’esercito privato del duca, proprietario del castello. Il nobile ha avuto questo privilegio dalla regina Vittoria, che nel 1844 fu sua ospite.

Più di trenta camere sono visitabili, ma purtroppo non fotografabili. La parte restante del grande edificio è tutt’ora abitata dalla sorellastra del duca, che è responsabile della fondazione che si occupa di gestire il castello e le attività connesse. Il duca vive in Sudafrica, ma una volta all’anno torna a soggiornare al castello.

Il maniero ha una storia antica. Costruito nel 1269, è stato successivamente ampliato. Il duca attuale è l’undicesimo e non è il diretto successore del primo, perché nel corso dei secoli più volte il nobile è morto senza lasciare figli. Quello in carica è parente di secondo grado del decimo duca che, insieme a sua madre, aprì il palazzo al pubblico.

Entriamo nel castello l’ampio vestibolo ha le pareti ricoperte di legno con appese numerosissime armi da fuoco. Poi seguiamo il percorso obbligato. In ogni stanza si trovano delle schede scritte nei diversi idiomi europei, compreso l’italiano, che descrivono gli arredi e i fregi degli ambienti.

I soffitti sono decorati con stucchi, i mobili sono di legno pregiato, alcuni sono intarsiati, altri laccati. Le suppellettili sono preziose ceramiche  francesi, olandesi e porcellane cinesi. Alle pareti raffinate tappezzerie britanniche, a protezione delle finestre tendoni ricamati a mano. Anche in questo castello attirano la nostra attenzione gli orologi. Ci piacciono. La maggior parte sono a colonna, gli altri da tavolo. Intriganti sono anche i mobili a secretaire, con tutti i loro cassettini e le nicchie segrete. Fascinoso è il salone da ballo, ancora usato dal duca in occasione dei ricevimenti che dà. Sotto il soffitto a capriata il salone rettangolare è completamente vuoto.  Le pareti lunghe sono ornate con armi d’epoca e con abiti militareschi: camicie di maglia di ferro e sovramaglie trapuntate. Le pareti corte sono decorate con i teschi dei cervi, questi sono messi in modo tale che le corna incontrandosi formino una specie di ricamo.

Un the e una fetta di torta interrompono la nostra visita. Dedichiamo il pomeriggio al parco. Il vento ci è amico, sospinge via le nubi e ci dona parecchie occhiate di sole. L’aria si scalda, è giunto il momento di toglierci la giacca. Dapprima ci dirigiamo verso il Deer Park, il parco dei daini. Si vedono un esemplare maschio, alcune femmine e dei piccoli. Purtroppo sono dalla parte opposta rispetto alla nostra posizione e il sentiero non arriva laggiù. Contiamo sulla qualità del teleobiettivo! Più avanti due pavoni femmina, seguite dai loro pigolanti pulcini, razzolano nel prato accanto alla scuderia. Qui ci sono due esemplari di pony scozzese in cerca di coccole.

Proseguiamo lungo la strada carrareccia. Essa conduce fuori dal bosco verso una zona prativa di erbai e pascoli, dove altri cavalli si mostrano socievoli. Il panorama si allarga su tutta la vallata e assume l’aspetto di un quadro naif. Forti e netti sono i contrasti cromatici nell’ambito delle tonalità del verde e con grande risalto spiccano nei prati i faggi neri.

Ritorniamo verso il castello e, di nuovo immersi nel bosco, seguiamo l’itinerario denominato Diana’s Grove. Esso conduce verso la statua dedicata alla dea della caccia. La sua sembianza ha tratti mascolini, caratteristica abbastanza comune nelle donne scozzesi.

Questo bosco dall’aspetto naturale in realtà non lo è. Infatti la maggior parte degli alberi hanno un’origine esotica, molti vengono dall’America, come le sequoie giganti. Tutti hanno altezze ragguardevoli tra i 30 e i 60 metri. Per rendere l’idea, Paola si mette ai piedi di una sequoia.

Il sottobosco è altrettanto bello e… buono! Infatti insieme alle felci, alle ortiche e ad altre erbe e arbusti ombrofili, ci sono le piante di lamponi, che ci regalano alcuni dei loro dolci frutti.

Proseguiamo il nostro cammino lungo la riva destra del garrulo torrentello, che passiamo sul ponte in pietra. Giungiamo alla St. Brides  Kirk. La chiesa di Santa Brigida è ormai un  rudere, ma in una sua cappella laterale, l’unica conservata, c’è la pala marmorea della santa.  Intorno alla chiesa il cimitero antico e poco spostato quello più recente con la stele del X duca, morto nel 1996.

Leggendo le iscrizioni tombali notiamo che la nobiltà, se non soccombeva in età infantile, probabilmente a causa di malattie allora incurabili, o non moriva assassinata, come scritto sulle lapidi, viveva a lungo. Certamente non conduceva la vita di stenti del popolo. Ambienti riscaldati, buona alimentazione e un limitato dispendio di energie, assicuravano la longevità.

Il nostro giro per il parco prosegue fino all’Hercules Garden. Esso è un giardino di forma ellittica, circondato da un muro. Vi si accede attraverso un cancello di ferro battuto. Al suo interno ci sono degli stagni ricoperti parzialmente di ninfee e ranuncoli d’acqua, dove delle anatre e delle folaghe nuotano tranquille. Intorno è un paradiso di fiori: rose di diverse varietà, gigli, margherite, campanule e altri fiori dai colori intensi e vivaci, danno a quest’ambiente un aspetto completamente diverso rispetto al bosco selvaggio esterno. Sul prato che contorna la conca umida sono coltivati degli alberi da frutto. Meli, pruni e peri sono le essenze. Tra i peri anche quelli che producono le  conference, le pere tanto ricercate e gustate dalla mamma Teresa.

Diametralmente opposti rispetto all’asse maggiore dell’ellisse si trovano due piccoli edifici. Nel primo troviamo una slitta di legno,  alcuni vecchi attrezzi agricoli e delle fotografie che illustrano la vita vissuta qui due secoli fa, nell’altro cattura il nostro interesse una specie di totem. E’ tutto di legno scolpito e dipinto con colori vivaci, presenta tante piccole ante. Siamo curiosi, le apriamo. Dentro ci sono delle statuette lignee di soldati.  In un angolo del locale ci sono delle bocce di pietra per giocare al curling. Ne proviamo a sollevare una: è pesantissima! Sulla parete oltre a due scope di saggina, molto consumate, perché usate in passato per questo gioco, alcune fotografie mostrano  i gentiluomini in kilt e le dame intenti a giocare sugli stagni ghiacciati di quest’incantevole giardino.

Mentre percorriamo l’ultimo tratto del nostro percorso, siamo seguiti da cinque intrepide paperelle, che scodinzolano e ci chiamano coi loro qua, qua. Ci dispiace di non avere un po’ di pane. Le salutiamo dando loro la soddisfazione di essere conosciute dai nostri lettori.

Sono circa le 16.30, usciamo dal castello. Una giornata indimenticabile!

 

31 luglio, martedì - Da una fortezza è iniziato il nostro giro per la Scozia, in una fortezza termina.

Riprendiamo la strada di rapido scorrimento in direzione Perth. Il paesaggio ci è più famigliare, non più i selvaggi e brulli scenari del nord, ampie vallate coltivate a cereali e boschi ci accompagnano. Anche il clima sembra volerci reintrodurre nell’estate. Il sole è sempre più insistente e la temperatura arriva a raggiungere i 20°C!

Ci fermiamo a Stirling, sul piazzale del castello, che è stato costruito sulla cima di una rupe, che verso ovest è a strapiombo sulla pianura sottostante. Il castello, o meglio la fortezza, è stato edificato in epoche successive. Presenta diverse strutture architettoniche, quelle prevalenti sono del XVI secolo, e numerosi camminamenti, che permettono di avere una bella visione panoramica sulla città e sul territorio circostante. Al suo interno il castello è completamente spoglio, dei quadri esplicativi dicono cosa sono stati quei saloni. Bisogna considerare che i vari principi e re, che vi hanno abitato, come la regina Maria Stuart che qui a solo 9 mesi di vita è stata incoronata, quando si trasferivano vuotavano il palazzo. Inoltre negli ultimi secoli e fino al 1964, esso è stato utilizzato come guarnigione militare. Le parti interne più interessanti sono la cucina, che è stata umanizzata con dei diorami e il museo del reggimento, che ha in mostra una pregevole argenteria e numerosi cimeli bellici, suddivisi per epoche storiche: dal 1812 all’attuale impegno britannico in Iraq e Afghanistan.

Nel pomeriggio visitiamo l’Argyll’s Lodging. Questo palazzo merita davvero di essere visto. Costruito nel 1632, presenta una bella architettura in stile rinascimentale scozzese. Al suo interno le stanze visitabili sono arredate e riproducono fedelmente lo stile di vita del conte che lo ha fatto costruire e di sua moglie.

Poi scendendo dall’altura andiamo verso il centro della città. La parte che sorge sulle pendici della rupe è antica e ben conservata. Ci fermiamo alla Church of the Holy Rude. E’ una chiesa medioevale intitolata alla Santa Croce. La sua navata centrale è la parte più antica, ha il soffitto a sbalzo in legno di quercia. Successivamente è stata ampliata con la costruzione del coro e del transetto. Nel  periodo compreso tra il 1576 e il 1935, fu divisa in due, perché la comunità religiosa non si riconosceva in un unico pastore. Ciò che colpisce di molte chiese della riforma è l’atmosfera sincretista. Intendiamo dire che si avverte il senso religioso, la presenza di Dio, ma non ci sono segni tangibili della fede cristiana. A sostegno della nostra tesi troviamo in una cappella laterale un tavolo con accese numerose lampade votive e con intorno delle sedie per raccogliersi in preghiera. Nella stessa cappella un crocifisso in pietra è appoggiato a terra in un angolo alle spalle delle sedie.

Di fronte alla chiesa c’è il John Cowane’s Hospital, un edificio del XVII secolo, che ha sopra il portone la statua di John Cromane, il ricco mercante che fondò l’ospizio per le persone più povere e bisognose della corporazione dei mercanti.

Giungiamo in centro. La strada pedonale, che sta ai piedi della rupe, brulica di persone. E’ la strada  dello shopping, non ha nulla di interessante, perché non ha negozi caratteristici, ma solo grandi magazzini e fast food.

Ripreso il camper a 8 chilometri da Stirling ci fermiamo al camping Witches Craig. E’ a gestione famigliare e ben tenuto, ma è un po’ troppo  vicino alla strada. Prendiamo questo difetto con filosofia: il rumore del traffico è un altro passo di avvicinamento a Milano!

 

1 agosto, mercoledì - Tre giorni con totale assenza di pioggia da queste parti per prati, animali e uomini è già un inizio di siccità! Ecco allora che l’elemento connaturale alla vita per tutta la notte e buona parte della mattina si fa perdonare la sua assenza.

Appena alzati assistiamo a una scena tragi-comica. Il socievole, friendly per i loro padroni, labrador retriver color crema del camper vicino al nostro è scappato. Il padrone sulla soglia del camper guarda di qua e di là, lo chiama e non vedendolo arrivare non sa da che parte muoversi per andare a cercarlo. La moglie, tutta scarmigliata, con indosso la vestaglia, esce pure lei. Noi stiamo facendo colazione. Siccome i camper britannici si aprono sul lato opposto rispetto a quello standard europeo, ci si affaccia in modo speculare. Appena la signora coglie il nostro sguardo, si ritira e rapidamente si veste, poi esce di nuovo. Entrambi hanno negli occhi la disperazione. Lui si sposta verso il prato centrale del campeggio e inizia a chiedere ai diversi ospiti se hanno visto il suo cane. Uno gli indica la direzione verso cui è andato. Pochi minuti, un’eternità per i padroni, e il cane rientra mansueto e fradicio sul camper.

Partiamo, anche oggi la direzione non può essere che una: sud! In modo agevole raggiungiamo l’autostrada. Abbiamo deciso di spezzare il viaggio fino a Dover in due tappe. Oggi ci fermeremo nella zona di Manchester. L’intensificazione del traffico, soprattutto quello camionale, segnala con anticipo l’avvicinamento alle città industriali. Passiamo Glasgow facilmente e, poco prima di incontrare il cartello con scritto: Wellcome in England, notiamo l’uscita per Dumfries, la città natale della mamma di Eileen, la ragazza di Simone.

Alle 13.00, mentre siamo fermi per il pranzo, che consumiamo sul camper in un’area di sosta, un vetusto pullman si arresta proprio di fronte a noi. E’ davvero curioso: il suo interno è organizzato a salottini. Sulla portiera c’è scritto: costruito perfetto, revisionato con pazienza, guidato con orgoglio. Scendono degli arzilli vecchietti che, come noi guardiamo con simpatia il loro mezzo, così loro guardano incuriositi la nostra  scritta www.sudechigiodela.it. Poco dopo Manchester usciamo dall’autostrada e raggiungiamo il paesino di Whitegate, dove alloggiamo al camping Acorns.  E’ un campeggio dentro una fattoria. Ospita solo camper e roulotte, offre acqua ed elettricità, non ha servizi igienici, praticamente è ciò che in Italia si chiama area attrezzata. Per noi va bene, perché siamo completamente autonomi. Il vantaggio è che paghiamo il prezzo più basso di tutta la vacanza, solo 9 pound.

Il padrone che ci accoglie è stupito. Ci chiede come lo abbiamo trovato, visto che è perso in mezzo alla campagna. Gli rispondiamo che è tra i campeggi inseriti nel nostro navigatore. Poi ci indica una stradicciola  sterrata ciclo-pedonale, che passa dietro il campeggio. E’ lunga diverse miglia. La percorriamo per un tratto di circa quattro chilometri, poi torniamo indietro. Si snoda dentro un bosco di betulle e pini, in un ambiente dal suolo piuttosto acquitrinoso. Camminiamo in silenzio, senza una meta, immersi nelle emozioni che la natura suscita offrendoci alcune sue perle: uno scoiattolo che si arrampica lesto su un pino, un coniglietto selvatico che scappa nella sua tana, una minuscola rana che si nasconde nell’erba.

Rientrando notiamo nel prato adiacente al campeggio un abitacolo in legno decorato, sembra una microroulotte d’altri tempi.

 

2 agosto, giovedì - Notte di pace trascorsa in un sonno profondo. Partiamo alle 9.00 e a Winsford, il primo paese che incontriamo, ci fermiamo per fare gasolio, dopo aver chiesto al benzinaio se accettava le carte di credito e avere avuto risposta affermativa. Facciamo il pieno; al momento di pagare il benzinaio dice che la nostra carta non funziona. La faccenda è molto strana, perché finora non abbiamo trovato ostacoli. Lasciamo i nostri dati e cerchiamo un cash-dispencer. Trovatolo, questo senza problemi ci eroga il necessario. Torniamo al distributore e saldiamo il conto.

Da come il benzinaio ci congeda, ci sembra confermata la nostra ipotesi: temeva che degli stranieri ( italiani ?!) potessero imbrogliarlo.

Poche miglia ed eccoci in autostrada, direzione sud. Il traffico è intenso e il passaggio da Birmingham ci impone una velocità ridottissima a causa dei lavori di manutenzione di un ponte.

Osserviamo gli inglesi e il loro parco macchine. Sono dotati di automobili abbastanza nuove, prediligono le berline, gli spider e i fuoristrada. Sono quasi inesistenti i monovolumi. Un’altra loro passione è per le automobili d’epoca. Diffuse sono le marche francesi, tedesche e giapponesi. La FIAT è poco presente: notiamo delle Multipla, delle Punto e delle Stilo. Del marchio Alfa Romeo circola la Brera.

Gli inglesi, notoriamente flemmatici e capaci di stare in fila ordinatamente quando sono pedoni, diventano insofferenti in automobile. Appena possono cambiano corsia, sperando sempre di immettersi nella più celere. Per gli incolonnamenti l’ordine teutonico è imbattibile!

Il viaggio verso Londra prosegue in modo scorrevole. L’autostrada segue il  profilo ondulato del territorio. Capiamo perché agli inglesi piace la Toscana: ricorda il loro paesaggio, ma col sole!

Grazie alle precise indicazioni di Tom superiamo agevolmente la capitale, passiamo il ponte sul Tamigi. A Dover, prima di iniziare la ripida discesa della scogliera salutiamo le ultime pecore.

Siamo molto in anticipo rispetto all’ora della partenza. Non sappiamo che qui a Dover non c’è un parcheggio per l’attesa e non ci è neppure possibile anticipare la partenza a questa sera, per la mancanza di posti disponibili sui traghetti. Interpelliamo un poliziotto e  seguiamo l’indicazione che ci dà.

Ci spostiamo lungo la costa fino a Folkestone, circa 18 chilometri da Dover, dove nel vecchio terminal marino c’è un posteggio a pagamento custodito. Ci sistemiamo, è deserto! E’ un po’ desolante, perché sembra un’area dimessa: effettivamente lo è, però il fatto di essere custodito ci rassicura.

Facciamo un breve giretto per il porto, scattiamo qualche fotografia, poi ci ritiriamo per la cena e il breve riposo prima della partenza.

 

3 agosto, venerdì - Incredibile, ma vero! I gabbiani hanno un ciclo circadiano che non segue l’alternarsi del dì e della notte. Così, purtroppo per noi, le poche ore che avevamo di riposo prima dell’imbarco sono state disturbate dalle grida di questi litigiosi uccelli.

Alle ore 3.30 ci muoviamo dal parcheggio e ci rechiamo al porto di Dover. Arriviamo pochi minuti prima dell’imbarco sul traghetto che parte alle ore 4.30, un’ora prima rispetto alla nostra prenotazione. Al check-in ci dicono che c’è posto, quindi senza aspettare ci imbarchiamo. Posteggiamo il camper nella stiva più profonda, dietro a un furgone. Scenderemo per primi.

Saliamo in coperta, così inizia la nostra traversata a ritroso della Manica. E’ ancora notte, ma verso oriente il cielo non è più cupo, inizia a colorarsi.

Man mano che le bianche scogliere si allontanano, lo spettacolo dell’alba ci appare in tutto il suo splendore. Saliamo sul ponte per non perderci il disco arancione che languidamente esce dall’acqua colorando di rosa l’umidità dell’aria di questo laborioso braccio di mare e la luna che biancheggia nella parte di cielo ancora blu.

Traghetti, navi commerciali, pescherecci, come sagome nere si muovono silenziosi sul mare piatto per la totale assenza del vento.

Avvincente è l’approdo. Quando il traghetto entra in porto si è invitati a scendere nelle stive e a salire sui propri mezzi. L’attesa dello sbarco dura pochi minuti, che però sono lunghissimi.

Prima un silenzio opprimente dà la sensazione di totale isolamento, poi il rumore meccanico degli ingranaggi annuncia che è in atto l’apertura dei portelloni, che sono due e si aprono in successione. Per un momento si può anche temere di essere sopraffatti da un’onda gigantesca, ma tutte le ansie si risolvono celermente, perché i pontili dell’approdo si allineano al livello delle stive. Finalmente, come Pinocchio, usciamo dal ventre del grosso pesce!

Restituiamo al tempo ciò che ci aveva prestato tre settimane fa. L’ora guadagnata viaggiando verso ovest, la perdiamo oggi avendo navigato verso est. Sbarchiamo e, senza dover più pensare da che parte girare, Giuseppe si immette sulla strada che ci porterà alla destinazione odierna.

Fatti pochi chilometri, la stanchezza per la notte quasi insonne si fa sentire. Sostiamo per un’ora circa, poi ci ricarichiamo con una golosa colazione francese e un buon bicchiere di latte. Nutriamo anche il camper facendo il pieno a un prezzo decisamente più ragionevole rispetto a quello britannico. Il viaggio prosegue tutto in autostrada seguendo la direzione Strasburgo. Passiamo dalla campagna del nord, ai verdi vigneti dello Champagne, alle scure foreste della Lorena.

Le ore trascorrono, i chilometri pure. L’aria si scalda, togliamo il pile.

Nel pomeriggio a circa 70 chilometri da Strasburgo un acquazzone improvviso ci ricorda ciò che abbiamo lasciato oltre la Manica: il tempo molto bizzarro di una terra deliziosa. Un’altra sosta ritempratrice ci ferma ancora per un po’. L’esperienza ci insegna che al rientro è meglio passare la Manica alla sera, dormire in Francia e ripartire dopo la notte.

Siamo a Strasburgo intorno alle 17.00, la superiamo e cerchiamo un campeggio. Lo troviamo a Barr, una graziosissima e fiorita cittadina alsaziana, sulle pendici collinari della valle del Reno, tutte rivestite di vigneti carichi di grappoli promettenti. Il campeggio si chiama St. Martin. E’ collocato vicino al centro storico, ospitato nell’ombroso giardino della scuola elementare. Offre i servizi della scuola, semplici e confortevoli.

Il prezzo è davvero unico, come la Francia, solo 10.00 €!

 

4 agosto, sabato - Coricati alle 22.00, ci sveglia il nostro gallo alle 8.00. Le ferie hanno ormai le ore contate, ma col diminuire del tempo disponibile non scema il desiderio di vacanza. Prima di partire per Milano, ci concediamo un giretto in centro. La scusa è comperare la baguette per il pranzo. Andiamo e scopriamo che oggi è giorno di mercato. La via principale, pedonale, è animata. Qui il mercato è ancora tradizionale. Troviamo le bancarelle delle aziende agricole della zona e dei piccoli coltivatori, che offrono i loro prodotti. Ci fermiamo davanti a un tavolo molto invitante, offre formaggi alsaziani. Comperiamo una fetta di formaggio di latte di capra e una toma. Più avanti dei ragazzi vendono delle piccole prugne a 1,20 € al chilogrammo, profumano intensamente, perché sono maturate sulla pianta. Pensiamo alla frutta che ci attende a Milano sul banco del supermercato, senza esitazione ne comperiamo mezzo chilo.

Sono quasi le 10.00, è proprio ora di partire. Qualche fotografia per ricordare l’ultima tappa e poi rapidamente raggiungiamo l’autostrada. Poco prima di Colmar, in una grande area di servizio, troviamo un utile camper service e facciamo il pieno a un prezzo record per la convenienza:1,03 €/l.

Il traffico è notevole, troviamo un po’ di coda al confine franco elvetico di Basilea. In Svizzera i rallentamenti sono improvvisi quanto inspiegabili fino a Lucerna. Il transito del Gottardo, invece, non ci dà problemi, ma non invidiamo quelli che lo stanno percorrendo nel senso opposto: prima di entrare in galleria hanno davanti 8 chilometri di coda. Alla frontiera di Chiasso siamo premiati per il semplice fatto di avere il camper. Infatti c’è una corsia riservata ai pullman, camper e caravan. Transitiamo senza attesa.

Ancora un’ora e siamo a casa e già abbiamo nostalgia del fresco e della natura di cui abbiamo goduto.