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Il secondo corridoio che corre parallelo all’Arno offre da entrambi i lati un interessante sguardo sulla città: dalla parte del fiume la visuale spazia dal Ponte Vecchio fino all’oltrarno di San Miniato e più su fino a piazzale Michelangiolo, come si dice da queste parti; dalla parte opposta si vede dall’alto la piazza degli Uffizi, che ospita gli artisti di strada ed è chiusa dal Palazzo Vecchio.

La nostra visita si conclude nella mostra Moi, autoritratti del XX secolo. Anche questo itinerario ci riserva delle sorprese. Infatti quando si pensa ad un autoritratto si immagina la riproduzione di sé. In genere anche i grandi artisti esposti hanno così interpretato il tema mostrandosi per come si percepivano: nitidi e curati nel particolare, ostentando sicurezza nella propria identità, oppure sfuocati e sfumati, come chi non è in grado di definire il proprio stato d’animo; spezzati e irriconoscibili come chi è lacerato dalle proprie contraddizioni.

Tra le diverse opere esposte ci ha colpito per la sua originalità l’autoritratto di un artista che ha raccolto in un grande contenitore, in modo disordinato, ma non casuale, gli oggetti e le cose che lo caratterizzano: le copertine dei libri che ama, le confezioni dei farmaci che usa, la famosa Olimpus OM-1, gli occhiali, le pantofole “scalcagnate” e macchiate di tempera, le posate e altro ancora. Tutto questo carpisce l’attenzione dell’osservatore e lo conduce, sguardo dopo sguardo, alla maschera dell’artista, relegata in un angolo buio della composizione, dove egli stesso diventa osservatore di se stesso e di coloro che lo guardano.

Il tempo di pranzare con un panino ed eccoci di nuovo in marcia verso il Duomo.

 

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