OLANDA
tour 2004
Olanda
Terra di acqua
Terra sotto l’acqua
Ci si può arrivare in
aereo, rilevando la trama dei canali che percorrono le Terre Basse.
Ci si può
arrivare con l’auto:
attraverso le strade
dell’Europa continentale si percepiscono le sfaccettature dei popoli che la
abitano.
Perché non
arrivarci
seguendo le vie
d’acqua che attraversano il continente, per cogliere un altro mondo che
vive sulle e grazie ad esse ?
Questa
l’idea che ci ha condotto a progettare un itinerario che ci portasse, da
casa, sin nei Paesi Bassi:
seguire il corso del
Reno dalle sorgenti sino alla foce, per poi scoprire che questa esigua terra,
che figura tra i paesi
più densamente popolati d’Europa, è capace di offrire ai suoi abitanti
ospitali e
accoglienti spazi, che fanno sembrare falsi i dati statistici.
LA
PARTENZA
Venerdì 9 luglio, ore 20.45: la tangenziale è
semiparalizzata. Usciamo a Lambrate preferendo attraversare la città. La
troviamo già in pieno fermento per l’happy hour della prima serata del
week end.Finalmente dopo un’ora siamo in autostrada sul noto percorso che ci
porta a fare tappa al S. Bernardino.
IL TRATTO ELVETICO
LE SORGENTI - Sabato 10 luglio - Notte
temporalesca, sonno tranquillo. Ci svegliamo che è già chiaro. Passata la
galleria di valico, si inizia la discesa verso Coira lungo la tortuosa strada
sospesa sull’Hinterhein, il cui vecchio tracciato è detto Via Mala.
La prima tappa è a Rheichenau, luogo di confluenza tra i
due rami del Reno, quello seguito finora e quello sgorgato dal Gottardo,
chiamato Reno anteriore.
Posteggiamo nel piazzale semivuoto del centro di rafting, con l’intento di
ritornare a piedi sul ponte per immortalare ciò che per noi è il vero inizio
del nostro viaggio lungo il secondo fiume europeo, primo per importanza: la
nascita del Reno.
Fatti pochi passi, ecco risuonare una voce che ci impone di lasciare
immediatamente l’area di sosta. A nulla è valsa la nostra spiegazione. La
voce, identificata in un figuro affacciato ad una finestra del centro
sportivo, si alza minacciosa, rivelando l’arcinota inospitalità degli
svizzeri. Risaliti sul mezzo, facciamo gli italiani! Accese le quattro frecce
lampeggianti ci fermiamo sul ponte per i pochi minuti necessari al nostro
reportage.
COSTANZA - Il viaggio riprende attraverso l’altopiano elvetico verso
il lago di Costanza, che raggiungiamo dopo una breve sosta nel Granducato del
Lichtenstein, il cui confine occidentale coincide col corso del fiume,che qui
scorre torbido e veloce. Solerti poliziotti si accertano sulla nostra
nazionalità guardando la targa del mezzo e seguono da lontano le nostre
intenzioni. Usciamo dall’autostrada a Roschach all’ora di pranzo. E’ di nuovo
battaglia contro l’inospitalità elvetica. Infatti lungo le strade ordinarie non
ci sono aree di sosta, nei paesi i posteggi sono tutti regolamentati da
parchimetri: funzionano con le monete, che ovviamente gli sportelli bancari non
erogano. Proseguiamo. Alle ore 13.00, a pochi chilometri da Costanza, ci
fermiamo lo stesso e pranziamo. Nel pomeriggio, passato il confine
svizzero tedesco visitiamo Costanza, la principale città, da cui il lago trae
il nome. Il centro storico è ricco di palazzi medioevali, pregevolmente
istoriati ed è vissuto vivacemente. Nel cuore della zona pedonale si erge
il duomo, che offre al visitatore particolari di epoche differenti di curata
finitura, come il portone intagliato nel legno di quercia, l’organo del tardo
seicento, tombe e cappelle, un tempo completamente affrescate e ora
impoverite dall’umidità. Il Reno lascia il lago di Costanza e, prima
di riprendere il suo corso fluviale, si adagia nella conca dell’Untersee.
SCIAFFUSA- Di nuovo in Svizzera la via d’acqua precipita con grande
fragore nelle cascate di Sciaffusa. Forma gorghi, solleva spruzzi, nebulizza
nell’aria il suo strato superficiale prima di distendersi in una ritrovata
calma. E’ come un gioco. Sull’orlo del precipizio centinaia di metri cubi
di acqua urlano e si spingono, quasi ad esorcizzare la paura della
caduta. Le gocce d’acqua, che hanno più esperienza, forse sanno che nel
mezzo della confusione c’è il rischio di essere sbattute con violenza sulle
rocce, si può essere lanciate sulla riva verdeggiante e terminare lì la propria
corsa, e allora si defilano e scivolano silenziose e chete lungo la riva destra
per non farsi notare da quel turbine che non dà scampo. In superficie l’acqua
vanerella gorgheggia, bianca e spumosa si inebria nel vento colorandosi dei
sette colori. Ma non tutta torna al fiume! La compagnia si scioglie. Mentre
qualche goccia riprende seriamente il suo viaggio, altre si dissolvono
evaporando sulle rocce, assorbite dalla vegetazione, asciugandosi sui vestiti
dei turisti che portati da sicuri battelli approdano e si inerpicano su
uno spuntone di roccia che il tempo forerà e levigherà. In profondità l’acqua
coraggiosa si lascia prendere dal turbine. Brontola e mugola per gli atroci
movimenti, sale e si rituffa nei vortici profondi illuminandosi di azzurro e
ritornando nera fino a quando, liberata da quel tormento, si ritrova pulita e
nuovamente pronta a soddisfare la sete della terra.
NEUENBERG AM RHEIN - Domenica 11 luglio - ore 7.00. Con
sollecitudine ci prepariamo e partiamo dal grande parcheggio delle cascate,
lasciando ancora dormienti gli altri equipaggi presenti nell’area camper,
tranne il pullman arrivato vicino a noi quando era già buio. Ora esso libera
anchilosati e assonnati turisti russi che si dirigono verso i servizi nella
speranza di lavar via la stanchezza di una notte trascorsa seduti al
proprio posto.
La direzione è Basilea. Decidiamo di seguire le strade
secondarie, che transitano attraverso i paesi, al fine di partecipare alla
messa domenicale. La mattina è fresca. Il tempo ancora incerto, fa
prevedere un miglioramento, che arriva offrendo occhiate di sole che mettono in
risalto la campagna ben curata di questa ampia valle fluviale.
Il paesaggio ha delle reminiscenze alsaziane. Piccoli
borghi di case a graticcio raccolti intorno alle fontane di pietra, vivacizzati
dai contrastanti colori delle numerose varietà floreali che ornano tutti gli
usci e le finestre. La strada si snoda mossa e sinuosa su dossi e declivi
adagiandosi ora a destra, ora a sinistra del Reno. Quando si allontana da
esso, esplora dei bacini suoi tributari, regalando nuovi scorci panoramici
pittoreschi e suggestivi. Recentemente in una riflessione sulle missioni
avevamo sentito il sacerdote esortare i fedeli alla preghiera, ricordando loro
che oggi la fede è viva là dove una volta andavano i missionari provenienti
dall’Europa, mentre c’è bisogno di una nuova evangelizzazione proprio nei paesi
dove per prima si è diffusa la Parola. A Eglisan, dove partecipiamo alla
messa delle 10.00, questo pensiero si materializza davanti ai nostri occhi.
Infatti il sacerdote che guida la comunità di questo paese è africano, è lui a
proclamare il Vangelo, è lui che consacra e spezza il pane. Nell’omelia
commenta il vangelo del buon samaritano e conclude indicando alla comunità il
prossimo che oggi Dio fa loro incontrare. Esso è rappresentato dai piccoli
Nicholas e Raphael che vengono battezzati durante la messa. Questi bimbi,
crescendo, avranno bisogno di trovare una comunità di fede che li diriga e li
orienti a scegliere Cristo con le parole e con l’esempio di una vita donata
nella carità. Riprendiamo la strada e all’altezza di Zurzach, passato il Reno,
rientriamo in Germania.
A causa di un’interruzione stradale non è possiamo
raggiungere Basilea, che attraversiamo nel giorno del rientro ancora impegnata
nelle sue attività industriali, che sequestrano il fiume celandolo alla vista
di chi transita e sfruttandolo secondo le sue potenzialità.
Puntiamo allora verso nord. Risaliamo quindi i ripidi
versanti rigati dai vigneti e ci inoltriamo, seppure marginalmente nella
Foresta Nera.
Ad accoglierci un minuscolo scoiattolo, che si scosta
frettoloso dai margini della strada e sale lesto, lesto, sul primo abete a
disposizione.
Il sole tende ad occupare sempre più spazio nel cielo
ancora qua e là arruffato da cirri che si mescolano veloci sospinti da intense
folate di vento. La foresta a tratti è interrotta da radure, occupate da
aziende agricole che coltivano cereali, patate, barbabietole e frutta. Lungo la
via gli agricoltori vendono i prodotti di stagione: frutta, miele, marmellate.
Ci fermiamo a comperare delle ciliegie, a un prezzo che in Italia è difficile
immaginare, tanta è la convenienza! Il loro gusto zuccherino lo apprezziamo a
cena. Esso ci narra del lungo tempo trascorso sui rami fino alla perfetta
maturazione.
Ritroviamo il Reno a Neuenberg am Rhein, dove ci fermiamo
al camping Gugel. Nel pomeriggio con una passeggiata a piedi raggiungiamo
l’argine. Qui il Reno non è molto ampio perché buona parte della sua acqua
alimenta il canale navigabile, che scorre parallelo ad esso in territorio
francese.
IL TRATTO TEDESCO
FRIBURGO - Lunedì 12 luglio - La sottile pioggerella caduta
ininterrottamente durante la notte inizia a diradarsi, per poi smettere
definitivamente verso le 9.00 del mattino.Sistemata qualche faccenda domestica,
lasciamo il campeggio.
Arriviamo a Friburgo nel pieno di una normale e vissuta
giornata feriale. Entriamo in città attraverso la sua antica porta. Ci
colpiscono subito la bellezza di alcuni suoi edifici, palazzi con le facciate
di legno intagliato e l’acqua che scorre lungo i marciapiedi, raccolta in
canaletti profondi circa 10 centimetri e larghi 30 centimetri. Tante
persone affollano le vie del centro. Vanno e vengono dalla piazza del duomo,
dove si sta svolgendo il mercato, che è spiccatamente locale. Ci sono
bancarelle artigianali, che vendono prodotti di legno intagliato e vasellame di
terracotta decorata, ci sono gli agricoltori, che vendono i frutti di stagione:
lamponi, mirtilli, ribes, ciliegie e i prodotti dell’orto: insalate, cetrioli,
carote e le onnipresenti Kartoffeln. Ci sono i fiorai, che compongono, a
richiesta, mazzi eterogenei e variopinti e, infine ci sono i rosticcieri che,
come calamite, attraggono e addensano al loro banchetto file di affamati
clienti. Vendono diverse specialità di Wurstel, infilati ben cotti o
abbrustoliti in fragranti panini. Alla visita del mercato anticipiamo
quella della cattedrale. Sorta nel 1200, è stata per tre secoli ampliata e
rimaneggiata. Si presenta in stile gotico ed è attualmente soggetta ad alcuni
lavori di manutenzione, che ci impediscono la sua completa
visione. Entrando siamo accolti dalle ultime note del concerto per organo,
che si tiene a mezzogiorno. La fioca luce di questa giornata uggiosa fatica a
filtrare attraverso le vetrate. Nel buio della chiesa spicca, però, la pala
lignea dell’altare maggiore e la statua dorata della Vergine, che riflette la
luce delle lampade votive.
Usciamo dalla cattedrale che sono circa le 13.00. Al
mercato compriamo un gufetto fatto con la corteccia di conifere e le alette
legnose delle pigne. Esso si aggiunge alla nostra collezione, iniziata per caso
e per gioco con i primi gufetti che ci ha regalato Alberto. Un intenso profumo
di funghi, richiama di lì a poco la nostra attenzione. Una serie di
bancherelle hanno in vendita una grande quantità di pfinferli, quei
gustosi funghetti gialli che danno sapore al risotto. Ne compriamo un etto, già
pregustiamo la cena!
Il pranzo lo risolviamo alla tedesca. Ordinatamente ci
mettiamo in fila e attendiamo il nostro turno per comprare il panino col
wurstel. Ci allontaniamo dalla piazza addentando con gusto la Spezialitaed stando
attenti a non sporcarci con la senape che immancabilmente abbonda su questa
prelibatezza.
Proseguiamo la visita della città dirigendoci verso la
piazza del municipio. Un passo, una sosta. C’è molto da fotografare, se si ha
l’occhio fotografico di Giuseppe! Ecco come fa ad arricchire le sue fototeche
tematiche! Oggi lavora a quella Porte e Finestre.
Concludiamo la visita nel quartiere universitario,
che presenta un’architettura varia di stili ed epoche molto differenti. Il buon
turista non deve, però, guardare solo davanti a sé o in alto, edifici e monumenti,
deve osservare anche dove mette i piedi. Ed è proprio abbassando lo sguardo che
notiamo che il selciato dei marciapiedi presenta ad intervalli regolari dei
mosaici. Essi corrispondono alle entrate dei negozi e rappresentano l’attività
commerciale che si svolge prospiciente a loro. Ecco quindi il barbiere, il
libraio, il gioielliere, l’ottico, e così via. Passo dopo passo, da un mosaico
all’altro giungiamo alla cappella universitaria. Entriamo. Il suo candore e la
sua semplicità aiutano a concentrare lo sguardo sulla moderna scultura lignea
di Cristo morente.
Ripreso il camper, ci immettiamo in autostrada. Ci
spostiamo di circa 200 km. L’obiettivo è di superare agevolmente la metropoli
industriale di Karlsruhe e di allargare la visuale renana ad alcune interessanti
zone del suo bacino idrografico. Seguendo la direzione nord-est siamo diretti
ad Heidelberg.
Il traffico è intenso, ma scorrevole. Le condizioni
meteorologiche, che alternano nuclei temporaleschi a momenti di calma,
regolamentano la velocità media dei mezzi. E’ innegabile che i tedeschi hanno
una passione innata per i veicoli con motori potenti e brillanti, quindi appena
smette di piovere e la strada si asciuga, giù una bella pigiata
all’acceleratore e via!
Alle 17.00 troviamo alloggio presso il camping Heidelberg,
situato lungo la sponda sinistra del Neckar, fiume di tutto rilievo, visto il
traffico di chiatte che lo risalgono e lo ridiscendono portando carichi di
idrocarburi e di materiale da costruzione.
LA CITTA’ ROSA - Martedì 13 luglio - La città di Heidelberg merita di
essere visitata, perché offre, osservandola dal basso, un effetto cromatico
singolare e suggestivo e dall’alto del castello una splendida veduta sulla
valle del Neckar, che si apre e si distende nella pianura.
Percorriamo a piedi i 2 km della sua Hauptstrasse che,
parallela al fiume, forma l’ossatura del primo nucleo urbano. Seppure la
giornata sia ancora al suo inizio, la città è già percorsa da numerosi turisti,
in particolare da giapponesi e coreani che avanzano a frotte. Incuranti delle
altre persone, come una macedone compatta, si spostano a destra e a sinistra
secondo ciò che desta la loro curiosità commerciale: birrerie, Konditorei
(pasticcerie), Spielen (giocattoli), magazzini dozzinali che vendono scarpe e
vestiti.
Raggiunto il duomo, proseguiamo fino al monumento di
Gutenberg, che nel lontano XV secolo inventò i caratteri mobili della stampa.
Poi per un ripido e ciottoloso viottolo saliamo al castello, che ha avuto nei
secoli alterne vicende di gloria e di tragedia. Esso presenta delle parti
completamente in rovina e altre ben conservate. La visita comprende il
Deutsches Apothekenmuseum. E’ unico nel suo genere. Racconta la storia della
farmacologia tedesca, consegnando al visitatore antichi arredi di vere farmacie,
esibendo radici rare ed erbe medicinali, minerali terapeutici, insieme agli
strumenti di vetro, di rame, d’argento e di porcellana usati per l’estrazione
dei principi attivi e agli strumenti di misura, bilance e strumenti tarati,
usati per dosare sapientemente le quantità. Nelle cantine sottostanti
un’altra ala del castello sono conservate due antiche botti di un’impensabile
grandezza. Una contiene circa 220.000 litri, l’altra 45.000 litri.
La distanza che ci separa da Trechtingshausen la copriamo
in parte seguendo l’autostrada. Si dice che la Germania non sia un paese
agricolo. Probabilmente è vero, se si considera il fabbisogno alimentare
interno e lo si rapporta alla produzione, ma osservando il suo territorio non
si può certo affermare che il settore primario sia trascurato! Ovunque dove non
ci sono insediamenti urbani, la terra è intensivamente coltivata e, se lasciata
a riposo, diventa pascolo e, dove proprio la mano dell’uomo non può seminare,
essa è ricoperta dal manto boschivo che la protegge dall’erosione. A
Bingen ci immettiamo su una strada statale che costeggia il Reno, allo scopo di
cercare il campeggio che ci dovrà ospitare per alcuni giorni. Lo troviamo a
Trechtingshausen. La giornata di oggi sembra finire dove era iniziata,
eppure ci siamo spostati di 140 km. Infatti lasciata Heidelberg, città rosa e
verde, rosa perché tutta edificata con l’arenaria tipica della zona e verde
perché circondata dai fianchi boschivi della stretta valle del Neckar, ci
fermiamo al campeggio Marienort di Trechtingshausen, nuovamente in riva al
Reno, che abbiamo ritrovato a Magonza. Anche qui, allineati sul primo
argine, la valle fluviale mostra davanti a noi un versante roccioso di quel
caratteristico rosa, mescolato al verde del bosco selvaggio, che diventa più
chiaro dove è soppiantato dalle colture viticole, che occupano i declivi meno
aspri.
Alle nostre spalle su un versante altrettanto ripido un
austero castello domina dall’alto il minuscolo paese e l’intenso movimento
mercantile del fiume, che libera le strade di una notevole parte del traffico
camionale e l’ambiente da un po’ di gas nocivi e polveri sottili.
IL ROMANTICO RENO
Magonza - Mercoledì 14 luglio - Lo sguardo
sul Romantico Reno si posa dapprima su Magonza,. Raggiungiamo per tempo
la stazione di di Trechtingshausen, oramai disumanizzata, ad elevata
automazione si dice oggi. I treni diretti transitano veloci, fischiando in un
enigmatico saluto. L’attesa per l’ora del convoglio, che sembra non giungere
mai e la nostra solitudine sul marciapiede abbandonato, suscitano in noi un
vago senso d’ansia. Ma la Germania, pur profondamente cambiata in molti suoi
aspetti, non ci tradisce: il treno locale giunge puntuale e un circa 40’ ci
conduce in città.Avevamo caricato questa tappa turistica di una certa
aspettativa, ma ne siamo rimasti delusi. Infatti Magonza, che è stata in gran
parte distrutta durante la seconda guerra mondiale, accosta in modo
piuttosto confuso e disordinato gli edifici ultramoderni a quelli ricostruiti
con gli stili architettonici dei secoli passati. Visitato il duomo e raggiunto
il Reno, che qui riceve le acque del Meno, ecco in parte ricompensato il nostro
scontento e la visita si riveste di significato.
Sul palco allestito nella Marktplatz si stanno esibendo
dei cori giovanili di varie nazionalità. La platea è improvvisata. C’è chi
passa, osserva e va oltre. Chi si ferma un po’ e si allontana. Non pochi si
accomodano sedendosi per terra o si intrattengono in piedi a semicerchio di
fronte al palco e ascoltano silenziosamente e con attenzione. Incuriositi anche
noi ci fermiamo.
Sul palco spiccano adesso le divise verdi del coro di
Burgos, che viene poi avvicendato da un piccolo coro proveniente da Parigi. Per
tutti questi ragazzi non mancano gli applausi, ma l’attesa e la curiosità di
tutti gli astanti è per il coro ucraino, che chiuderà il concerto.
Vestiti con i costumi tradizionali, i ragazzi con un cravattino a bindello
annodato largo sul collo rialzato di una camicia bianca portata a casacca sopra
i pantaloni neri e le ragazze in abito lungo di velluto blu, impreziosito sullo
scollo con della passamaneria dorata, le spalle coperte da uno scialle e il
capo agghindato con una coroncina di fiori, attendono allegramente il loro
turno.
Il canto a più voci è ritmato dal battito dei piedi e
vivacizzato dagli armoniosi movimenti delle ragazze, che accennano dei passi di
danza. L’atmosfera è davvero coinvolgente. L’attenzione e la partecipazione
all’evento cresce e gli applausi prolungati suggellano il successo di questi
simpatici ragazzi, che ringraziano concedendo un bis.
E’ ormai il momento del commiato, alcuni di loro si
spargono tra gli spettatori per vendere il loro CD, che raccoglie i canti del
folclore locale e dei canti religiosi.
Ci si avvicina un ragazzo.
Quel viso smunto dagli occhi chiari, dolci e un po’
malinconici ci ricorda Oleg, il ragazzo moldavo passato tre anni fa nella
nostra vita, come una meteora.
Oleg il ventenne, che siamo riusciti a strappare dalla
clandestinità, dandogli un tetto sicuro. Oleg, il ragazzo che per completare i
suoi studi universitari non aveva esitato a rischiare la sua vita nella nostra
edilizia. Il ragazzo che saltava i pasti per avere più denaro da inviare a casa
e si sentiva imbarazzato di fronte alla nostra tavola imbandita. Oleg, che in
pieno inverno si scaldava solo con un maglione, ma che si riteneva fortunato,
perché i suoi vivevano con gli stessi indumenti dovendo sopportare temperature
ben più rigide, che diventavano proibitive nella casa forzatamente fredda per
la mancanza del carbone.
Per i tanti Oleg, che si industriano onestamente per
risalire dal baratro della miseria nel quale sono stati buttati dal comunismo
sovietico, non abbiamo esitato ad accettare l’offerta d’acquisto.
Quella musica ci aiuterà a ricordare che il Signore bussa
alla porta della nostra vita nei tempi e nei modi più impensabili e che sta a
noi aprire il cuore lasciandoci guidare dalla sua luce e dalla sua forza.
Coblenza e la Lorelei Giovedì 15 luglio - Oggi
dedichiamo tutta la nostra giornata al tratto di fiume più rinomato e
suggestivo. In treno raggiungiamo Coblenza, la città sorta alla confluenza
della Mosella col Reno.
Adagiata su una lingua sabbiosa, anche questa città non ci
pare all’altezza della sua fama. Il centro, denominato Altstadt, vecchia città,
conserva solo quattro palazzi seicenteschi ormai fagocitati dagli anonimi
edifici che ospitano i soliti grandi magazzini, che sono però il grande
richiamo dei turisti!
Visitiamo il duomo dedicato alla Madonna,raffigurata in un
bel trittico incorniciato nella pala di marmo dell’altare maggiore. La
preghiera di oggi è rivestita di un’intenzione particolare: è dedicata a
Simone, che in questi giorni deve sostenere alcuni esami. Maria interceda per
lui presso Dio, perché continui con impegno e porti a compimento i suoi studi
universitari.
Proseguendo verso i fiumi passiamo per il Floristmarkt,
che sono quasi le 11.00. Qui, insieme ad altri turisti, ci fermiamo, naso
all’aria e sguardo fisso verso la facciata del Mittelrhein Museum. Allo
scoccare dei rintocchi dell’orologio ecco che il faccione un po’ giocondo,
situato appena sotto, accompagna il roteare dei suoi occhi con un curioso
sberleffo.
Ci rechiamo poi nella chiesa omonima che sta nella
piazza. Apre proprio ora i suoi battenti. Nella sua semplicità è molto più
armoniosa rispetto al duomo. Le prove di un concerto per voci ed archi creano
un’atmosfera spirituale, che suscita sentimenti di pace e di fratellanza,
pensieri espressi con immagini e parole nella mostra che lungo la navata
sinistra racconta la storia coloniale germanica in Africa e l’evoluzione del
ruolo della presenza missionaria in quel continente.
Raggiunto St. Goar col treno, ci imbarchiamo sul battello
fluviale Vater-Rhein, padre Reno, per risalire il fiume, passare dalla sua gola
più famosa e infine approdare a Trechtignshausen, dove alloggiamo.
Questa minicrociera è un anticipazione della festa del
nostro anniversario di matrimonio di domani.
Il tempo di sistemarsi sul pontile superiore, si parte.
Aggirate le prime anse ecco il romantico passaggio sotto la famosa rupe della
Lorelei. Essa per la sua conformazione risponde ai suoni generando un’eco, che
viene addolcita e prolungata dal gorgoglio dei flutti, che in quel punto danno
vita ad una corrente, che una volta dirigeva e spingeva i leggeri natanti
contro gli spuntoni rocciosi.
Questo incantevole scenario ha stimolato la fantasia di
poeti e scrittori romantici, tra i quali Brentano, che con molta fantasia ha
visto nella rupe la figura di un’invitante fanciulla, che ha immortalato nella
celebre ondina della sua poesia.
C’è eccitazione tra i passeggeri. Essa diventa palpabile
nel silenzio che ora lo avvolge.
Il battello rallenta, si avvicina leggermente alla
scoscesa rocciosa e il comandante diffonde il suadente suono di un Lied, per
cercare di ricreare un’atmosfera incantata.
Ripresa la corsia di navigazione continuiamo a risalire il
fiume. Lugubri castelli, arroccati in alto compaiono improvvisi dietro le
strette anse. Oggi, ammirati e immortalati dai continui scatti fotografici,
assistono inermi all’incredibile traffico, lasciando immaginare ai naviganti le
prepotenze e i soprusi della loro vita passata, che aggiungevano rischi al
rischio della navigazione.
La lentezza con cui navighiamo non è niente se paragonata
a quella delle ansimanti chiatte, che superiamo quasi di slancio,
riconoscendone alcune, come la mitica Bitumina III, che ieri abbiamo
visto scendere leggera e gagliarda, passando silenziosa davanti a noi fermi nel
camping. Ci spostiamo da una riva all’atra per approdare nei vari paesi
ordinatamente allineati lungo la costa, le cui case variopinte sono strette tra
il fiume e i ripidi vigneti abbarbicati sui pendii più dolci e soleggiati.
Colonia - Venerdì 16 luglio - Oggi è il
nostro bel giorno. Siccome il bel giorno si vede dal mattino, ecco che
finalmente scopriamo che anche in Germania sopra gli spessi e nerastri strati
nuvolosi il cielo è azzurro.
Lasciamo il campeggio. Lo sguardo sale verso l’inquietante
castello dell’Innominato, così abbiamo soprannominato quello che domina
dall’alto Trechtingshausen. Il sole lo addolcisce. Ha assunto un aspetto
più garbato.
Il nostro bel giorno non poteva iniziare meglio. Infatti è
subito allietato dai bip dei telefonini, che ci recano l’augurio vocale di
Daniele e il messaggino benevolo di Simone.
La giornata ci propone un’ulteriore tappa verso la foce
del Reno. Ci trasferiamo velocemente a Colonia dove posteggiamo il camper lungo
l’argine destro del fiume, quasi di fronte al centro storico, che raggiungiamo
a piedi in un quarto d’ora, passando su uno dei lunghi ponti che collegano le
due rive.
La città è animata. Man mano che ci avviciniamo al duomo
incontriamo allegri gruppi di bambini e giovani che si riconoscono e si
distinguono per la divisa che indossano o per uno stemma appuntato. Sono i
ragazzi che partecipano al festival europeo dei cori cattolici, che in questi
giorni si svolge in città. Non è raro trovare piccoli gruppi fermi davanti ad
un altare pronti ad intonare una melodia, che calma la frenesia dei
turisti e dona uno spunto di religiosità alla loro visita.
Quanto è cambiata anche questa città!
Dove sono finiti i negozietti artigianali, che vendevano
la rinomata acqua di colonia? Dove è l’attenta Polizei, che impediva
l’abbruttimento umano? Paola, che l’aveva visitata 35 anni fa, non riconosce
più in essa la tipica fisionomia germanica che la caratterizzava rendendola
interessante e unica.
Questa città ha conservato solo i suoi monumenti ma,
diventata metropoli, si è spersonalizzata lasciandosi occupare dal commercio
globalizzato e da una massa di sbandati che, chiamare fauna umana, è far loro
un complimento.
Visitata Colonia lasciamo il Reno continuare da solo il
suo corso attraverso la regione industriale della Ruhr e lo precediamo in
Olanda, dove tra qualche giorno osserveremo la sua foce.
Facciamo tappa a Heumen, un piccolo borgo agricolo sulla
strada che conduce a Utrecht. Il campeggio è organizzato come un villaggio
turistico, pensiamo quindi di festeggiare l’anniversario secondo la nostra
tradizione, cioè cenando al ristorante. Considerando però l’offerta
merceologica e la non qualità dell’arte culinaria olandese e valutando i costi,
decidiamo di infrangere la regola e di festeggiare preparandoci personalmente
un’intima cenetta a base di risotto alla milanese, costata di vitello con
piselli e creme caramelle.
PAESI BASSI
IL
RENO, IL WAAL, IL LEK Sabato 17 luglio - Alle 7.40 la sveglia ci chiama ad un’altra giornata
turistica e di spostamento. Incrociamo nuovamente il Reno, che gli olandesi
chiamano Waal, poco a nord di Nimega e ci indirizziamo verso Utrecht lungo la
statale nella speranza di trovare un centro commerciale per ricostituire le
scorte alimentari. Ricerca non facile. In questo paese, dove la struttura
anatomica delle persone è piuttosto imponente, l’ultimo pensiero riguarda
l’alimentazione.
Infatti gli olandesi non fanno pasti regolari. Raramente
cucinano. Quando hanno fame, indipendentemente dall’ora, mangiano. A qualsiasi
ora mangiano di tutto, secondo i loro gusti, possibilmente cibi pronti.
Giunti a Utrecht lasciamo il camper in un vasto,
costosissimo e assolato parcheggio nei pressi del teatro intestato alla regina
Beatrice e ci incamminiamo verso il centro, superati da frotte di biciclette,
che accompagnano l’olandese dai suoi primi mesi di vita, quando racchiuso nel
marsupio si muove con mamma o papà, fino alla tarda età, quando le gambe,
seppure lentamente, riescono ancora a far forza sui pedali.
Eccoci quindi nel cuore di Utrecht. Finalmente una città
che pur modernizzata non è snaturata. Essa conserva intatta in
alcune sue vie l’architettura di un tempo, dalla quale traspare l’antica
atmosfera, grazie agli scorci pittoreschi, resi ancor più suggestivi dai rari
passanti. In altre vie è modernamente edificata e lì si concentrano le attività
commerciali.
Nel pomeriggio il viaggio prosegue verso Rotterdam. Non
abbiamo una meta precisa, ci interessa trovare un campeggio tranquillo,
possibilmente su un canale per fermarci qualche giorno.
Troviamo posto a Schoonhoven, lungo la sponda sinistra del
Lek, il basso Reno che, lambito Utrecht, sfocia nel Mare del Nord confluendo
nell’ estuario principale del Reno-Waal.
Il campeggio si chiama ‘t Wilgelbak. Si presenta
lindo e ordinato. I vialetti lastricati delimitano le ampie piazzole, erbose
per le tende, ghiaiose per le roulotte e lastricate per i camper. Ci viene
assegnato il posto che avevamo sognato: una piazzola sul fiume, che scorre
lento verso la foce sopportando un traffico mercantile meno intenso e
costituito da chiatte di minore stazza. Davanti a noi solo il prato che
accoglie i cicloturisti offrendo loro oltre al piatto e morbido appoggio per la
tenda, dei tavoloni di legno e i sostegni di metallo dove appoggiare e
legare le biciclette.
Comodamente sistemati al riparo dal caldo sole pomeridiano
guardiamo gli infaticabili bambini giocare sul prato tutti bagnati, dopo aver
fatto il doveroso bagno nel fiume mentre i loro genitori prendono dai loro
carrelli, riempiti con meticolosa cura, le borse, le tende e quanto serve per
la notte.
Sono quasi le 18.00, quando un arzillo e socievole
vecchietto, passa in bicicletta da piazzola a piazzola e avverte tutti che
qualcosa di grave sta per avvenire. Indica il cielo, si preoccupa che tutti
capiscano. Viene anche da noi e, continuando a parlare in olandese, una lingua
incomprensibile all’ascolto, più chiara se la si vede scritta, per chi ha
qualche cognizione di tedesco, ci indica il fiume nella direzione della
corrente e ci fa intendere che è in arrivo un fortunale.
Sembra uno scherzo. Il cielo è completamente sereno, il
vento è quello tipico di questa terra di mulini. Però, là in fondo dove il
fiume sembra unire le sue rive, il cielo assume i toni dell’indaco.
Gli crediamo. Imitando gli olandesi delle roulotte vicine,
ripieghiamo il tendalino e ricopriamo la biancheria stesa ad asciugare con un
telo di plastica a cappuccio.
Dopo circa mezz’ora inizia il film della natura,
un’incredibile sequenza di 90 minuti.
Il primo segnale d’allarme del reale avverarsi della
premonizione lo danno i gabbiani, che abbassano il loro volo e in modo
concitato intrecciano traiettorie sempre più brevi, emettendo grida acute e
stridule.
I corvi, che svolazzano tra una piazzola e l’altra
becchettando tutto quello che è commestibile, gracchiano richiami e si
rifugiano sugli alberi zittendosi all’istante.
Il vento per un attimo cessa di spirare. Una calma
surreale sembra irridere le preoccupazioni e le paure degli uomini e
degli animali. Ma ecco un ululato agita di nuovo gli animi. Una folata forte e
tesa si abbatte radente e tenta di scalzare le povere tende che faticosamente
resistono aggrappate ai loro picchetti. Ora le raffiche fischiano sempre
più intense e ravvicinate tra camper e roulotte facendoli ondeggiare, si
insinuano tra le fronde degli alberi che urlano il loro dolore scricchiolando,
piegano fino a terra le canne e le esili erbe, che hanno trovato
nell’essere docili la forza per vivere.
Il cielo assume un aspetto fascinoso e terrificante. In
alto l’azzurro si incupisce tendendo al viola, più in basso grosse nubi nere,
orlate di bianco, avanzano veloci, sfrangiandosi verso terra, quasi a formare
piccoli tornadi.
Il rimbombo dei tuoni del temporale non ancora giunto
risuona minaccioso e avvisa che ormai non c’è più scampo. Poi improvvisa
una saetta scende e s’infila nel canneto al di là del Lek. Essa è accompagnata
dal fragore della sua potenza, a cui segue l’eco dei pigolii di anatre e
cigni rintanati e nascosti nei loro nidi ovattati, proprio dove ha colpito.
E’ l’ultimo segnale per mettersi al riparo. Ognuno si
rifugia nella sua casetta, chi sperando come noi che insieme alla pioggia non
giunga la grandine, chi sperando che la tenda resista al vento e all’acqua per
poter dormire all’asciutto. Le ultime barche da diporto si affrettano a
raggiungere il porticciolo adiacente il campeggio. Solo le chiatte, vecchi lupi
di fiume, continuano imperturbabili il loro viaggio, alcune andando velocemente
incontro al muro d’acqua battente, altre sfuggono incalzate dal suo avanzare.
Un attimo e si aprono le cateratte del cielo. La pioggia
scende a dirotto, dir..otto, dir…nove, dir…dieci, avrebbe detto il nonno
Luigi, in modo arguto!
Dopo mezz’ora tutto si calma. Il vento si arresta, mentre
la pioggia continua a scendere ancora per un po’, dapprima lieve e sottile e
poi con grossi e radi goccioloni.
Il sole ritorna a farsi vedere e si impegna ad asciugare
quanto gli è possibile, prima di lasciare il tempo alla notte. La vita
riprende. I primi a godere nuovamente della natura sono i bambini. Le nidiate
delle famiglie dei cicloturisti iniziano subito a rincorre la palla: giocano a
piedi nudi sul morbido prato, ora assai scivoloso. Ciò fa aumentare il loro
divertimento. Le risate allegre e sonore inondano l’ambiente facendo apprezzare
a tutti la gioia di vivere.
Quando iniziano a calare le tenebre e si smorzano i suoni
del giorno, il gracidare delle rane apre il concerto notturno, segno della vita
che non ha mai fine.
SCHOONHOVEN
Domenica 18
luglio - Sveglia libera. Sono da poco passate le 9.00. Dopo il furioso
temporale di ieri sera e la notte stellata ci aspettiamo un altro giorno
soleggiato e, invece, alzati gli scuri, vediamo il cielo uniformante
grigiastro.
Ci rechiamo in paese per vedere se c’è una chiesa
cattolica e possibilmente partecipare alla messa.
Schoonhoven è il tipico villaggio olandese. E’ edificato
prevalentemente con villette unifamiliari di mattoncini bruniti. Esse, assetate
di luce, si affacciano sulle stradine selciate mostrando con gli ampie alti
finestroni orlati con tende di pizzo la cura e la semplicità degli arredi e la
profondità dell’appartamento che si prolunga fino al privatissimo giardino che
si intravede verde e curato far da sponda al canale retrostante.
In questo paese, dove il privato è reso pubblico, il
pubblico è come se fosse privato. Così i confini tra il suolo comunale e i
giardini che circondano le case sono solo appena segnati da basse siepi o da
cordoli fioriti e si confondono dove scorre un rivolo o un canale. Il cittadino
dedica la stessa cura che presta all’ambiente della comunità al suo giardino.
Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti. I paesi si presentano ordinati, le
strade sono pulite, il clima che si respira è sereno.
Questa è un’autentica lezione di educazione civica!
La prima chiesa che troviamo è quella evangelica. E’ in
corso la funzione. Più in centro c’è anche la chiesa cattolica. La troviamo
però chiusa, perché la messa è già stata celebrata e, come è consuetudine in
questi paesi del nord, la casa di Dio rimane aperta solo durante le
celebrazioni liturgiche. Celebreremo la domenica leggendo insieme la Parola e
recitando il Padre nostro.
Proseguiamo la visita del paese e ammiriamo antiche case e
torri seicentesche, che ci confermano quanto da tempo andiamo pensando, cioè
che per comprendere veramente una nazione bisogna praticarla non trascurando il
così detto turismo minore.
Dopo il pranzo, tipicamente italiano, tagliatelle col
ragù, inforchiamo le nostre biciclette per ricordare ai nostri muscoli il
desiderio del cuore.
Il cielo si schiarisce, l’aria si scalda, si prospetta un
piacevole pomeriggio. Iniziamo la passeggiata ritornando in paese per
fotografare ciò che avevamo ammirato e apprezzato di mattina. Tanto aspra e
dura è la lingua di questo popolo, che fa sembrare le persone in perenne
rimbrotto, quanto aperto e cordiale è il carattere della gente. Non lesinano i
saluti e, se ci riescono, tentano di scambiare qualche parola. Un passante
guarda incuriosito le nostre biciclette mentre siamo fermi a fotografare. Ci
chiede in un inglese stentato la marca, qui completamente sconosciuta. Ci crede
inglesi, ma quando scopre che siamo italiani, il suo stupore non ha limiti,
forse perché è davvero raro che gli italiani frequentino luoghi non inseriti
nei classici e reclamizzati circuiti turistici o forse perché non viaggiamo in
gruppo
La
socievolezza olandese è di ampio respiro, così quando giungiamo allo stagno
formato dalle acque del Lek, portate fino in centro da piccoli canali, le oche
e le anatre si precipitano a riva e, starnazzando, si avvicinano a noi
nella speranza di vedere ricompensato il loro benvenuto. Purtroppo non
abbiamo nulla da dare, ma si mettono lo stesso in posa per rimanere nei nostri
ricordi. Lasciando il paese ci sorprende un moto di nostalgia per la nostra
coccolosa Chiò. Fermo all’angolo della strada il nostro gatto comune europeo
sembra essere tornato in vita, tanto è la somiglianza che osserviamo.
Proseguiamo la pedalata lungo l’argine del Lek. Troviamo
scorci paesaggistici interessanti, a cominciare dalla cicogna di guardia al suo
nido, che abbandona spaventata al passaggio di alcune rombanti motociclette.
E’ il nostro secondo viaggio in Olanda. Ricordiamo un
paese dedito all’allevamento, ma non abbiamo presente quello ovino, che invece
è molto diffuso. Pecore merinos, da lana, facilmente riconoscibili per gli
esili arti e il muso scuro, pecore da carne, quelle comuni del nostro
immaginario e pecore olandesi, così abbiamo denominato i capi dal vello
maculato, simile a quello dei bovini da latte, qui allevati. Sono pecore dalla
struttura fuori dal comune, tanto che ci chiediamo se non siano il frutto di
una manipolazione genetica.
Testato il fisico con una ventina di chilometri,
rientriamo in campeggio, abbellendo il nostro camper con dieci margherite
raccolte ai margini della ciclabile.
KINDERDIJK
Lunedì 19 luglio
- Il trillo insistente della sveglia ci desta, … peccato sono solo le 7.30,
mentre l’intenzione era di alzarci un’ora più tardi! Poltriamo quindi ancora un
po’ e poi ci alziamo nella speranza che il velo umido che ricopre il cielo si
dissolva in poco tempo, perché la nostra gita in bicicletta possa svolgersi
nelle migliori condizioni.
Siamo diretti a Kinderdijk, sulla riva sinistra del Lek.
Esso qui confluisce nel ramo principale del Reno e da qui inizia il grande
imbuto del suo estuario.
Molti sono i popoli che per vari motivi hanno un rapporto
privilegiato con l’acqua. A nostro parere gli olandesi costituiscono quello più
connaturato con questo elemento. Infatti non solo vivono su una terra ad essa
conquistata e contesa, ma vivono nell’acqua con una naturalezza ad
altri sconosciuta. Spesso anche i piccoli villaggi hanno piscine coperte e
scoperte dotate di scivoli per i giochi d’acqua. Schoohoven non è da meno.
Lungo l’argine, oltre il campeggio e il porticciolo turistico, fa bella mostra
di sé il centro balneare, che alle 9.00 del mattino, con una temperatura di
appena 18°C e il solito vento, è già frequentato da impavidi ed esili
ragazzini, che si tuffano e riemergono in continuazione temprando il fisico,
che crescerà sano e molto robusto.
Con addosso le felpe pesanti e nelle borse le giacche
impermeabili pedaliamo verso il molo del paese dove attracca il traghetto, che
in continuazione fa la spola da una sponda all’altra, stando attento a non
intralciare il transito delle chiatte. Ci mettiamo ordinatamente in
attesa. Sono già presenti una mamma con i suoi tre maschietti, tutti
regolarmente biciclettati e alcune automobili. 0,50 € ed eccoci sull’altra
sponda. Sbarcati, seguiamo il corso della corrente fluviale, pedalando lungo la
ciclabile ricavata ai bordi della strada che percorre l’argine.
Quando il sole ha definitivamente dissolto ogni dubbio
meteorologico, anche noi, i guardinghi italiani. osiamo esibire l’abbigliamento
estivo. Dopo circa 15 km troviamo un mulino, che risale al XVII secolo, è il
preludio di ciò che vedremo tra qualche chilometro.
Kinderdijk è una zona che è stata dichiarata dall’UNESCO
patrimonio universale. Qui dove le acque dei fiumi scorrono pensili nel 1700
sono stati ricavati dei polders, la cui bonifica si è attuata pompando l’acqua
grazie all’energia eolica dei mulini appositamente costruiti. In un chilometro
quadrato sono ancora presenti, ben conservati e tutt’ora abitati, 19 mulini.
La stradicciola che si snoda tra i canali narra la storia
della convivenza dell’uomo con l’acqua e con la natura. La terra erbosa dove
pascolano tranquilli i ruminanti domestici diventa cromaticamente attaente via
via che degrada verso i canali e acquista sonorità in prossimità dell’acqua,
perché, celate tra le canne le nidiate di pulcini delle numerose specie di
uccelli acquatici, pigolano secondo i loro versi per indirizzare le madri a
saziare la continua fame.
Al di là dei canneti il prato di ninfee sta fiorendo ed è
facile immaginare le serenate notturne di cui è teatro. Più al largo le acque
libere scorrono lente e si agitano di tanto in tanto quando fungono da pista di
decollo o di atterraggio per le anatre, i gabbiani, le gallinelle d’acqua e gli
altri uccelli o quando sono bucate da argentei e acrobatici pesci, che si
avventurano nell’aria per prendere al volo qualche incauto insetto , che ignora
i misteri di quel nastro lucente.
ROTTERDAM
Martedì 20 luglio
- L’Olanda è sconsigliata alle persone meteopatiche, perchè il tempo, talmente
volubile, le condurrebbe ad una situazione di stress insostenibile. Tant’è che
ieri ci siamo coricati dopo aver ammirato l’occidente infuocato, che faceva sperare
in un nuovo giorno di sole e ci siamo destati al suono di una pioggerella
fitta e insistente, quale preludio di una triste giornata. Invece, dopo poche
ore il Mare del Nord ci accoglie caldo e soleggiato, ma verso sera addensa
ancora su di sé qualche grigio nuvolone e lo sospinge verso il continente, dove
da qualche parte scaricherà il suo umido peso.
Ma, andiamo con ordine!
Oggi concludiamo il nostro giro sul Reno e poi inizieremo
la nostra seconda vacanza, continuando a girare l’Olanda.
Il primo tratto del nostro viaggio lo percorriamo sotto la
pioggia battente, seguendo la strada che si discosta un po’ dal Lek, pur non
perdendo di vista il suo corso. Pochi chilometri ed eccoci sul ponte che alla
periferia di Rotterdam introduce nella città e sul lungo estuario del Reno, che
percorre ancora 30 km costretto in bacini e darsene antiche e recenti, prima di
versare le sue acque sfinite nel mare.
Conosciamo la città e il suo porto, avendola già visitata
nel precedente viaggio. La breve sosta che facciamo riesce tuttavia a
documentare la modernità di una metropoli che non ha però abbandonato la sua
storia e le sue tradizioni. Nel Reno si specchiano edifici d’epoca e moderni.
Il traffico veloce delle ampie arterie di scorrimento sottostà ai tempi della navigazione,
che impone pazienti attese per il levarsi e l’abbassarsi dei ponti levatoi.
Penetrati in città da una zona popolare, ne usciamo
transitando da un quartiere multietnico, la cui strada principale porta oltre
la città fino a Hock van Holland, il paese che si trova sull’estremità
della riva destra dell’estuario del Reno.
La pioggia è cessata e il sole, che ha già compiuto il suo
dovere asciugando tutto, ora si impegna a scaldare l’aria per regalare un’altra
giornata estiva. E’ un continuo andirivieni di navi che entrano in porto
provenienti da paesi lontani e ritornano al largo per andare a recuperare
ancora merci per questo vecchio e insaziabile continente. I battelli fluviali
giunti in prossimità della foce invertono la marcia e approdano ai moli dove
attendono pazientemente di essere caricati prima di ripartire lenti e pesanti
verso il cuore produttivo dell’Europa.
DELFT 20
luglio - Delft è una piccola e antica città
medioevale poco a nord di Rotterdam, rinomata per le sue porcellane blu.
Giunti nel pomeriggio, da Rotterdam, cerchiamo dapprima
alloggio. Lo troviamo nel campeggio Uylenburg, che è presente appena fuori
città. Esso si presenta come i camping francesi a la fermè.
Ci accoglie un ragazzo, che parla in modo sciolto inglese.
Ci accompagna in una piazzola doppia, che dividiamo con un equipaggio belga.
Sugli spiazzi erbosi girano liberi e per nulla timorosi galli e galline,
chiocce e pulcini, conigli di varie dimensioni. Qui vediamo i primi italiani e
conosciamo una famiglia di Livorno, che sta girando questo paese seguendo
l’itinerario descritto in una nota rivista.
Con le biciclette raggiungiamo la città, percorrendo la
pista ciclabile, che taglia per la campagna, riducendo di molto la distanza
rispetto al tragitto motorizzato. La strada è inizialmente un viottolo
ombreggiato da alti olmi, poi devia tra i polders acquitrinosi dove cavalli e
bovini, pecore e capre, convivono pacificamente con i palmipedi acquatici delle
più svariate specie.
Degli stressati cittadini, come noi, non possono non
fermarsi all’istante di fronte a tanta bucolica bellezza e cogliere alcune
istantanee di una vita che, comunque, è una continua lotta per la
sopravvivenza. Il rispetto per la natura e gli animali è talmente vero in
Olanda, che alcune specie di uccelli selvatici non esitano ad avvicinarsi
all’uomo. La nostra sosta richiama sulla strada oche e anatre. Questa volta
abbiamo con noi un po’ di pane. Paola lo distribuisce cercando di essere equa
con tutti. Appena si sposta di qualche metro, un codazzo di papere vocianti la
segue. Il suo animo biologo si inorgoglisce facendola sentire emula di Lorenz!
La città ci accoglie riverberando gli obliqui raggi del
sole pomeridiano, che le dona rilievo e colore.
La bicicletta, mezzo per eccellenza di questo piatto
paese, qui si offre al turista appiedato anche come taxi. Sembra quasi una
scena cinese. Un moderno risciò è pronto nel mezzo della piazza principale.
Facciamo i turisti: giriamo, osserviamo, visitiamo,
fotografiamo, ma qui ci dedichiamo anche allo shopping. Le artistiche
porcellane ammiccano preziose dalle vetrine, suggerendoci doni speciali,
che non ci lasciamo sfuggire.
Sulla via del ritorno, immobile sulla riva del canale che
ci accompagna fuori città, la sorpresa delle sorprese. Un airone cinerino
attende con pazienza che la sua cena si materializzi muovendosi nell’acqua
ferma. Immediato stop. Vedere un trampoliere in città ad una distanza di pochi
metri è per noi un’esperienza unica e ci è dispiaciuto di averlo distolto dal
suo impegno.
Il poveretto, sentitosi sotto il tiro del click
fotografico, dapprima si è voltato curando il suo estimatore, poi ha fatto
qualche passo cercando di nascondersi meglio dietro il grosso tronco
dell’albero che già, in parte, lo riparava dagli sguardi dei passanti, infine
ha preso la distanza di sicurezza librandosi nell’aria per fermarsi sul tetto
della casa al di là del canale, nella speranza che i due curiosi lo lasciassero
ritornare al più presto nel suo territorio di caccia. E così è stato. Grati e
felici per una giornata ricca di arte e di natura, abbiamo ripreso a pedalare e
siamo rincasati.
HAARLEM
E JULIANDORP
Il canto del gallo ci sveglia, purtroppo sono solo le 3.30
del mattino!
E’ ancora notte fonda e il suo verso insistente, ora
vicino, ora più attenuato, a seconda delle piazzole che sta visitando, desta un
po’ tutti, tant’è che qualcuno gli urla parole, che per noi sono
incomprensibili, ma certamente non benevole.
Con le prime luci dell’alba la bestia si cheta e ci
consente ancora qualche ora di sonno.
Viva la vita in campagna, ma i galli migliori sono quelli
senza testa, penne e zampe, arrostiti e dorati allo spiedo!
Nella giornata odierna prevediamo uno spostamento di circa
100 km per raggiungere la punta della penisola che chiude a ovest l’Ijsselmeer.
Il cielo bigio carico di umidità rende indefinito il
paesaggio similmente alle giornate invernali padane, quando la nebbia sta per
dissolversi.
Lasciato Delft, raggiungiamo Haarlem, che è considerata,
non a torto, la città dei fiori. Infatti il territorio compreso tra Rotterdam e
Haarlem e anche più a nord, dove non c’è pascolo, è un susseguirsi di serre di
un’imponenza straordinaria e di campi fioriti.
I fiori, oltre la bicicletta e l’acqua, sono l’altra
grande passione di questo popolo, tanto grosso e spartano quanto delicato e
gentile. I fiori sono venduti dappertutto, persino i benzinai li trattano. I
supermercati che più facilmente si riconoscono e si trovano sono quelli
che vendono fiori, sementi e tutto ciò che serve per il giardinaggio. Anche il
più piccolo borgo ha almeno un piccolo negozietto di questo genere
merceologico. Se si incontra un olandese con una sporta, forse ha fatto una
spesa modesta, ma in mano ha quasi sempre un bel mazzo di fiori. Fiori e piante
di varie qualità e di ogni colore abbelliscono le finestre, specie le grandi
vetrate dei soggiorni che occupano da parte a parte gli spaziosi pianoterra
delle villette.
La città di Haarlem rispecchia le caratteristiche di molte
altre città olandesi. Ha quartieri periferici eleganti e verdi e zone più
popolari, ma sempre edificate a misura d’uomo. Qui, nelle città minori. i
palazzi sono rari e non particolarmente alti. Più spesso le case sono villette
a schiera. Le vie sono alberate e i parchi e i giardini danno respiro
all’agglomerato.
Il centro è edificato in modo fitto, ma non mancano viuzze
e piazzette dove la natura addolcisce l’austera urbanistica e fa dimenticare lo
scempio perpetrato nelle vie dello shopping, ovunque uguali e caotiche.
Le considerazioni già scritte sull’incognita
meteorologica, trovano oggi una puntuale conferma. L’umidità mattutina si è
dissolta rapidamente e il sole ha iniziato a inondare di luce e calore
l’ambiente.
Stiamo visitando la città abbigliati in modo estivo e il
caldo inizia a farsi sentire, quando improvvisamente sopraggiungono densi
nuvoloni scuri, che in un attimo si sciolgono in pioggia. Per nostra
fortuna abbiamo terminato la vista della città, pertanto senza ulteriore
indugi, torniamo frettolosamente al camper e riprendiamo il viaggio verso Den
Helder, la cittadina portuale da cui partono i traghetti per le isole Frisone
occidentali.
Annotati gli orari e i costi, torniamo indietro di qualche
chilometro e troviamo spazio per la notte al camping De Zwaluw, che dovrebbe
significare la rondine, dal disegno che accompagna il nome nell’insegna posta
all’ingresso. Si trova a Julianadorp, un piccolo villaggio turistico sorto
appena dietro le dune sabbiose, che caratterizzano la costa di questa penisola.
Il tempo cambia ancora. Il sole torna a splendere e, seppure sia ormai il tardo
pomeriggio, gli olandesi e i tedeschi si affrettano a raggiungere il mare, per
non lasciarsi sfuggire un’occasione di bagno. Dopo cena anche noi risaliamo la
duna e raggiungiamo la spiaggia. Ha la sabbia sottile come talco e da lì
ammiriamo il tramonto. Ma lo spettacolo della natura non finisce mai di
stupire, se si hanno occhi per vedere e cuore per sentire. Così, mentre
rientriamo in campeggio, alzando lo sguardo, cogliamo un piccolo stormo di
anatre volare in formazione verso le dune, il luogo più sicuro per trascorrere
la notte. Pochi minuti ed ecco che anche tutti i gabbiani, fermi da tempo sul
campo arato di fronte a noi, si levano in volo e con versi acuti si dirigono
verso il mare, quasi dovessero compiere una missione. Forse il richiamo
biologico è dovuto alla marea propizia.
E’ il segnale che il giorno sta per finire. Sono da poco
passate le 21.00 e, seppure sia ancora chiaro e l’oscurità scenderà tra più di
un’ora, nel camping ci si prepara per la notte. Cessano i giochi dei bambini,
ci si commiata dagli amici e dai vicini. Ognuno raggiunge la sua
piazzola e attende il buio dedicandosi alla lettura o semplicemente
riposa comodamente seduto su una poltroncina.
TEXEL
Sveglia ore 8.00, lestamente ci prepariamo per imbarcarci
il prima possibile per l’isola di Texel, la più grande delle isole Frisone
Occidentali, l’arcipelago sabbioso che orla la costa più settentrionale
dell’Olanda.
L’attesa non è particolarmente lunga. Partiamo con il
traghetto delle ore 10.00.
Non avete mai provato a tradurre in italiano alcune
espressioni o termini stranieri?Quando capita, noi lo facciamo e il risultato è
simpatico e divertente.
La nave che ci traghetta si chiama gatto del mulino,
traduzione fantasiosa di Molengat.
Lasciato il camper nella stiva inferiore, secondo le
indicazioni ricevute, saliamo sul ponte anteriore per goderci la traversata e…
ci sono pure i clandestini a bordo! Un nugolo di pigri gabbiani, che usano il
traghetto come fosse una portaerei e dei furbi corvi, che stanno ancorati alla
ringhiera, su cui si sono appollaiati, con l’istintiva consapevolezza di non
poter sopravvivere in acqua.
L’isola di Texel è molto rinomata, perché il suo
territorio fa parte di un Parco Nazionale Naturalistico.
Sappiamo che ha una discreta quantità di campeggi e di
minicamping rurali, ma anche che è gettonata da un gran numero di turisti.
Sbarcati ci dirigiamo verso il capo opposto, presumendo che la lontananza
dall’approdo dia maggiore possibilità di trovare alloggio. L’idea è di
stabilirsi possibilmente in un minicamping, non lungo la strada di scorrimento
che attraversa l’isola.
Lungo il tragitto notiamo però che le aree destinate al
campeggio piccole e grandi si presentano piene, cresce in noi la preoccupazione
di non trovare posto. Raggiunto il villaggio di De Cocksdorp, cerchiamo posto
in un minicamping. La gentile signora che lo gestisce ci risponde in un preciso
e chiaro tedesco che le risulta che in tutta l’isola non ce ne sono. Panico!
In effetti la quantità di persone che circola per le
strade e il numero dei veicoli che sono in movimento e fermi testimoniano senza
ombra di dubbio l’alta densità abitativa di questo giorno. Proseguiamo la
nostra ricerca, troviamo collocazione in un posteggio di un camping che,
per la modica cifra di 15 € a notte, concede lo spazio di una piazzola e la
possibilità di usufruire dei suoi servizi. Noi questa cifra l’abbiamo
mediamente spesa finora nei diversi campeggi che abbiamo frequentato. Siamo
indignati, ma accettiamo, perché non c’è alternativa.
Nel pomeriggio con una passeggiata a piedi di un paio
d’ore raggiungiamo la spiaggia, che si estende piatta e sabbiosa dietro le
movimentate dune, che proteggono l’isola dai venti del nord. Le dune sono
ricoperte di flora arbustiva che ospita e protegge i nidi dell’avifauna locale.
Ai loro piedi, dove il territorio inizia ad assumere l’aspetto di una pianura,
greggi di pecore si accontentano di brucare l’erba bruciata dal salmastro.
Sulla via del ritorno diamo uno sguardo da lontano al
faro, che domina il capo più esposto dell’isola e mentre concludiamo il nostro
cammino progettiamo il ciclotour di domani.
Sono le 22.00, quando si ferma ai limiti del posteggio
camper un pullman. E’ lustro e sgargiante e sul frontespizio brilla la scritta gratis.
E’ un mezzo inviato da una discoteca.
Il conducente, onesto lavoratore, sembra il vetturino del
carro collodiano che conduceva i ragazzi nel paese dei balocchi. Tra qualche
ora li riporterà indietro. Ce ne saranno di bevuti e fatti. Ragazzi con in
bocca il sapore amaro della vita e negli occhi il buio del loro vuoto
esistenziale.
23 luglio La notte un po’ travagliata e il tempo per nulla
promettente ci consigliano di desistere dal ciclotour. Decidiamo quindi di
anticipare di un giorno la partenza dall’isola e di ampliare l’itinerario verso
l’imbarcadero girandola col camper.
Quest’isola, così famosa e decantata per la sua bellezza
naturalistica, per certi aspetti è deludente. Il suo parco è limitato alla
fascia costiera occidentale, che tuttavia non è esente dallo sfruttamento
economico. Infatti dove la zona delle dune ha alle spalle i paesi diventa
spiaggia attrezzata per uso balneare. Le foche, che è documentato trovano
rifugio lungo il litorale, in questo periodo così affollato si riparano
altrove. Le numerose specie di uccelli, si nascondono nel mezzo delle dune più
lontane dalle stradicciole ciclabili e dai sentieri pedonali. Insomma, in estate,
la ricchezza naturalistica del parco la si può vedere e trovare spiegata,
purtroppo solo in olandese, nel museo Ecomare. Lo visitiamo. Pannelli e
diorami, anche interattivi, fanno vedere ciò che dal vivo non è possibile
ammirare. Prima di lasciare il museo giriamo anche il suo emporio. Anche qui,
ogni libro e opuscolo è edito solo nella lingua madre. Tra le merci in
esposizione ci piacciono delle piccole calzine antisdrucciolo col musino di
foca. Il nostro pensiero è per Michela. Quelle simpatiche babbucce potranno
essere utili tra un anno alla sua piccola Anna, che sarà alla ricerca
dell’equilibrio e in lotta contro la gravità.
Uscendo dall’area protetta, l’isola è poi un grande centro
vacanze. Concludiamo che questo luogo è senz’altro meritevole di una visita, ma
in un altro periodo, meno affollato. Inoltre viene confermato anche un’altra
nostra convinzione: per scegliere cosa visitare è sempre meglio lasciarsi
guidare dalla propria sensibilità ed esperienza, maturate e rielaborate dalla
preventiva necessaria documentazione.
A circa un chilometro dall’imbarcadero ci fermiamo in un
incolonnamento sono le 11.15. E’ la coda verso l’imbarco, che effettuiamo alle
13.00. Due ore e un quarto per raggiungere nuovamente la terra ferma.
Un tempo irrisorio, considerato da chi è
intenzionato a fare la medesima traversata ma in senso opposto! Infatti
all’imbarco di Den Helder la coda si allunga oltre l’imbuto di raccolta
nella strada che attraversa il paese e ha inizio dove la statale si immette nel
centro abitato. L’unica consolazione per tutti è che il sistema organizzativo è
efficiente. Gli addetti incolonnano i mezzi secondo il tipo e l’ordine di
arrivo. Li stivano compatibilmente con gli ingombri e i pesi disponibili
secondo la priorità acquisita, evitando inutili contese e nervosismi.
Dopo la traversata visitiamo a Den Helder il museo della
Marina. Oltre alle navi riprodotte in scala, alle suppellettili, alle armi,
alle divise d’epoca, ai quadri di battaglie navali, di navigatori e di militari
famosi, ha, visitabili, due vere navi militari: un sottomarino e una
dragamine. Ci ha incuriosito particolarmente il sottomarino. Scesi da una
stretta e ripida scala metallica, ci siamo trovati in un lungo, scuro e caldo
tunnel, senza vie d’uscita se non quella attraverso la quale ci siamo
introdotti. La ristrettezza dell’ambiente, la mancanza di spazi personali, il
caldo, i rumori, i sibili e il frastuono delle macchine, l’impossibilità di
vedere la luce naturale, suscitano uno stato di disagio, che probabilmente i militari
non avvertono perché sempre impegnati in manovre e mansioni.
Il pensiero però va a quei soldati del sottomarino russo,
che qualche anno fa per un guasto non sono più riemersi. Quanta adrenalina
avranno consumato per riparare il grave danno? E poi, di fronte
all’impossibilità di raggiungere da soli la salvezza, con quanta ansia avranno
aspettato il soccorso? E infine, persa ogni speranza, come avranno vissuto gli
ultimi tempi della loro esistenza e affrontato la morte dei compagni attendendo
la loro?
Se tra i popoli della terra ci fosse vero rispetto
reciproco, quante vite umane sarebbero risparmiate!
Il nostro viaggio prosegue verso nord in direzione
Groninga.
L’autostrada collega direttamente la zona che lasciamo con
quella che è la nostra meta passando sopra la grande diga, la cui costruzione è
iniziata nel 1918 per regolamentare i flussi di marea, al fine di salvaguardare
i polders, che nei secoli precedenti erano stati faticosamente strappati al
mare.
L’opera ingegneristica è veramente grandiosa e richiede
una continua manutenzione, perché l’esigenza di allora è ancora attuale e dalla
sua buona tenuta dipende la vita di milioni di persone.
Raggiunta nuovamente la terraferma ritroviamo il classico
paesaggio olandese: canali, mulini a vento, prati e pascoli.
Ci fermiamo a Vierhuisen, nel campeggio dove avevamo
alloggiato anche otto anni fa.
Ci viene assegnata una spaziosa piazzola erbosa. Il
campeggio è discretamente abitato, ma tranquillo. A sera il nostro sguardo si
alza al cielo, quando sollecitate dal loro orologio biologico centinaia di oche
selvatiche tornano ai loro nidi. Divise in stormi volano in formazione,
spostandosi dal mare ai laghi salmastri rimasti tra i polders.
PIETERBUREN
Coricati presto, ci svegliamo tardi e molto riposati. Il
sole splende e inonda di luce e di calore la piazzola. Ne approfittiamo per
gustare la sostanziosa colazione all’aperto. V(f)olle Melk, (latte pazzo), pane,
marmellata, the, caffè, biscotti.
Il tempo di preparare le biciclette per la gita a
Pieterburen e l’aria si raffredda a causa dei grossi nuvoloni che sono giunti
dal mare ad oscurare il sole. Indossiamo le felpe, riponiamo nella sacca le
giacche impermeabili e partiamo verso la meta fissata. Lasciamo Vierhuisen, che
di nome e di fatto significa quattro case. Guidati da una chiara e simpatica
mappa, che abbiamo recuperato in campeggio, per vie secondarie e ciclabili
maciniamo chilometri.
E’ strano, l’animazione che di solito in Italia agita il
sabato mattina, qui non esiste. Ma cosa fanno gli olandesi in queste ore?
Il sabato mattina è dedicato al giardinaggio. Uomini,
donne, anziani, giovani, bambini, sono indaffarati, ciascuno secondo la sua
mansione nella cura del loro giardino che, grande o piccolo, si presenta sempre
aggraziato e ordinato, accogliente e riposante. Così mentre gli uomini rasano
l’erba, insegnando ai ragazzi più grandicelli a governare l’attrezzo meccanico,
le donne si dedicano alle aiuole fiorite. Strappano le erbe infestanti, tolgono
i fiori sciupati, ne colgono alcuni per adornare il salotto di casa. Sono
seguite dai bambini, che raccolgono in secchi o ceste gli scarti che si
producono.
Passiamo per piccoli borghi. Ciascuno ha la sua
particolarità. Chi l’antica chiesa medioevale, chi un mulino, chi case
signorili che si affacciano su canali o stagni fioriti di ninfee. Ovunque si
sente un intenso profumo di erba tagliata, che il vento contribuisce a
diffondere, mentre continua a disperdere e a radunare nubi con un’alternanza di
caldo e freddo.
Predominano le tonalità del giallo. Quello dorato del
grano tenero, quello più spento della segale e quello brunito dell’orzo, che ha
ormai completato la sua maturazione ed è in attesa della mietitura. Il giallo
chiaro della colza sembra avere dentro una tonalità di verde, quale primo grado
cromatico di questo colore, che a sua volta è molto vario. Il verde brillante
del mais spicca tra le immense estensioni scure e opache dei campi di patate e
contrasta con quello quasi violaceo delle barbabietole.
Una ventina di chilometri ed eccoci a Pieterburen, dove
visitiamo lo Zeehonden Chreche, la clinica delle foche. E’ un centro di fama
internazionale, dove vengono portate e curate le foche, che specialmente qui
nel Waddensee sono minacciate da diversi aggressori.
La prima situazione che mette a rischio la vita dei
singoli e della specie è l’inquinamento di questa parte di Mare del nord,
compreso tra la costa continentale e le Isole Frisone Occidentali. In questo
mare chiuso, per il giro delle correnti, giungono le acque del Reno e della
Mosa, che portano un carico di agenti patogeni e di sostanze tossiche prodotti
in mezza Europa. Solo nel 2002 ben duemila e trecento foche sono morte a causa
di un’epidemia di morbillo.
C’è poi il problema della pesca. Gli organismi viventi,
dai vegetali all’uomo, sono legati tra loro dall’invisibile ma fondamentale
filo energetico, che i biologi rappresentano attraverso la catena alimentare e
spiegano mediante la piramide ecologica.
Se un anello della catena subisce delle modificazioni,
tutti gli organismi ad essa collegati ne risentono. Così è per le foche. Molte
di esse muoiono di fame perché la pesca industriale sottrae al mare tonnellate
di crostacei, gamberetti e granchi, che alimentano i pesci, che sono il cibo
delle foche.
Una madre denutrita non produce latte a sufficienza per i
piccoli. La morte delle nuove generazioni conduce all’estinzione della specie.
Il centro che visitiamo si preoccupa di questo problema.
Raccoglie in mare gli esemplari malati e i piccoli orfani. Li ricovera e li
cura. Svezza i piccoli e insegna loro la caccia. Assegna un nome a ciascun
animale curato e gli mette un punzone di riconoscimento per poterlo seguire per
tutta la sua vita di animale libero. Quando la foca è in grado di vivere ancora
autonomamente, la riporta nel suo habitat naturale.
Seguendo un altro itinerario, che privilegia la campagna,
rientriamo in campeggio a pomeriggio inoltrato.
VIERHUISEN
Avevamo pensato
ad un giorno di completo riposo e il tempo collabora all’attuazione di questa
idea.
Piove. Una pioggerella continua, che scoraggia ogni
iniziativa e carica di quella sana pigrizia, che induce al riposo e favorisce
il recupero delle energie fin ora profuse.
Ci svegliamo al battito delle ore del campanile di queste quattro
case. Anche oggi non potremo andare a messa. La chiesetta del paese e le
chiese dei borghi visti ieri sono tutte evangeliche. Come domenica scorsa,
prima di pranzo, leggeremo le letture del giorno e reciteremo il Padre nostro.
Con calma ci alziamo e dedichiamo il tempo residuo del
mattino ad un’accurata pulizia del camper.
In campeggio non ci sono particolari movimenti: pochi gli
arrivi, quasi nessuna partenza. La giornata non invoglia nessuno a fare il
turista. Ognuno vive quindi l’intimità del suo ricovero.
Oggi ci si rivela come una conferma l’indole tranquilla e
silenziosa di questo popolo. Infatti pochi sono gli equipaggi non olandesi.
Oltre noi, c’è un equipaggio francese, uno belga e alcuni tedeschi.
Incredibilmente il silenzio domina assoluto, nonostante la presenza di numerosi
bambini, anche molto piccoli.
Ognuno si dedica ai suoi passatempi preferiti. La lettura
è l’attività privilegiata dai grandi, ma c’è anche chi si lascia prendere dalla
contemplazione della natura che lo circonda.
Trascorriamo il pomeriggio assecondando questo ritmo
lento, a noi sconosciuto. Non è male! Troviamo bella anche questa giornata, che
non si è certamente presentata attraente e piacevole.
URK Oggi lasciamo il punto più a nord
del nostro viaggio. Non tutti i guai vengono per nuocere. La piovosa giornata
di ieri, che ci ha negato un giretto in bicicletta, ci ha messo nella
condizione di recuperare oggi con gli interessi.
Lasciamo il campeggio Lauwersmeer lanciando un ultimo
sguardo a Vierhuizen, questo minuscolo paese, che neppure l’atlante stradale
conosce e che solo la memoria e il grande senso di orientamento di Giuseppe ci
hanno consentito di ritrovare.
Spira un vento forte. Il cielo è spazzato dai residui di
umidità che si sono fatti sentire fino alle prime luci del giorno.
Svoltando a sinistra ci immettiamo su una strada
nazionale. Essa costeggia il Lauwersmeer e poi si addentra nei polders per
raggiungere la città di Leeuwarden.
Subito incrociamo il puntualissimo Arriva, il cui
nome rappresenta la compagnia di autobus di linea della zona. Non sappiamo se
il nome sia un acronimo, né il significato del termine nel caso in cui fosse
una parola olandese, ma ci piace. Questo nome è tutto un programma!
Forse se l’ATM lo facesse proprio, il suo servizio avrebbe
un motivo in più per essere efficiente e gli utenti avrebbero una
speranza in più nell’attesa!
Il Lauwersmeer è uno dei tanti laghi salmastri delle zone
costiere olandesi. Queste terre, sottratte al mare, conservano ancora ampi
specchi d’acqua collegati tra loro e al mare mediante canali navigabili.
Questi bacini interni sono molto vitali. Meno sensibili
alle maree, ospitano porti pescherecci e scali da diporto molto frequentati.
Lungo le coste non sfruttate dall’uomo i canneti offrono spazi agli uccelli
acquatici che qui nidificano.
Salire sulla diga costiera è poi un’esperienza da provare.
Osservare come per la strada, nei campi e nei paesi si viva normalmente
l’anomalia di essere più bassi rispetto al livello del mare, fa una certa
impressione, soprattutto se si fissa lo sguardo sul lungo muraglione verde, che
sembra continuare all’infinito.
Superiamo questa ampia zona acquitrinosa e viaggiamo
velocemente verso sud. Ad un tratto lungo la strada poco trafficata notiamo una
strana segnaletica orizzontale: lo spazio compreso tra le due bande bianche che
separano le carreggiate è dipinto di verde. Poi un’altra particolarità ci
sorprende. La strada più volte è attraversata da traverse sopraelevate. Non
sono però ponti di strade, ma canali che passano pensili. Fa un certo effetto
vedere all’orizzonte delle vele sospese nell’aria che attraversano la strada!
Ci fermiamo a Urk. E’ una piccola cittadina un tempo porto
peschereccio, oggi vive grazie alla navigazione da diporto. Conserva angoli
suggestivi che rivelano uno stile di vita ancora legato alla tradizione. Ad
esempio oggi è giorno di bucato, perché il vento e il sole sono qui essenziali,
se non si vuole ricorrere alle asciugatrici. Per le viuzze si spande un buon
profumo di fresco e la biancheria stesa è gonfia e tesa come uno spinnaker.
Il bel faro settecentesco, alto sul mare, indirizza i
naviganti. Dalla sua posizione si gode di un’ampia visuale.
La meta finale del nostro odierno trasferimento è Edam, la
famosa città del formaggio, che si trova di fronte a Urk, al di là della diga
che separa l’Ijsselmeer dal Markermeer.
Quest’opera ingegneristica lunga 31 km originariamente
doveva essere la barriera che, con la successiva polderizzazione del bacino
interno, avrebbe trasformato Amsterdam in una città continentale. Il progetto
non è stato poi attuato. I due mari di fatto separati mantengono due zone di
comunicazione all’inizio e al termine della diga, dove due grandi chiuse
regolano il flusso d’acqua e la navigazione. La strada percorre la sommità
della diga, a destra il mare è nero e agitato, a sinistra ha un colore
limaccioso per l’enorme quantità di sabbia che ha in sospensione. Il
vento spira veloce con raffiche improvvise che lo intensificano
improvvisamente. Esso è trasversale e si abbatte con forza sui mezzi in
transito, obbligando chi guida ad un particolare controllo del mezzo.
A Edam troviamo posto al campeggio Strandbad, che è
situato alla bocca del porto. Il camping è molto affollato. Ci viene assegnata
una panoramica piazzola. Ha la vista diretta su quel grande, scuro e freddo
specchio d’acqua interno, il Markermeer, luogo ambito per la vela e il windsurf
e da qualche temerario anche per la balneazione.
EDAM,
VOLENDAM, MARKEN
E’ sempre un piacere svegliarsi liberamente quando il proprio
corpo ha completamente recuperato vigore. Oggi ci succede. Sono circa le 9.00.
Il sole tenta di filtrare dagli scuri ancora abbassati annunciandoci una bella
giornata. Da quando siamo partiti per la prima volta il cielo si presenta
completamente sereno. L’aria mattutina è però piuttosto frizzante, ma l’assenza
del vento non acuisce ulteriormente la nostra sensazione di freddo.
Si vede che nonostante amiamo le alte latitudini
apparteniamo alla stirpe mediterranea!
Infatti, mentre noi ci vestiamo a strati, pronti a
scoprirci al passare delle ore, i tedeschi che stanno vicino a noi preparano la
loro lauta colazione con addosso solo una t-short, che copre appena il costume.
Inoltre dalla scura, liscia e gelida acqua del mare
arrivano già i primi strilli dei ragazzini che tra 12 ore, a fatica, la
lasceranno ubbidienti al cenno perentorio dei loro genitori.
Con la bicicletta ci rechiamo in città, il cui centro
dista dal camping un paio di chilometri. L’obiettivo è trovare presso l’ufficio
turistico dei suggerimenti e delle mappe per un giro in bicicletta nei
dintorni.
Ad Edam si respira l’atmosfera urbana della vera Olanda.
Tutta attraversata da canali, affiancati da vie alberate, vive la pacata vita
di provincia. Le sue strade selciate con piccoli mattoncini si presentano a
dorso di mulo per favorire lo scorrimento delle acque meteoriche verso i
canali, che si possono facilmente superare, grazie ai numerosi ponti levatoi,
alcuni dei quali ancora funzionanti.
In centro le alte facciate delle sue antiche case, ben
curate e inclinate in avanti, si presentano austere, ma nascondono dietro di sé
un tesoro. Sul retro oasi verdi, lussureggianti di piante e fiori ospitano i
salotti estivi su terrazzini prospicienti al canale. Nelle zone meno centrali
le abitazioni unifamiliari si susseguono ordinatamente a schiera, offrendo
un’illusoria immagine di uniformità.
Edam, la città del formaggio, non si è votata al turismo
di massa. Essa offre al visitatore la ricchezza della sua tradizione. Nella
piazza principale troviamo il Museo del Formaggio. E’ un grande locale arredato
come una volta, che vende anche i rinomati caci tondi, che qui si presentano
con bucce di vario colore secondo il tipo di latte con cui sono prodotti e il
sapore delle erbe o delle spezie che li insaporiscono.
Una gentile commessa vestita in costume ci dà queste
informazioni nella nostra lingua e impara da noi un nuovo vocabolo. Ci fa
assaggiare un bocconcino di una qualità che definisce strong, per dire stagionato.
Ripete più volte il termine per essere sicura di averlo acquisito
bene. Poi ci lascia fotografare il locale.
Portiamo a casa un tris di formaggi: naturale, di capra e
di pecora e un piccolo tagliere decorato che appenderemo in cucina sulla parete
dei ricordi.
Ci prepariamo un pranzo frugale, che per i nostri graditi
e inattesi ospiti si rivela un’abbuffata. In questa stupefacente terra, dove
l’uomo ha domato la natura, la natura ha imparato a condividere con l’uomo gli
stessi spazi e le medesime risorse. Così, come è naturale vedere anatre e oche
selvatiche brucare la stessa erba curata per gli animali di allevamento, per i
campeggi si aggirano nugoli di passeri che con tempismo eccezionale si mettono
intorno ai tavolini imbanditi sicuri della tenerezza che suscitano. Essi con i
loro cinguettii inneggiano alla Provvidenza. Qui si avvera il detto evangelico:
“Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, nè mietono, né ammassano nei
granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.” (Mt. 6, 26)
Nel pomeriggio riprendiamo le biciclette . Seguendo un
itinerario consigliato percorreremo un circuito che ci porterà in altri paesi
lungo la costa occidentale del Markermeer. Con una breve pedalata
raggiungiamo Volendam.
Come l’Italia ha Grazzano Visconti e la Francia Carcassonne,
l’Olanda ha Volendam. Questo borgo medioevale ha case in legno ben conservate,
che nella sua zona più periferica, lo caratterizzano, mentre la
suggestione scema rapidamente fino ad esaurirsi man mano che si penetra nel suo
cuore.
La scelta per un turismo di massa lo ha trasformato in un
grande bazar di souvenir e pub. Sulla strada una marea umana ci costringe
a scendere dalla bicicletta. C’è un vociare sguaiato e incomprensibile, frutto
della miscelazione dei diversi idiomi europei. La bellezza delle case è
cancellata dalle insegne degli empori e dalle bancarelle delle merci che dai
negozi si prolungano fino ad occupare parte delle vie.
Ci dirigiamo senza indugio verso l’imbarcadero per
traghettare sull’isola di Marken.
In attesa sul piccolo molo tante persone: è il nuovo
popolo europeo. Tra i tanti anche una coppia di olandesi che come noi stanno
facendo una passeggiata in bicicletta. Uno sguardo reciproco ai rispettivi
mezzi. Di solito le nostre biciclette destano curiosità perché sono uguali. In
questo paese non è così, perché come noi marito e moglie hanno biciclette
uguali. Ciò che li colpisce delle nostre biciclette sono la marca, qui
sconosciuta, e il colore, ma ciò che ci distingue maggiormente dagli olandesi è
il modo di procedere quando siamo in sella. Loro pedalano sempre affiancati e
non recedono da quella posizione per nessun motivo, neppure se sono tallonati
da un mezzo a motore, noi pedaliamo ordinatamente in fila indiana. Da questo
differente modo si deduce il diverso rispetto che c’è per i ciclisti nelle due
nazioni.
Marker non è più una vera isola. Dal 1958 è collegata alla
terra ferma mediante una diga, che all’interno del Markermeer crea tra l’isola
e la terraferma una laguna. La bella giornata e la brezza accettabile
hanno movimentato numerose barche. Ne incrociamo di tanti tipi: a motore e a
vela, moderne e di legno con le tradizionali vele scure e la deriva di lato per
bilanciare l’inclinazione.
Marken è un minuscolo villaggio che al contrario di
Volendam ha conservato la sua identità non trasformandosi in un emporio a cielo
aperto. Le sue piccole case di legno verniciate con colori scuri, ma illuminate
dal bianco degli infissi delle finestre, poggiano su pali, come delle
palafitte, perché una volta, quando questo mare era completamente aperto,
l’isola veniva sommersa dall’acqua nei giorni che avevano maree eccezionali.
A Marken riprendiamo a pedalare. Ci dirigiamo verso la
diga che collega il paese alla terra ferma. Subito all’unisono ci scambiamo
un’osservazione: se avessimo seguito le indicazioni al contrario, avremmo avuto
il vento a favore! Pazienza, l’allenamento sarà più proficuo!
Oltre la diga, la ciclabile percorre ancora per un certo
tratto l’argine e offre una bella visuale sui verdi rettangoli della pianura
bonificata, ritagliati tra i canali oggi azzurri, come il cielo che riflettono.
Mucche, mucche e ancora mucche; oche selvatiche, oche e
ancora oche. L’Olanda che ha il primato europeo di nazione più densamente
popolata, certamente detiene questo record anche per numerose altre specie sia
di allevamento che di fauna selvatica.
Giungiamo a Monnickendam e scopriamo che è un nodo del
traffico ciclabile, sempre ben garantito da ampie vie proprie, ben segnalate da
chiari cartelli direzionali e regolamentato agli incroci da specifici semafori.
Un’occhiata alla segnaletica e una alla mappa e via: gli
ultimi chilometri ci riportano ad Edam. Entriamo in città passando per una zona
periferica, che è diametralmente opposta al porto. Essa è piuttosto moderna, ma
edificata secondo lo stile architettonico del luogo.
Ripercorriamo quindi le vie del centro ormai deserte,
perché alle 18.00 ogni attività si ferma. Passando accanto al bosco di alberi
galleggianti, rientriamo in campeggio.
La bella mattina di pieno sole è la degna cornice
per la rappresentazione del mercato contadino del formaggio, che si è protratto
nei secoli fino agli inizi degli anni ’20, quando venne soppiantato
dall’industria casearia e che oggi viene rivissuto come memoria storica.
Il mercato era un’occasione di incontro e di festa, oltre
che di affari. Ad esso vi partecipavano tutti i contadini delle campagne
circostanti, i commercianti della città, i funzionari pubblici, che in qualità
di ispettori garantivano la correttezza delle transazioni commerciali.
Alle 10.30 converge verso la piazza del mercato la
compagnia dei portatori. E’ preceduta dalla banda e accompagnata dalle donne,
oggi rappresentate da alcune ragazze vestite secondo la tradizione: gonna
rossa, protetta da un grembiule blu, camicia a piccole righe bianche e cuffia
bianca di pizzo. I bambini precedono gioiosamente il corteo. Sono vestiti come
i lavoranti con pantaloni e camicia bianca, fazzoletto rosso al collo e
paglietta ornata da un nastro. Tutti, uomini, donne, bambini, calzano gli
inconfondibili zoccoli gialli di legno. Sulla piazza del mercato il
funzionario, vestito di nero, con la bombetta in testa, vigila e, nell’attesa
di dichiarare aperte le contrattazioni, verifica la taratura della pesa
pubblica.
Intanto lungo il canale, che ha un buon approdo su uno dei
lati corti della piazza rettangolare, navigano le barche dei contadini. Questi boer
provengono dai loro polder, dove praticano l’allevamento del bestiame e
trasformano il latte nei tondi caci. Una volta approdati, scaricano il loro carico
dorato lanciando le forme a due a due a un portantino, il quale a sua volta le
rilancia a un suo compagno, che le deposita su una barella di legno.
Quando la barella è carica i due portantini la fissano a
delle grosse bretelle che portano pendenti e di corsa raggiungono la piazza. Le
stesse operazioni a volte sono fatte scaricando un carro trainato da
robusti cavalli. Esso proviene da un polder non lambito da un buon canale. Il
carretto in tempi più recenti è stato sostituito dai primi mezzi a motore.
I contadini vestono pantaloni blu, una camicia blu con
sottili righe bianche. Sul capo portano un cappello di tela blu. Hanno un
fazzoletto al collo e gli zoccoli ai piedi. Quelli che giungono col carro sono
accompagnati dalla moglie che indossa per l’occasione il suo più bel vestito
confezionato con broccato e pizzi.
Le barelle sono depositate in piazza e i commercianti
vestiti con candidi grembiuli con un particolare coltellino penetrano una
forma, ne estraggono un lungo tassello, che assaggiano. Se la partita è
gradita, tra il contadino e il commerciante inizia l’asta dopo il consenso
dell’ispettore. I due si pongono uno di fronte all’altro e si lanciano le
offerte e le controfferte battendosi reciprocamente i palmi della mano. A
trattativa conclusa, una vigorosa stretta di mano sancisce l’accordo. La
partita viene quindi portata alla pesa, dove alla presenza del funzionario,
secondo il prezzo pattuito, viene stabilito e registrato il costo totale
dell’affare.
Quando le vendite si concludono, inizia la festa, che
ricompone l’armonia nella comunità, dopo l’asprezza degli affari. L’organetto
di legno dipinto inizia a suonare al giro della manovella e la lieta atmosfera
accompagna i commiati di questo giorno di vita e di festa.
Dopo il leggero pranzo lasciamo gli appassionati tedeschi
a preparare con cura i loro colorati windsurf, i bambini a sguazzare in
quell’opaca brodaglia, che osano chiamare mare e altri ancora a tentare di
abbronzarsi.
Di nuovo in sella alle nostre biciclette da Edam percorriamo
la strada che costeggia il Markermeer nella direzione opposta rispetto a quella
di ieri: ci dirigiamo verso nord.
Dalla strada che si snoda ai piedi della diga non si vede
il panorama marino, che però si può ammirare salendo sul suo culmine nei luoghi
stabiliti, ma si gode della rilassante visione della campagna, che oggi ha
colori speciali, perché esaltati dalla lucentezza del sole e dall’aria tersa
per il vento che l’asciuga.
La natura ci sorprende sempre per la sua bellezza. E’ un
continuo richiamarci a guardare ora un attento airone, vigile sulla riva, ora
la pecora, che si staglia contro il cielo brucando sul culmine della diga, ora
le frisone, che brucano tranquille nel pascolo e ruminano lentamente il loro
lauto pasto preparando il prezioso latte. I lucenti canali, qua e là si
allargano e formano stagni, dove si muovono eleganti e silenziosi i cigni,
mentre le oche si agitano in modo fremente e le anatre starnazzano con clamore
e al minimo allarme si alzano simultaneamente in volo. I mulini a vento e le
linde fattorie, che sembrano più ville che aziende agricole sono il segno della
presenza dell’uomo, oggi indaffarato nel taglio dell’erba, che spera di
raccogliere ancora asciutta ed essiccata tra qualche giorno.
L’occhio fotografico di Giuseppe riesce a immortalare
l’incanto di quest’ambiente. Chi ci passa accanto ci guarda incuriosito,
prosegue e si volta per capire cosa ci sia da fotografare. Forse il suo
smarrimento deriva anche dall’abbigliamento di Paola, che in onore di questo
paese, per l’ultima pedalata ha indossato una maglietta arancione, il colore
nazionale, indossato spesso dalle donne, quando sono in gita.
Ci fermiamo alla chiusa Warder, che è stata
costruita nel 1998 e consente con un paio di pompe elettriche di svuotare il
Markermeer di 100 m3 al minuto riversando l’acqua in un canale, che
la distribuisce nei polders o di riportare il mare interno al livello normale
con un pompaggio opposto.
Sulla strada oltre a noi tanti altri ciclisti, per lo più
coppie e famiglie che abituano i bambini ad affrontare fin da piccoli la fatica
e l’impegno della strada. Per loro è un continuo e progressivo processo di
apprendimento: dal marsupio, al seggiolino, dal tandem con papà o mamma alla
prima bicicletta personale, che segue rigorosamente quella del papà ed è
protetta da quella della mamma, che chiude il gruppo organizzato secondo il
preciso schema anagrafico: i figli più grandi dietro il papà, il più piccolo
della nidiata appena prima della mamma.
In questo paese l’autonomia personale è un diritto che la
società riconosce e rispetta. La si dà al bambino appena inizia a comprendere e
l’anziano cerca di conservarla a lungo. Così quando le gambe sono troppo deboli
per reggere a lungo il peso della persona o per compiere i consueti spostamenti
in città, ecco che l’anziano si avvale di maneggevoli girelli, dotati di
robuste ruote un capiente cestino e un comodo seggiolino, che consente pause di
riposo. Circolano anche numerosi tricicli elettrici che grazie alle piste
ciclabili si muovono agilmente senza che il guidatore corra rischi.
Un’ultima curva ed ecco i profilo di Edam si disegna
all’orizzonte. Dietro lo scuro bosco che circonda la città, riconosciamo
la sagoma del massiccio campanile della Chiesa grande, lo snello campanile
con le campane esposte, dal suono argentino che scandisce e spande per la città
il trascorrere del tempo e la parte sommitale della facciata del municipio.
Siamo in città. Le vie che profumano di suppe, ci
dicono che sono circa le 18.00, ora di cena per gli olandesi. Questi odori
diversi, secondo le erbe usate per insaporirle, risvegliano in noi
ricordi infantili.
Anche a Milano la cena una volta iniziava sempre con la
minestra, che aveva sapori diversi secondo l’estro culinario della cuoca. A noi
piaceva e piace “ris e erburin”. Ogni tanto, nelle sere più fredde e
uggiose, lo cuciniamo.
Giunti quasi al campeggio, là dove il porto prosegue nel
canale, che poi si ramifica in città, alle due chiuse che regolano il livello
delle acque, che nei canali è inferiore di mezzo metro rispetto al mare, sono
in attesa di passaggio delle barche. Ci fermiamo ad osservare la lenta manovra
che consentirà loro transito. Quelle grandi e signorili, che qui passano
inosservate, destano invece la nostra curiosità e ammirazione.
Alle 22.15 il cielo, che è riuscito a mantenersi sereno
per tutto il giorno, ha ancora riverberi rossastri ad occidente ed è illuminato
dalla luna quasi piena che risplende bianca e senza alone annunciando la notte
imminente.
ADDIO
OLANDA
Giornata difficile quella di oggi, sia dal punto di vista
psicologico, sia sul piano fisico.
La sveglia suona alle 7.30. Essa dà l’avvio alla prima
tappa di rientro. E’ difficile alzarsi sapendo che ormai la vacanza ha le ore
contate!
Eppure il rientro fa parte del gioco, perché consente di
radicare nella mente e nel cuore il ricordo dell’esperienza attraverso il
racconto del viaggio a parenti e amici. Tornare alla normale quotidianità
attiva una nuova attesa di riposo, stimola nuovi progetti e nuova immaginazione.
Ciò nonostante, organizzarci per il ritorno ci pesa.
Il viaggio prevede di attraversare l’Olanda seguendo la
direzione autostradale che porta a sud: Amsterdam, Utrecht, Eindhoven,
Maastricht. Da qui, per non ripetere l’itinerario dell’andata, ci dirigeremo
verso l’Italia passando per il Belgio, il Lussemburgo e la Francia.
Raggiungiamo velocemente Amsterdam e percorriamo la sua
tangenziale immersi in un traffico molto fluido, che ci meraviglia, visto il
possibile paragone che si può fare tra questa città e Milano.
Parole avventate. Infatti dove l’Olanda diventa
continentale, il traffico mercantile si riversa sull’asfalto. Fino ad
Eindhoven, lungo uno dei due assi industriali più importanti di questo paese,
Giuseppe deve guidare con la massima attenzione e, pur tenendo la velocità
entro i limiti stabiliti, deve operare numerosi sorpassi. Che i mezzi pesanti
rispettino i loro limiti di velocità, che sono inferiori a quelli degli
autoveicoli, è cosa buona ed è la norma in questo paese. Ciò che è anomalo è
che la maggior parte degli automobilisti olandesi viaggino a una velocità molte
volte inferiore a quella dei tir! Fatte le debite proporzioni, l’olandese va
forte solo in bicicletta!
Se non ci fossero i cartelli che indicano l’inizio di un
nuovo territorio nazionale e le sue regole riguardanti la circolazione (perché
non unificarle?) e la variazione dei colori della segnaletica, non sarebbe
semplice individuare dove cambia la sovranità nazionale, ci si dovrebbe
riferire ad altri particolari. Escludendo quindi le indicazioni obbligatorie,
il Belgio si differenzia dall’Olanda perché presenta un’edilizia meno curata e
la cartellonistica pubblicitaria, completamente assente al di là del confine.
Lasciamo l’Olanda passando da Maastricht, la cittadina il
cui nome è conosciuto da quasi tutti gli europei da quando è entrata nella
storia della nostra comunità.
Siamo diretti a Liegi in Belgio, ma… il navigatore -
copilota ha un momento di smarrimento! Sull’atlante stradale che usa per
indicare l’itinerario a Giuseppe la città è indicata con il suo nome in
francese Liege, i cartelli stradali, scritti in olandese indicano Luik.
Si sa che in autostrada se si sbaglia un’uscita sono problemi! Così è
stato. Abbiamo percorso qualche chilometro in più e accumulato un po’ di
stress.
Da Liegi proseguiamo verso Città di Lussemburgo seguendo
la nazionale, perché vogliamo vedere la regione delle Ardenne.
E’ questa una zona montuosa di antica orogenesi. Presenta
catene non molto elevate dal profilo tondeggiante. E’ ricoperta da estese foreste,
soprattutto abetaie. Ci ricorda il Bayrischer Wald tedesco. Le radure sono
coltivate a cereali. Esse appaiono come macchie di colore giallo dove è stato
mietuto il grano e verde chiaro dove sta crescendo il mais.
Sono le prime ore del pomeriggio e anche la temperatura ci
segnala che abbiamo già percorso diversi chilometri verso sud. Le Ardenne ci
hanno offerto un gradevole diversivo rispetto la noiosa autostrada, ma le loro
strade alquanto tortuose e soprattutto molto sconnesse hanno rallentato notevolmente
la nostra marcia.
Passiamo Città di Lussemburgo con qualche indugio,
in quanto non è dotata di una completa tangenziale e le indicazioni verso le
varie direzioni sono scarse. Attraversato anche questo mini-stato, entriamo in
Francia. Transitiamo da Metz e proseguiamo verso Strasburgo alla ricerca di un
campeggio. Lo troviamo a Saint Avolt, uno dei centri storici che si trovano
lungo la linea Maginot. Il campeggio Le Felsberg si trova in città. E’ sito nel
bosco della piccola altura che la domina. Ad accoglierci all’inizio della
salita uno scoiattolo che al rumore del motore preferisce il cinguettio degli
uccelli. Con agilità si arrampica su un albero.
L’ULTIMO
REGALO
Rassegnati al rientro, ma col cuore, …pardon lo stomaco
addolcito da un fresco e fragrante croissant, ci rimettiamo in marcia verso
Milano.
Abbiamo davanti a noi un tragitto tipo quello di ieri,
circa 500 km.
Pensiamo di percorrere l’autostrada fino a Colmar e da qui
raggiungere l’autostrada tedesca che è collegata bene a quella svizzera, così
da transitare senza intoppi e incertezze da Basilea, città che ormai da anni è
un cantiere senza fine.
Il percorso francese non è particolarmente impegnativo. Il
traffico è scarso e il panorama vario, visto che questa grande arteria segue il
profilo altimetrico della zona e, passando per luoghi poco popolati, non è
protetta dalle barriere antirumore.
I sali-scendi ci consentono di ammirare dapprima il
panorama dei Vosgi, di altezza modesta, ma piuttosto boscosi, poi quello
dell’Alsazia, che alterna alle fitte foreste delle grandi estensioni coltivate,
prevalentemente a cereali.
Le ore trascorrono veloci e il caldo aumenta, mandando in
ebollizione il cervello di quei camionisti, che alle latitudini più
settentrionali sono disciplinati.
Ed ecco che su una ripida salita del 5% un tir tedesco
esce in sorpasso di un tir francese. La sua velocità è lievemente superiore, ma
uscito dalla scia, l’impatto con l’aria lo rallenta. Cambia marcia, pigia
sull’acceleratore, affianca il rivale che, tuttavia, resiste. Sta per prendere
la testa quando un curvone lo svantaggia, perché si viene a trovare nella
corsia con il raggio di curvatura maggiore. Tra i due c’è un testa a testa di
difficile decifrazione, ma il tedesco trova un potente alleato nella ripida
discesa che c’è subito dopo. Il peso e la potenza lo favoriscono. La vittoria è
assicurata. Ancora una volta Schumacher ha vinto!
Terminato il duello con agilità li superiamo entrambi.
Osservato da lontano il profilo dell’imponente cattedrale
di Strasburgo, proseguiamo fino a Colmar, dove facciamo tappa.
Colmar è una città che abbiamo già visitato più volte, ma
la sua struttura che risale al XV secolo, così ben conservata, ci dona ogni
volta emozioni che rinsaldano i nostri ricordi. Oggi dall’alto del tetto della
cattedrale una cicogna osserva silenziosa e sicura l’animato passeggio dei
turisti. E’ uno spettacolo nello spettacolo.
E’ l’ora di pranzo. Ci fermiamo in una brasserie dove ci
regaliamo il pranzo che non abbiamo fatto nel giorno del nostro anniversario.
Festeggiamo con una gustosa insalata alsaziana e una fetta di crostata di
mirtilli, tutto accompagnato da un buon bicchiere dell’asprigno vino locale.
Raggiungiamo poi l’autostrada germanica passando il Reno e
lo risaliamo costeggiandolo fino a Basilea.
La traversata della Svizzera è ancora pesante. Se gli
italiani sono lenti nell’esecuzione dei lavori stradali, gli elvetici da
qualche anno sono diventati eterni. I cantieri che erano aperti lo scorso anno
sono tuttora in attività e non danno molte speranze per una rapida
chiusura.
Arriviamo a Zurigo intorno alle 17.00. E’ l’ultimo venerdì
di luglio, Zurigo non ha tangenziale. Lasciamo a voi immaginare il tempo
necessario per il suo attraversamento. Al lungo tempo pensato aggiungete ancora
mezz’ora, perché lungo il percorso da seguire abbiamo incontrato un ulteriore
intralcio. Un intervento dei pompieri presso un edificio di una certa via, ha
obbligato il traffico al senso alternato.
Spezziamo la tappa verso Milano con la sosta notturna al
Passo del san Bernardino. Posteggiamo il camper nel grande piazzale
praticamente vuoto. Prepariamo la cena e concludiamo la vacanza con la
tradizionale fotografia di fine viaggio.
C’è chi rientra con un pizzico di nostalgia e chi parte
con tanto entusiasmo e aspettative nel cuore. E’ ormai buio, ma non siamo più
soli: il grande posteggio è diventato una distesa di camper: buone
vacanze, italiani!
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